Sandro Pertini e Gallio (famiglia): differenze tra le pagine

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Leopold (discussione | contributi)
 
Riga 1:
{{Casata
{{nota disambigua||Pertini (disambigua)|Pertini}}
|cognome = [[File:Crown of italian prince (corona normale).svg|50px]] <br/> Gallio
{{Carica pubblica
|stemma = Coa fam ITA gallio2.jpg
|nome = Sandro Pertini
|blasonatura=Nel 1º d'argento, al leone illeopardito al naturale accostato da due rami fogliati di verde, incurvati e affrontati; nel 2º d'argento a tre bande di rosso ordinate in fascia; il tutto abbassato sotto il capo d'oro caricato di un'aquila di nero coronata d'oro
|immagine = Pertini ritratto.jpg
|motto=
|carica = 7º [[Presidente della Repubblica Italiana]]
|stato=[[File:Flag of Milan.svg|sinistra|30px]] [[Ducato di Milano]]<br>[[File:Bandera de Nápoles - Trastámara.svg|sinistra|30px]] [[Regno di Napoli]]
|mandatoinizio = 9 luglio [[1978]]
|titoli=<br />
|mandatofine = 29 giugno [[1985]]
* [[Ducato di Alvito|Duchi di Alvito]]
|primoministro = [[Giulio Andreotti]] <br />[[Francesco Cossiga]]<br />[[Arnaldo Forlani]]<br />[[Giovanni Spadolini]]<br />[[Amintore Fanfani]] <br />[[Bettino Craxi]]
* Marchesi di [[Scaldasole]] (1613)
|predecessore = [[Giovanni Leone]]
* Feudatari di [[Gravedona]], [[Dongo]] e [[Sorico]]
|successore = [[Francesco Cossiga]]
* Nobili di [[Como]]
|carica2 = [[Presidente della Camera dei deputati]]
* Principi del Sacro Romano Impero (1679) e della Val Mesolcina (1678)
|mandatoinizio2 = 5 giugno [[1968]]
* Conti di Musocco (1678)
|mandatofine2 = 4 luglio [[1976]]
* Baroni di Retegno (1678)
|predecessore2 = [[Brunetto Bucciarelli-Ducci]]
* Signori di Bettola, Casalpustarlengo e Triulza (1678)
|successore2 = [[Pietro Ingrao]]
* Grandi di Spagna di I classe (1678)
|carica3 = [[Segretario generale|Segretario]] del [[Partito Socialista Italiano]]
|ramicadetti ={{sp}}
|mandatoinizio3 = 2 agosto [[1945]]
*[[Ducato di Alvito|Gallio di Alvito]] (estinto)
|mandatofine3 = 18 dicembre [[1945]]
*Gallio-Trivulzio (estinto)
|predecessore3 = [[Pietro Nenni]]
|successore3datafondazione = [[RodolfoXVI Morandisecolo]]
|etnia = [[italiani|italiana]]
|carica4 = [[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana|Deputato dell'Assemblea Costituente]]
|mandatoinizio4 =
|mandatofine4 =
|legislatura4 =
|gruppo parlamentare4 = Socialista
|coalizione4 =
|circoscrizione4 = CUN
|collegio4 =
|carica5 = [[Senato della Repubblica|Senatore della Repubblica Italiana]]<br />[[Senatore a vita (ordinamento italiano)|Senatore a vita]]
|mandatoinizio5 = 29 giugno [[1985]]
|mandatofine5 = 24 febbraio [[1990]]
|legislatura5 = [[I legislatura della Repubblica Italiana|I]], [[IX legislatura della Repubblica Italiana|IX]], [[X legislatura della Repubblica Italiana|X]]
|gruppo parlamentare5 = Partito Socialista Italiano
|coalizione5 =
|circoscrizione5 =
|collegio5 =
|carica6 = [[Camera dei deputati|Deputato della Repubblica Italiana]]
|mandatoinizio6 = 25 giugno [[1953]]
|mandatofine6 = 7 luglio [[1978]]
|legislatura6 = [[II legislatura della Repubblica Italiana|II]], [[III legislatura della Repubblica Italiana|III]], [[IV legislatura della Repubblica Italiana|IV]], [[V legislatura della Repubblica Italiana|V]], [[VI legislatura della Repubblica Italiana|VI]], [[VII legislatura della Repubblica Italiana|VII]]
|gruppo parlamentare6 = [[Partito Socialista Italiano|PSI]]
|coalizione6 =
|circoscrizione6 = [[Genova]] - [[Imperia]] - [[La Spezia]] - [[Savona]]
|collegio6 =
|partito = [[Partito Socialista Unitario|PSU]] (1924-1930) <br> [[Partito Socialista Italiano|PSIUP]] (1943-1947) <br> [[Partito Socialista Italiano|PSI]] (1947-1990)
|tendenza = [[Socialismo democratico]]<br>[[Marxismo]]<br>[[Gramscianesimo]]
|titolo di studio = Laurea in giurisprudenza e in scienze sociali
|professione = [[Avvocato]], [[Giornalista]]
|firma = Sandro Pertini Signature.svg
|alma_mater = [[Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia]]<br>[[Università di Genova]] <br>[[Università di Firenze]]
|tipo nomina4 =
|incarichi4 = * Membro della giunta delle elezioni (26 giugno [[1946]] – 31 gennaio [[1948]])
* Membro della commissione per la Costituzione (19 luglio 1946 – 25 luglio 1946)
* Membro della commissione degli "undici" (19 febbraio [[1947]] – 19 aprile 1947)
|sito4 = http://legislature.camera.it/chiosco.asp?cp=1&position=Assemblea%20Costituente\I%20Costituenti&content=altre_sezioni/assemblea_costituente/composizione/costituenti/framedeputato.asp?Deputato=1d4610
|tipo nomina5 =
|incarichi5 = * [[Capogruppo (parlamento)|Presidente del Gruppo PSI]] (8 maggio 1948 – 24 giugno [[1953]])
* Membro della giunta delle elezioni (8 maggio 1948 – 24 giugno 1953)
* Membro della terza Commissione permanente (Affari esteri e colonie) (17 giugno 1948 – 6 luglio 1948)
* Membro della quarta Commissione permanente (Difesa) (7 luglio 1948 – 4 agosto 1948)
* Presidente della quarta Commissione permanente (Difesa) (5 agosto 1948 – 24 giugno 1953)
* Membro della Commissione speciale [[Disegno di legge|ddl]] funerali e tumulazione [[Vittorio Emanuele Orlando|V.E. Orlando]] (3 dicembre [[1952]] – 5 gennaio 1953)
* Membro della Commissione di vigilanza sulle condizioni dei detenuti negli stabilimenti carcerari (5 aprile [[1949]] – 20 ottobre 1949)
* Membro del [[Gruppo parlamentare|Gruppo]] PSI (29 giugno 1985 – 1º luglio [[1987]])
* Membro terza Commissione permanente (Affari esteri) (9 luglio 1985 – 1º luglio 1987)
* Presidente provvisorio del Senato (2 luglio 1987 – 2 luglio 1987)
* Membro del Gruppo PSI (9 luglio 1987 – 24 febbraio [[1990]])
* Membro terza Commissione permanente (Affari esteri, emigrazione) (1º agosto 1987 – 27 settembre [[1989]])
* Membro terza Commissione permanente (Affari esteri, emigrazione) (27 settembre 1989 – 24 febbraio 1990)
|sito5 = http://www.senato.it/leg/01/BGT/Schede/Attsen/00001844.htm
|tipo nomina6 =
|incarichi6 = [[Presidente della Camera dei deputati]] (5 giugno 1968 – 25 maggio 1976)
|sito6 = http://legislature.camera.it/chiosco.asp?cp=1&position=II%20Legislatura%20/%20I%20Deputati&content=deputati/legislatureprecedenti/Leg02/framedeputato.asp?Deputato=d4610
}}
I '''Gallio''' (o '''Gallii''' nella forma antica) furono una famiglia della nobiltà comasca e poi [[nobiltà milanese|milanese]]. Ebbero in possedimento anche il [[ducato di Alvito]] in [[Terra di Lavoro]].
{{Citazione|Non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà.<ref name="comunicareilsociale.it">{{Cita web|titolo=Libertà, lavoro e giustizia sociale secondo Sandro Pertini|url=http://www.comunicareilsociale.it/liberta-lavoro-e-giustizia-sociale-secondo-sandro-pertini/v/824|accesso=3 maggio 2013|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140202150922/http://www.comunicareilsociale.it/liberta-lavoro-e-giustizia-sociale-secondo-sandro-pertini/v/824|dataarchivio=2 febbraio 2014}}</ref>|Sandro Pertini}}
{{Bio
|Nome = Sandro
|Cognome = Pertini
|PostCognomeVirgola = all'anagrafe '''Alessandro Giuseppe Antonio Pertini'''<ref name="Alberto Pertini 1896">Limitatamente al nome e alla nascita: dichiarazione effettuata da Alberto Pertini (padre), assistito da 2 testi, riportata nell'atto n.113 del Registro degli Atti di Nascita, anno 1896, del Comune di Stella (all'epoca in Provincia di Genova Circondario di Savona) verbalizzata dall'Uff. di Stato Civile Cesare B. nel settembre 1896; l'atto di nascita è conservato attualmente presso l'Archivio di Stato di Savona</ref>
|Sesso = M
|LuogoNascita = San Giovanni di Stella
|LuogoNascitaLink = San Giovanni (Stella)
|GiornoMeseNascita = 25 settembre
|AnnoNascita = 1896
|LuogoMorte = Roma
|GiornoMeseMorte = 24 febbraio
|AnnoMorte = 1990
|Epoca = 1900
|Attività = politico
|Attività2 = giornalista
|Attività3 = partigiano
|Nazionalità = italiano
}}
Fu il settimo [[Presidente della Repubblica Italiana]], in carica dal [[1978]] al [[1985]], secondo socialista (dopo [[Giuseppe Saragat]]<ref name=Matasso>{{Cita news|autore=Antonio Matasso|url=http://www.torinopersaragat.it/saragat_matasso.html|titolo="Giuseppe Saragat, il socialista che seppe scegliere|pubblicazione=|accesso=10 marzo 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150402134542/http://www.torinopersaragat.it/saragat_matasso.html|dataarchivio=2 aprile 2015}}</ref>) e unico esponente del [[Partito Socialista Italiano|PSI]] a ricoprire la carica.
 
== Origini e storia ==
Durante la [[prima guerra mondiale]], Pertini combatté sul [[fronte dell'Isonzo]], e per diversi meriti sul campo gli fu conferita una [[medaglia d'argento al valor militare]] nel [[1917]]. Nel primo dopoguerra aderì al [[Partito Socialista Unitario]] di [[Filippo Turati]] e si distinse per la sua energica opposizione al [[fascismo]]. Perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura di [[Benito Mussolini|Mussolini]], nel [[1925]] fu condannato a otto mesi di carcere, e quindi costretto all'[[esilio]] in [[terza Repubblica francese|Francia]] per evitare l'assegnazione per 5 anni al confino.
Le origini della famiglia Gallio risalgono al XIV secolo quando un antenato comune dei vari rami, Niccolò, fece fortuna col commercio con la [[Germania]], iniziando parallelamente un'attività di concessione di crediti e prestiti finanziari a titol oneroso che fruttarono in pochi anni molto denaro alla famiglia.<ref>AA.VV. ''Le crisi finanziarie'', Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica "F. Datini" di Prato, Firenze, 2016</ref>
Continuò la sua attività antifascista anche all'estero e per questo, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel [[1929]], fu arrestato e condannato dal [[Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943)|Tribunale speciale per la difesa dello Stato]] prima alla [[reclusione]] e successivamente al [[confino]].
 
Le fortune della famiglia Gallio ebbero però inizio con Marco, che nel 1561 venne eletto cancelliere della comunità di [[Como]] e suo decurione, proseguendo con [[Tolomeo Gallio|Tolomeo]] che venne creato cardinale da papa [[Pio IV]] nel [[1565]], [[Decano del Collegio Cardinalizio|Decano]] e [[Camerlengo|Camerlengo del Collegio Cardinalizio]]. Un altro Marco venne creato cardinale da papa [[Innocenzo XI]] nel 1684.
Solo nel [[1943]], alla [[caduta del fascismo|caduta del regime fascista]], fu liberato. Contribuì a ricostruire il vecchio PSI fondando insieme a [[Pietro Nenni]] e [[Lelio Basso]] il [[Partito Socialista Italiano#La nascita del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria - PSIUP|Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria]].
Il 10 settembre [[1943]] partecipò alla battaglia di [[Porta San Paolo]] nel [[mancata difesa di Roma|tentativo di difendere Roma]] dall'occupazione tedesca.
Divenne in seguito una delle personalità di primo piano della [[Resistenza italiana|Resistenza]] e fu membro della giunta militare del [[Comitato di Liberazione Nazionale]] in rappresentanza del PSIUP.
A [[Roma]] fu catturato dalle [[SS]] e condannato a morte; riuscì a salvarsi evadendo dal [[carcere di Regina Coeli]] assieme a [[Giuseppe Saragat]] e ad altri cinque esponenti socialisti grazie a un intervento dei [[partigiani]] delle [[Brigate Matteotti]].
Nella lotta di Resistenza fu attivo a Roma, in [[Toscana]], [[Valle d'Aosta]] e [[Lombardia]], distinguendosi in diverse azioni che gli valsero una [[medaglia d'oro al valor militare]]. Nell'aprile [[1945]] partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal [[nazifascismo]], organizzando l'insurrezione di [[Milano]] e votando il decreto che [[morte di Mussolini|condannò a morte Mussolini]] e gli altri gerarchi fascisti.
 
La famiglia, nel secolo successivo, riuscì a ricoprire posizioni di gran rilievo grazie ad una sapiente opera di intrecci e legami mdi natura matrimoniale con le principali famiglie della nobiltà milanese dell'epoca, tra cui i [[Trivulzio (famiglia)|Trivulzio]] ed i [[Borromeo]], ma giungendo anche a legarsi coi [[Farnese]], coi [[Gonzaga]] e coi [[Grimaldi]] di Monaco. A partire dalla fine del Seicento, la famiglia ad ogni modo si divise in due rami collaterali che perseguirono fortuna in diversi ambiti: il ramo di Milano rimase nella capitale del [[ducato di Milano|ducato]] fino alla seconda metà del XVIII secolo, acquisendo nella seconda metà del Seicento i titoli ed i possedimenti della famiglia [[Trivulzio (famiglia)|Trivulzio]] per eredità, estinguendosi con [[Antonio Tolomeo Gallio Trivulzio]], fondatore del [[Pio Albergo Trivulzio]] e filantropo. L'altro ramo ottenne il ducato di [[Alvito]], nel [[Regno di Napoli]], all'estinzione del quale il titolo di duca passò alla famiglia dei Carafa di Colubrano.
Nell'[[Repubblica Italiana|Italia repubblicana]] fu eletto deputato all'[[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana|Assemblea Costituente]] per i socialisti, quindi [[Senato della Repubblica|senatore]] nella [[I legislatura della Repubblica Italiana|prima legislatura]] e [[Camera dei deputati|deputato]] in quelle successive, sempre rieletto dal [[1953]] al [[1976]]. Ricoprì per due legislature consecutive, dal [[1968]] al [[1976]], la carica di [[Presidente della Camera dei deputati]], infine fu eletto [[Presidente della Repubblica Italiana]] l'8 luglio [[1978]].
 
Nel nativo territorio comasco, precisamente a [[Gravedona]], ebbe il possesso di [[Palazzo Gallio (Gravedona)|Palazzo Gallio]]. A [[Como]], il cardinale Tolomeo fece erigere il [[Pontificio Collegio Gallio]] che ancora oggi porta il cognome della sua casata ed opera come ente scolastico parificato.
Andando spesso oltre il "basso profilo" tipico del ruolo istituzionale ricoperto, il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere ricordato come il "presidente più amato dagli italiani" o il "presidente degli italiani".<ref name= Altichieri >{{Cita news|autore=Alessio Altichieri|url=http://archiviostorico.corriere.it/1992/maggio/24/non_sara_piu_altro_Pertini_co_0_92052412145.shtml|titolo="Non ci sarà più un altro Pertini" la Voltolina ricorda il suo Sandro|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=24|mese=4|anno=1992|accesso=10 febbraio 2009}}</ref><ref name= Spina >{{Cita news|autore=Francesco La Spina|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/10/19/savona-roma-nel-nome-di-pertini.html|titolo=Savona-Roma nel nome di Pertini|pubblicazione=La Repubblica|giorno=19|mese=10|anno=2005|accesso=11 febbraio 2009}}</ref><ref name=Schiavi>{{Cita news|autore=Giangiacomo Schiavi|url=http://archiviostorico.corriere.it/2007/aprile/23/Quel_giorno_Pertini_disse_co_9_070423122.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110520060744/http://archiviostorico.corriere.it/2007/aprile/23/Quel_giorno_Pertini_disse_co_9_070423122.shtml|titolo="Non ci sarà più un altro Pertini" la Voltolina ricorda il suo Sandro|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=24|mese=4|anno=1992|accesso=10 febbraio 2009|urlmorto=sì|dataarchivio=20 maggio 2011}}</ref>
 
==Albero genealogico della famiglia Gallio==
Come Capo dello Stato conferì l'incarico a sei [[Presidente del Consiglio dei Ministri|Presidenti del Consiglio]]: [[Giulio Andreotti]] (del quale respinse le dimissioni di cortesia presentate nel [[1978]]), [[Francesco Cossiga]] ([[1979]]-[[1980]]), [[Arnaldo Forlani]] ([[1980]]-[[1981]]), [[Giovanni Spadolini]] ([[1981]]-[[1982]]), [[Amintore Fanfani]] ([[1982]]-[[1983]]) e [[Bettino Craxi]] ([[1983]]-[[1987]]).
Sono riportati i membri titolati della famiglia<ref>V. Spreti, ''Enciclopedia Storico-nobiliare italiana'', Milano 1928-1930, rist. Bologna, 1969; Consulta araldica del Regno d'Italia, Libro d'Oro della nobiltà italiana-Serie aggiornata, annate varie</ref>.
 
{{Discendenza
Nominò cinque [[senatore a vita (ordinamento italiano)|senatori a vita]]: [[Leo Valiani]] nel [[1980]], [[Eduardo De Filippo]] nel [[1981]], [[Camilla Ravera]] nel [[1982]] (prima donna senatrice a vita), [[Carlo Bo]] e [[Norberto Bobbio]] nel [[1984]]; infine nominò tre [[Giudici della Corte costituzionale della Repubblica Italiana|Giudici della Corte costituzionale]]: nel [[1978]] [[Virgilio Andrioli]], nel [[1980]] [[Giuseppe Ferrari (giurista)|Giuseppe Ferrari]] e nel [[1982]] [[Giovanni Conso]].
| 1|-1|Melchiorre|
 
| 2| 1|Ottavio<br>nobile di Como|*c.[[1490]]<small><br/>Elisabetta Vailati</small>
Esponente [[socialismo democratico|democratico]] e [[riformismo|riformista]] del socialismo italiano, durante la sua carriera si prodigò per la crescita del PSI e per l'unità dei socialisti italiani, opponendosi strenuamente alla [[Partito Socialista Democratico Italiano|scissione del 1947]] e sostenendo la riunificazione dei socialisti e socialdemocratici. In qualità di Presidente della Repubblica nel [[1979]] conferì, per la prima volta dal [[1945]], il mandato di formare il nuovo governo a un esponente laico, il repubblicano [[Ugo La Malfa]], incaricando quindi, con successo, nel [[1981]], il segretario del [[Partito Repubblicano Italiano|PRI]] Giovanni Spadolini (primo non democristiano ad assumere la guida del governo dal 1945), e nel [[1983]] il segretario del PSI [[Bettino Craxi]] (primo uomo politico socialista a essere nominato presidente del Consiglio nella storia d'Italia).
| 3| 2|Girolamo<br>nobile di Como|*c.[[1520]]<small><br/>?</small>
 
| 4| 2|Marco<br>nobile di Como|*[[1525]] †[[1575]]<small><br/>Elisabetta Valle</small>
Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del [[Partito Socialista Italiano|PSI]], al fine di presentarsi al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista. Del resto, lasciato il Quirinale al termine del suo mandato presidenziale e rientrato in Parlamento come [[Senatore a vita (ordinamento italiano)#Senatori di diritto e a vita .28Presidenti emeriti della Repubblica.29|senatore a vita di diritto]], si iscrisse al Gruppo [[Senato della Repubblica Italiana|senatoriale]] del Partito Socialista Italiano.
| 5| 2|[[File:Cardinal-hat.svg|25px]]<br />[[Tolomeo Gallio|Tolomeo]]<br>I duca di Alvito|*[[1527]] †[[1607]]<small><br/>cardinale</small>
 
| 6| 4|Tolomea|*[[1565]] †[[1594]]<small><br/>Urbano Malvicini Fontana</small>
== Nascita e formazione culturale ==
| 7| 4|'''DUCHI DI ALVITO'''<br><br>Tolomeo I<br>II duca di Alvito|*[[1568]] †[[1623]]<small><br/>1.Barbara Borromeo<br>2.Partenia Bonelli</small>
Alessandro Giuseppe Antonio Pertini, detto "Sandro", nacque a Stella<ref>L'atto di nascita curiosamente recita "nella casa posta in Piazza" non citando la denominazione della Piazza probabilmente a causa dell'assenza di una denominazione ufficiale.</ref> alle ore 17:00 di venerdì 25 settembre 1896<ref name="Alberto Pertini 1896"/> da una famiglia benestante (il padre Alberto Gianandrea, nato a Savona il 26 gennaio 1853 e morto giovane a Stella il 16 maggio 1908, era proprietario terriero), quarto di quattro fratelli e una sorella arrivati all'età adulta (su tredici): il primogenito Giuseppe Luigi Pietro, detto "Gigi", nato a Savona il 16 gennaio 1882<ref>atto n.59 Registro atti nascita di Savona anno 1882</ref> e morto nella stessa città il 2 febbraio 1975, pittore; Maria Adelaide Antonietta, detta "Marion", nata a Stella il 3 ottobre 1898<ref>atto di nascita n.87, Registro atti di nascita del 4 ottobre 1898, Comune di Stella: conservato presso Arch. Stato di Savona</ref> e deceduta a Genova il 4 aprile 1981, che sposò il diplomatico italiano Aldo Tonna; Giuseppe Luigi, detto "Pippo", nato a Stella l'8 agosto 1890<ref>atto n. 72 Registro atti di nascita del Comune di Stella anno 1890: conservato presso Archivio di Stato di Savona</ref> e ivi morto il 27 agosto 1930, ufficiale di carriera; ed Eugenio Carlo, detto "Genio", nato a Stella il 19 ottobre 1894<ref>atto di nascita n.115 redatto il 20 ottobre 1894: registro degli atti di nascita del Comune di Stella conservato presso Arch. Stato Savona</ref>, il quale, durante la [[seconda guerra mondiale]], fu deportato nel [[campo di concentramento di Flossenbürg]], dove morì il 20 aprile 1945.
| 8| 7|2.Francesco I<br>III duca di Alvito|*c.[[1590]] †[[1660]]<small><br/>Giustina Borromeo</small>
[[File:P 005.gif|thumb|left|Sandro, in piedi, con la madre, il padre, la sorella Marion e il fratello Eugenio]]
| 9| 7|2.Ortensia|*[[1594]] †[[1639]]<small><br/>Francesco Girolamo Cicogna Mozzoni, conte di Terdobbiate</small>
 
