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'''Molochio''' (''Mòlocco'', ''Mòlokos'' in [[Dialetto greco-calabro|greco-calabro]], ''Mulòhji, Mulòhi''<sup>[https://www.ansa.it/viaggiart/it/city-4155-molochio.html]</sup> in [[Dialetto calabrese|calabrese]]) è un [[Comune (Italia)|comune italiano]] di {{formatnum:2384}} abitanti<ref name="template divisione amministrativa-abitanti"/> della [[città metropolitana di Reggio Calabria]] in [[Calabria]]. Posto nel cuore dell'[[Aspromonte]], Molochio sorge in una zona ricca di bellezze naturalistiche. È noto per "avere una delle più alte concentrazioni di centenari nel mondo".<ref>{{Cita web|url=https://news.usc.edu/59199/meat-and-cheese-may-be-as-bad-for-you-as-smoking/|titolo=Meat and cheese may be as bad for you as smoking}}</ref>
 
== Origini del nome ==
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Due sono le ipotesi più attendibili sulla fondazione dell’abitato: la presenza di un insediamento italico nell’età del ferro (I millennio a.C.) e la colonizzazione da parte di profughi di Taureana, di Metauro e di Scunno che, per proteggersi dalle incursioni saracene del X secolo d.C., si rifugiarono presso le mura del Monastero Basiliano che allora sorgeva in quei luoghi.
 
In passato, nella cittadina erano molto diffuse le coltivazioni della vite, del gelso, degli agrumi, del grano germano nonché la produzione di legname, tanto da far sembrare il paese un giardino di malve: pertanto l’origine del toponimo “Molochio” è ormai ritenuta essere la voce greca ''mologhíon'', malva. Paolo Gualtieri, nel volume ''Sacro Trionfo Delli Santi di Calabria, Ed. 1610'', accenna addirittura a un’erba così denominata:<blockquote>Molochi, termine greco, che santo nella nostra favella suona, detto così dall’erba molochi, molto simile alla malva, della quale comandò Pitagora nei suoi simboli che si seminasse e si raccogliesse, ma non si mangiasse, mentre disse: “Herbam Molochen ferito, non tamen mandito”, quasi avesse voluto dire che le cose sante si devono propagare non consumare.<ref>{{Cita libro|titolo=(it) Paolo Gualtiero, Sacro Trionfo Delli Santi di Calabria, 1610}}</ref>  </blockquote>Molochio fu Casale del Ducato di Terranova, che nel ‘600 era il centro emergente di una vasta signoria - comprendente l’ampia zona racchiusa tra il Marro-Petrace e il Vacale ed estesa, sul lato Tirrenico, dalle vicinanze di Gioia al largo di Rosarno. Entro quest’area erano sistemati i numerosi Casali del ducato: S.Martino, Rizziconi, Iatrinoli, Radicena, Casalnuovo (poi Cittanova), Scroforio, Galatoni, Molochio e Molochiello, accanto ad altri piccoli centri rurali come S. Leo, Vatoni, Bracali, Cristò, Carbonaria. In questo territorio boschivo, adibito un tempo a pascoli, si svilupparono in epoca signorile ampie colture cerealicole e vennero incrementate le produzioni di lino, canapa e gelso, oltre alla viticoltura.
 
Il paese passò dopo in mano ai Sanseverino, ai Sant’Angelo, ai Caracciolo e ai Correale, fino al 1558, anno in cui il ducato fu venduto ai de Marini di Genova, per poi essere acquistato dai Grimaldi, che scelsero invece di elevare Gerace a sede del principato. Subito dopo l’ordinamento amministrativo francese rese il paese una frazione di Oppido. Nel 1811 gli venne assegnato il nome di Molochiello: era questo l’appellativo che, prima del terremoto del febbraio 1783 e del Flagello (l’epidemia che ne seguì), stava a indicare Molochio Inferiore, dove si trovavano le Chiese di S. Marco, S. Stefano e S. Sebastiano - di cui nulla è rimasto - e la statua di S. Nicola di ''Moloi Minor'', oggi malamente deturpata.<ref>{{Cita libro|titolo=G. Beniamino Mustica, I Paesi del Marro all'alba del mondo moderno, Polistena (RC), La Brutia Editrice, 1984, 117 p., p. 84}}</ref>
 
=== Simboli ===
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== Santuario della Madonna di Lourdes e Convento ==
 
Inaugurato nel 1901, è il primo Santuario in Italia dedicato alla Madonna di Lourdes. La sua costruzione iniziò nel 1890 per volere di padre [http://malastoria.blogspot.com/2008/02/padre-francesco-maria-zagari.html Francesco Maria Zagari], un frate cappuccino che si recò in pellegrinaggio a Lourdes poco tempo dopo le apparizioni della Madonna. Lui stesso, dopo l’inizio dei lavori, si recò a Parigi alla ricerca di una statua della vergine da portare a Molochio e vi riuscì, grazie alla generosità della Terziaria francescana suor Maria Probech Schlestadt, che gli fece dono di una bellissima statua lignea da collocare nel Santuario. Tale statua raffigurava l’Immacolata Concezione (dogma di fede riconosciuto dalla Santa Madre Chiesa dopo le apparizioni di Maria a Santa Bernadette Soubirous). Il 14 settembre 1901, esaltazione della S. Croce, il Cardinale Gaetano Portanova, Arcivescovo di Reggio Calabria, benedisse il nuovo Santuario divenendone protettore. La devozione popolare verso la prodigiosa Immagine, nonché i personaggi e gli eventi che interessarono il Convento sono stati narrati da Padre Silvestro Morabito di Taurianova (1929-2005) nel libro ''Alle falde del Trepitò''. Accanto al Santuario si trova un centro per pellegrini chiamato "La casa del pellegrino".
 
