Minigonna: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 76:
La diffusione della minigonna (e in generale delle mode legate alla ''Swinging London''), partita dai paesi europei del [[blocco occidentale]], da lì passata (seppur non immediatamente<ref name=SeeninVogue95 />) negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] (e dopo alcuni anni in quest'area più o meno tacitamente accettata), non ebbe la stessa facilità di diffusione altrove: in [[Cina]] per esempio, dove si era nel pieno della [[Rivoluzione Culturale]], venne considerata uno dei simboli della "depravazione" dell'occidente capitalista<ref>[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,viewer/Itemid,3/page,0003/articleid,1052_04_1981_0280_0003_21728956/ Mary Quant, madre della mini ha regalato un vestito a Milano], articolo de [[La Stampa]], del 24 ottobre 1981</ref>, mentre in [[Australia]] le gonne rimasero sotto al ginocchio per buona parte degli anni sessanta<ref>{{en}}[http://www.icons.org.uk/theicons/collection/miniskirt/biography/biography-in-progress The Mini Takes Off] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20070526235838/http://www.icons.org.uk/theicons/collection/miniskirt/biography/biography-in-progress |data=26 maggio 2007 }}, sul sito ICONS - A Portrait of England</ref>.
 
Anche in diverse nazioni dell'[[Africa]] la minigonna venne vista come un simbolo della decadenza del mondo occidentale che avrebbe corrotto i costumi locali<ref name=randomhistory />. La problematica al tempo, più che al concetto di pubblica decenza, in diversi casi era legata al fatto che molte nazioni avevano da poco ottenuto l'indipendenza, dopo il periodo [[Colonialismo|coloniale]], e gli indumenti legati alle mode occidentali, come le gonne corte o i [[pantaloni]] aderenti<ref name=ross>{{cita libro|cognome1=Ross |nome1=Robert |titolo=Clothing: A Global History |data=2008 |editore=Polity |isbn=9780745631868 |pp=162–163 |url_capitolo=https://books.google.com/books?id=iwprGRt3XkMC&pg=PA162 |lingua=en |capitolo=Engendered Acceptance and Rejection}}</ref>, erano visti come un protrarsi di questo controllo.<ref name=Kiruga>{{en}}Morris Kiruga, ''[https://web.archive.org/web/20180401162426/http://mgafrica.com/article/2014-12-04-understanding-africas-fashion-police/ Understanding Africa's 'fashion gestapo': Miniskirts, maxi skirts make-up and long beards]'', [[Mail & Guardian|Mail & Guardian Africa]], 5 dicembre 2014</ref> Del resto l'abbigliamento tipico pre-coloniale di molte di quelle zone, precedentemente contrastato dalle forze coloniali (e anche da alcune forze governative post-indipendenza<ref name=ross />) nell'ottica della [[Missione civilizzatrice|civilizzazione]] perché percepito come una quasi nudità, era minimalista: una ragazza di città in maglietta e minigonna negli anni '60 sarebbe stata comunque più coperta rispetto ada una ragazza delle generazioni precedenti in abiti tradizionali. Questo ovviamente non impediva a molti governi o forze politiche di indicare comunque questo abbigliamento come sconveniente di per sé, con in alcuni casi campagne mediatiche e legali che sfociavano in vere e proprie aggressioni dei confronti delle donne che lo indossavano<ref name=ross /><ref name=ivaska>{{cita libro|cognome1=Ivaska |nome1=Andrew M. |curatore1=Jean Allman |titolo=Fashioning Africa: Power and the Politics of Dress |editore=Indiana University Press |isbn=0253111048 |pp=113–114 |url_capitolo=https://books.google.com/books?id=_K9Zvt8kkkcC&pg=PA104 |lingua=en |capitolo='Anti-mini Militants Meet Modern Misses': Urban Style, Gender, and the Politics of 'National Culture' in 1960s Dar es Salaam, Tanzania|data=9 settembre 2004 }}</ref>.
 
Tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta l'indumento si diffonde anche in paesi a maggioranza [[islam]]ica che successivamente l'avrebbero vietato o comunque osteggiato, come l'[[Afghanistan]]<ref>{{en}}Michael Hughes, ''[http://www.huffingtonpost.com/michael-hughes/miniskirts-in-kabul_b_591478.html Miniskirts in Kabul]'', articolo di [[The Huffington Post]], del 28 maggio 2010</ref><ref>{{en}}[[Elisabeth Bumiller]], ''[https://www.nytimes.com/2009/10/18/weekinreview/18bumiller.html?_r=0 Remembering Afghanistan's Golden Age]'', articolo del [[The New York Times]], del 17 ottobre 2009</ref>.