|10| 8|Partenia|*[[1616]] †[[1698]]<small><br/>1.Consalvo Geronimo Rodriguez de Salamanca<br>2.Francesco Arese, conte<br>3.Girolamo Francesco Ignazio Serbelloni</small>
Sandro Pertini, molto legato alla madre Maria Giovanna Adelaide Muzio, nata a Savona il 20 dicembre 1854 e morta a Stella il 31 gennaio 1945, fece i primi studi presso il collegio dei salesiani "[[Don Bosco]]" di [[Varazze]], poi al Liceo Ginnasio "[[Gabriello Chiabrera]]" di [[Savona]], dove ebbe come professore di filosofia [[Adelchi Baratono]], socialista riformista e collaboratore di ''[[Critica Sociale]]'' di [[Filippo Turati]], che contribuì ad avvicinarlo agli ambienti del [[movimento operaio]] ligure<ref>[http://www.pertini.it/cesp/video/socialismo.wmv CESP - Video] Intervista</ref>. Del professor Baratono Pertini conserverà un insegnamento al quale rimarrà fedele: {{Citazione|Se non vuoi mai smarrire la strada giusta resta sempre a fianco della classe lavoratrice nei giorni di sole e nei giorni di tempesta.|Discorso del Presidente Pertini ai lavoratori dell'Italsider. Savona, 20 gennaio [[1979]]<ref>{{Cita|Massimiliano Di Mino e Pier Paolo Di Mino|pp. 47-48|DiMino}}.</ref><ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_04.htm Centro Espositivo Sandro Pertini - Documenti: Il professor Baratono, maestro di socialismo (1979). www.pertini.it/cesp]</ref>}}
|11| 8|Tolomeo II<br>IV duca di Alvito|*[[1618]] †[[1687]]<small><br/>Ottavia Trivulzio</small>
 
|12| 8|[[File:Cardinal-hat.svg|25px]]<br />Marco|*[[1619]] †[[1683]]<small><br/>cardinale</small>
Scoppiata la [[Prima guerra mondiale|Grande Guerra]], nel novembre [[1915]] fu chiamato alle armi e assegnato alla 1ª Compagnia Automobilisti del 25º reggimento di artiglieria da campagna di stanza a [[Torino]], dove giunse il 2 dicembre.
|13| 8|Ersilia|*[[1620]] †[[1695]]<small><br/>1.Giambattista Omodei, nobile dei marchesi di Piovera<br>2.Pier Luchino dal Verme, conte di Sanguinetto</small>
[[File:P 018.gif|thumb|upright=0.7|Pertini aspirante ufficiale del [[Regio Esercito]] alla Scuola Mitraglieri Fiat di Brescia.]]
|14| 8|Chiara|*[[1623]] †?<small><br/>Girolamo Caimi</small>
 
|15|11|Giustina|*[[1644]] †[[1679]]<small><br/>[[Gregorio Boncompagni, V duca di Sora]]</small>
Seppur in possesso della licenza ginnasiale, prestò inizialmente servizio come soldato semplice, essendosi rifiutato, come molti altri socialisti [[Interventismo#I neutralisti|neutralisti]] del periodo, di fare il corso per ufficiali. Il 7 aprile [[1917]], tuttavia, venne inviato sul fronte dell'[[Isonzo]] e, a seguito di una direttiva del generale [[Luigi Cadorna|Cadorna]] che obbligava i possessori di titolo di studio a prestare servizio come ufficiali, frequentò il corso a Peri di [[Dolcè]].<ref name= FSP >[http://www.fondazionepertini.it/asp/fondazione.asp?IdSez=1&IdSottoSez=45 Fondazione Sandro Pertini - Biografia]</ref>
|16|11|Francesco II<br>V duca di Alvito|*[[1646]] †[[1702]]<small><br/>Maria Alfonsa Diaz Pimienta</small>
 
|17|11|'''GALLIO TRIVULZIO'''<br><br>[[Antonio Teodoro Gaetano Gallio Trivulzio|Gaetano]] (Antonio Teodoro Gaetano), IV principe della Val Mesolcina|*[[1658]] †[[1705]]<small><br/>Lucrezia Borromeo</small>
Venne dunque inviato a combattere in prima linea come [[sottotenente]] di complemento, distinguendosi per alcuni atti di eroismo: per aver guidato, nell'agosto del [[1917]], un assalto al monte Jelenik durante la [[Undicesima battaglia dell'Isonzo|battaglia della Bainsizza]] fu proposto dal suo comandante per la [[Valor militare|medaglia d'argento al valor militare]]. Molti anni dopo, quando Pertini divenne Presidente, il Capo di Stato Maggiore Ammiraglio Torrisi ritrovo' il fascicolo e penso' di consegnargli la decorazione, ma Pertini - che era stato contrario alla guerra - si sottrasse all'onorificenza, pur ricordando l'azione bellica come "una cosa esaltante"<ref name="Medaglia17">[http://www.pertini.it/cesp/video/medaglia.wmv CESP - Video] Intervista</ref>.
|18|16|[[Tolomeo III Saverio Gallio|Tolomeo III Saverio]]<br>VI duca di Alvito|*[[1685]] †[[1711]]<small><br/>Beatrice di Tocco</small>
 
|19|16|Nicola|*[[1686]] †[[1744]]
Nell'ottobre [[1917]] partecipò alla [[rotta di Caporetto]], di cui avrebbe sempre serbato un ricordo vivissimo. Dopo aver trascorso l'ultimo anno del conflitto nel settore del [[Pasubio]], durante il quale venne anche nominato tenente, il 4 novembre [[1918]] fece ingresso a [[Trento]] alla testa del suo plotone di mitraglieri. Durante il conflitto fu colpito dal gas tossico [[fosgene]] e venne salvato dal suo attendente che lo trasportò di peso, agonizzante, all'ospedale da campo ma dovette minacciare con la pistola i medici che non volevano curarlo dandolo per spacciato<ref name="GasTossici">La Repubblica 8 giu 2018 - Super 8 "L'eredità avvelenata" pag 3 - G. Di Feo</ref>. Dopo aver prestato servizio ancora per qualche mese in [[Dalmazia]], Pertini fu congedato nel marzo 1920.
|20|16|Maria Ottavia|*[[1687]]<small><br/>monaca agostiniana del Monastero di San Giuseppe dei Ruffi di Napoli</small>
 
|21|16|Carlo|*[[1689]] †[[1744]]<small><br/>chierico regolare teatino</small>
Nel settembre [[1919]] aveva intanto conseguito la maturità classica, come privatista, presso il [[Liceo Cassini Sanremo|Liceo "Gian Domenico Cassini"]] di Sanremo.
|22|16|Partenia|*[[1690]] †?<small><br/>monaca agostiniana del Monastero di San Giuseppe dei Ruffi di Napoli</small>
 
|23|16|Domenico|*[[1692]] †[[1751]]
Dopo aver sostenuto dodici esami alla facoltà di [[giurisprudenza]] dell'[[Università di Genova]], nel marzo [[1923]], ventiseienne, si iscrisse alla stessa facoltà nell'ateneo di [[Modena]]: qui sostenne in tre mesi i rimanenti sei esami.
|24|16|Giuseppe|*[[1693]] †[[1719]]<small><br/>monaco benedettino a Monte Cassino</small>
 
|25|16|Antonio|*[[1695]] †[[1720]]<small><br/>poeta arcade Agillo Cinosario</small>
Si laureò il 12 luglio 1923, con punteggio 105/110, con la tesi ''L'industria siderurgica in Italia''<ref>{{cita libro|Giuliano|Muzzioli|MODENA - Storia delle città italiane|1993|Editori Laterza|Bari|isbn=88-420-4176-9}} p. 209 di 405</ref>.
|26|16|Vincenza|*[[1697]] †?<small><br/>monaca agostiniana del Monastero di San Giuseppe dei Ruffi di Napoli</small>
 
|27|18|Francesco III Ignazio<br>VII duca di Alvito|*[[1710]] †[[1749]]<small><br/>Maria Caterina Rospigliosi</small>
Si trasferì in seguito a [[Firenze]], ospite del fratello Luigi Giuseppe, e si iscrisse all'Istituto di Scienze sociali "[[Istituto Cesare Alfieri|Cesare Alfieri]]", conseguendo il 2 dicembre [[1924]] la seconda<ref>Per la laurea ''honoris causa'', riconosciutagli all'[[Università di Oxford]] sessant'anni dopo, v. ''Trahison des clercs''. The Economist (London, England), Saturday, February 2, 1985; pg. 24; Issue 7379.</ref> laurea, in [[Scienze sociali]], con una tesi dal titolo ''La cooperazione''<ref>[http://savona.mentelocale.it/51358-savona-pertini-ritrovata-tesi-laurea-cooperazione-discussa-1924/ Pertini: ritrovata la tesi di laurea 'La cooperazione' discussa nel 1924], mentelocale</ref> e la votazione finale di 84/110.
|28|27|Alfonsina|*[[1734]] †[[1779]]<small><br/>Michele Carafa, principe di Colubrano</small>
 
|29|27|Marianna|*[[1739]] †[[1780]]<small><br/>Carlo Pignatelli, duca di Montecalvo</small>
== L'adesione al socialismo e le prime lotte antifasciste ==
|30|27|Carlo Tolomeo<br>VIII duca di Alvito|*[[1741]] †[[1800]]<small><br/>Elisabetta Capece Minutolo</small>
[[File:P 023.gif|thumb|left|upright=0.7|Pertini studente universitario alla facoltà di Giurisprudenza di [[Genova]] nel [[1920]].]]
|31|17|Giustina|*[[1690]] †?
Non è chiara l'epoca di adesione di Pertini al [[Partito Socialista Italiano]].
|32|17|[[Antonio Tolomeo Gallio Trivulzio|Antonio Tolomeo]], V principe della Val Mesolcina|*[[1692]] †[[1767]]<small><br/>Maria Archinto</small>
 
|33|17|Olimpia|*[[1693]] †[[1715]]<small><br/>Pietro Maria VI Rossi di San Secondo, marchese di San Secondo</small>
Secondo quanto riportato in diverse sue biografie (quella pubblicata nel sito web dell'Associazione Sandro Pertini<ref>[http://www.pertini.it/bio_04.htm biografia pubblicata nel sito web dell'Associazione Sandro Pertini]</ref>, quella pubblicata nel sito web della Fondazione Pertini<ref>{{cita web|url=http://www.fondazionepertini.it/asp/fondazione.asp?IdSez=1&IdSottoSez=45|titolo=biografia pubblicata nel sito web della Fondazione Pertini}}</ref> e quella pubblicata nel sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova<ref name=CulturalePertini>[https://web.archive.org/web/20070930103728/http://www.centropertini.org/biografia.htm biografia, pubblicata nel sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova]</ref>), egli, già nel [[1918]], al termine del [[Prima guerra mondiale|primo conflitto mondiale]], si sarebbe iscritto al [[Partito socialista italiano]] presso la federazione di [[Savona]]. Inoltre (sempre secondo quanto riportato nei siti web della Fondazione Pertini e del Circolo Pertini di Genova), nel [[1919]] sarebbe stato eletto consigliere comunale a [[Stella (Italia)|Stella]] nella lista socialista. Avrebbe poi partecipato, nel [[1921]], in qualità di delegato della federazione savonese, al [[XVII Congresso del Partito Socialista Italiano|XVII congresso del PSI]] a [[Livorno]], nel corso del quale si verificò la [[Partito Comunista d'Italia|scissione comunista]], e, quindi, il 1º ottobre [[1922]], dopo l'espulsione dell'ala riformista dal PSI, sarebbe stato uno dei promotori della costituzione del [[Partito Socialista Unitario]], assieme a [[Filippo Turati]], [[Giacomo Matteotti]] e [[Claudio Treves]].
|34|32|Lucrezia|*[[1723]] †[[1727]]
 
|35| 3|Marco|†[[1632]]<small><br/>abate commendatario di Sant'Abbondio</small>
I registri dei verbali del Consiglio Comunale di Stella testimoniano però che Pertini venne eletto consigliere comunale di quella località il 24 ottobre [[1920]], facendo egli parte di una lista composta da esponenti dell'Unione Liberale Ligure, dell'Associazione Liberale Democratica, del Partito dei Combattenti e del Partito Popolare Italiano. Come testimoniato ancora da quei documenti, egli rimase in carica fino alla primavera del [[1922]], epoca in cui rassegnò le dimissioni.<ref>Archivio di Stato di Genova, Prefettura di Genova, Sala 21, Pacco n. 283, Elezioni Comunali del 1920; Comune di Stella, Atti dei Consigli Comunali del 1920-22</ref> In base a ciò, si deve quindi escludere che egli possa aver partecipato come delegato socialista di Savona al XVII Congresso del PSI di Livorno.<ref>I delegati del Partito Socialista di Savona al congresso di Livorno furono Lorenzo Moizo, Mario Stiatti ed Antonio Gamalero. Cfr. ''Bandiera Rossa'' (11 dicembre 1920)</ref>
|36| 3|Onorio|<small><br/>capitano delle tre pievi superiori del lago di Como</small>
[[File:Pertini nella cerimonia d’inaugurazione della bandiera degli ex combattenti a Stella nel 1921.jpg|thumb|left|upright=0.7|Pertini nella cerimonia d’inaugurazione della bandiera degli ex combattenti a [[Stella (Italia)|Stella]] nel [[1921]].]]
|37|36|Carlo, I marchese del Sacro Romano Impero|
Sempre nel [[1920]] Pertini aveva fondato a Stella la locale sezione dell’Associazione Nazionale Combattenti, divenendone il primo Presidente: un incarico che avrebbe ricoperto fino al maggio del [[1922]], succedendogli poi suo fratello Pippo.<ref>''La festa dei Combattenti a Stella San Giovanni. Il discorso dell’Onorevole Rossi e del Tenente Pertini'' in ''Il Cittadino'' (26 settembre 1921); ''Da Stella: L’inaugurazione della bandiera dei Combattenti'' in ''Il Corriere Ligure'' (1º ottobre 1921)</ref>
|38|37|Giacomo, II marchese del Sacro Romano Impero|†[[1686]]<br><br>'''''Estinzione del ramo'''''
 
[[File:Pertini studente universitario alla facoltà di Giurisprudenza di Modena nel 1922.jpg|thumb|left|upright=0.7|Pertini studente universitario alla facoltà di Giurisprudenza di [[Modena]] nel [[1922]].]]
Tra il [[1923]] e il [[1924]], entrato in contatto a [[Firenze]] con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini a [[Gaetano Salvemini]], ai [[fratelli Rosselli]] e a [[Ernesto Rossi]], avrebbe preso parte, in quel periodo, alle iniziative del movimento di opposizione al fascismo "[[Italia Libera]]", al quale si sarebbe iscritto il 9 agosto [[1924]] presso la sezione di Savona, salvo poi iscriversi, appena 9 giorni dopo, il 18 agosto 1924, al [[Partito Socialista Unitario]], presso la federazione di Savona, sull'onda dell'emozione e dello sdegno per il ritrovamento, due giorni prima, del cadavere di [[Giacomo Matteotti]], che di quel partito era il Segretario.
 
Il CESP - Centro Espositivo "Sandro Pertini" di Firenze riporta, tra i vari documenti pubblicati nel proprio sito web<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_08.htm la richiesta di iscrizione al PSU nel sito web del CESP - Centro Espositivo "Sandro Pertini" di Firenze]</ref>, il testo della lettera, evidentemente retrodatata al mese di giugno 1924 (non è indicato il giorno), che Pertini inviò da Firenze all'avv. Diana Crispi, Segretario della Sezione Unitaria di Savona:
{{Citazione|Mio ottimo amico. Ho la mano che mi trema, non so se per il grande dolore o per la troppa ira che oggi l'animo mio racchiude. Non posso più rimanere fuori dal vostro partito, sarebbe vigliaccheria. Pertanto, pronto ad ogni sacrificio, anche a quello della mia stessa vita, con ferma fede, alimentata oggi dal sangue del grande Martire dell'idea socialista, umilmente ti chiedo di farmi accogliere nelle vostre file. Questo ti chiedo dalla terra che diede al delitto il sicario [[Dumini]], per la seconda volta indegna patria di Dante, che, se tra noi tornasse, nuovamente se n'andrebbe fuggiasco, ma volontario, non più per le contrade d'Italia, trasformate oggi in "bolgie caine", bensì oltre i confini, dopo averne ancora una volta ripetuto agli uomini con più disgusto e più amarezza, l'accorata invettiva: «ahi! serva Italia di dolore ostello nave senza nocchiero in gran tempesta non donna di provincia ma bordello». Ti chiedo ancora di volermi rilasciare la Tessera con la sacra data della scomparsa del povero Matteotti [10 giugno 1924 – ''N.d.E.'']: questo potrai facilmente concedermi tu, che sai come da lungo tempo il mio animo nel suo segreto gelosamente custodisca, come purissima religione, la idea socialista. La sacra data suonerà sempre per me ammonimento e comando. E valga il presente dolore a purificare i nostri animi rendendoli maggiormente degni del domani, e la giusta ira a rafforzare la nostra fede, rendendoci maggiormente pronti per la lotta non lontana. Raccogliamoci nella memoria del grande Martire attendendo la nostra ora. Solo così vano non sarà tanto sacrificio. Ti stringo caramente la mano.<br />
tuo Sandro Pertini}}
 
Comunque siano andate le cose, è certo che a partire dall'estate del 1924 Pertini fu iscritto al Partito Socialista Unitario di [[Filippo Turati]], di ispirazione [[riformismo|riformista]].
 
Ostile al regime [[fascismo|fascista]] fin dall'inizio, per la sua attività politica fu bersaglio di aggressioni [[Squadrismo|squadriste]]: il suo studio di avvocato a Savona fu devastato più volte<ref>Cfr. l'intervento di Sandro Pertini alla discussione nella seduta della I Commissione (Affari Interni) della Camera dei Deputati del 23 febbraio 1955 sulla proposta di legge "Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti", in [http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stencomm/01/Leg/Serie010/1955/0223/stenografico.pdf Resoconto stenografico della seduta, pp. 404-405]</ref>, mentre in un'altra occasione fu picchiato perché indossava una cravatta rossa, oppure ancora per aver deposto una corona di alloro dedicata alla memoria di [[Giacomo Matteotti]]<ref>{{cita news|autore=[[Silvio Bertoldi]]|url=http://www.pertini.it/cesp/doc_12.htm|titolo=Fra i "neri" in cravatta rossa|pubblicazione=Oggi|giorno=29|mese=3|anno=1973|accesso=19 aprile 2009}} Articolo riportato nel sito web del CESP - Centro Espositivo "Sandro Pertini" di Firenze.</ref>.
 
Il 22 maggio [[1925]], Pertini venne arrestato per aver distribuito un opuscolo clandestino, stampato a sue spese, dal titolo ''[[s:Sotto il barbaro dominio fascista|Sotto il barbaro dominio fascista]]''<ref name= FSP />, in cui denunciava le responsabilità della monarchia verso l'instaurazione del regime fascista, le illegalità e le violenze del fascismo stesso, nonché la sfiducia nell'operato del [[Senato del Regno]], composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia l'eventuale complicità del generale [[Emilio De Bono]] riguardo all'omicidio di Giacomo Matteotti.
 
In seguito a questo, fu aperto a suo nome un fascicolo al [[Casellario Politico Centrale]]<ref>Archivio Centrale dello Stato, CPC, b. 3881, fasc.86802</ref> e venne accusato di «istigazione all'odio tra le classi sociali» secondo l'articolo 120 del [[Codice penale italiano|Codice Zanardelli]], oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo.
 
Nell'interrogatorio dopo l'arresto, in quello condotto dal procuratore del Re e all'udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, Pertini rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e dicendosi disposto a proseguire nella lotta contro il [[fascismo]] e per il [[socialismo]] e la libertà, qualunque fosse la condanna.<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_10.htm CESP - Documenti] Arresto e interrogatorio di Pertini (1925)</ref>
 
Il 3 giugno [[1925]] fu condannato a otto mesi di detenzione e al pagamento di un'ammenda per i reati di stampa clandestina, oltraggio al [[Senato]] e lesa prerogativa regia, ma fu assolto per l'accusa di istigazione all'odio di classe. La condanna non attenuò la sua attività, che riprese appena liberato.
 
Nel novembre [[1926]], dopo il fallito attentato di [[Anteo Zamboni]] a [[Benito Mussolini|Mussolini]], come altri antifascisti in tutta [[Italia]], fu oggetto di nuove violenze da parte dei fascisti (il 31 ottobre 1926, dopo un comizio, durante un'aggressione di squadristi gli era stato spezzato il braccio destro<ref name=CulturalePertini />) e si trovò costretto ad abbandonare [[Savona]] per riparare a [[Milano]]. Il 4 dicembre [[1926]], in applicazione delle cosiddette [[leggi fascistissime|leggi eccezionali "fascistissime"]], Pertini, definito «''un avversario irriducibile dell'attuale Regime''», venne assegnato dalla Commissione provinciale di Genova al [[confino]] di polizia per cinque anni, il massimo della pena previsto dalla legge.<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_13.htm CESP - Documenti] Proposta di confino della Prefettura di Savona (25 novembre 1926) e ordinanza del 4/12/1926</ref>
 
== L'esilio in Francia ==
[[File:1926 - lorenzo de bova turati carlo rosselli pertini parri a calvi.jpg|thumb|left|[[1926]] - Lorenzo De Bova, [[Filippo Turati]], [[Carlo Rosselli]], Sandro Pertini e [[Ferruccio Parri]] a [[Calvi (Francia)|Calvi]] in [[Corsica]] dopo la fuga in motoscafo da [[Savona]].]]
Per sfuggire alla cattura, nell'autunno del [[1926]], espatriò clandestinamente in Francia assieme a [[Filippo Turati]], con un'operazione organizzata da [[Carlo Rosselli]] e [[Ferruccio Parri]], con l'aiuto, tra gli altri, di [[Camillo Olivetti|Camillo]] e [[Adriano Olivetti]]<ref>[http://www.ossimoro.it/mostra/mostra07.html Istituto di Studi Filosofici di Napoli - La fuga di Filippo Turati. L'esperienza del confino ad Ustica. Il processo di Savona.]</ref><ref>vedi anche ''Il riformismo di Filippo Turati'', in ''Il tempo e la Storia'' del 25 maggio 2016 nel sito di [http://www.raistoria.rai.it/articoli/filippo-turati/33552/default.aspx RAI Storia]</ref>. La fuga avvenne con una traversata su un motoscafo guidato da [[Italo Oxilia]]<ref>Per la biografia si rimandano alle seguenti opere di [[Antonio Martino (storico)|Antonio Martino]]: ''Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona'' in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516. e ''Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura'', Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2009.</ref> partito da [[Savona]] la sera dell'11 dicembre, e giunto nel porto di [[Calvi (Francia)|Calvi]], in [[Corsica]], la mattina successiva.
Così Pertini ha raccontato l'avventuroso episodio<ref name="web.archive.org">Cfr. [https://web.archive.org/web/20070930103728/http://www.centropertini.org/biografia.htm Centro Culturale Sandro Pertini - Biografia]</ref>:
 
{{Citazione|[…] Dopo le leggi eccezionali l'Italia era diventata un gigantesco carcere e noi dovevamo fare in modo che [[Filippo Turati]], che consideravamo la persona più autorevole dell'antifascismo, potesse recarsi all'estero e da lì condurre la lotta, accusando davanti al mondo intero la dittatura fascista.}}
{{Citazione|Fui io a consigliare la fuga per mare con un motoscafo che sarebbe partito dalla mia [[Savona]]. [[Carlo Rosselli|Rosselli]] e [[Ferruccio Parri|Parri]] temevano che il litorale ligure fosse troppo sorvegliato. Ma io decisi di andare a Savona, in bocca ai miei nemici, e lì incontrai due esperti marinai, Dabove e Oxilia, ai quali va la mia gratitudine: essi mi confermarono che era possibile raggiungere la Corsica con un motoscafo capace di tenere l'alto mare.
L'8 dicembre, eludendo ogni vigilanza, si riesce a condurre Turati nella mia città. Turati rimase nascosto con me a [[Quiliano]], vicino a Savona, in casa di un mio caro amico, [[Italo Oxilia]]. Dormivamo nella stessa stanza, Turati soffriva d'insonnia e passava le ore discorrendo con me della triste situazione creata dal [[fascismo]] e della necessità della sua partenza, ma anche dello strazio che questa partenza rappresentava per il suo animo. […] Il Governo e i socialisti francesi ci diedero subito la loro solidarietà e il benvenuto. Molti giornalisti arrivarono a [[Calvi (Francia)|Calvi]] da [[Bastia]] e pubblicarono imprudentemente la notizia che Turati era arrivato in Francia con Carlo Rosselli e Ferruccio Parri. Pernottammo a Calvi, Turati voleva indurre Rosselli a restare con noi, a non far ritorno in Italia, ma vane furono le nostre insistenze. Così la mattina dopo il motoscafo ripartiva con Oxilia, Da Bove, Boyancè e il giovane meccanico del motoscafo Ameglio. Con essi erano anche Parri e Rosselli. L'addio fu straziante. Ci abbracciammo senza pronunciare parola cercando di trattenere la profonda commozione.
Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo, e lo agita. È l'estremo saluto della Patria per Turati ed anche per me. Turati con gli occhi pieni di lacrime mi disse: "''Io sono vecchio, non tornerò più vivo in Italia''". Rimanemmo sul molo finché potemmo vedere i nostri compagni. La mattina dopo ci imbarcammo sul traghetto per [[Nizza]] e di lì proseguimmo per [[Parigi]] dove trovammo [[Pietro Nenni|Nenni]], [[Giuseppe Emanuele Modigliani|Modigliani]], Treves e tanti altri. Turati mi offrì la sua assistenza economica, ma io rifiutai e decisi di guadagnarmi da vivere facendo i lavori più umili.}}
[[File:pertini lavatore di taxi a Parigi nel dicembre 1926.jpg|thumb|left|Pertini lavatore di taxi a [[Parigi]] nel dicembre [[1926]].]]
 
