Cielo d'Alcamo
Cielo d'Alcamo fu un poeta nato nella prima metà del XIII secolo, uno dei più significativi rappresentanti della poesia popolare giullaresca.
Vita
Pochissimo si sa di Cielo, e si limita pressoché alla cronologia dell'opera e a quel che è possibile desumere dal contenuto. probabilmente molto vicino alla Magna Curia di Federico II o addirittura membro di questa, deve probabilmente la sua anonimità (lo stesso nome è sicuramente inventato) alla posizione di dissidenza sia politica sia estetica del suo componimento, irriverente satira della scuola siciliana. Per la città di origine del poeta potrebbe essere Alcamo, in quanto parte del nome, ma anche Messina, per la presenza di dialetto messinese per quanto misto ad elementi linguistici centro-meridionali (Campania). Dal tono burlesco e dai personaggi dell'opera, gli studiosi hanno ipotizzato che si tratti di un giullare.
Non si sa chi fosse esattamente questo poeta. Ormai la critica riconosce che Ciullo (presunto diminutivo di Vincenzullo o richiamo volgare e grottesco tipico nei nomi giullareschi) è una deformazione accolta erroneamente dalla critica ottocentesca, e da essa passata a numerosi testi stranieri. Per altri il nome deriverebbe Cheli (diminutivo di Michele, nome molto diffuso in Sicilia), da cui sarebbe poi derivato Celi e in seguito, in Toscana, Cielo. Incerto anche il secondo nome, d'Alcamo (da Alcamo cittadina Siciliana), Dal Camo, Dalcamo. Dall'analisi del testo si può comunque dedurre che l'autore fosse siciliano e affatto sprovvisto di cultura.
Rosa fresca aulentissima
Lingua e stile
Egli scrisse un contrasto,sua unica opera, in dialetto meridionale a base siciliana ma con vistose influenze continentali dal titolo Rosa fresca aulentissima, che è un vero esempio di mimo giullaresco, destinato alla rappresentazione scenica. Il linguaggio è in sostanza una versione parodica della lingua letteraria dei Siciliani, i poeti della Magna Curia di Federico II, di cui Cielo dimostra una conoscenza molto approfondita: la sua erudizione non comune, nascosta sotto l'aspetto solo apparentemente popolare, si prende volentieri gioco dei topos e degli stilemi più manieristici della scuola cortese.
Datazione
La data invece della composizione, cade tra il 1231 e il 1250, nel periodo che va dalla promulgazione delle Costituzioni Melfitane e l'anno di morte di Federico II. Questa data si ricava dai riferimenti fatti nei versi 21-25 di Rosa fresca aulentissima:
- "Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?
- Una difensa mèt[t]oci di dumili' agostari;
- non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha 'n Bari.
- Viva lo 'mperadore, graz[i'] a Deo!
- intendi, bella, quel che ti dico eo?"
Uno dei riferimenti a cui si allude riguarda la parola "agostari" che era una multa altissima perché gli agostari, o augustali erano delle monete d'oro coniate nel 1231 che valevano un fiorino e un quarto. I giustizieri che la donna minaccia di chiamare di fronte alle avance pressanti del giullare, sono anch'essi un'istituzione di Federico II.
Rapporti col mondo cortese
Il contrasto nell'insieme riprende il genere cortese della pastorella (botta e risposta tra un signore innamorato e una pastorella), ma secondo lo stilema più borghese del famoso trovatore Rimbaut de Vaqueras, qui messo in burla da cielo. Si coglie l'eco più o meno diretta di molti altri testi cortesi dell'epoca, incluso probabilmente il Roman de la Rose, vera e propria bibbia dell'amor cortese. Rosa fresca aulentissima è dunque l'opera di uno scrittore tutt'altro che incolto e dotato di notevoli qualità artistiche.
Metro
Il metro consiste in trentadue trofe di tre alessandrini monorimi in cui il primo emistichi è sempre sdrucciolo, seguiti da due endecasillabi a rima baciata, secondo lo schema aaabb, cccdd, eeeff etc.
Cielo e la critica
Pur essendosi ingannato sull'origine popolare, il De Sanctis fu uno dei primi a rinvenire in questo componimento una freschezza e originalità fuori del comune, sia nell'uso del dialetto che nell'erotismo astratto da qualsiasi convenzione feudale. Il tutto si unisce a un raro talento comico che avvicina Cielo alla tradizione giullaresca e alla poesia satirica toscana degli anni immediatamente successivi, ma lo rende anche più vicino alla poesia moderna.
Secondo una legge contenuta nelle Costituzioni Melfitane, emanate da Federico II nel 1231 si poteva fermare l'aggressore pronunciando il nome dell'imperatore e indicando la multa che l'aggressore avrebbe dovuto pagare se avesse fatto uso della violenza. Questo accenno è molto importante ai fini della datazione del contrasto.
Il contenuto del componimento è quello tipico nella rimeria giullaresca: si tratta di un dialogo tra una ragazza del popolo e un giullare sfacciato che le offre con enfasi il suo amore, a tratti con parole svenevoli, a tratti con parole da trivio. La ragazza dapprima rifiuta motteggiando e infine finisce con il capitolare.
Si tratta evidentemente di un mimo giullaresco, secondo alcuni anche recitato e accompagnato dalla musica, dove la rappresentazione dei caratteri è arguta e pur essendo comica non è caricaturale. Essa si pone in controcorrente con la poesia siciliana della Magna Curia, che aveva bandito proprio i giullari da tutto il regno, staccando da quel momento poesia alta italiana dall'accompagnamento musicale.
Oltre a essere eredi diretti della tradizione cortese popolare (trobar leu, opposto al trobar clu preferito dalla corte) i giullari erano anche diffusori anche della satira politica (sirventese) che Federico represse severamente, rifiutando tra l'altro, di accogliere i trovatori provenzali dopo l'esilio cui furono condannato dalla crociata contro gli albigesi. Dante, che favoriva il genere "alto" messo in rilievo dal linguaggio raffinato dei siciliani, ne dà una critica severa nel De Vulgari Eloquentia, trattatello sulla lingua e sugli stili letterari.
Giudizio, questo, destinato ad essere ribaltato dai romantici e raccolto dai positivisti, che ne sopravvalutarono le qualità rispetto a quelle della corte federiciana, mentre la critica contemporanea ha saputo trovare una posizione intermedia più neutrale, distanziandosi dalle canoniche classificazioni di stampo aristotelico e dalle dispute linguistiche sul buon italiano che infuriarono soprattutto durante il risorgimento.
Bibliografia
- Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana. Firenze, sansoni, 1987.
- Antologia della poesia italiana: Duecento. A cura di C. Segre e Carlo Ossola. Torino, Einaudi, 1999.
- Carlo Ruta, Poeti alla corte di Federico II. La scuola siciliana. Edi.bi.si., Messina 2002.
- Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana. Firenze, 1871-1879.
Altri progetti
- Wikisource contiene di Cielo d'Alcamo
- Wikiquote contiene citazioni di o su Cielo d'Alcamo
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cielo d'Alcamo
Voci correlate
- Scuola siciliana - La scuola che è oggetto di parodia in Cielo d'Alcamo
- Guittone d'Arezzo - Il poeta che rifondò la scuola siciliana
- Dolce Stil Novo - Movimento in parte inspirato ai poeti siciliani