Deformità: differenze tra le versioni
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Il termine '''deformità''' dal [[lingua latina|latino]] ''deformitas'' si riferisce a un difetto fisico, congenito o intervenuto patologicamente, che causa un'alterazione sgradevole nell'aspetto normale di parti o dell'intero corpo umano o animale. La deformità non è necessariamente connessa alla [[disabilità]] ma questa può causare disfunzioni e deviazioni dalla normalità anatomica tali da determinare una diversità corporea percepita come esteticamente spiacevole. <ref>''Enciclopedia Italiana Treccani'' alla voce corrispondente</ref>
==Cultura classica==
La deformità ancora oggi nella cultura popolare è associata a comportamenti morali riprovevoli <ref>''«Ddiu li sègna, e tu javìtili!»'' [Dio li segna, e tu evitali] (Dialetto tarantino)</ref> un principio che sembra tramandato dall'antica società greca del V secolo a.C. dove il principio opposto della [[kalokagathia]] del bello e del buono contrassegnava invece l'ideale di perfezione fisica e morale dell'uomo che nella più antica letteratura omerica era rappresentato dall'eroe che incarna i valori aristocratici. Questo è il caso di [[Tersite]] che nell'[[Iliade]] di [[Omero]] <ref>Maria Rosa Tabellini, ''L’altro nel poema epico'', Università di Siena, p.1</ref> rappresenta, per la sua deformità <ref>Così descritta:
{{Quote|aveva il naso largo e schiacciato ed era zoppo da un piede, aveva le spalle torte, gobbe e rientranti sul petto, il cranio aguzzo, coi capelli radi». (''Iliade'', vv.274-360)}}</ref> e per la sua codardia, il modello dell'anti-eroe, il contrario del prototipo dell'eroe classico, bello e virtuoso <ref>Pierluigi Barrotta,''Scienza e valori: Il bello, il buono, il vero'', Armando Editore, 2015, p.92</ref>
La bellezza infatti nella cultura greca arcaica era concepita come un valore assoluto donato dagli dei all'uomo e quindi la deformità poteva segnalare l'ostilità degli dei nei confronti del malvagio. <ref>[http://www.treccani.it/scuola/lezioni/scienze_umane_e_sociali/bellezza_e_arte_1_kalokagathia.html Bellezza e arte 1. La bellezza come dono divino – Kalokagathia]</ref>
Nel lessico greco il termine ''stigma'' (dal [[lingua greca|greco]] στίγμα -ατος, derivato di στίζω «pungere, marcare» indicava un segno corporeo fastidioso e fuori della norma che marcava il deforme e mentre bontà, bellezza e salute erano giudicate "proprietà naturali", malvagità, malattia, erano concepite come proprietà innaturali. <ref>''Vocabolario della lingua
Nella terminologia latina il soggetto deforme viene indicato con ''monstrum'', un fenomeno che è diverso dalla cosiddetta normalità naturale e perciò si riferisce, in senso ampio, a un essere vivente reale <ref>Definizione di "mostro" nel ''Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti''</ref> o [[creatura immaginaria|immaginario]] a cui sono attribuite una o più caratteristiche straordinarie. Per questo il termine viene spesso usato per designare esseri umani dalle doti eccezionali, che nell'antichità normalmente
Platone nel ''[[Cratilo (dialogo)|Cratilo]]'' , analizza la distinzione tra ciò che è "secondo natura" e ciò che è "contro natura", cioè "mostruoso". Si sofferma in particolare sul rapporto tra γένος (''ghenos'', la "generazione secondo natura") e τέρας (
È infatti nel momento della generazione che si appunta la visione negativa dei greci antichi che vedono nella nascita del deforme una punizione inflitta ai genitori che si sono macchiati di una colpa precedente, commettendo ὕβρις (''hýbris''), che si trasmette di generazione in generazione per aver oltrepassato per ambizione i limiti imposti dagli dei che intervengono, secondo il principio arcaico dello φθόνος τῶν θεῶν (''phthonos ton theòn''), l'"invidia degli dei", con la τίσις (''tisis'') divina, una "punizione" mirante a ristabilire l'equilibrio che l'uomo ha violato. <ref>Anna Jellamo, ''Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo'', Donzelli Editore, 2005, pp.XII e sgg.</ref>
Perciò la società spartana militarista ed elitaria ritiene che
Non diversa è la considerazione della deformità fin dalle origini del mondo romano:
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natura nell’opera di Plinio il Vecchio,'' saggio introduttivo a G.B. Conte – A. Barchiesi – G. Ranucci (a cura di), Gaio Plinio Secondo. Storia naturale, I, Torino 1982, XVII-XLVII.</ref>
Una maggiore sensibilità nei confronti della deformità nelle malformazioni neonatali nel periodo del principato viene confermata nel ''[[Digesto]]'' ad opera dei giuristi [[Paolo]] e [[Ulpiano]] secondo i quali non si possono incolpare i genitori per la nascita di un figlio deforme poiché questo è avvenuto per volontà del [[fato]] (''fataliter'') e non più, come in passato, per aver offeso gli dei: «neque id quod fataliter accessit, matri damnum iniungere debet» <ref>''Digesta'',Ulpiano 50, 16, 135</ref>
La considerazione della deformità muta del tutto con l'avvento del Cristianesimo dove fin dall'inizio della predicazione evangelica i deformi non vengono più considerati in base al concetto di inutilità o ripugnanza anche se permangono nei loro confronti discriminazioni di ordine culturale. Quando il governo imperiale dei Flavi e degli Antonini attua una riforma della scuola promuovendo la diffusione della cultura, la legge romana dichiara l'ineducabilità di chi è colpito da disabilità, deformità o malattie, sventure che i cristiani associano alle conseguenze del peccato tanto che un papa santo come [[Gregorio Magno]] è convinto che «un’anima sana non troverà mai albergo in una dimora malata.» <ref>Gian Antonio Stella, ''Corriere della Sera '', 17 febbraio 2012</ref> Convinzioni che dureranno per tutto il Medioevo dove nelle donne da cui nascevano esseri deformi si vedeva la prova di congiungimenti carnali con il Diavolo.
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