Ferruccio Parri e Carlo Rosselli<ref>Cfr. Commissione di Milano, ordinanza del 15.12.1926 contro Carlo Rosselli (“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino "''Non mollare''" uscito a Firenze nel 1925; favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, ''L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943'', Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. III, p. 238</ref> vennero arrestati al loro rientro in Italia dalla Corsica, mentre attraccavano al pontile Walton di [[Marina di Carrara]]: invano cercarono di far credere che stavano rientrando da una gita turistica. Ma le indagini dell'[[OVRA]] e della polizia portarono anche all'arresto degli altri complici.
 
Il Tribunale di Savona condannò a dieci mesi di carcere Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Dabove e Boyancè, una sentenza mite, rispetto alle previsioni<ref>Cfr. [[Antonio Martino (storico)|Antonio Martino]], ''Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona'' in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516.</ref>.
 
Pertini e Turati furono condannati in contumacia anch'essi a dieci mesi di arresto ciascuno<ref>[http://www.isrecsavona.it/pubblicazioni/quaderni/n%203/la%20sentenza.pdf Il testo della sentenza del cosiddetto "Processo di Savona"] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20130702051546/http://www.isrecsavona.it/pubblicazioni/quaderni/n%203/la%20sentenza.pdf |data=2 luglio 2013 }}</ref>.
 
[[File:Pertini muratore a Nizza nel1927.jpg|thumb|left|Pertini muratore a [[Nizza]] nel [[1927]].]]
Dopo aver passato alcuni mesi a [[Parigi]], si stabilì definitivamente a [[Nizza]] nel febbraio [[1927]], mantenendosi con lavori diversi (dal manovale al muratore e fino alla comparsa cinematografica).
[[File:P 031.gif|thumb|Pertini in esilio a [[Nizza]], con i compagni di lavoro.]]
Divenne un esponente di spicco tra gli esiliati, svolgendo attività di propaganda contro il regime fascista, con scritti e conferenze, nonché partecipando alle riunioni della [[Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo]] e a quelle della [[Concentrazione Antifascista]]<ref name= Sentenza29 >[http://www.pertini.it/cesp/doc_22.htm CESP - Documenti] Sentenza del Tribunale Speciale (1929)</ref>.
[[File:Pertini comparsa Paramount a Nizza nel 1928.jpg|thumb|Pertini comparsa Paramount a [[Nizza]] nel [[1928]].]]
Nell'aprile del [[1928]] impiantò, in un villino preso in affitto a [[Èze]], vicino Nizza, una stazione radio clandestina allo scopo di mantenersi in corrispondenza con i compagni in Italia, per potere comunicare e ricevere notizie; ottenne i fondi dalla vendita di una sua masseria in Italia. Scoperto dalla polizia francese, subì un procedimento penale e fu condannato a un mese di reclusione, pena poi sospesa con la condizionale, dietro il pagamento di un'ammenda<ref name= Verbale29 >[http://www.pertini.it/cesp/doc_20.htm CESP - Documenti] Verbale dell'interrogatorio di Sandro Pertini in Italia del 14 aprile 1929</ref>.
 
Il suo esilio francese terminò nella primavera del [[1929]], quando il 22 marzo partì da Nizza e, dopo essere passato per Parigi, dove si incontrò con i massimi dirigenti della Concentrazione antifascista, e per [[Ginevra]], dove si recò presso l'abitazione dell'esponente repubblicano [[Giuseppe Chiostergi]] e frequentò anche l'anarchico [[Camillo Berneri]], munito di passaporto falso recante la sua fotografia e intestato al nome del cittadino svizzero [[Luigi Roncaglia]], fattogli avere da [[Randolfo Pacciardi]], varcò la frontiera dalla stazione di [[Chiasso]] nel pomeriggio del 26 marzo [[1929]], e rientrò in Italia.
 
Lo storico massone [[Aldo Mola]] afferma che durante l'esilio in Francia Pertini ebbe rapporti con l'obbedienza [[Massoneria|massonica]] del [[Grande Oriente d'Italia]] in esilio, ma la notizia di una sua eventuale affiliazione non trova riscontro nella documentazione archivistica concernente la permanenza di Pertini in Francia, né nella pubblicistica coeva, né, infine, nella letteratura storica sull'esilio francese del futuro presidente della Repubblica.<ref>[[Aldo Mola]], Storia della massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano, 1992, pp. 782-783.</ref>
 
== Il rientro in Italia, la cattura, il carcere e il confino ==
{{Approfondimento
|allineamento = destra
|larghezza = 350px
|titolo = Giuseppe ed Eugenio Pertini
|contenuto = Non si conosce molto dei fratelli di Pertini, tuttavia su due di essi, Giuseppe ed Eugenio, la cui vicenda si sviluppa appunto tra gli anni dell'[[antifascismo]] e della [[Resistenza italiana|Resistenza]], Sandro Pertini gettò una luce in una famosa intervista concessa ad [[Oriana Fallaci]] nel 1973.<ref name= Fallaci/>
'''Giuseppe Pertini''', detto '''Pippo''', fratello maggiore di Sandro, fu ufficiale di carriera durante la [[prima guerra mondiale]]. Nel 1923 si iscrisse al [[Partito Nazionale Fascista|Partito Fascista]]; tra i due fratelli si produsse così una frattura che si ricompose parzialmente solo nel 1925, dopo il primo arresto di Sandro. Dopo il secondo arresto, nel 1926, Giuseppe abbandonò il [[fascismo]]. Di lì a poco sarebbe morto, di infarto, a 41 anni: ''"di crepacuore"'' dirà in seguito Pertini.
[[File:Eugenio Pertini.PNG|thumb|upright=0.5|Eugenio Pertini]]'''Eugenio Pertini''', quasi coetaneo di Sandro, era sempre stato molto legato a lui. Ancora giovane emigrò in America per lavoro, per tornare durante il periodo di prigionia del fratello. Un giorno del 1944 gli giunse la notizia (falsa) che Sandro era stato fucilato a [[Forte Boccea]]<ref>In realtà Sandro Pertini era evaso dal [[carcere di Regina Coeli]] con [[Saragat]] il 24 gennaio, ma questa notizia era stata tenuta segreta dal regime.</ref>. In seguito a ciò Eugenio si iscrisse al [[Partito Comunista Italiano|Partito Comunista]] ed entrò nella Resistenza; arrestato mentre attaccava dei manifesti contro i nazisti fu portato prima nel [[campo di transito di Bolzano]] e quindi a [[Campo di concentramento di Flossenbürg|Flossenbürg]], dove morì, fucilato, il 20 aprile del 1945.<ref>[http://www.anpi.it/donne-e-uomini/2440/eugenio-pertini Eugenio Pertini], Associazione Nazionale Partigiani d'Italia</ref>}}
 
Il suo scopo era quello di riorganizzare le file del partito socialista e stabilire contatti con gli altri partiti antifascisti, tra cui i democratici di "Nuova Libertà".
 
In contatto con gli antifascisti della "[[Concentrazione antifascista|Concentrazione]]", visitò [[Novara]], [[Torino]], [[Genova]], [[La Spezia]], [[Piacenza]], [[Parma]], [[Reggio Emilia]], [[Bologna]], [[Roma]], [[Firenze]] e [[Napoli]], e alla fine, nelle relazioni inviate a Parigi, comunicò che era possibile potenziare la rete socialista. Conclusione diversa da quella pessimista di [[Fernando De Rosa]], che aveva viaggiato attraverso la penisola prima di lui.<ref>{{cita|Zucàro|p. 26}}.</ref>
 
Si recò in seguito a [[Milano]] per progettare un attentato alla vita di Mussolini, e incontrò a questo scopo l'ingegner [[Vincenzo Calace]] che, come dichiarò in seguito, «gli confidò di essere in grado di costruire bombe a orologeria ad alto potenziale». Il progetto prevedeva di servirsi delle fognature sotto [[Palazzo Venezia]], ma fu scartato poiché attraverso amici di [[Ernesto Rossi]] si scoprì che erano sorvegliate e protette da allarmi. Pertini tentò comunque di proseguire nel suo intento: incontrò a Roma il socialista Giuseppe Bruno per raccogliere informazioni e, una volta rientrato a Milano, fissò un incontro con Rossi.<ref>{{cita|Zucàro|p. 27}}.</ref> Il 14 aprile [[1929]] andò a [[Pisa]] per incontrarlo ma, in corso Vittorio Emanuele (attuale corso Italia), fu riconosciuto per caso da un esponente fascista di [[Savona]], tale Icardio Saroldi, e fu quindi arrestato da un piccolo gruppo di [[Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale|camicie nere]]<ref name= Verbale29 /><ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_19.htm CESP - Documenti] Verbale di arresto del 14 aprile 1929</ref><ref>Intervista a Pertini del 17 marzo 1983, riportato da [http://www.pertini.it/cesp/doc_18.htm CESP - Documenti]</ref><ref>Secondo quanto riferito da Pertini, Saroldi gli fu poi debitore della vita: "''Nel 1929 mi denunciò un fascista: Icardio Saroldi. Mi riconobbe per strada, mi fece seguire, arrestare, e fu in quell’occasione che rimasi dentro quindici anni. Tutta la mia giovinezza, cara Oriana. In carcere ci sono andato coi capelli neri e ne sono uscito coi capelli grigi. Ebbene, nel 1945, subito dopo la liberazione di Milano, giunge un corriere politico da Savona e mi dice: «Icardio Saroldi è stato preso e stanno per fucilarlo». «Per quale ragione stanno per fucilarlo?», chiedo. «Perché ti ha denunciato nel 1929», risponde. «Ah, no! Se è per questo, no. Mi oppongo. Sarebbe una vendetta personale e di vendette personali io non ne ho mai volute. Io la lotta l’ho sempre vista nel suo complesso, non come lotta al singolo.» Poi do ordine di liberarlo e, qualche tempo dopo, costui manda sua moglie a ringraziarmi. Esauriti i ringraziamenti, questa moglie mi dice: «Posso chiederle un altro favore?». «Prego, signora, si figuri.» «Ecco, le dispiacerebbe farmi una dichiarazione dove afferma che mio marito non la denunciò?» Mi arrabbiai. Gridai: «No, signora, no, io sono buono ma due volte buono significa imbecille». La mandai via e... poi Saroldi entrò nel Movimento sociale. Mi spiego? Un altro non se la sarebbe presa come me, non si sarebbe meravigliato. Io invece ne soffro e mi irrigidisco...''" cfr. [http://www.oriana-fallaci.com/pertini/intervista.html Intervista di Sandro Pertini a Oriana Fallaci].</ref>.
 
{{Approfondimento
|allineamento = sinistra
|larghezza=300px
|titolo=Pertini ha così ricordato una delle sue giornate di carcere all'ergastolo di Santo Stefano
|contenuto=<br />[[File:Targa Pertini Isola di Santo Stefano.jpg|center|180px|Targa dedicata al Presidente Pertini sull'isola di Santo Stefano]]<br />«La sveglia suona: è l'alba. Dal mare giunge un canto d'amore, da lontano il suono delle campane di [[Ventotene]]. Guardo il cielo, azzurro come non mai, senza una nuvola, e d'improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l'inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine.<br />Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne.<br />La volontà lotta contro il doloroso smarrimento. È un attimo: mi rialzo, mi getto l'acqua gelida in viso. Lo smarrimento è vinto, la solita vita riprende: rifare il letto, pulire la cella, far ginnastica, leggere, studiare...».<ref>{{cita libro|autore=Sandro Pertini|titolo=Sei condanne due evasioni|curatore=[[Vico Faggi]]|capitolo=In carcere: L'ergastolo di Santo Stefano|p=179|editore=Mondadori|anno=1970|città=Milano|id=88-04-33827-X}}</ref><ref>{{cita web|url=http://www.pertini.it/cesp/doc_26.htm|sito=Centro Espositivo Sandro Pertini|titolo=L'ergastolo di Santo Stefano. Alcuni passi del volume curato da Vico Faggi ''Sandro Pertini: Sei condanne due evasioni'' rievocano il durissimo trattamento riservato ai detenuti del carcere di Santo Stefano|accesso=5 giugno 2016}}</ref>[[File:Santostefcarcere.JPG|thumb|center|Il carcere di Santo Stefano come si presenta oggi]]
}}
 
==Duchi di Alvito (1606-1800)==
Il 30 novembre [[1929]] fu condannato dal [[Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943)|Tribunale Speciale per la difesa dello Stato]] a dieci anni e nove mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza speciale, per aver «svolto all'estero attività tali da recare nocumento agl'interessi nazionali», nonché per «contraffazione di passaporto straniero»<ref name= Sentenza29 />. Durante il processo Pertini rifiutò di difendersi, non riconoscendo l'autorità di quel tribunale e considerandolo solo un'espressione di partito, esortando invece la corte a passare direttamente alla condanna già stabilita. Durante la pronuncia della sentenza si alzò gridando: «Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!»<ref name=CulturalePertini />.
{{vedi anche|Ducato di Alvito}}
*[[Tolomeo Gallio|Tolomeo]] (1527-1607), cardinale, I duca di Alvito
*Tolomeo I (1568-1623), II duca di Alvito, nipote del precedente
*Francesco I (1590-1660), III duca di Alvito
*Tolomeo II (1618-1687), IV duca di Alvito
*Francesco II (1646-1702), V duca di Alvito
*[[Tolomeo III Saverio]] (1685-1711), VI duca di Alvito
*Francesco III (1710-1749), VII duca di Alvito
*Carlo Tolomeo (1741-1800), VIII duca di Alvito
:''Estinzione della casata''
 
==Principi del Sacro Romano Impero (1679-1767)==
Fu internato nel carcere dell'[[isola di Santo Stefano]], ma dopo poco più di un anno di detenzione, il 10 dicembre [[1930]], fu trasferito, a causa delle precarie condizioni di salute, alla casa penale di [[Turi]]. A causare il trasferimento non fu estranea una campagna di proteste e denunce all'estero, in particolare in Francia, dopo che alcune notizie sulla sua salute erano trapelate all'esterno, grazie ad alcuni compagni di carcere comunisti<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_27.htm CESP - Documenti] Lettera di Togliatti a Turati, 30 ottobre 1930</ref>.
*[[Antonio Teodoro Gaetano Gallio Trivulzio|Antonio Teodoro Gaetano]] (1658-1705), I principe
*[[Antonio Tolomeo Gallio Trivulzio|Antonio Tolomeo]] (1692-1767), II principe
:''Estinzione della casata''
 
==Note==
A Turi, unico socialista recluso, condivise la cella con [[Athos Lisa]] e [[Giovanni Lai (partigiano)|Giovanni Lai]]. Conobbe inoltre [[Antonio Gramsci]], al quale fu stretto da grande amicizia e ammirazione intellettuale e dalla condivisione delle sofferenze della reclusione: ne divenne confidente, amico e sostenitore. Pertini stesso fu anche autore di diverse proteste e lettere finalizzate ad alleviare le condizioni carcerarie cui era sottoposto Gramsci<ref name=CulturalePertini />.
{{reflist}}
 
==Bibliografia==
Nel novembre del [[1931]] fu trasferito presso il sanatorio giudiziario di [[Isola di Pianosa (Toscana)|Pianosa]] ma, nonostante il trasferimento, le sue condizioni di salute non migliorarono ancora, al punto che la madre, spinta da amici e conoscenti che le descrissero il figlio in gravi condizioni di salute, presentò domanda di grazia alle autorità.
*L. Tettoni e S. Saladini, ''Teatro araldico'', Lodi, 1844
Pertini, non riconoscendo l'autorità fascista e quindi il tribunale che lo aveva condannato, si dissociò pubblicamente dalla domanda di grazia con parole molto dure, sia per la madre che per il presidente del Tribunale Speciale<ref name=CulturalePertini /><ref>{{cita web|url=http://www.centropertini.org/materiale.htm|titolo=La lettera di Pertini di dissociazione dalla domanda di grazia inviata al presidente del Tribunale}}</ref>.
 
{{Portale|Lombardia|Storia di famiglia}}
{{Citazione|Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna - quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente così allontanata da me, da non intendere più l'amore, che io sento per la mia idea?<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_39.htm CESP - Documenti] Lettera alla madre 1933</ref>}}
 
Durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa, si verificò, tra gli altri, un grave scontro tra lui e l'agente di custodia Antonio Cuttano la mattina del 1º ottobre 1932, per cui sarebbe stato condannato dalla pretura di Portoferraio, il 9 novembre 1933, alla pena di 9 mesi e 24 giorni di reclusione per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oltre al pagamento delle spese processuali. La pena venne quindi confermata in secondo grado dal Tribunale di appello di Livorno il 16 febbraio 1934, e infine, in via definitiva, dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione il 30 gennaio 1935.
 
Nel corso della sua permanenza in carcere, Pertini intrattenne inoltre una fitta corrispondenza epistolare con la sua fidanzata dell'epoca Matilde Ferrari, oltreché con la madre Maria Muzio e il suo avvocato di fiducia Gerolamo Isetta.
 
Il 10 settembre [[1935]], dopo sei anni di prigione, venne trasferito a [[Ponza]] come confinato politico<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_46.htm CESP - Documenti] Verbale di consegna della carta di permanenza, Ponza 1935</ref> e il 20 settembre [[1940]], pur avendo ormai scontato la sua condanna, giudicato «elemento pericolosissimo per l'ordine nazionale», venne riassegnato al confino per altri cinque anni da trascorrere a [[Ventotene]]<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_49.htm CESP - Documenti] Ordinanza per l'assegnazione al confino, Ventotene 1940</ref> dove incontrò, tra gli altri, [[Altiero Spinelli]], [[Umberto Terracini]], [[Pietro Secchia]], [[Ernesto Rossi]], [[Luigi Longo]], [[Mauro Scoccimarro]], [[Camilla Ravera]] e [[Riccardo Bauer]]. Durante il periodo del confino subì un altro processo per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, ma, per la prima volta da quando il fascismo era andato al potere, fu assolto dal Tribunale di Napoli, presieduto dal giudice Giuseppe Ricciulli, il 17 giugno [[1937]], perché il fatto non sussisteva, oltre che da altre imputazioni minori per insufficienza di prove. L'11 settembre 1941, dietro sua richiesta, fu condotto a [[Savona]], presso le locali carceri giudiziarie, per poter riabbracciare l'anziana madre.
 
A Ventotene Pertini si interessò inoltre alle condizioni di salute di alcuni compagni di confino. Il 3 maggio 1942, ad esempio, inoltrò un esposto all'Ufficio confino politico del Ministero dell'Interno per lamentarsi della scarsa assistenza sanitaria prestata dalle autorità a Ernesto Bicutri<ref>“Giorno per giorno vado assistendo al progressivo aggravarsi delle disperate condizioni di salute di Ernesto Bicutri, rimanendo sempre sotto l'incubo che l'assalga una nuova crisi emottoica più fatale delle cinque precedenti crisi, in cui ogni volta l'abbiamo visto emettere sangue in tale quantità da riempire intere sputacchiere.
La triste ed ingiusta sorte del compagno a me carissimo mi affligge profondamente e turba il mio animo, perché penso che se lo si fosse tempestivamente allontanato da questo maledetto clima, in cui, secondo il sanitario della colonia, devesi ricercare la causa prima dell'attuale gravissimo stato del Bicutri, e se lo si fosse, quindi, ricoverato in un [[sanatorio]] ove avrebbe ottenuto cure radicali, egli si sarebbe potuto rimettere, ed oggi non si troverebbe in così disperate condizioni.
Invece, confinato qui, in quest'isola, priva di tutto ciò che è strettamente indispensabile (come ghiaccio, alimenti speciali, specialità farmaceutiche, ecc.), onde un sanitario possa seriamente intervenire per arrestare crisi emottoiche, il Bicutri non ha speranza alcuna di salvezza; e noi dobbiamo assistere alla sua prematura fine con l'animo angosciato e sdegnato senza poter porgere al compagno nostro un qualsiasi valido aiuto.
È una vita umana che si spegne, mentre poteva essere salvata.
Qui sta, appunto, la ragione della nostra angoscia e del nostro sdegno.
E ciascuno di noi [[Tubercolosi|tubercolotici]] ha ragione di pensare che l'attenderà la stessa tristissima sorte, di cui oggi è vittima Ernesto Bicutri, se continuerà ad essere lasciato in quest'isola, ove non è possibile avere alcuna seria cura antitubercolare, ed il cui clima non può che essere di gravissimo danno agli ammalati di petto, come hanno più volte asserito il sanitario della colonia ed i sanitari che a [[Napoli]], [[Gaeta]] e [[Littoria]] ebbero a sottoporre a visite speciali i confinati tubercolotici.
È necessario, pertanto, che codesto ministero si persuada che i confinati tubercolotici non possono rimanere a [[Ventotene]], a meno che non si voglia vederli, a uno a uno, precipitare, come Ernesto Bicutri, verso una prematura fine. Sarebbe, dunque, logico ed umano far ricoverare i confinati tubercolotici, a forma aperta, in sanatorio, e confinare gli altri in una località del continente che per il clima, per le locali risorse alimentari e per le possibilità sanitarie, sia più adatta.
Se, però, codesto ministero dovesse continuare a trovarsi, per una ragione qualsiasi, non in grado di far sì che i confinati tubercolotici abbiano quelle cure di cui necessitano, dovrebbe trarne la conseguenza più logica e più giusta, che sarebbe quella di prosciogliere i confinati tubercolotici, sottoponendoli, sia pure, all'ammonizione, tanto più che secondo il regolamento di P.S. gli affetti da tubercolosi polmonare, essendo ammalati specifici, non dovrebbero essere assegnati al [[Confino#Confino politico|confino di polizia]].
Così, i confinati tubercolotici, restituiti alle loro famiglie, avranno finalmente l'assistenza e le cure di cui hanno tanto bisogno, e che non possono ottenere rimanendo al confino.
Con osservanza.”
 