== Chiesa San Vito ==
Piccola chiesa edificata nel XVII secolo a opera di don Giuseppe Palermo, non più agibile da circa dieci anni per via di severi danni al soffitto. La “Chiesa Vecchia” reca(va) dei meravigliosi lavori in stucco realizzati dagli artisti [[Morani (famiglia)|Francesco]] (?-1878) e [[Morani (famiglia)|Vincenzo Morani]] (1809-1870) da Polistena, mai restaurati. Piene delle loro opere sono le chiese di tutta la provincia. Verosimilmente i loro bozzetti per San Vito sarebbero serviti come base per la costruzione di altre chiese. San Vito, pur vertendo in uno stato disastroso, è attualmente il bene più antico che Molochio possiede. Recenti studi hanno però visto emergere delle meraviglie dal suo interno, fra cui delle sculture. La paternità di queste opere è sconosciuta. Don Vincenzo Tropeano afferma che a realizzare le statue sia stato il tropeano o bagnaroto Vincenzo Basile.
 
Il progetto architettonico del napoletano Francesco Saponieri, approvato nel 1844, è in linea con il Neoclassicismo, con una pianta rettangolare ad una sola navata con una grande abside centrale.<ref>{{Cita web|url=https://www.molochio.net/i-segreti-della-chiesa-vecchia/|titolo=I segreti della “Chiesa Vecchia” – Magazine on line|lingua=it-IT|accesso=2022-01-02}}</ref>
 
== Chiesa San Giuseppe ==
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Questo splendore fu distrutto dal terremoto del 5 febbraio 1783, che rese Molochio un cumulo di macerie e rase al suolo ben altre tre chiese di cui non si è conservata traccia: S. Marco, S. Stefano e S. Sebastiano.
 
Agli inizi del ‘900 la Chiesa di San Giuseppe venne riedificata grazie alle offerte dei fedeli, soprattutto emigrati molochiesi. Malauguratamente fu abbattuta una seconda volta a causa del sisma del febbraio 1908. Il restauro venne effettuato solo novant’anni dopo.<ref>{{Cita  web|url=http://passatodimolochio.blogspot.com/p/storia-di-molochio.html|titolo=Passato  di Molochio: Storia di Molochio|sito=Passato di Molochio|accesso=2022-01-02}}</ref>
 
== Chiesa parrocchiale di Santa Maria di Merula (Chiesa Matrice) ==
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Il consumismo ha contribuito alla scomparsa di tante occupazioni, con grave perdita della collettività: ''sartu, barberi, cazunaru, scarparu, ferraru, mattunaru, marmista, mulinaru, sellaru, bandiaturi, cofanaru, carbunaru…''
 
In Contrada Vitrèto, nelle vicinanze del torrente Barvi, versa in stato di abbandono un antico mulino ad acqua “a caduta”: il Molino di Campanella ( forse ancor oggi soprannominato, in dialetto locale, ''’A machina du’ Duca'' ). Ha funzionato sino al Primo ‘900. Nei pressi vi sono resti di frantoi oleari, o ''trappíti'', spinti dalla forza dell’acqua. L’acquedotto si dipartiva dal fianco della montagna soprastante (Trepitò). Mentre il primo frantoio ha il nome patronimico, il secondo ha un appellativo avicolo: ''du’ Cuccu'', “del Cuculo”, e i suoi ultimi proprietari furono i Longo. Stupefacente doveva essere il funzionamento dell’antica segheria (''Serra'') di Palata, di cui purtroppo non è rimasto nulla: fu l’arrivo dell’elettricità a provocarne il declino e poi la fine. Esiste ancora, però, un telaio meccanico, forse ancora efficiente.<ref>{{Cita libro|titolo=(it) G. Beniamino Mustica, I Paesi del Marro all'alba del mondo moderno, Polistena (RC), La Brutia Editrice, p. 66, 93}}</ref>
 
Infatti, fino alla prima metà dell’800, l’allevamento del baco da seta godé un grande sviluppo: le colture spontanee del gelso bianco e moro sono tuttora presenti nei boschi. Si narra che le operaie cantassero dei versi poetici che si rifacevano alle leggende riguardanti l’infanzia, la formazione e l’investitura di Orlando, paladino d’Aspromonte e tutore della cristianità in Occidente. Oggi custoditi negli archivi comunali, questi versi miniati costituiscono un elemento di continuità con la [https://www.treccani.it/enciclopedia/canzone-di-aspromonte_%28Enciclopedia-Italiana%29/ Canzone d’Aspromonte], importante poemetto epico-cavalleresco la cui forma attuale risale al XV secolo.<ref>{{Cita web|url=https://turismo.reggiocal.it/cultura/archeologia-e-storia/la-chanson-daspremont|titolo=La Chanson d'Aspremont, l’antico cantare ambientato in Aspromonte}}</ref>
 
La celebrazione dei ''Virgineji'' avveniva tradizionalmente durante la novena a San Giuseppe. Questo rituale si configurava inizialmente come un pranzo ospitale offerto ai bambini più bisognosi del villaggio da parte delle famiglie abbienti, che adempivano così al voto fatto al Santo, o esprimevano la loro gratitudine nei suoi confronti. In tempi più recenti, il pasto con un piatto di pasta e ceci fu esteso anche al resto della comunità, riunita a banchetto il giorno della Festa patronale (anticamente fissata al 1° giugno, oggi ricorre il 19 marzo).