Lettera di Pertini da [[Ventotene]] al ministero dell'Interno, sezione confinati politici (3 maggio [[1942]]), tratta da: Sandro Pertini, "''Sei condanne, due evasioni''", Mondadori</ref><ref>Ernesto Bicutri, nato a [[Casale Monferrato]] (AL) il 14 gennaio [[1900]], fu un militante [[Partito Comunista d'Italia|comunista]] e un combattente antifascista in Spagna.
Emigrato in [[Francia]] nel [[1929]], a seguito dello scoppio della [[guerra civile spagnola]] si arruolò volontario e combatté nel [[1937]], come telefonista, nel Terzo Battaglione della [[Brigate internazionali#I volontari italiani del battaglione Garibaldi|XII Brigata internazionale "Garibaldi"]].
Tornato in Francia, andò poi a lavorare in [[Germania]].
Nel [[1941]] tornò in Italia, fu arrestato e assegnato al confino a [[Ventotene]], dove morì il 28 maggio [[1942]] a causa d'una [[tubercolosi]] malcurata.
Presso l'[[istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia]] di [[Milano]] è presente, nel Fondo “Archivio dell'Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna”, un fascicolo a suo nome, nel quale sono conservati alcuni effetti personali a lui appartenuti, tra cui un frammento di documento d'identità francese corredato da una fotografia, datato 8 luglio 1936 (cfr. [http://beniculturali.ilc.cnr.it:8080/Isis/servlet/Isis?Conf=/usr/local/IsisGas/InsmliConf/Insmli.sys6.file&Obj=@Insmlie.pft&Opt=search&Field0=zzA00/01262%20*%20cts=d&Dsfr=101 scheda del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo]). La maggior parte delle informazioni biografiche su Ernesto Bicutri sono state tratte dalla scheda a lui dedicata nel sito web [http://sidbrint.ub.edu/ca/content/bicutri-ernesto "SIDBRINT - Memòria Històrica Brigades Internacionals" dell'Università di Barcellona (E)], che a sua volta riprende il contenuto del volume: AA.VV., ''La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939: tre anni di storia da non dimenticare'', Roma, AICVAS, 1996, pag. 607.</ref>, affetto da una grave forma di tubercolosi, di cui chiese inutilmente il trasferimento presso un sanatorio.
 
Nel [[1938]], gli fu dedicata la tessera del [[Partito Socialista Italiano|PSI]], assieme a [[Rodolfo Morandi]] e a [[Antonio Pesenti (economista)|Antonio Pesenti]], prigionieri anche loro nelle carceri fasciste<ref>[http://www.domanisocialista.it/tesseresocialiste.htm La Storia del PSI - Tessere socialiste]; vedi anche [http://www.fondazionebrunobuozzi.it/public/foto/12_411938.gif La tessera PSI del 1938] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160624221655/http://www.fondazionebrunobuozzi.it/public/foto/12_411938.gif |data=24 giugno 2016 }}</ref>.
 
== La Resistenza ==
{{Vedi anche|Resistenza italiana}}
=== A Roma, prima e durante l'occupazione tedesca ===
==== Agosto - 15 ottobre 1943 ====
Pertini riacquistò la libertà il 13 agosto [[1943]], pochi giorni dopo la [[caduta del fascismo]]. Inizialmente il provvedimento di scarcerazione del [[Governo Badoglio I|governo Badoglio]] aveva escluso i confinati [[Partito Comunista d'Italia|comunisti]] e [[Anarchismo|anarchici]]<ref>Cfr. [https://web.archive.org/web/20070930103728/http://www.centropertini.org/biografia.htm Mario Oppedisano, ''La vita di Sandro Pertini''] nel sito web del "Centro Culturale Sandro Pertini" di [[Genova]]. Dopo un primo contingente di confinati non appartenenti ai partiti della sinistra, l'unico liberato da [[Ventotene]] fu proprio Pertini, in quanto, al momento, era l'unico [[Partito Socialista Italiano|socialista]] ivi ristretto (ad esempio, [[Pietro Nenni]] si trovava al confino nella vicina [[isola di Ponza]]) e il provvedimento di scarcerazione del [[Governo Badoglio I|governo Badoglio]] non comprendeva comunisti e anarchici. Dapprima Pertini rifiutò di lasciare l'isola finché non fossero stati liberati tutti, poi su insistenza di molti compagni del comitato dei confinati che lo invitarono a recarsi a [[Roma]] per sollecitare [[Pietro Badoglio|Badoglio]] per far liberare anche gli altri, si decise a partire.</ref>.<br />
Pertini si adoperò quindi per ottenere in breve tempo anche la loro liberazione, prima inviando dall'isola, assieme agli altri membri del Comitato dei confinati (tra i quali [[Altiero Spinelli]], [[Pietro Secchia]], [[Mauro Scoccimarro]]) un telegramma a [[Governo Badoglio I|Badoglio]]<ref>Cfr. Telegramma dei confinati di Ventotene del 7 agosto 1943, in Sandro Pertini, ''Sei condanne, due evasioni'', a cura di V. Faggi, Milano, Mondadori 1970, p. 211-212, riportato nel sito web del [http://www.pertini.it/cesp/doc_54.htm CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini]</ref>, poi, una volta a Roma, assieme a [[Bruno Buozzi]], assillando le autorità governative:
{{Citazione|Un giorno il direttore [del confino di Ventotene, il commissario Marcello Guida, che diventò poi Questore di Milano e che Pertini, divenuto presidente della Camera, nel 1970 si rifiuterà di incontrare - ''N.d.E.''] mi mandò a chiamare: «Ho una bella notizia per voi. È arrivato un telegramma che dispone per la vostra liberazione». «Grazie», dissi, «però non me ne vado finché qui resta uno solo di noi». Ma [[Camilla Ravera]], che diede sempre prova di una straordinaria forza morale, [[Umberto Terracini|Terracini]] e altri mi convinsero che dovevo partire, per andare a perorare la causa dei detenuti, e così non diedi pace a [[Carmine Senise|Senise]], [[Capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza|Capo della Polizia]], e a [[Umberto Ricci|Ricci]], che era agli [[Ministri dell'Interno del Regno d'Italia|Interni]].<br />
Li andavo a trovare ogni giorno con Bruno Buozzi. Erano restii, avevano nei confronti dei comunisti paura e odio.<br />
Minacciammo uno sciopero generale, e l'argomento li convinse.|Sandro Pertini<ref name= IntervistaBiagi >Intervista di [[Enzo Biagi]] a Pertini, ''Quel 25 luglio 1943. Pertini'', [[La Stampa]], 7 agosto 1973, riportato nel sito web del [http://www.pertini.it/cesp/doc_55.htm CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini]</ref>}}
 
Si recò quindi a [[San Giovanni (Stella)|Stella]] a trovare la madre:
 
{{Citazione|Quando arrivò l'ultimo [confinato - ''N.d.E''] di [[Ventotene]], potei andare a trovare mia madre. Era molto vecchia e mi attendeva. Stava sempre seduta su un muretto che circondava la nostra casa. «Che cosa fa, signora?» le domandavano. «Aspetto Sandro», rispondeva<ref name= IntervistaBiagi />.}}
 
{{Citazione|Mi fermai a casa sua tre giorni e poi tornai a Roma. Fu quella l’ultima volta che la vidi<ref name="Pertini a Roma nel 1943" >[http://www.storiaxxisecolo.it/resistenza/resistenza2c10.html Sandro Pertini a Roma nel 1943]</ref>.}}
 
Poi ritornò subito a [[Roma]], per contribuire alla ricostruzione del partito socialista e riprendere la lotta antifascista; il 23 agosto partecipò infatti alla fondazione del [[Partito Socialista Italiano#La nascita del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria - PSIUP|PSIUP - Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria]], nato dall'unione del PSI con il [[Movimento di Unità Proletaria|MUP]], con [[Pietro Nenni]] come segretario.<ref>cfr. [http://www.domanisocialista.it/storia3.htm La storia del PSI - Dal 1926 al 1945]</ref>
 
Il 25 fu eletto con [[Carlo Andreoni]] vicesegretario, per occuparsi dell'organizzazione militare del partito a Roma. In seguito fece parte, per conto del PSIUP, della giunta militare del [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]] con [[Giorgio Amendola]] ([[Partito Comunista Italiano|PCI]]), [[Riccardo Bauer]] ([[Partito d'Azione|PdA]]), [[Giuseppe Spataro]] ([[Democrazia Cristiana|DC]]), [[Manlio Brosio]] ([[Partito Liberale Italiano|PLI]]) e [[Mario Cevolotto]] ([[Democrazia del Lavoro|DL]]).
 
Il 10 settembre partecipò, con altri esponenti socialisti, ai combattimenti contro i tedeschi a [[mancata difesa di Roma#Porta San Paolo|Porta San Paolo]] per la [[mancata difesa di Roma|difesa di Roma]], insieme al dirigente sindacale [[Bruno Buozzi]]<ref>Trucidato dai nazisti a [[Eccidio de La Storta|La Storta]] il 4 giugno [[1944]]</ref>, ai futuri ministri [[Emilio Lussu]], [[Mario Zagari]] e [[Giuliano Vassalli]], a [[Giuseppe Gracceva]] (futuro comandante delle [[Brigate Matteotti]] di Roma) e ad [[Alfredo Monaco]] (che giocherà poi un ruolo fondamentale nella fuga sua e di [[Giuseppe Saragat]] dal [[carcere di Regina Coeli]])<ref name= IntervistaBiagi /><ref>Adriano Ossicini, ''Un'isola sul Tevere'', Editori Riuniti, Roma, 1999, pag. 197-198</ref>. Anche per tale azione, verrà conferita a Pertini la [[medaglia d'oro al valor militare]].
 
Dopo la [[mancata difesa di Roma|battaglia per la difesa di Roma]], Pertini entrò in clandestinità.
 
==== L'arresto e l'evasione dal carcere di Regina Coeli con Giuseppe Saragat ====
 
[[File:Sandro Pertini e Giuseppe Saragat.jpg|thumb|Sandro Pertini e [[Giuseppe Saragat]] in una foto del 1979. I due esponenti socialisti, futuri [[Presidente della Repubblica Italiana|Presidenti della Repubblica]], furono fatti evadere il 24 gennaio [[1944]] dal [[Carcere di Regina Coeli|carcere romano di Regina Coeli]] da un gruppo delle [[Brigate Matteotti]].]]
 
Il 15 ottobre 1943, al termine di una riunione del direttivo del PSIUP in [[Via Nazionale (Roma)|Via Nazionale]], Pertini venne catturato assieme a [[Giuseppe Saragat]] e ad altri dirigenti socialisti da esponenti della famigerata "banda Bernasconi"<ref>Giuseppe Bernasconi nel [[1943]]-[[1944]] aveva organizzato a [[Roma]] un gruppo di miliziani fascisti particolarmente attivo e violento, formato, in parte, da ex appartenenti alla [[Bande di repressione#Roma: la Guardia Armata di Palazzo Braschi|"Guardia armata di palazzo Braschi"]], specializzato nelle rapine e nei sequestri di persona, direttamente collegato con i vertici della [[Gestapo]] nazista nella Capitale (cfr. Zara Algardi, ''Il processo Caruso - Resoconto stenografico integrale - Documenti inediti e 16 fotografie fuori testo'', Darsena, 1944, p. 42, citato in: Amedeo Osti Guerrazzi, ''"La repubblica necessaria": il fascismo repubblicano a Roma, 1943-1944'', Edizioni Franco Angeli, pag.62).
Bernasconi era un ex truffatore con un passato di delinquente di mestiere. Nato a [[Firenze]] nel [[1899]], nel [[1918]] aveva avuto la prima denuncia per "assenteismo" dal suo reggimento (di artiglieria di fortezza). Sempre nel 1918 aveva partecipato all'assalto di un circolo [[Partito Comunista d'Italia|comunista]]. Nel [[1921]] era stato ricoverato in manicomio perché riconosciuto dipendente dalla cocaina.
Dopo aver preso parte all'assalto squadrista del ristorante "Comparini" a Firenze, aveva iniziato una poco lucrosa professione di truffatore con sedici condanne dal [[1922]] al [[1942]]. Era stato cacciato dal [[Partito Nazionale Fascista|Pnf]] per indegnità morale e aveva girovagato, negli anni Trenta, tra la [[Germania]] e la [[Svizzera]], sempre cercando di raggirare il prossimo, ma sempre con risultati mediocri, dato che veniva regolarmente scoperto e arrestato (cfr. Archivio di Stato di Milano, Processo Koch, b. 4, vol. 14, Cartella biografica di Bernasconi Giuseppe fu Paolo).
Durante la guerra riuscì a ritagliarsi un piccolo ruolo di confidente della polizia politica. Dopo l'[[Armistizio di Cassibile|otto settembre]] fu uno dei primi ad aderire al "Fascio romano" che occupò [[Palazzo Braschi]], quello che, fino alla fuga del governo Badoglio, era stato la sede del ministero dell'Interno. In seguito all'arresto di Gino Bardi e Guglielmo Pollastrini, i due capi della famigerata "banda" a loro intitolata, divenne il Capo dell'Ufficio politico e riorganizzò il servizio con i resti della [[Bande di repressione#Roma: la Guardia Armata di Palazzo Braschi|"Banda" di Palazzo Braschi]].
«Il Bernasconi, per la sua opera basata unicamente sulla illegalità e sulla rapina, riscuoteva la fiducia del Capo della Polizia repubblichina [[Tullio Tamburini|Tamburini]], nonché dell'ex Questore ausiliario [di Roma – ''N.d.E.''] [[Pietro Caruso]] e pertanto a lui venivano affidate quelle operazioni di polizia che i funzionari di carriera disdegnavano di eseguire perché sapevano di illegalità e miravano a fini specifici di collaborazione fattiva e concreta con i nazifascisti» (dalla denuncia all'Alta Corte di Giustizia contro Giuseppe Bernasconi, citata in: Massimiliano Griner, ''La banda Koch. Il reparto speciale di polizia 1943-44"'', Bollati Boringhieri, 2000, p. 83).
Bernasconi, tra le sue svariate attività, si era specializzato nella caccia e nelle denuncia di ebrei (cfr. Zara Algardi, ''Il processo Caruso'', cit. p. 42).
Ebbe un ruolo non marginale durante la fuga da Roma dei resti del Pfr, agendo in diretto contatto con [[Herbert Kappler|Kappler]] e [[Erich Priebke|Priebke]] alla testa di una formazione della [[Legione Autonoma Mobile Ettore Muti|"Ettore Muti"]].
Malvolentieri fu l'organizzatore di un fallito tentativo di "recupero" di Pietro Caruso, che era stato arrestato dai partigiani a [[Viterbo]], dopo aver tentato fino all'ultimo di evitare di assumersene il rischio, fingendo di sapere che Caruso fosse al sicuro. Soltanto il 10 giugno, quando la notizia della cattura di Caruso fu confermata, fu costretto a predisporre un tentativo di salvataggio dell'ex-questore di Roma, peraltro fallito (cfr. ACS, Rsi, Segreteria del Capo della polizia, b. 62, Relazione sul movimento del reparto "Muti" da Roma a Firenze, firmato da Franco Palmizi e giunto all'Ufficio del Capo della Polizia il 17 giugno 1944).
Lasciata la Capitale, si diresse prima a Firenze, dove entrò a far parte della famigerata ''[[Banda Carità]]'', rilevando la guida dell'Ufficio Politico Investigativo (UPI) della [[Guardia Nazionale Repubblicana]] fiorentina da [[Mario Carità]] quando questi l'8 luglio 1944 si trasferì prima a [[Bergantino]] e poi a [[Padova]].
In tale veste, Bernasconi svolse indagini sull'uccisione dell'11 luglio del milite fascista dell'UPI Valerio Volpini che portarono il 15 luglio all'arresto del partigiano [[Gruppi di Azione Patriottica|gappista]] [[Bruno Fanciullacci]], il quale fu condotto a [[villa Triste#Villa Triste a Firenze|Villa Loria]], la famigerata "Villa Triste" di Firenze. Gravemente ferito nel corso di un tentativo di fuga, Fanciullacci morì il 17 luglio (cfr. [http://www.treccani.it/enciclopedia/bruno-fanciullacci_(Dizionario_Biografico)/ FANCIULLACCI, Bruno in Dizionario Biografico – Treccani<!-- Titolo generato automaticamente -->]).
Nel pomeriggio del 17 luglio 1944 le milizie repubblichine guidate da Giuseppe Bernasconi attaccarono i cittadini inermi presenti nella [[Eccidio di piazza Tasso|piazza Torquato Tasso]], nel quartiere fiorentino di [[Oltrarno|San Frediano]], causando cinque vittime: Ivo Poli (di soli otto anni), Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli e Umberto Peri; si contarono inoltre numerosi feriti più o meno gravi. Altri 17 abitanti del quartiere furono catturati e di loro si persero le tracce. Solo molti anni dopo, nel [[1952]], furono ritrovati i loro corpi sul greto del fiume [[Arno]], nei pressi del [[parco delle Cascine]]: erano stati fucilati.
 
Il 25 luglio 1944 Bernasconi si spostò a [[Parma]] e infine a [[Torino]]. Qui si installò all'albergo "Svizzera" e cercò di creare una nuova banda, sempre alle dirette dipendenze dei tedeschi, ma nel dicembre [[1944]] fu costretto a scappare perché accusato di varie truffe (cfr. Archivio di Stato di Milano, Processo Koch, b. 4, vol. 14, Regia Questura di Torino. Denuncia a carico dei componenti della Squadra Speciale di polizia con sede all'Albergo Svizzera, via Sacchi 4).
Venne arrestato il 27 maggio [[1945]] e processato per i crimini commessi, ma riuscì ad evitare la condanna alla pena capitale. Fu condannato all'ergastolo, ma scontò appena una dozzina di anni.
La maggior parte delle informazioni su Giuseppe Bernasconi è stata tratta da: Amedeo Osti Guerrazzi, ''"La repubblica necessaria": il fascismo repubblicano a Roma, 1943-1944'', Edizioni Franco Angeli, pagg.92-94.</ref>. Lo stesso Pertini rievocherà l'episodio all'[[Assemblea Costituente]], nella seduta del 22 luglio [[1946]], in occasione della discussione di una sua interrogazione parlamentare sulle modalità di applicazione dell'[[amnistia Togliatti]]<ref>Cfr. la replica alla risposta alla sua interrogazione nel sito web della [http://www.fondazionepertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto=173&IdSottoSez=11 Fondazione Pertini]</ref>:
 
{{Citazione|Onorevole Presidente di questa Assemblea, il nome di Bernasconi deve ricordarci qualche cosa: il nostro arresto e la nostra consegna ai tedeschi, e se non siamo stati fucilati non è stato per volontà del Bernasconi, ma per intervento dei patrioti di Roma, che ci fecero evadere da [[Regina Coeli (carcere)|Regina Coeli]]. Tutti sanno come ha operato questa banda a [[Roma]], poi a [[Firenze]] e quindi a [[Milano]]. Io sono stato, durante il periodo cospirativo e durante l’insurrezione, a Firenze. Questa banda consumava i suoi reati e le sue sevizie a [[villa Triste#Villa Triste a Firenze|Villa Triste]]. Basta andare a Firenze e pronunciare questo nome per vedere il volto di centinaia di donne, spose, madri, coprirsi di orrore. Ebbene, in virtù dell’amnistia sono usciti una parte dei complici della [[Pietro Koch|banda Koch]] ed oggi sono in piena libertà.}}
 
Pertini e Saragat furono rinchiusi nel carcere romano di [[Regina Coeli (carcere)|Regina Coeli]] e condannati a morte per la loro attività partigiana; Pertini in carcere sorprese gli altri detenuti politici per la serenità e l’autorevolezza dimostrate, pur in simili difficili condizioni.
Saragat ha riferito<ref>Tito Lucrezio Rizz, ''Parla il Capo dello Stato'', Cangemi, Roma, 2012, p. 105</ref><ref>{{cita web|url=http://www.24emilia.com/Sezione.jsp?titolo=Pertini+e+Saragat+evadono+da+Regina+Coeli&idSezione=9753|titolo=Pertini e Saragat evadono da Regina Coeli}}</ref> che egli: {{Citazione|volle subito il vestito da galeotto, lo pretese. I secondini di Regina Coeli avevano di fronte a lui un complesso di inferiorità, perché conosceva il regolamento meglio di loro. Diffondeva attorno a sé una serenità che sosteneva i prigionieri in attesa di fucilazione, perché anche in carcere si comportava come se fosse stato a casa sua. Voleva che gli abiti fossero stirati bene: metteva i pantaloni da galeotto sotto il materasso in modo che al mattino la piega fosse perfetta. Aveva l’eleganza del duca di Edimburgo.}}
 
In carcere Saragat e Pertini incontrarono altri due eroi della resistenza: [[Leone Ginzburg]], torturato e morto di infarto in carcere in conseguenza delle torture subite la mattina del 5 febbraio 1944, e [[Giuseppe Morosini|don Giuseppe Morosini]], torturato e poi fucilato il 3 aprile 1944 a [[Forte Bravetta]].
 
Pertini incrociò Ginzburg mentre lo riportavano in cella dopo un feroce pestaggio, e in quell'occasione quegli trovò la forza di sussurrargli: "guai se alla fine della guerra dovessimo incolpare tutto il popolo tedesco per la malvagità di pochi".
 
Anche don Morosini fu visto da Pertini dopo un interrogatorio delle [[SS]]. Il futuro Presidente della Repubblica ne lasciò la seguente testimonianza:
{{Citazione|Detenuto a Regina Coeli sotto i tedeschi, incontrai un mattino don Giuseppe Morosini: usciva da un interrogatorio delle [[SS]], il volto tumefatto grondava sangue, come [[Cristo]] dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono.
Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede.
Benedisse il plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: "Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno", come Cristo sul Golgota. Il ricordo di questo nobilissimo martire vive e vivrà sempre nell'animo mio|Roma, 30 giugno [[1969]]}}
 
La sentenza di morte contro Pertini e Saragat non venne tuttavia eseguita, grazie a un'audace azione dei partigiani delle [[Brigate Matteotti]] che, il 24 gennaio [[1944]], permise la loro fuga dal carcere.
 
L'azione, dai connotati rocamboleschi, fu ideata e diretta da [[Peppino Gracceva]] e [[Giuliano Vassalli]]; quest'ultimo e [[Massimo Severo Giannini]] avevano lavorato fino all'8 settembre, come avvocati, nella Procura presso il [[Ordinamento giudiziario militare italiano|Tribunale militare]] di Roma e avevano mantenuto contatti con impiegati e funzionari.
Con l'aiuto di diversi partigiani socialisti: il giovane avvocato Filippo Lupis, Peppino Sapiengo, Vito Maiorca, Luciano Ficca<ref>L'unica fonte che cita la partecipazione all'impresa di Luciano Ficca, fratello di [[Marcella Ficca Monaco|Marcella Ficca]] e cognato di [[Alfredo Monaco]], medico del [[Regina Coeli (carcere)|carcere di Regina Coeli]], è la pagina del sito web storiaxxisecolo.it dedicata alla [http://www.storiaxxisecolo.it/cronologia/cronoresroma/cronoresrom7.html cronologia della Resistenza romana]. Dopo l'impresa di [[Regina Coeli (carcere)|Regina Coeli]] Luciano Ficca venne catturato dalle [[SS]] e condotto nella famigerata prigione di [[Museo storico della Liberazione|via Tasso]], dove, in un'occasione, venne interrogato direttamente dal capitano [[Erich Priebke]], vice comandante del quartier generale della [[Gestapo]] a [[Roma]]. Su tale interrogatorio e sul ruolo di Priebke in via Tasso, Ficca rese una deposizione testimoniale all'udienza del 23 maggio [[1997]], nel corso del processo contro Priebke davanti al [[Ordinamento giudiziario militare italiano|Tribunale militare]] di Roma per l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], ricordando che Priebke durante l'interrogatorio lo aveva minacciato impugnando un nerbo di bue. La [http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Priebke/Pagine/6Sentenza220797.aspx sentenza di condanna di primo grado] emessa il 22 luglio 1997 si basò anche sulla sua testimonianza.</ref> e, dall'interno della prigione, Ugo Gala, [[Alfredo Monaco]], medico del carcere, e sua moglie [[Marcella Ficca Monaco|Marcella Ficca]]<ref>{{collegamento interrotto|1=[http://www.liceocavour.it/extracurr/html/3.9.HTM Marcella Monaco - I protagonisti della Resistenza a Roma] |date=October 2017 |bot=InternetArchiveBot }}.</ref>, si riuscì per prima cosa a far passare l'incartamento processuale contro Saragat e Pertini dalla giustizia militare tedesca a quella italiana e, quindi, a far passare i detenuti dal 3° "braccio" tedesco del carcere al 6° "braccio" italiano.
Dirà Giuseppe Saragat: «Si rifletta che da quel braccio si usciva in un modo solo: per andare di fronte al plotone di esecuzione. Qualche volta si poteva uscire già morti per le percosse subite dagli aguzzini durante gli interrogatori. Se Pertini e io ne siamo usciti miracolosamente in un terzo modo – e fu caso unico – è faccenda che non riguarda né Pertini né me, ma un gruppo di valorosi partigiani che rischiarono la loro vita per salvare la nostra.»<ref>cfr. Vico Faggi (a cura di), ''Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni'', Mondadori, Milano, 1978.</ref>.
 
Vennero poi realizzati dei falsi ordini di scarcerazione per la liberazione dei due leader socialisti e dei loro coimputati (a conferma dell'ordine arrivò anche una falsa telefonata dalla questura, fatta dall'avv. Lupis con l'aiuto di [[Marcella Ficca Monaco|Marcella Ficca]]). I due membri dell’Esecutivo del PSIUP furono dunque scarcerati insieme a Luigi Andreoni, Torquato Lunedei, Ulisse Ducci, Luigi Allori e Carlo Bracco<ref name = Conti>Cfr. {{cita libro|Davide| Conti (a cura di)|''Le brigate Matteotti a Roma e nel Lazio''|2006|Edizioni Odradek|Roma|isbn=88-86973-75-6}} - Vedi anche [http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2008/3/42-44_LIBRI.pdf Recensione del libro di Avio Clementi], in ''Patria Indipendente'', pubblicazione ANPI del 23 marzo 2008, pagg.42-43</ref>.
Pertini stesso narrò in seguito questi fatti nelle sue memorie<ref>« […] Si decide di sottrarre alla minaccia capitale Pertini, Saragat e altri cinque detenuti che sono nel braccio tedesco di Regina Coeli, sempre restando a disposizione della giustizia italiana. Gli autori del "colpo" partigiano sono Vassalli, Giannini, Lupis, Gracceva, Maiorca, Alfredo e Marcella Monaco. I primi due, entrambi professori universitari malgrado l’età giovanissima, sono stati fino all’8 settembre ufficiali al Tribunale militare di Roma. Essi non hanno abbandonato gli uffici senza provvedersi di moduli e timbri di scarcerazione.
Collabora nell’azione Filippo Lupis, un giovane avvocato che, per la sua professione, può circolare senza troppa difficoltà a Regina Coeli. Gracceva, comandante partigiano, è alla testa, insieme con Vassalli, di un’organizzazione militare sorta dopo l’8 settembre. Maiorca, militante socialista, è tenente presso l’ufficio di polizia della [[Polizia dell'Africa italiana|PAI]] dove, per legge, i detenuti scarcerati debbono passare per un controllo dei documenti. Alfredo Monaco è medico a Regina Coeli e, come tale, ha sotto l’occhio ogni movimento del carcere. Marcella Monaco, infine, moglie del dottore, è addetta al luogo segreto dove i detenuti saranno portati se il colpo riesce. I soli a sapere del complotto sono Pertini e Saragat.
È toccato al primo comunicare al compagno che, per loro, le cose si sono messe male, e che la condanna a morte è data come sicura […] Arriva il falso ordine di scarcerazione perfettamente strutturato, in ogni elemento burocratico, e i detenuti sono invitati dai funzionari tedeschi a preparare la loro roba per lasciare Regina Coeli. Andreoni, Bracco e gli altri perdono un po’ di tempo nei preparativi di partenza ed ecco Pertini fulminarli con lo sguardo, non potendoli avvertire con le parole […] Finalmente i detenuti sono pronti, vengono regolarmente dimessi da Regina Coeli. Il gran colpo è andato a segno… Per quattro giorni il silenzio sulla clamorosa evasione è completo; poi, improvvisamente, esso è rotto dalla "Voce dell’Italia" della [[BBC]] britannica.
Parlando da Londra nella sua rubrica "Al di qua e al di là del fronte" [[Paolo Treves]] dice testualmente: «Stasera la solita rubrica non avrà luogo perché il nostro animo è commosso per l’evasione da Regina Coeli di Sandro Pertini e di Giuseppe Saragat condannati a morte dal tribunale di guerra tedesco. I nostri due compagni hanno ripreso in Roma il loro posto di lotta». Ad ascoltare [[Radio Londra]] ci sono i tedeschi, che prendono appunti. Alla notizia balzano dalle loro postazioni d’ascolto e chiamano al telefono il direttore di Regina Coeli. La risposta è che i detenuti, forniti di regolari mandati di scarcerazione, autenticamente firmati e bollati, sono stati dimessi. Identica risposta dall’ufficio della PAI. I tedeschi minacciano di fucilare tutti. Iniziano le indagini: risalgono al Tribunale militare dove constatano che l’iter cospirativo è tutto formalmente autentico, tranne la firma sul mandato di scarcerazione.» in Vico Faggi (a cura di), ''Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni'', Mondadori, Milano, 1978.</ref> e in un'intervista concessa ad [[Oriana Fallaci]] nel [[1973]]<ref name="Fallaci">Intervista di [[Oriana Fallaci]] a Pertini, pubblicata su ''[[L'Europeo]]'', 27 dicembre 1973, riportata nel sito web [http://www.oriana-fallaci.com/pertini/intervista.html Oriana-Fallaci.com]</ref>.
 
La complessa preparazione dell'operazione segreta fu descritta su un numero dell'''[[Avanti!]]'' edito a Roma dopo la liberazione della città il 4 giugno 1944<ref name = avanti>Il testo del quotidiano socialista è riportato in: [[Giuliano Vassalli]] e [[Massimo Severo Giannini]], [http://anpi.it/media/uploads/patria/2008/4/44-45_Vassalli.pdf ''Quando liberammo Pertini e Saragat dal carcere nazista''], in ''Patria Indipendente'', pubblicazione ANPI del 20 aprile 2008, pagg.44-45</ref>; il quotidiano socialista descrisse nei particolari la «evasione da “Regina Coeli di Alessandro Pertini e Giuseppe Saragat (membri dell’Esecutivo del Partito Socialista) e di '''cinque altri compagni'''. Dalla metà di ottobre 1943, da quando '''i nostri compagni''' erano stati catturati dai segugi di Bernasconi (a cui in quell’occasione per puro caso era sfuggito [[Pietro Nenni]]), essi giacevano a “Regina Coeli”».
Quindi, secondo l'''Avanti!'', i protagonisti della fuga dal carcere furono sette e tutti appartenenti al Partito socialista.
 
Sicuramente conosciuto come militante socialista era Ulisse Ducci, un antifascista di lungo corso, nominato da [[Bruno Buozzi]] fiduciario sindacale per la provincia di Piombino, nel corso di un incontro all’albergo "Moderno" di Roma nel periodo dei "quarantacinque giorni" del [[Governo Badoglio I|primo Governo Badoglio]]. Tornato a Piombino, Ducci partecipò alla battaglia che i militari italiani e la popolazione civile ingaggiarono il 10 settembre [[1943]] contro l’occupazione tedesca della città.
Fuggito poi a Roma nell’ottobre del 1943, redasse una relazione sulla battaglia di Piombino che voleva consegnare a Pertini e Buozzi. Il manoscritto fu ritrovato dalla polizia nazifascista, dopo che una spia non solo era riuscita a individuare Ducci ma, attraverso di lui, a giungere all’arresto di Pertini, Saragat e altri<ref>Ivan Tognarini, ''La resistenza all’occupazione tedesca della Toscana nel settembre 1943'', in «''Ricerche storiche''» n. 24, gennaio-aprile 2003, p. 151</ref>.
Ducci nascondeva però un trascorso da collaboratore dell’[[OVRA]]<ref>A questo proposito si veda Ivan Tognarini, ''Là dove impera il ribellismo: resistenza e guerra partigiana dalla battaglia di Piombino (10 settembre 1943) alla liberazione di Livorno (19 luglio 1944)'', Voll. II, Esi, Firenze, 1988</ref>. Interrogato dai militari fascisti, Ducci non solo confessò il motivo della sua venuta a Roma, ma in cambio di una ricompensa monetaria, poi regolarmente versata alla moglie, si disse disponibile ad aiutare la polizia «nella ricerca di Nenni e di Buozzi»<ref>Si legga l’interrogatorio di Ducci riprodotto in ''La battaglia di Piombino del 10 settembre 1943 e la concessione della Medaglia d’oro al valor militare'', a cura di Ivan Tognarini, in «''Ricerche storiche''» n. 24, gennaio-aprile 2003, p. 235</ref>.
Secondo lo storico Gabriele Mammarella<ref>Cfr. Gabriele Mammarella, ''Bruno Buozzi 1881-1944. Una storia operaia di lotte, conquiste e sacrifici'', [[2014]], Ediesse, pagg.322-323.</ref>, «allo stato attuale delle ricerche non è dato sapere quanto effettivamente questa offerta di collaborazione di Ducci si sia concretizzata. Nondimeno, data l’evoluzione dei fatti, è estremamente improbabile che abbia avuto seguito.. In compenso, messo a disposizione della polizia nazista, Ducci collaborò anche con la Gestapo, non lesinando di rivelare i retroscena dei colloqui avuti con Buozzi nell’agosto precedente»<ref>ACS, Tribunale speciale per la difesa dello Stato, b. 219, f. 1636, passim</ref>.
 
Di Luigi Andreoni l'''Avanti!''<ref name = avanti/> riferisce che il suo nome risultava assieme a quelli di Pertini e Saragat come cointestario del fascicolo processuale presso il Tribunale militare italiano che Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli provvedettero a visionare<ref>Al fine di estrarne le precise generalità con le quali erano stati registrati al momento dell'arresto i sette incarcerati, onde poterli riportare con precisione nei falsi moduli di scarcerazione.</ref>, il che fa propendere per un suo ruolo nell'organizzazione clandestina del PSIUP, forse anche per una sua possibile parentela con il vice-segretario del partito, [[Carlo Andreoni]].
 
Quanto a Carlo Bracco, questi il 26 luglio 1943, all'indomani della [[caduta del fascismo]], si era impadronito di un piccolo carro armato che il Governo Badoglio aveva messo davanti al carcere romano di Regina Coeli e con esso era entrato nell’interno del carcere liberando una buona parte dei detenuti politici.<ref name = Conti/> Secondo quanto riferito dall'''Avanti!''<ref name = avanti/>, dopo la loro scarcerazione, «Pertini, Saragat e Bracco riprendevano immediatamente il loro posto di combattimento affrontando di nuovo senza tregua i pericoli della cospirazione e della Resistenza».
 
Quanto a Torquato Lunedei, l'''Avanti!''<ref name = avanti/> dichiarò che egli fu «arrestato perché scambiato per Nenni e unito poi al processo degli altri come socialista», il che lascerebbe pensare che, pur trattandosi di un antifascista, egli non appartenesse al PSIUP.
 
Nella sua intervista alla Fallaci, Pertini parla solo di sei “scarcerati” e definisce gli altri quattro antifascisti (oltre a se stesso e a Saragat) come '''quattro ufficiali badogliani''', aggiungendo che dovette impuntarsi per farli uscire insieme a lui e Saragat e che quando Nenni lo seppe avrebbe sbottato: ''Ma fate uscire Peppino! Sandro il carcere lo conosce, c'è abituato''».<ref>«... nell’inverno 1943-44, io ero a [[Regina Coeli (carcere)|Regina Coeli]]. E c’era anche [[Giuseppe Saragat|Saragat]]. E tutti e due eravamo condannati a morte dai tedeschi. Lo sa come facevano i tedeschi: condannavano a morte anche senza processo, in via amministrativa. Poi pescavano da quel pozzo di San Patrizio e fucilavano per rappresaglia. Io e Saragat stavamo nel braccio tedesco insieme a '''quattro ufficiali badogliani'''. E i nostri preparavano la fuga. […] Poi [[Peppino Gracceva|Gracceva]] mi mandò a dire che dovevo prender contatto con [[Alfredo Monaco|Monaco]] fingendo un attacco di appendicite, e ubbidii. Una notte mi metto a urlare oddio-sto-male-chiamate-d’urgenza-il-medico, così arriva Monaco, finge di visitarmi e intanto mi sussurra di stare pronto: si prepara la mia fuga e quella di Saragat. "No", rispondo. "No. Io e Saragat soltanto, no. Ci sono anche '''gli altri quattro'''. O '''tutti e sei''' o nulla." Monaco riferisce ai compagni, badate-che-Pertini-sta-puntando-i-piedi, i compagni riferiscono a [[Pietro Nenni|Nenni]], e Nenni dice spazientito: "Ma fate uscire Peppino! Sandro il carcere lo conosce, c’è abituato. Peppino no, poveretto. Per lui è la prima volta. Pensate a Peppino, poi penseremo a Sandro". Beh, mi andò liscia ugualmente: [[Giuliano Vassalli|Vassalli]] fabbricò i fogli di scarcerazione, Ugo Gala li fece trovare sul tavolo del direttore insieme alla posta del mattino, e uscimmo '''tutti e sei'''. Ma appena vidi Nenni glielo dissi: "Pietro, cos’è questa storia del fate-uscire-Peppino-pensate-a-Peppino-tanto-Sandro-al-carcere-c’è-abituato? E che? Siccome c’ero abituato, ci dovevo morire?"»</ref>.<br />
Data l'autorevolezza della fonte, in molti siti si parla di '''cinque ufficiali badogliani''', riprendendo la qualificazione politica indicata da Pertini, ma correggendo il numero dei fuggitivi, con quello effettivo.
Non è dato comprendere il motivo delle dichiarazioni di Pertini: semplice “poca memoria”, dato il lungo tempo trascorso dagli eventi rievocati? Eliminazione dal novero degli antifascisti liberati di quell'Ulisse Ducci, ambigua figura di socialista doppiogiochista? Non conoscenza del fatto che i cinque '''ufficiali badogliani''' erano in realtà '''compagni socialisti''' come li qualifica l'''Avanti!'' edito poco dopo la liberazione di Roma?
 
Una cosa è certa: l'evasione dal carcere dei sette antifascisti salvò con tutta probabilità la loro vita: non v'è dubbio infatti che, se ancora detenuti alla data del 24 marzo 1944, i loro nominativi sarebbero stati inclusi nell'elenco dei ''Todeskandidaten'' (condannati a morte o colpevoli di reati passibili di condanna a morte) da fucilare per rappresaglia alle [[Eccidio delle Fosse Ardeatine|Fosse Ardeatine]].
 
==== L'attività di responsabile militare del PSIUP ====
 
In una lettera del 2 marzo [[1944]] indirizzata al centro dirigente del [[Partito Comunista Italiano|PCI]] di [[Milano]]<ref>La lettera di [[Giorgio Amendola]] è riportata in [[Luigi Longo]], ''I centri dirigenti del PCI nella Resistenza'', 1973, Editori Riuniti, Roma, pp. 349-350.</ref>, [[Giorgio Amendola]] riferì che i rapporti dei socialisti con il PCI in quella fase non erano buoni. Amendola scrisse che il [[patto di unità d'azione]] tra i due partiti era allora «del tutto inoperante». Tra le varie condotte che i socialisti rimproveravano ai comunisti, il dirigente comunista elencò: «quando incontriamo tra i socialisti resistenze all'azione non sappiamo transigere e temporeggiare e procediamo per conto nostro». Secondo Amendola le rimostranze dei socialisti «non sono valide e non rispondono a realtà». Scrisse inoltre che Sandro Pertini, responsabile militare del [[PSIUP]], «mordeva il freno» e, «geloso delle prove crescenti di capacità e di audacia date dai Gap, chiese che si concordasse un'azione armata unitaria».
 
Pertanto, si iniziò a progettare un'azione militare congiunta fra [[Gruppi di Azione Patriottica|Gap]] comunisti e [[Brigate Matteotti]] socialiste per il 23 marzo 1944, venticinquesimo anniversario della fondazione dei [[Fasci italiani di combattimento]], avvenuta il 23 marzo 1919. Per l'occasione i fascisti&nbsp;– sotto la guida del segretario locale del [[Partito Fascista Repubblicano]] (PFR), [[Giuseppe Pizzirani]] – avevano programmato una grande adunata a Roma presso il [[Teatro Adriano]] in [[piazza Cavour (Roma)|piazza Cavour]], dove avrebbe tenuto un discorso il cieco di guerra [[Carlo Borsani]] e da cui poi sarebbe dovuto partire un corteo diretto al [[Palazzo Piacentini (Roma)|palazzo dell'ex ministero delle Corporazioni]] in via Veneto.
In base all'accordo tra Pertini ed Amendola fu dunque previsto che il corteo fascista sarebbe stato attaccato in due punti diversi dai GAP e da una squadra delle [[Brigate Matteotti]] socialiste. Secondo Amendola<ref>cfr. [[Giorgio Amendola]], ''Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945'', 1973, Editori Riuniti, Roma, p. 290</ref>, il percorso del corteo fu diviso in due settori, assegnando ai socialisti quello iniziale (da piazza Cavour a [[via del Corso (Roma)|via del Corso]]) e ai GAP quello finale. Al contrario, secondo [[Franco Calamandrei]]<ref>cfr. [[Franco Calamandrei]], ''La vita indivisibile. Diario 1941-1947'', 1984, Editori Riuniti, Roma, pp. 155-156 (22 marzo)</ref> e [[Carla Capponi]]<ref>cfr. [[Carla Capponi]], ''Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista'', 2009, Il Saggiatore, Milano, isbn=88-565-0124-4, pp. 226-227</ref>, sarebbero stati i GAP a colpire in piazza Cavour, con un ordigno esplosivo uguale a quello poi usato in [[via Rasella]] che, trasportato in una carrozzina per bambini da Carla Capponi, sarebbe stato fatto esplodere tra i fascisti all'uscita dal teatro. L'azione fu poi cancellata quando giunse la notizia che il generale tedesco [[Kurt Mälzer]], comandante militare della piazza di Roma, prevedendo la possibilità di un attentato analogo a quello messo in atto dai GAP in via Tomacelli il 10 marzo, aveva annullato il corteo fascista, disponendo che tutte le celebrazioni si tenessero al chiuso nell'ex ministero delle Corporazioni.
 
Dopo che si seppe dai giornali che i fascisti il 23 marzo non avrebbero sfilato<ref>cfr. Calamandrei, ''op. cit.'', pp. 152-155.</ref>, i GAP decisero di colpire in quel giorno un reparto tedesco, l'11ª Compagnia del III Battaglione del [[Polizeiregiment "Bozen"]], composto da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, che, quasi quotidianamente, intorno alle due del pomeriggio attraversava in colonna il centro della Capitale, di ritorno dall'addestramento al poligono di tiro di [[Tor di Quinto]], diretta al [[Palazzo del Viminale]] (già sede del [[Ministero dell'Interno]]) dove era acquartierato.
Il "Bozen" era formato da altoatesini arruolati nella polizia dopo che, nell'ottobre 1943, la [[provincia di Bolzano]] era stata occupata dai tedeschi e inserita nella cosiddetta [[Zona d'operazioni delle Prealpi]], sulla quale la sovranità della RSI era nominale.
Il "Bozen" rappresentava per i gappisti un bersaglio relativamente facile<ref>cfr. Lutz Klinkhammer, ''Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44)'', 1997, Donzelli Editore, Roma, isbn=88-7989-339-4, p. 12.</ref> ed era già stato individuato come destinatario di un possibile attentato.
 
Pertanto, il 23 marzo ebbe luogo, ad opera di partigiani [[Gruppi di Azione Patriottica|gappisti]], l'[[attentato di via Rasella]] contro una compagnia di militari tedeschi del [[Polizeiregiment "Bozen"]], che causò trentatré caduti. Il giorno successivo i tedeschi eseguirono per rappresaglia l'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], uccidendo 335 uomini tra prigionieri politici, ebrei e persone rastrellate a caso nei dintorni di via Rasella.
 
Amendola<ref>cfr. Giorgio Amendola, ''op. cit.'', p. 290</ref> affermò, come diversi altri protagonisti della vicenda, che l'attentato di via Rasella fosse stato solo un'«azione di riserva», decisa a seguito dell'impossibilità di colpire il corteo fascista il 23 marzo.
Tuttavia, dal diario di Calamandrei emerge che in realtà l'attacco al "Bozen" fu pianificato in maniera completamente autonoma, risultando eseguito il giorno dell'anniversario dei Fasci del tutto casualmente<ref>cfr. Calamandrei, ''op. cit.'', p. 152-155.</ref>. Secondo Mario Fiorentini<ref>L'intervista a Mario Fiorentini fu utilizzata come fonte in Robert Katz, ''Morte a Roma. La storia ancora sconosciuta del massacro delle Fosse ardeatine'', 1968, Editori Riuniti, Roma, p. 40.</ref>, tre gappisti si erano appostati a via Rasella per colpire il "Bozen" già in «un pomeriggio della seconda settimana di marzo», ma avevano dovuto rinunciare all'attacco a causa della mancata apparizione della colonna in quel giorno e nei successivi.
 
Diversamente dall'attacco programmato contro il corteo fascista, nessun altro membro della giunta militare del CLN fu preventivamente informato del progetto dell'attacco al "Bozen", tantomeno Pertini. In seguito Amendola attribuì la mancata comunicazione del piano alla consuetudine e a «ragioni di sicurezza cospirativa»<ref>cfr. Giorgio Amendola, ''op. cit.''</ref>. [[Alberto Benzoni|Alberto]] ed Elisa Benzoni ritengono invece che il piano, per i rischi di rappresaglia che comportava, «non poteva assolutamente essere comunicato agli altri perché non poteva in alcun modo essere da loro condiviso»<ref>Alberto ed Elisa Benzoni, ''Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella'', 1999, Marsilio, Venezia, isbn=88-317-7169-8, p. 23.</ref>.
 
Ad attentato realizzato, Amendola scrisse che Pertini era «furioso», ma solo «per non essere stato messo al corrente del progetto dell'azione di riserva»<ref>cfr. Giorgio Amendola, ''op. cit.''.</ref>.
 
Nel pomeriggio del 26 marzo si riunì la giunta militare del CLN, nel bel mezzo della crisi che da febbraio attraversava l'organismo politico e che, proprio la mattina del 24 marzo, aveva spinto il suo presidente [[Ivanoe Bonomi]] a rassegnare le dimissioni, sospettando che le sinistre stessero preparando un governo rivoluzionario<ref>cfr. [[Luigi Cortesi]], ''[http://www.treccani.it/enciclopedia/ivanoe-bonomi_%28Dizionario-Biografico%29/ voce Bonomi, Ivanoe]'', in ''[[Dizionario Biografico degli Italiani]]'', Treccani, vol. 12, 1971.</ref>. Secondo le memorie di [[Giorgio Amendola]], durante la riunione egli chiese che fosse emanato un comunicato che, oltre a condannare l'eccidio delle Fosse Ardeatine, rivendicasse l'azione partigiana in Via Rasella. Quest'ultima proposta trovò l'opposizione del delegato della [[Democrazia Cristiana]], [[Giuseppe Spataro]], il quale contestò l'opportunità dell'attentato e, al contrario, chiese un comunicato di dissociazione, proponendo inoltre che ogni futura azione fosse preventivamente approvata dalla giunta. Nell'«aspra discussione» che ne scaturì, Amendola replicò che, nel caso in cui la proposta democristiana fosse stata approvata, i comunisti sarebbero stati «costretti a prendere la [loro] libertà d'azione, anche a costo di uscire dal CLN». Poiché le deliberazioni venivano prese solo all'unanimità, nessuna delle due mozioni fu approvata, cosicché Amendola dichiarò «con una certa indignazione» che i comunisti si sarebbero autonomamente assunti – «con fierezza» – la responsabilità dell'attentato. La rivendicazione del PCI avvenne su ''[[l'Unità]]'' clandestina del 30 marzo tramite un comunicato dei GAP scritto da [[Mario Alicata]] (datato 26 marzo), in cui tra l'altro si affermava che, in risposta al «comunicato bugiardo ed intimidatorio del comando tedesco», le azioni gappiste a Roma non sarebbero cessate «fino alla totale evacuazione della capitale da parte dei tedeschi»<ref>cfr. Giorgio Amendola, ''op. cit.'', pp. 295-7.</ref>.
 
Su sollecitazione del segretario socialista [[Pietro Nenni]], il 31 marzo Bonomi accettò di scrivere a nome del CLN «una nota di indignazione e di protesta» verso la strage delle Fosse Ardeatine. Il comunicato fu il risultato di un compromesso trovato dopo una serie di riunioni, discussioni e proposte di mediazioni, delle quali in mancanza di documentazione non è mai stato possibile ricostruire l'andamento. Sebbene comparve sulla stampa clandestina a metà aprile, per nascondere l'esitazione e il dissenso interni era retrodatato al 28 marzo<ref>cfr. Robert Katz, ''Roma città aperta. Settembre 1943 - Giugno 1944'', 2009, Il Saggiatore, Milano, isbn=88-565-0047-7, p. 312.</ref>. Definito l'attentato «un atto di guerra di patrioti italiani», il comunicato del CLN vedeva nell'eccidio «l'estrema reazione della belva ferita che si sente vicina a cadere», alla quale le «forze armate di tutti i popoli liberi», ossia gli eserciti alleati avanzanti, avrebbero presto inferto «l'ultimo colpo», senza alcun riferimento alla prosecuzione delle azioni partigiane invocata dal comunicato comunista.
 
Vari ex partigiani socialisti, tra cui [[Matteo Matteotti]] e [[Leo Solari]], negli [[anni novanta]] hanno sostenuto che all'epoca Pertini, in due riunioni con alti dirigenti del suo partito alla fine di marzo e alla fine di aprile [[1944]] (poco prima della sua partenza per il nord), avrebbe duramente criticato l'azione come espressione di avventurismo irresponsabile. In particolare, Matteotti (all'epoca segretario della Federazione Giovanile Socialista e membro di una formazione armata socialista comandata da [[Eugenio Colorni]]) ha dichiarato che Pertini era contrario ad attaccare un reparto militare tedesco, temendo «che ci fossero delle rappresaglie sproporzionate rispetto all'efficacia dell'azione», ed era favorevole ad organizzare una manifestazione di protesta davanti alla sede de ''[[Il Messaggero]]'' per il rispetto della ''[[città aperta]]'', in modo che «il coraggio della gente si potesse manifestare con una chiara protesta contro le truppe occupanti, ma con l'intento di non arrivare ad uno scontro armato»<ref>cfr. ''[http://www.larchivio.com/matteotti.htm Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale a Matteo Matteotti]'' realizzata nel [[1994]] dal regista Enzo Cicchino e andata in onda durante una puntata di ''[[Mixer (programma televisivo)|Mixer]]''.</ref><ref>cfr. Intervista a Matteo Matteotti per ''Storia Illustrata'', gennaio 1997, citata in Alberto ed Elisa Benzoni, ''op. cit.'', p. 25.</ref>. Tali testimonianze sembrano trovare riscontro nella lettera della direzione romana del PCI datata 30 marzo 1944, nella quale è scritto (secondo [[Alberto Benzoni|Alberto]] ed Elisa Benzoni<ref>cfr. Alberto ed Elisa Benzoni, ''op. cit.''</ref> riferendosi «con ogni probabilità» a Pertini) che il delegato socialista aveva «assunto un atteggiamento inqualificabile di protesta e disapprovazione».
 
Nelle sue dichiarazioni pubbliche Pertini si attenne alla posizione ufficiale assunta dal CLN (peraltro su proposta del Segretario del suo partito), preoccupato «dall'esigenza di difendere l'unità antifascista in una vicenda marcata dall'ombra terribile delle Ardeatine»<ref>cfr. Alberto ed Elisa Benzoni, ''op. cit.'', p. 25.</ref>.
 
Nel [[1948]] nel corso del processo contro il colonnello delle [[SS]] [[Herbert Kappler]] per la [[Eccidio delle Fosse Ardeatine|strage delle Fosse Ardeatine]], Amendola, Pertini e l'azionista [[Riccardo Bauer]], in qualità di allora responsabili militari rispettivamente del PCI, del PSIUP e del Partito d'Azione, dichiararono che l'[[attentato di via Rasella]] era stato conforme alle «direttive di carattere generale» della giunta militare<ref>cfr. [http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Kappler/Pagine/02sentenza631.aspx Sentenza del Tribunale territoriale militare di Roma n. 631 del 20 luglio 1948].</ref>.
 
Nuovamente, nel [[1983]], mentre ricopriva la carica di Presidente della Repubblica, Pertini dichiarò: «''Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, ''a posteriori'', con la decisione che era partita da [[Giorgio Amendola]]''».<ref>cfr. [[Gianni Bisiach]], ''Pertini racconta. Gli anni 1915-1945'', Milano, Mondadori, 1983, pp. 130-131. Il testo è la trascrizione di un filmato tratto dalla rubrica televisiva di Gianni Bisiach ''Testimoni oculari'', puntata 4 di 6 «La battaglia di Roma», trasmessa per la prima volta nel 1978 sulla Rete 2. Le interviste ivi contenute sono poi state inserite nel documentario «La battaglia di Roma» della serie ''Grandi battaglie'', sempre a cura di Gianni Bisiach, andato in onda nel 1994 su Rai Uno.</ref>.
 
Paradossalmente, proprio le dichiarazioni pubbliche di Pertini sulla legittimità dell'attentato, sulla cui opportunità pure nutriva personalmente dubbi e remore, gli valsero l'infondata attribuzione di un suo coinvolgimento nella decisione dell'azione gappista.
 
Nel [[1949]] alcuni familiari di vittime dell'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]] intentarono una causa civile per danni contro gli esecutori dell'[[attentato di via Rasella]] [[Rosario Bentivegna]], Franco Calamandrei, [[Carlo Salinari]], Carla Capponi, e contro Giorgio Amendola, Sandro Pertini e Riccardo Bauer, considerati, in quanto responsabili militari, rispettivamente, del Partito Comunista Italiano, del PSIUP e del Partito d'Azione, ispiratori e organizzatori dell'attentato<ref>[[Carlo Galante Garrone]], ''Via Rasella davanti ai giudici'', in AA.VV., ''Priebke e il massacro delle Ardeatine'', supplemento a "''L'Unità''", agosto 1996.</ref>. Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 26 maggio-9 giugno [[1950]], respinse la richiesta di risarcimento e riconobbe che l'attentato «fu un legittimo atto di guerra», per cui «né gli esecutori né gli organizzatori possono rispondere civilmente dell'eccidio disposto a titolo di rappresaglia dal comando germanico»<ref>«L'atto di guerra, da chiunque attuato nell'interesse della propria Nazione, non è di per sé, e per il singolo, da considerarsi illecito, salvo che tale non sia espressamente qualificato da una norma di legge interna». La mancanza di comandanti e di uniformi militari manifesti è resa inevitabile dalle condizioni di clandestinità giustificate dal tipo di combattimento; dunque via Rasella fu un atto di guerra a danno di un nemico che occupava in stato guerra il territorio, ed è da escludersi «che la morte o il ferimento dei cittadini che si trovavano casualmente in quel luogo siano stati voluti, e che sia stato voluto il successivo eccidio delle Cave Ardeatine». Cfr. Tribunale civile di Roma, sentenza del 26 maggio-9 giugno 1950.</ref>.
Con sentenza in data 5 maggio [[1954]], la Corte d'Appello civile di Roma confermò la sentenza di primo grado.<ref>Secondo la Corte, l'attentato «ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra, essendosi verificato durante l'occupazione della città ed essendosi risolto in prevalente se non esclusivo danno delle forze armate germaniche. I competenti organi dello Stato non hanno ravvisato alcun carattere illecito nell'attentato di via Rasella, ma anzi hanno ritenuto gli autori degni del pubblico riconoscimento, che trae seco la concessione di decorazioni al valore; lo Stato ha completamente identificato le formazioni volontarie come propri organi, ha accettato gli atti di guerra da esse compiuti, ha assunto a suo carico e nei limiti consentiti dalle leggi le loro conseguenze. Non vi sono quindi rei da una parte, ma combattenti; non semplici vittime di una azione dannosa dall'altra, ma martiri caduti per la Patria». Cfr. Corte d'Appello civile di Roma, prima sezione, sentenza 5 maggio [[1954]], citata in Zara Algardi, ''Processi ai fascisti'', Vallecchi, Firenze, 1973, p. 104.</ref>.
Con sentenza emanata in data 11 maggio [[1957]] e pubblicata il successivo 2 agosto, la [[Corte di cassazione]] ribadì il carattere di legittima azione di guerra dell'attentato, disattendendo la tesi dei ricorrenti secondo i quali non avrebbe potuto trattarsi di atto di guerra in quanto all'epoca Roma era ''[[città aperta]]''<ref>Secondo il resoconto di Zara Algardi, la Corte ritenne provato «che la formula della "[[città aperta]]" era stata fittizia: i nazisti transitavano infatti per le vie della città con le loro colonne motorizzate e gli angloamericani la bombardarono più volte dal cielo. La dichiarazione che Roma era ''città aperta'' (...) non fu mai accettata dagli angloamericani. Né Roma fu mai rispettata come ''città aperta'' da parte della Germania, che disconosceva il legittimo governo italiano». La Corte affermò che ogni «attacco contro i tedeschi rispondeva agli incitamenti impartiti dal governo legittimo... e costituiva quindi un atto di guerra riferibile allo stesso governo». Cfr. Corte di Cassazione di Roma, Sezioni Unite, sentenza 11 maggio 1957, citata in Zara Algardi, ''Processi ai fascisti'', Vallecchi, Firenze, 1973, p. 105. L'omissione segnalata dai puntini di sospensione è così nel testo di Algardi.</ref>.
 
L'affermazione circa una corresponsabilità di Pertini nella decisione di realizzare l'attentato gli è stata poi ricorrentemente rivolta in maniera polemica dai suoi avversari politici: nel [[1982]], in seguito alla consegna di due medaglie al valor militare a Rosario Bentivegna (una d'argento e una di bronzo, conferitegli nel [[1950]]), la stampa di destra accusò Pertini di aver ordinato l'attentato<ref>cfr. [[Beppe Niccolai]], in [http://www.beppeniccolai.org/RNgennaio82.htm#20_gennaio_1982 ''Rosso e Nero'', in ''Secolo d'Italia'' del 20 gennaio 1982]</ref> (riprendendo tale versione da un libro di [[Attilio Tamaro]] del [[1950]]).
 
Durante un dibattito parlamentare sul processo penale agli ex gappisti nel [[1997]], anche il ministro della Giustizia [[Giovanni Maria Flick]] del [[Governo Prodi I|governo Prodi]] dichiarò, erroneamente: «L'azione di via Rasella fu decisa dal Comando dei gruppi di azione patriottica di Roma, che aveva come dirigenti persone della statura di Sandro Pertini e di Giorgio Amendola, tra i padri della patria»<ref>cfr. Camera dei Deputati, XIII legislatura, [http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed222/s030.htm resoconto stenografico della seduta n. 222 del 2 luglio 1997], p. 19230.</ref>.
 
Assieme a [[Ugo La Malfa]] (allora esponente del Partito d'Azione) Pertini fu uno strenuo oppositore della [[svolta di Salerno]] rispetto alla pregiudiziale repubblicana.<ref>[http://www.pertini.it/cesp/video/repubblica.wmv Video-intervista] nel sito web del Centro Espositivo "Sandro Pertini".</ref>
 
Poco prima della cattura di Bruno Buozzi (avvenuta il 13 aprile 1944), il comunista [[Giorgio Amendola]] registrò quello che risulta essere l’ultimo parere politico espresso dal vecchio riformista prima della sua morte. Erano i primi di aprile. Amendola e Pertini si incontrarono in Via Po. La discussione si fece subito accesa. Sintetizzando la posizione prevalente nel Partito socialista, Pertini dichiarò la sua netta contrarietà alle nuove posizione espresse dai comunisti in seguito alla "[[svolta di Salerno]]".
«Mentre urlavamo – ricorda Amendola – si avvicinò Buozzi, proveniente da piazza Quadrata [attuale piazza Buenos Aires - ''N.d.E.''] . "Ma siete pazzi – ci investì – gridate come ossessi, vi si sente da piazza Quadrata". Informato dell’oggetto della discussione, disse che l’iniziativa di Togliatti gli era sembrata saggia e che egli si augurava che si concludesse in modo positivo. "Vedi – esclamò Sandro – solo i riformisti vi danno ragione", e si allontanò senza salutare»<ref>[[Giorgio Amendola]], Lettera a Milano, op. cit., p. 309. riportata in Gabriele Mammarella, ''Bruno Buozzi 1881-1944. Una storia operaia di lotte, conquiste e sacrifici'', [[2014]], Ediesse, pag.326.</ref>.
 
Quella di Pertini era peraltro la posizione, sia pure con diverse sfumature, di tutto il gruppo dirigente del PSIUP, ignaro delle decisioni assunte nella [[conferenza di Teheran]] (28 novembre - 1º dicembre 1943), nella quale i "tre grandi" iniziarono a prefigurare la divisione delle sfere d'influenza delle tre grandi potenze in Europa<ref>R. Crockatt, ''Cinquant'anni di Guerra fredda'', pp. 67-70.</ref>, e quindi convinto della possibilità di un'evoluzione in senso socialista della lotta di Liberazione e del nuovo assetto istituzionale dell'Italia.
 
=== Dalla liberazione di Roma a quella di Firenze ===
Nel maggio del 1944, Pertini si diresse a [[Milano]] con [[Guido Mazzali]] per partecipare attivamente alla Resistenza come membro della giunta militare centrale del [[CLNAI]] e con l'intento politico di riorganizzare il partito socialista e la propaganda clandestina nelle regioni settentrionali<ref name= CulturalePertini />.
 
Nel luglio del [[1944]], dopo la [[liberazione di Roma]], venne richiamato da [[Pietro Nenni|Nenni]] nella capitale. Gli ordini erano di mettersi in contatto, a [[Genova]], con il monarchico [[Edgardo Sogno]] che lo avrebbe messo in contatto con gli alleati per farlo rientrare a Roma con un volo dalla [[Corsica]]. La situazione tuttavia si complicò: arrivato a [[Genova]] non trovò l'imbarcazione per raggiungere la Corsica, quindi cercò di attivarsi con Sogno per una soluzione alternativa<ref name = Firenze >[http://www.romanzieri.com/archives/001379.php Sandro Pertini. ''Quei giorni della liberazione di [[Firenze]]''. Pugliese, 2006. ISBN 88-86974-34-5], riportato anche da [http://www.pertini.it/cesp/doc_56.htm CESP - Documenti]</ref>.
[[File:Via ghibellina 109, casa di pertini.JPG|thumb|Firenze, via Ghibellina 109, la casa in cui fu nascosto Sandro Pertini]]
 
Pertini, che aveva dei contatti con i partigiani di [[La Spezia]], partì per la città ligure con l'intento di trovare lì il mezzo adatto al viaggio. E così fu, ma occorreva aspettare qualche giorno.
 
Tornò a Genova, ma venne a sapere che Sogno aveva già trovato un motoscafo ed era partito con altre persone per la Corsica lasciandolo al suo destino. Pertini si trovò quindi abbandonato, in territorio occupato, con una condanna a morte pendente e, nella sua [[Liguria]], facilmente riconoscibile, con l'ordine di rientrare a Roma.
[[File:Via ghibellina 109, targa sandro pertini.JPG|thumb|left|Firenze, via Ghibellina 109. La targa ricorda che nella casa fu nascosto Sandro Pertini]]
Decise di riparare nuovamente a La Spezia per cercare comunque di raggiungere la capitale: riuscì ad ottenere, da un industriale che riforniva i tedeschi, un lasciapassare per raggiungere [[Prato]], dopodiché da solo raggiunse [[Firenze]] a piedi.<ref name = Firenze/>
 
A [[Firenze]] si mise in contatto con il professore [[Gaetano Pieraccini]], nel suo studio di via Cavour, grazie al quale riuscì a trovare rifugio in via Ghibellina 109, presso la famiglia Bartoletti.
 
L'11 agosto prese parte agli scontri per la liberazione della città, organizzando l'azione del partito socialista e la stampa delle prime copie del giornale socialista ''[[Avanti!]]'':
 
{{Citazione|Mi rivedo così tra il luglio e l'agosto [[1944]] alla vigilia dell'insurrezione, in [[Firenze]], dove il mio destino mi aveva portato... Lo stato di emergenza dichiarato dai tedeschi, disumano ed implacabile, durava ormai da più di una settimana. Le rappresaglie naziste si succedevano alle rappresaglie, le fucilazioni alle fucilazioni, la vita diventava ogni giorno più dura e più difficile; le speranze si spegnevano nei nostri cuori; molti di noi si sentivano già nell'ombra della morte. Quel martirio sembrava non avere più fine, quando improvvisamente all'alba dell'undici agosto, la "Martinella" - il vecchio campanone di [[Palazzo Vecchio]] - suonò a distesa; risposero festose tutte le campane di Firenze. Era il segnale della riscossa. Scendemmo, allora, tutti i piazza; i fratelli nostri d'oltre [[Arno]] passarono sulla destra, i partigiani scesero dalle colline, la libertà finalmente splendeva nel cielo di Firenze. Ci mettemmo subito al lavoro; tutti i compagni si prodigavano in modo commovente. Il nostro fu il primo Partito a pubblicare un manifesto rivolto alla cittadinanza e pensammo di fare uscire immediatamente l<nowiki>'</nowiki>''Avanti!'' sotto la direzione del compagno Albertoni... Nel pomeriggio dell'undici agosto noi tutti uscimmo dalla sede del Partito di via San Gallo con pacchi di ''Avanti!'' ancora freschi di inchiostro e ci trasformammo in strilloni. L<nowiki>'</nowiki>''Avanti!'' andò a ruba. Ricordo un vecchio operaio. Mi venne incontro con le braccia tese chiedendomi con voce tremante un ''Avanti!''. Il suo volto, splendente di una luce che si irradiava dal suo animo, sembrava improvvisamente ringiovanire. Preso l<nowiki>'</nowiki>''Avanti!'' se lo portò alla bocca, baciò la testata piangendo come un fanciullo. Sembrava un figlio che dopo anni di forzata lontananza ritrova la madre<ref>cfr. Sandro Pertini, ''Cinquantenario dell'Avanti!'', numero unico del 25 dicembre [[1946]], nel [http://www.pertini.it/cesp/doc_60.htm sito web del Centro Espositivo "Sandro Pertini" di Firenze].</ref>.}}
 
=== Il trasferimento al Nord e la liberazione di Milano ===
{{Vedi anche|Caduta della Repubblica Sociale Italiana|Morte di Mussolini}}
Arrivato a Roma capì presto che la sua presenza era inutile e manifestò l'intenzione di tornare al nord, dove era il segretario del Partito Socialista per tutta l'Italia occupata e faceva parte del [[Comitato di Liberazione Nazionale|Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia]] - CLNAI in rappresentanza del partito<ref>Sandro Pertini, ''Italia del Nord'', l'''[[Avanti!]]'', 24 agosto 1944, riportato da [http://www.pertini.it/cesp/doc_58.htm CESP - Documenti]</ref>.
[[File:P 043.gif|thumb|Il falso documento di identità intestato a Nicola Durano di [[Siracusa]] utilizzato da Pertini durante la [[Resistenza Italiana|Resistenza]]]]
 
Gli furono forniti dei documenti falsi, una patente di guida a nome di Nicola Durano, e con un volo aereo venne trasferito da [[Napoli]] a [[Lione]], poi a [[Digione]] e, una volta arrivato a [[Chamonix]], entrò in contatto con la [[Resistenza francese]]. Il percorso di rientro fu previsto attraverso il [[Monte Bianco]] e fu condotto sul [[Via dei Trois Mont Blanc|Col du Midi]] assieme a Cerilo Spinelli, il fratello di [[Altiero Spinelli|Altiero]], con una teleferica portamerci, per poi intraprendere l'attraversamento della [[Mer de Glace]] e prendere contatto con i partigiani [[Val d'Aosta|valdostani]], grazie all'aiuto del campione francese di sci [[Émile Allais]]. Arrivò ad [[Aosta]] e poi ad [[Ivrea]], evitando pattuglie e posti di blocco dei tedeschi, fino a [[Torino]] e quindi a [[Milano]]<ref>Sandro Pertini, intervista rilasciata alla Radio Televisione Aosta, Roma, 18 gennaio 1979, riportata da [[Gianni Bisiach]] (op. cit.) e da [http://www.pertini.it/cesp/doc_57.htm CESP - Documenti]</ref>.
 
Il 29 marzo del [[1945]] costituì, con [[Leo Valiani]] per il [[Partito d'Azione]] ed [[Emilio Sereni]] per il [[Partito Comunista Italiano|PCI]] (supplente di [[Luigi Longo]]), un comitato militare insurrezionale in seno al CLNAI con lo scopo di preparare l'insurrezione di [[Milano]] e l'occupazione della città. Il 25 aprile [[1945]] fu lo stesso Pertini a proclamare alla radio<ref>[http://www.pertini.it/cesp/audio_01.htm CESP - Audio] Audio dell'annuncio radiofonico</ref> lo sciopero generale insurrezionale della città:
 
{{Citazione|Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.}}
{{Multimedia|allineamento = sinistra|larghezza = 300|file = Pertini proclama lo sciopero generale a Milano 25 aprile 1945.ogg|titolo = Sandro Pertini|descrizione = Milano 25 aprile 1945 - proclamazione dello sciopero generale contro i nazi-fascisti}}
Alle 8 del mattino del 25 aprile, il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a [[Milano]]. L'esecutivo, presieduto da [[Luigi Longo]], [[Emilio Sereni]], Sandro Pertini e [[Leo Valiani]] (presenti tra gli altri anche [[Rodolfo Morandi]] – che venne designato presidente del CLNAI –, [[Giustino Arpesani]] e [[Achille Marazza]]), proclamò ufficialmente l'insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI e la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti<ref>[http://www.associazioni.milano.it/isec/ita/cronologia/crono25apr.htm Fondazione ISEC - cronologia dell'insurrezione a Milano - 25 aprile]</ref> (tra cui ovviamente [[Benito Mussolini|Mussolini]], che sarebbe stato catturato e fucilato tre giorni dopo). Il decreto, trasmesso via radio, recitava:
 
{{Citazione|I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all'attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l'ergastolo.|Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945}}
 
Tale risoluzione era però in conflitto con l'articolo 29 dell'[[armistizio lungo]], secondo il quale Mussolini avrebbe dovuto essere consegnato agli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]]:
{{Citazione|Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire si trovino in territorio controllato dal Comando militare alleato o dal Governo italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite. Tutti gli ordini impartiti dalle Nazioni Unite a questo riguardo verranno osservati<ref>{{cita web|url=http://www.cassibilenelmondo.it/Lungo_armistizio.htm|titolo=Armistizio lungo del 29 settembre 1943}}</ref>.}}
 
Quello stesso giorno, presso l'arcivescovado di Milano, ci fu comunque un tentativo di mediazione richiesto da Mussolini e favorito dal cardinale [[Ildefonso Schuster]]. Don [[Giuseppe Bicchierai]], segretario dell'arcivescovo, s'incaricò di contattare il CLNAI; alla riunione con Mussolini (con lui, tra gli altri, [[Rodolfo Graziani]] e [[Carlo Tiengo]]), nel primo pomeriggio, parteciparono inizialmente [[Raffaele Cadorna Jr|Raffaele Cadorna]] (comandante del [[Corpo volontari della libertà]]), [[Riccardo Lombardi (politico)|Riccardo Lombardi]] del [[Partito d'Azione]], [[Giustino Arpesani]] del [[Partito Liberale Italiano|Partito Liberale]] e [[Achille Marazza]] della [[Democrazia Cristiana]]. Pertini non fu rintracciato in quanto era impegnato in un comizio nella fabbrica insorta della [[Borletti]]<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/1995/settembre/08/Schuster_sara_beato_Cosi_salvo_co_0_95090810287.shtml Leo Valiani - Quel 25 aprile in cui lo conobbi - Archivio storico del Corriere]</ref><ref name=bandini>{{cita|Bandini|pp. 75-76}}.</ref>. Nel colloquio cominciò a palesarsi la possibilità di un accordo: il CLNAI avrebbe accettato la resa, garantendo la vita ai fascisti, considerando Mussolini prigioniero di guerra e quindi consegnandolo agli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]]<ref name=PertSchuster>{{cita news|autore=Sandro Pertini|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/09/Mussolini_Schuster_Pertini_scriveva_che_co_0_9605098884.shtml|titolo=Mussolini e Schuster, Pertini scriveva che...|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=9|mese=5|anno=1996|accesso=19 aprile 2009}} Lettera scritta da Pertini a [[Riccardo Lombardi (politico)|Riccardo Lombardi]].</ref>. Ad un certo punto però giunse la notizia che i tedeschi avevano già avviato trattative con gli alleati anglo-americani: Mussolini adirato disse di essere stato tradito dai tedeschi e abbandonò la riunione, con la promessa di comunicare entro un'ora le sue intenzioni.<ref name=BertoldiSchuster>{{cita news|autore=Silvio Bertoldi|url=http://archiviostorico.corriere.it/1995/aprile/18/Duce_cardinale_Tedeschi_traditori__co_0_950418699.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110520060621/http://archiviostorico.corriere.it/1995/aprile/18/Duce_cardinale_Tedeschi_traditori__co_0_950418699.shtml|titolo=Mussolini e Schuster, Pertini scriveva che...|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=9|mese=5|anno=1996|accesso=19 aprile 2009|urlmorto=sì|dataarchivio=20 maggio 2011}} Lettera scritta da Pertini a [[Riccardo Lombardi (politico)|Riccardo Lombardi]].</ref><ref>Una ricostruzione abbastanza fedele dell'incontro tra [[Benito Mussolini|Mussolini]] ed il [[Comitato di Liberazione nazionale|CLN Alta Italia]] all'arcivescovado di [[Milano]] è contenuta nel film "''[[Mussolini, ultimo atto]]''" del [[1974]], diretto da [[Carlo Lizzani]], in cui Benito Mussolini è interpretato da [[Rod Steiger]] doppiato da [[Nando Gazzolo]], il cardinale [[Alfredo Ildefonso Schuster|Schuster]] da [[Henry Fonda]] doppiato da [[Giorgio Piazza]], [[Rodolfo Graziani]] da Rodolfo Dal Pra, [[Raffaele Cadorna (1889-1973)|Raffaele Cadorna]] da [[Giuseppe Addobbati]], [[Leo Valiani]] da [[Giuseppe Rinaldi]], Sandro Pertini da [[Sergio Graziani]],</ref>
 
In quegli istanti giunsero alla spicciolata Sandro Pertini, [[Leo Valiani]] ed [[Emilio Sereni]], del comitato militare insurrezionale del CLNAI. Pertini incrociò sulle scale, per la prima e unica volta, Mussolini che scendeva; secondo alcune versioni l'esponente socialista era armato di pistola, cosa smentita poi in più di un'intervista (a [[Gianni Bisiach]] nel 1977 e ad [[Enzo Biagi]] nel 1983).<ref>{{Cita web|url=http://www.youtube.com/watch?v=hBYdJ9xBAO4|titolo=Tratto da "Sandro Pertini: Un presidente amato" di Enzo Biagi del 1983.}}</ref> L'equivoco nacque dal fatto che scrisse sull'''[[Avanti!]]'': «lui (Mussolini - N.d.E.) scendeva le scale, io le salivo. Era emaciato, la faccia livida, distrutto».<ref name= Avanti1945 >''A Milano e a Torino nella fiammata insurrezionale'', in ''Avanti!'', 6 maggio 1945, riportato da [http://www.pertini.it/cesp/doc_59.htm CESP - Documenti]</ref> Anni dopo, sulle colonne dello stesso giornale, dichiarò: «Se lo avessi riconosciuto lo avrei abbattuto lì, a colpi di rivoltella».<ref name=bandini/> Le versioni raccontate da Pertini nelle interviste, invece, non lasciano spazio a dubbi:
{{citazione|No, questa no, è una sciocchezza, che non ho fatto, né potevo fare (...) Mentre salivo lo scalone ho visto scendere un gruppo di persone. Mi giro, e ho riconosciuto Mussolini. (...) Vedo scendere un gruppo di persone e riconosco Mussolini. (...) Mussolini veniva giù... torvo in volto, il volto disfatto, molto accigliato, irritato anzi.|Intervista di Gianni Bisiach<ref>Dal programma ''Testimoni oculari'' di Gianni Bisiach</ref>}}
{{citazione|Mentre parlavo agli operai, arrivò un compagno tutto trafelato che mi disse: "C'è Mussolini che si sta incontrando all'arcivescovado con [[Riccardo Lombardi (politico)|Lombardi]], [[Raffaele Cadorna (1889-1973)|Cadorna]] e gli altri". Io rimasi sorpreso, dopo pochi minuti arrivai all'Arcivescovado. Salendo il grande scalone (non è vero che avessi la rivoltella in mano, storie romanzate), vedo un gruppo che scende vestito con l'orbace e tra questi c'era Mussolini. Era molto emaciato, pallido, irriconoscibile, non era più il baldanzoso delle fotografie.|Intervista di Enzo Biagi<ref>[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=PERBiagiIntervistaPertini ''Enzo Biagi intervista Pertini'']</ref>}}
 
Giunto nella sala dell'arcivescovado, si ebbe tra Pertini (appoggiato da Sereni) e gli altri un veemente scambio di battute: Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini<ref name= BertoldiSchuster />; richiese inoltre che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, fosse consegnato ad un Tribunale del popolo e non agli Alleati<ref name= PertSchuster/>. [[Carlo Tiengo]], che era rimasto in arcivescovado, a questo punto telefonò a Mussolini comunicandogli le intenzioni dei due delegati del PSIUP e del PCI; ottenuta la risposta comunicò ai delegati e all'arcivescovo il rifiuto di Mussolini ad arrendersi<ref name= PertSchuster/>, il quale la sera stessa partì in direzione del [[lago di Como]].
 
Pertini associò sempre in massima parte a quel suo intervento all'arcivescovado la causa del fallimento della trattativa e la conseguente morte del Duce. In particolare, nel [[1965]] scrisse:
 
{{Citazione|Da tutto questo appare chiaro che il mio intervento presso il cardinale (intervento appoggiato solo dal compagno Emilio Sereni, ma con molta energia) spinse Mussolini a non arrendersi. E soprattutto appare chiaro che se la sera del 25 aprile il compagno Sereni ed io non fossimo andati all'arcivescovado e se quindi Mussolini si fosse arreso al CLNAI sarebbe stato consegnato al colonnello inglese [[Max Salvadori]]<ref>[[Max Salvadori]], cognato di [[Emilio Lussu]], colonnello alleato in clandestinità a Milano con il compito di tenere i contatti tra i Partigiani e gli Alleati - [http://archiviostorico.corriere.it/1992/agosto/11/quando_Max_arrivo_dal_cielo_co_0_9208116093.shtml Biografia di Max Salvadori ad opera di Leo Valiani - Archivio storico del Corriere]</ref>, il che voleva dire consegnarlo di fatto agli Alleati (ed oggi sarebbe qui, a Montecitorio...).<ref>[http://www.fondazionepertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto=183&IdSottoSez=11 Sandro Pertini. Resistenza: patrimonio di tutti, ''Avanti!'', 16 aprile 1965]</ref>}}
[[File:1945 COMIZIO 26 APRILE PERTINI A MILANO.jpg|thumb|26 aprile [[1945]]. Pertini tiene un affollato comizio nella [[Milano]] appena liberata.]]
 
Tuttavia, secondo altre fonti, tale evento non avrebbe avuto un'influenza decisiva su una decisione (quella della partenza), di fatto già stabilita da Mussolini<ref>Franco Bandini, ''op. cit.'', e G. Bianchi, F. Mezzetti, ''Mussolini Aprile '45: L'epilogo'', Editoriale Nuova, 1985</ref>.
 
Il giorno dopo Pertini tenne un affollato comizio in [[Piazza del Duomo (Milano)|Piazza Duomo]].
 
Poco dopo, a Radio Milano Libera, annunciò la vittoria dell'insurrezione e l'imminente fine della guerra.
 
Il 27 aprile, fortemente convinto della necessità di condannare a morte il capo del fascismo, arrestato a [[Dongo (Italia)|Dongo]] il giorno precedente, disse alla radio:
 
{{Citazione|Mussolini, mentre giallo di livore e di paura tentava di varcare la frontiera svizzera, è stato arrestato. Egli dovrà essere consegnato ad un tribunale del popolo, perché lo giudichi per direttissima. E per tutte le vittime del fascismo e per il popolo italiano dal fascismo gettato in tanta rovina egli dovrà essere e sarà giustiziato. Questo noi vogliamo, nonostante che pensiamo che per quest'uomo il plotone di esecuzione sia troppo onore. Egli meriterebbe di essere ucciso come un cane tignoso.<ref>[http://www.fondazionepertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto=55&IdSottoSez=11 Discorso del 27 aprile], dal sito del CESP.</ref>}}
 
Il 28 aprile Mussolini fu fucilato e il giorno dopo il suo cadavere, insieme a quello della sua compagna [[Claretta Petacci]] e a quelli di altri gerarchi del regime sconfitto, fu esposto all'odio della folla a [[Piazzale Loreto]]. Pertini commentò: «L'insurrezione si è disonorata».<ref>{{cita news|autore=Ettore Botti|url=http://archiviostorico.corriere.it/2001/settembre/20/scempio_del_duce_nel_giorno_co_0_01092011548.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110520060548/http://archiviostorico.corriere.it/2001/settembre/20/scempio_del_duce_nel_giorno_co_0_01092011548.shtml|titolo=Lo scempio del duce nel giorno della vergogna|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=20|mese=9|anno=2001|accesso=22 marzo 2009|urlmorto=sì|dataarchivio=20 maggio 2011}}</ref>
 
In seguito, riguardo alle vicende finali della vita del dittatore, scrisse sulle colonne dell<nowiki>'</nowiki>''Avanti!'':
 
{{Citazione|Mussolini si comportò come un vigliacco, senza un gesto, senza una parola di fierezza. Presentendo l'insurrezione si era rivolto al cardinale arcivescovo di Milano chiedendo di potersi ritirare in [[Valtellina]] con tremila dei suoi. Ai partigiani che lo arrestarono offrì un impero, che non aveva. Ancora all'ultimo momento piativa di aver salva la vita per parlare alla radio e denunciare [[Hitler]] che, a suo parere, lo aveva tradito nove volte.<ref name= Avanti1945/>}}
 
In ottemperanza al decreto del CLN, ordinò inoltre al partigiano [[Corrado Bonfantini]], comandante della [[Brigata Matteotti]], la fucilazione del maresciallo [[Rodolfo Graziani]]. Il 28 aprile Bonfantini arrestò il generale fascista e si adoperò invece per salvargli la vita; il giorno dopo Graziani si consegnò agli Alleati.<ref>{{cita libro|Luigi|Borgomaneri|''Due inverni, un'estate e la rossa primavera: le Brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943-1945)''|1985|Edizioni Franco Angeli|Milano}} p. 296.</ref>
[[File:Partigiani sfilano per le strade di milano.jpg|thumb|left|Partigiani sfilano per le strade di Milano]]
Gli ultimi scontri nella città si sarebbero conclusi solo il 30 aprile.<ref>[http://www.associazioni.milano.it/isec/ita/cronologia/crono30apr.htm Fondazione ISEC - cronologia dell'insurrezione a Milano - 30 aprile]</ref> Per le sue attività durante la Resistenza, e in particolare per la sua partecipazione alla difesa di Roma e alle insurrezioni di [[Firenze]] e di Milano, Pertini verrà insignito della [[medaglia d'oro al valor militare]].
 
Secondo Pertini, le emozioni provate durante la Liberazione di Milano furono un'esperienza che confermarono la sua idea della «capacità del popolo italiano di compiere le più grandi cose qualora fosse animato dal soffio della libertà e del socialismo»<ref name= Avanti1945 />. Tuttavia, come spesso egli ricordava malinconicamente, mentre il 26 aprile partecipava alla festa per l'avvenuta liberazione, suo fratello minore Eugenio veniva assassinato nel [[campo di concentramento di Flossenbürg]]<ref name = Eugenio >[http://www.pertini.it/cesp/video/eugenio.wmv CESP - Video] Intervista</ref>.
 
Il partigiano [[Giuseppe Marozin]], detto "Vero", imputato del duplice omicidio degli attori fascisti [[Osvaldo Valenti]] e [[Luisa Ferida]], avvenuta il 30 aprile in via Poliziano a Milano, si è difeso scrivendo nelle sue memorie che sarebbe stato Pertini ad ordinare la fucilazione dei due famosi attori cinematografici.<ref>[[Giuseppe Marozin]], ''Odissea Partigiana - i 19 della Pasubio'', 1965, Milano, p. 69</ref> I due avevano aderito alla [[Repubblica Sociale Italiana]]; Valenti era un ufficiale della famigerata [[Xª Flottiglia MAS (RSI)|Xª Flottiglia MAS]], ed entrambi erano accusati di aver partecipato alle azioni del gruppo di torturatori conosciuto come "[[Banda Koch]]".
<ref>{{cita libro|Odoardo|Reggiani|Luisa Ferida, Osvaldo Valenti. Ascesa e caduta di due stelle del cinema|2001|Spirali|Milano|isbn=88-7770-576-0}} p. 166.</ref>
<ref>{{cita news|autore=Silvio Bertoldi|url=http://archiviostorico.corriere.it/2001/luglio/31/Luisa_Ferida_Osvaldo_Valenti_Dai_co_0_0107311334.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110520060323/http://archiviostorico.corriere.it/2001/luglio/31/Luisa_Ferida_Osvaldo_Valenti_Dai_co_0_0107311334.shtml|titolo=Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, dal set al muro|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=24|mese=6|anno=2001|accesso=26 marzo 2009|urlmorto=sì|dataarchivio=20 maggio 2011}}</ref>
<ref>{{cita news|autore=Silvio Bertoldi|url=http://archiviostorico.corriere.it/2001/luglio/31/Luisa_Ferida_Osvaldo_Valenti_Dai_co_0_0107311334.shtml|titolo=Luisa Ferida e Osvaldo Valenti dai telefoni bianchi al sangue di Salò|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=31|mese=7|anno=2001|accesso=26 marzo 2009}}</ref> Non ci sono tuttavia altre fonti che confermino il coinvolgimento di Pertini nella decisione di uccidere i due attori.
 
== Il dopoguerra ==
 
Il 2 agosto del [[1945]] Pertini divenne segretario del [[Partito Socialista Italiano#La nascita del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria - PSIUP|PSIUP]], a seguito della dimissioni dalla carica di [[Pietro Nenni]], divenuto vice-Presidente del Consiglio dei Ministri nel [[governo Parri]]. Mantenne l'incarico fino al 18 dicembre dello stesso anno, quando fu sostituito da [[Rodolfo Morandi]].
 
=== Pertini al XXIV Congresso del PSI a Firenze ===
[[File:Silone Lombardo Pertini.JPG|thumb|left|[[Ignazio Silone]], [[Ivan Matteo Lombardo]] e Pertini al XXIV Congresso del [[Partito Socialista Italiano|PSI]] (PSIUP) di Firenze del [[1946]]]]
Al XXIV congresso socialista, il primo del PSIUP e del dopoguerra, che si svolse al teatro comunale di [[Firenze]], tra l’11 e il 17 aprile del [[1946]],
Pertini si trovò a presentare una mozione assieme a [[Ignazio Silone]] in difesa dell’autonomia e dell’indipendenza del partito dai comunisti.
La contrapposizione fu con la maggioranza del PSIUP che faceva capo a [[Lelio Basso|Basso]] e [[Rodolfo Morandi|Morandi]] con la copertura di [[Pietro Nenni|Nenni]], i quali, pur accantonata la prosepttiva della "fusione" del PSIUP con il PCI (per sanare la divisione del movimento operaio determinata dalla "[[scissione di Livorno]]")<ref>A questa prospettiva restavano legati ormai solo [[Oreste Lizzadri|Lizzadri]] e [[Francesco Cacciatore|Cacciatore]] che poi furono indotti a ritirare il loro documento e a convergere sulla mozione Morandi-Basso.</ref>, sostenevano la necessità dell'azione comune di socialisti e comunisti in vista dell'instaurazione di una società socialista in Italia.
La mozione di Pertini e Silone trovò l'adesione anche dei giovani raccolti attorno alla rivista ''Iniziativa socialista'', che contestavano i governi ciellenisti e sognavano una rivoluzione libertaria e non [[lenin]]ista<ref>Saranno poi il perno su cui [[Giuseppe Saragat|Saragat]] agirà nel [[1947]] per far scattare la molla della [[Partito Socialista Democratico Italiano#La scissione di palazzo Barberini|scissione socialdemocratica]].</ref>.
 
Gli autonomisti più intransigenti erano raccolti nella mozione di ''Critica sociale'': [[Giuseppe Saragat|Saragat]], [[Giuseppe Faravelli|Faravelli]], [[Giuseppe Emanuele Modigliani|Modigliani]], [[Ludovico D'Aragona|D’Aragona]], [[Alberto Simonini|Simonini]].
 
Il confronto, anzi lo scontro congressuale, non fu più sul tema dell’attualità o meno della fusione, ma sul modello di socialismo. Saragat, nel suo intervento, richiamò il fatto che «lo sviluppo di un socialismo autocratico e autoritario (era) uno dei problemi attuali» e gli contrapponeva il suo socialismo democratico. Basso parlò di un profondo dissenso «tra lo spirito classista e lo spirito liberalsocialista».
 
Alla fine il congresso diede un esito clamoroso. Le mozioni di Pertini, Silone e di ''Critica sociale'' raggiunsero il 51 per cento, quella cosiddetta di Base, cioè di Basso e Morandi, solo il 49. La Direzione venne composta per metà da membri della mozione di Base e per metà da esponenti delle altre due. Nenni, ex segretario, fu eletto alla presidenza del PSIUP e segretario del partito venne eletto [[Ivan Matteo Lombardo]], un esponente abbastanza conosciuto (ma non certo un leader), e non Pertini, come ci si attendeva.
 
=== Il matrimonio con Carla Voltolina ===
[[File:Carla Voltolina.gif|thumb|Carla Voltolina]]
Pochi giorni dopo la conclusione della battaglia referendaria per l'instaurazione della Repubblica (2 giugno [[1946]]), l'8 dello stesso mese Pertini sposò la giornalista e staffetta partigiana [[Carla Voltolina]], conosciuta pochi mesi prima a [[Torino]], dopo il suo attraversamento del massiccio del [[Monte Bianco]] per rientrare a [[Milano]].
 
=== Direzione dell'''Avanti!'' ===
[[File:Pertini direzione Avanti 1945-3.jpg|thumb|left|Pertini nella direzione dell'''[[Avanti!]]'' nel [[1945]]]]
Dall'agosto [[1946]] al gennaio [[1947]] e dal maggio [[1949]] all'agosto [[1951]]<ref name= intini>cfr. [[Ugo Intini]], ''Avanti! Un giornale, un'epoca'', Ponte Sisto, Roma, 2012, pag. 738.</ref> fu direttore del quotidiano socialista ''[[Avanti!]]''. Dall'aprile del [[1947]] al giugno del [[1968]] fu anche direttore del quotidiano genovese ''[[Il Lavoro (quotidiano)|Il Lavoro]]''.
 
In una pagina del sito web della Fondazione "Sandro Pertini" è ricordato che, all<nowiki>'</nowiki>''Avanti!'', «il Direttore Sandro Pertini, negli anni che vanno dal [[1952]] al [[1954]], dormiva nella segreteria di redazione che era stata trasformata in camera, dove aveva una rete metallica con quattro piedi di ferro aggiunti per alzarla, un materasso fatto di ritagli di stoffa e un lavabo in ferro battuto con una caraffa.»<ref>[http://www.fondazionepertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto=800&IdSottoSez=48 Fondazione "Sandro Pertini"]</ref>
Tuttavia, in nessuna fonte storica e documentale di provata attendibilità sulla vita del leader socialista ligure è rimasta traccia di tale direzione dell<nowiki>'</nowiki>''Avanti'' dal 1952 al 1954, oltre alle due, assolutamente certe, dall'agosto 1946 al gennaio 1947, e dal maggio 1949 all'agosto 1951.
 
Al contrario, in ''Avanti! Un giornale, un'epoca'' di [[Ugo Intini]]<ref name= intini/>, ex-direttore del quotidiano socialista, risulta che il direttore dell<nowiki>'</nowiki>''Avanti'' nel periodo 1952-1954 sia stato l'on. [[Tullio Vecchietti]].
 
L'episodio riferito nel sito web della Fondazione "Sandro Pertini" è probabilmente riconducibile al periodo agosto 1946-gennaio 1947, quando, a causa delle distruzioni belliche, era difficile trovare a Roma un alloggio in centro a prezzi abbordabili.
 
=== La partecipazione all'Assemblea Costituente ===
 
Nelle [[Elezioni politiche italiane del 1946|elezioni politiche del 2 giugno]] [[1946]] fu eletto deputato nella lista socialista per l'[[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana|Assemblea Costituente]],<ref>[http://legislature.camera.it/chiosco.asp?cp=1&position=Assemblea%20Costituente\I%20Costituenti&content=altre_sezioni/assemblea_costituente/composizione/costituenti/framedeputato.asp?Deputato=1d4610 Camera.it Dati personali e incarichi nella Costituente]</ref>, nella quale intervenne nella stesura degli articoli del Titolo I, sui rapporti civili.
 
Appoggiò inoltre il lavoro delle [[commissione di epurazione|commissioni di epurazione]] e fu subito decisamente avverso all'attuazione dell'[[Amnistia Togliatti|amnistia voluta da Togliatti]] nei confronti dei reati politici commessi dai responsabili dei crimini fascisti<ref>{{cita|Woller|pp. 540-541}}.</ref><ref>{{cita|Franzinelli|pp. 126-127}}.</ref>.
 
In tal senso, durante i lavori dell'Assemblea, intervenne il 22 luglio [[1946]] con un'interrogazione parlamentare nei confronti del [[Ministero della giustizia|ministro di Grazia e Giustizia]] [[Fausto Gullo]] ([[Partito Comunista Italiano|comunista]]), che verteva sulle motivazioni dell'interpretazione largheggiante del provvedimento di [[amnistia]], sull'inadempimento del [[governo De Gasperi II|governo De Gasperi]] nell'applicare il decreto di reintegro dei lavoratori antifascisti allontanati dal lavoro per motivi politici durante il regime, sull'emanazione di provvedimenti atti a difendere la Repubblica contro i suoi nemici.<ref name = Seduta220746 >cfr. [http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed010/sed010nc.pdf Resoconto stenografico della seduta dell'Assemblea Costituente del 22/07/46], pagg. 207-212</ref><ref>vedi anche la replica alla risposta alla sua interrogazione nel sito web della [http://www.fondazionepertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto=173&IdSottoSez=11 Fondazione Pertini]:
{{Citazione|Mi duole, ma non posso dichiararmi soddisfatto della risposta datami dall’Onorevole Ministro della giustizia. Con mia grande sorpresa ho sentito dall’onorevole Ministro della giustizia che il Governo non può emanare norme interpretative di una legge. Il Governo non le può emanare in quanto potere esecutivo, ma siccome il Governo che ha emanato il decreto d’amnistia, come l’attuale Governo, aveva anche il potere legislativo, aveva la possibilità di emanare norme interpretative. Richiamo alla mente dell’onorevole Ministro della giustizia gli studi che egli ha fatto per diventare avvocato.
Egli ricorderà che, oltre all’interpretazione di carattere analogico e letterale, vi è anche una cosiddetta interpretazione di carattere autentico. Quando si ha, onorevole Ministro della giustizia, questa interpretazione autentica? Si ha quando il legislatore con un provvedimento di legge interpreta se stesso. Noi siamo contrari ad ogni intervento del potere esecutivo sul potere giudiziario; quindi siamo contrari all’emanazione di circolari da parte del Ministero della giustizia per interpretare la legge. Questo sì che è contro la legge! Questa è un’interferenza del potere esecutivo sul potere giudiziario. Invece il Governo, in quanto aveva il potere legislativo, quando si avvide (e noi sappiamo che si avvide in tempo), che l’articolo 3 veniva interpretato in modo troppo lato e, l’ha detto oggi l’onorevole Ministro, in modo anche errato, aveva il dovere di intervenire immediatamente con provvedimento legislativo interpretativo, onde ovviare a questi errori e ad interpretazioni di carattere troppo lato. L’articolo 3 del decreto in parola dice: "È concessa amnistia per i delitti ecc., salvo che siano stati compiuti da persone rivestite di elevate funzioni e di direzione civile o politica o di comando militare, ovvero siano stati commessi fatti di stragi, sevizie particolarmente efferate, ecc.".
Balza agli occhi di chiunque, onorevole Ministro della giustizia, che la distinzione fra chi ha rivestito cariche di elevata o non elevata funzione, può variare da giudice a giudice, perché si presta ad un apprezzamento di carattere soggettivo, specialmente nella cosiddetta amnistia impropria, cioè quando questa viene applicata prima ancora che il giudizio sia celebrato e sia stata pronunciata una vera e propria sentenza. Difatti, attraverso queste maglie del decreto di amnistia, noi abbiamo visto uscire non soltanto coloro che dell’amnistia erano meritevoli, cioè coloro che avevano commesso reati politici di lieve importanza, ma anche gerarchi: [[Nicola Sansanelli|Sansanelli]], [[Fulvio Suvich|Suvich]], Pala; abbiamo visto uscire propagandisti e giornalisti, che si chiamano [[Giovanni Ansaldo (giornalista)|Giovanni Ansaldo]], [[Bruno Spampanato|Spampanato]], [[Ermanno Amicucci|Amicucci]], [[Concetto Pettinato]], [[Ezio Maria Gray|Gray]]. Costoro, per noi, sono più responsabili di quei giovani che, cresciuti e nati nel clima politico pestifero creato da questi propagandisti, si sono arruolati nelle brigate nere ed in lotta aperta hanno affrontato i partigiani e ne hanno anche uccisi.
Questi giornalisti e questi propagandisti, che dalla radio e sui giornali hanno cercato di trasformare in fanatica convinzione nell’animo di questi giovani italiani tutte le determinazioni, tutti i provvedimenti pazzeschi e criminosi del fascismo, sono più responsabili di chi rivestiva un vero e proprio ufficiale incarico gerarchico. Attraverso queste maglie abbiamo visto uscire coloro che hanno incendiato i villaggi con i tedeschi, che hanno violentato donne colpevoli solo di avere assistito dei partigiani.
Guai, onorevole Ministro della giustizia, se per confermare quello che dico, dovessi dare lettura di tutte le proteste che giungono dalla provincia! A [[Bassano del Grappa]] hanno visto rientrare coloro che avevano incendiato Vinca e Bergiula. Altrettanto si dica per [[La Spezia]], dove hanno visto rientrare coloro che avevano incendiato i paesi che circondano il Golfo della Spezia. Attraverso queste maglie, abbiamo visto uscire anche dei seviziatori. Il giudice che li ha scarcerati ha ritenuto, nel suo apprezzamento soggettivo, che non si trattasse di sevizie efferate; ma andatelo a chiedere a coloro che sono stati seviziati, se le sevizie patite erano o no efferate.
Abbiamo visto uscire una parte della [[Pietro Koch|banda Koch]], la Marchi, la Rivera, Bernasconi. Onorevole Presidente di questa Assemblea, il nome di Bernasconi deve ricordarci qualche cosa: il nostro arresto e la nostra consegna ai tedeschi, e se non siamo stati fucilati non è stato per volontà del Bernasconi, ma per intervento dei patrioti di Roma, che ci fecero evadere da Regina Coeli. Tutti sanno come ha operato questa banda a Roma, poi a [[Firenze]] e quindi a [[Milano]]. Io sono stato, durante il periodo cospirativo e durante l’insurrezione, a Firenze. Questa banda consumava i suoi reati e le sue sevizie a [[Villa Triste#Villa Triste a Firenze|Villa Triste]]. Basta andare a Firenze e pronunciare questo nome per vedere il volto di centinaia di donne, spose, madri, coprirsi di orrore. Ebbene, in virtù dell’amnistia sono usciti una parte dei complici della [[Pietro Koch|banda Koch]] ed oggi sono in piena libertà.
Naturalmente, oltre all’uscita di tutti costoro, che per noi sono dei veri criminali e dei responsabili diretti dell’attuale situazione, abbiamo visto anche uscire molti fascisti i quali devono essere considerati dei complici necessari di quanto ha fatto il fascismo.
E vi è di più: l’articolo 3 dichiara amnistiati anche quei reati comuni, che sono connessi con reati di indole politica; di modo che si è verificata, come si verifica, questa incongruenza. Chi durante un rastrellamento ha compiuto un reato comune, solo perché è amnistiato per il rastrellamento, reato di indole politica, viene amnistiato anche per il reato comune.
Sicché, un partigiano, che subito dopo la guerra di liberazione ha commesso quello stesso reato comune - e l’ha commesso in quello stato d’animo che crea sempre la guerra ed ha creato anche la guerra di liberazione - egli rimane in carcere, perché il suo reato non viene amnistiato.
Quell’impiegato, che per vent’anni ha condotto vita onesta e non ha mai commesso atti di disonestà - ricordo la figura di Demetrio Pianelli - e che, trovandosi di fronte alla tragica situazione del Paese e della sua famiglia, e si è visto costretto a vendere quanto di più caro aveva per non vedere morire di fame le sue creature ed ha commesso un reato di peculato; egli deve rimanere in carcere, mentre quel funzionario, che collaborando coi tedeschi e facendo il delatore ha commesso lo stesso reato, soltanto perché il reato principale è reato di indole politica ed il reato comune è stato commesso nell’occasione di questo, è scarcerato.
Evidentemente, tutto questo non vale, onorevole Ministro della giustizia, a portare la pacificazione nel nostro Paese. Così si è verificato quello che il Ministro della giustizia del tempo [Palmiro Togliatti – N.d.E.] aveva previsto, quando scriveva questo nella sua relazione: "Un disconoscimento di questa esigenza, anziché contribuire alla pacificazione, contribuirebbe a rinfocolare odi e rancori, con conseguenze certamente per tutti incresciose".}}
</ref> Il suo intervento si concluse con alcune parole molto dure nei confronti del provvedimento e della sua applicazione da parte della magistratura e del governo:
 
{{Citazione|''Ricordiamo che l'epurazione è mancata: si disse che si doveva colpire in alto e non in basso, ma praticamente non si è colpito né in alto né in basso. Vediamo ora lo spettacolo di questa amnistia che raggiunge lo scopo contrario a quello per cui era stata emanata: pensiamo, quindi, che verrà un giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro il [[fascismo]] e costituirà colpa essere stati in carcere e al [[confino]] per questo''.<ref name = Seduta220746/>}}
 
Il leader [[Partito Comunista Italiano|comunista]] [[Palmiro Togliatti|Togliatti]] si sentì in dovere di intervenire subito dopo Pertini per difendere la bontà del provvedimento da lui varato quand'era stato Ministro di Grazia e Giustizia nel precedente [[governo Parri]]. Pur dichiarando di associarsi allo sdegno di Pertini per come l'amnistia era stata applicata in taluni casi, ricordò che il provvedimento di clemenza era stato approvato da tutti i partiti e minimizzò il numero delle scarcerazioni a fronte delle procedure pendenti<ref>cfr. [http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed010/sed010nc.pdf Resoconto stenografico della seduta dell'Assemblea Costituente del 22/07/46], pagg. 212-213</ref>.
 
L'azione politica di Pertini in quel periodo mirava anche al raggiungimento delle riforme sociali necessarie al recupero del paese, devastato sia dall'esperienza fascista, sia dalle tragedie della guerra, ma soprattutto al tentativo di eliminare radicalmente qualsiasi possibile rigurgito del regime mussoliniano.
 
=== L'impegno per evitare la "scissione di palazzo Barberini" ===
[[File:Nenni Pertini 1947.PNG|thumb|left|Pertini con [[Pietro Nenni]] nel 1947]]
 
Durante il XXV Congresso del [[Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria]], convocato in via straordinaria a [[Roma]] nella "città universitaria" tra il 9 e il 13 gennaio [[1947]], Pertini cercò di evitare la scissione dell'ala [[Riformismo|democratico-riformista]] di [[Giuseppe Saragat]].
Il congresso, voluto fortemente da [[Pietro Nenni|Nenni]] per analizzare la situazione di attrito tra le componenti di maggioranza e minoranza con l'obiettivo di riunire le diverse posizioni, fallì il suo scopo primario, nonostante gli sforzi di mediazione di Pertini.
Per giorni egli si pose al centro delle dispute nel tentativo di mediare tra le due correnti, ma, nonostante i suoi sforzi, «''la forza delle cose''», come la definì Nenni, portò alla scissione socialdemocratica, meglio nota come "[[Partito Socialista Democratico Italiano#La scissione di palazzo Barberini|scissione di palazzo Barberini]]", da cui nacque il [[Partito Socialista Democratico Italiano#La rifondazione del PSLI|Partito Socialista dei Lavoratori Italiani - PSLI]] (poi dal [[1951]] PSDI).
 
«Pertini non si rassegnò e decise di gettarsi a capofitto, com’era nella sua indole, nella baraonda congressuale recandosi personalmente a [[Palazzo Barberini]]<ref>in una sala oggi occupata dalla [[Gallerie nazionali d'arte antica|Galleria nazionale d'arte antica]]. A testimonianza dell'evento storico venne affissa una targa commemorativa sulla facciata principale del palazzo.</ref> per un disperato estremo tentativo. Quando arrivò venne accolto da un grido di vittoria, "Sandro, Sandro", coi delegati scissionisti tutti in piedi, convinti che anche Pertini si fosse unito a loro. Ma quando egli volle manifestare il suo proposito unitario, Saragat gli rispose ringraziandolo, ma dichiarando che ormai la scissione era stata consumata»<ref>[http://www.avantionline.it/2017/01/la-scissione-di-palazzo-barberini-terza-e-ultima-parte/#.WIr-pbGh2DV ''La scissione di palazzo Barberini'', Avantionline, 23 gennaio 2017].</ref>.
 
=== Pertini e il "caso Basile" ===
Sempre attento a contrastare ogni possibile "colpo di spugna" sul recente passato del regime fascista e la rinascita, sotto diverse forme, delle concezioni autoritarie mussoliniane, Pertini fu uno dei protagonisti della polemica politica sul cossiddetto "caso Basile".
[[Carlo Emanuele Basile]] era stato Capo della Provincia di [[Genova]] sotto la [[Repubblica Sociale Italiana]] dal 28 ottobre [[1943]] al 26 giugno [[1944]]. Nel capoluogo ligure erano presenti importanti realtà industriali ([[Ansaldo]], [[Acciaierie di Cornigliano|Siac]], [[Cantieri Navali del Tirreno e Riuniti|Cantieri Navali]], [[San Giorgio elettrodomestici|San Giorgio]], [[Piaggio]]) i cui operai si impegnarono in una serie di scioperi e sabotaggi per bloccare la produzione di materiale bellico e impedire il trasferimento degli impianti in Germania.
 
Poiché gli scioperi si susseguivano, il 1º marzo Basile ordinò l'affissione di un manifesto in cui minacciava, in caso di nuovo sciopero, la deportazione di un certo numero di operai, estratti a sorte, nei campi di concentramento "dell'estremo Nord"<ref>«''Genova 1º marzo 1944
 
PROCLAMA DEL PREFETTO FASCISTA BASILE
 
Agli operai un ultimo avviso del Capo della Provincia
Le misure delle autorità in caso di sciopero bianco o di allontanamento dal lavoro
Lavoratori,
c'è un vecchio proverbio che dice: Uomo avvisato è mezzo salvato. Vi avverto che qualora crediate che uno sciopero bianco possa essere preso dall'Autorità come qualcosa di perdonabile, vi sbagliate, questa volta.
 
Sia che incrociate le braccia per poche ore, sia che disertiate il lavoro, in tutte e due i casi un certo numero di voi tratti a sorteggio verrà immediatamente, e cioè dopo poche ore, inviato, non in Germania, dove il lavoratore italiano è trattato alla medesima stregua del lavoratore di quella Nazione nostra alleata, ma nei campi di concentramento dell'estremo Nord, a meditare sul danno arrecato alla causa della Vittoria: di una Vittoria da cui dipende la redenzione della nostra Patria disonorata non dal suo popolo eroico ma dal tradimento di pochi indegni.
 
Il capo della Provincia
Carlo Emanuele Basile''»
in http://xoomer.virgilio.it/Barudda/Diario/note_06-44.htm</ref>.
 
Il 16 giugno, dopo ulteriori scioperi e la serrata delle fabbriche disposta da Basile, i militari tedeschi irruppero in quattro fabbriche genovesi (la Siac, i Cantieri Navali, la San Giorgio e la Piaggio) prelevando quasi 1500 operai, che furono deportati in Germania e destinati a lavorare nelle fabbriche tedesche<ref>cfr. Paolo Arvati, Manlio Calegari, "Comunisti e partigiani: Genova 1942-45", 2001, pag. 196, riportato in [http://a-sinistra.blogspot.it/2013/06/16-giugno-una-tragedia-operaia-nella.html ''A sinistra: 16 giugno, una tragedia operaia nella Resistenza'']</ref>.
 
Due giorni dopo, il 18 giugno, escono sulla stampa cittadina due comunicati, uno del comando tedesco, l’altro di Basile che non vuole perdere l’occasione di rivendicare i suoi "meriti": «Vi avevo messo sull’avvertita… Non avete voluto ascoltarmi… Oggi più di uno di voi si pente amarissimamente di essersi lasciato sedurre ed illudere…… Intanto quei pendagli da forca che si gabellano per comunisti, si appostano all’angolo dei carruggi o all’uscita di un rifugio al cessato allarme, per colpire alla schiena uno dei nostri, borghese o militare… Meditate bene quanto sto per dire: la pazienza ha un limite…»<ref>cfr. Paolo Arvati, ''16 giugno, una tragedia operaia nella Resistenza'' in [http://a-sinistra.blogspot.it/2013/06/16-giugno-una-tragedia-operaia-nella.html ''A sinistra'']</ref>.
 
Rimosso dall'incarico, Basile fu poi nominato Sottosegretario per l'Esercito dal 26 giugno 1944 a fine guerra, quando fu catturato dai partigiani a [[Sesto San Giovanni]] mentre cercava di raggiungere [[Mussolini]] a [[Milano]], trasportando con sé una valigia contenente trenta milioni in valuta estera e oro provenienti dalla segreteria particolare del duce, che dovevano servire a favorire l'eventuale fuga di Mussolini e di altri gerarchi fascisti all'estero<ref>Silvio Bertoldi, ''La guerra parallela, 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945'', Milano 1963, pag. 213; ''Verbanus'', N. 23, 2002, pag. 127; P. Rauti, R. Sermonti, ''Storia del fascismo nel grande conflitto'', pag. 363, dove viene riportata la distinta che accompagnava il denaro che Basile stava trasportando: «franchi svizzeri: 10 biglietti da 1000 franchi; 200 da 50; 200 da 20; 200 da 5; 181 biglietti da 1000 franchi francesi; 1470 pezzi d'oro da 20 franchi. Il denaro qui contenuto qualora mi accadesse una disgrazia deve essere restituito alla segreteria particolare del duce»</ref>. Alla radio fu data notizia della sua cattura e fucilazione<ref>Carlo Chevallard, ''Diario 1942-1945. Cronache del tempo di guerra'', Torino 2005, pag. 512</ref>, ma, processato dai "tribunali del popolo" e portato per due volte di fronte al plotone di esecuzione, alla fine fu risparmiato in quanto (secondo la testimonianza resa in processo da chi lo fece prigioniero) si credeva potesse fare importanti rivelazioni<ref>cfr. ''Verbanus'', N.23, 2002, pag. 127</ref>. L'ordine di fucilarlo immediatamente era stato dato da Pertini, quale membro dell'esecutivo del [[Comitato di Liberazione Nazionale|Comitato di Liberazione per l'Alta Italia]], ma l'ordine fu disatteso<ref>cfr. [http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed295/sed295nc.pdf Resoconto stenografico della seduta dell'Assemblea Costituente del 19 novembre 1947], pag.2200.</ref>.
 
Basile venne poi prelevato dagli [[Alleati della seconda guerra mondiale|alleati]], tratto in carcere e posto sotto processo per il reato di collaborazione con il tedesco invasore, in particolare per aver prestato «aiuto ed assistenza come capo della provincia di Genova prima e come sottosegretario alla Guerra poi»<ref>Romano Canosa, ''Storia dell'epurazione in Italia: le sanzioni contro il fascismo, 1943-1948'', Milano 1999, pag. 196.</ref>. Nei capi di imputazione veniva contestato soprattutto il suo operato a Genova, città in cui si era reso responsabile della deportazione di circa 1400 operai in Germania, come provato, tra l'altro, dai diversi manifesti in cui egli minacciava l'adozione di duri provvedimenti nei confronti degli operai in caso di sciopero. Inoltre Basile era accusato della morte di undici detenuti politici nel carcere di Marassi, che erano stati condannati a morte e fucilati al Forte San Martino con sentenze del Tribunale Militare Speciale di Genova, da lui convocato tre volte per rappresaglia ad altrettanti attentati compiuti dai [[gruppi di Azione Patriottica|gappisti]].
 
L'iter del processo fu molto tortuoso e condizionato dalla promulgazione dell'[[amnistia Togliatti]]<ref>[[Mimmo Franzinelli]], ''Le stragi nascoste: l'armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti, 1943-2001'', Mondadori, 2002, ISBN 978-88-04-50337-8, pag 112 e 113</ref><ref>[[Mimmo Franzinelli]], ''L'amnistia Togliatti: 22 giugno 1946: colpo di spugna sui crimini fascisti'', Mondadori, 2006, ISBN 978-88-04-55334-2, pag 184 e seg</ref><ref>Sandro Pertini, ''Per dire no come una volta al fascismo'', in ''Gli uomini per essere liberi'', ADD editore, 2012, ISBN 978-88-96873-47-2</ref>: inizialmente, nel [[1945]], Basile fu condannato a 20 anni dalla [[Corte di Assise]] straordinaria di [[Milano]], ma la sentenza fu annullata dalla [[Corte di cassazione]]. L'anno successivo la Corte di [[Pavia]] lo condannò a morte, ma anche questa volta la sentenza fu annullata dalla Cassazione. Il processo andò quindi alla [[Corte di Assise]] speciale di [[Venezia]], da cui fu trasferito, per ''legitima suspicione'', a quella di [[Napoli]], che il 29 agosto [[1947]], su proposta del Procuratore Generale dott. Siravo, assolse Basile in quanto il reato di collaborazionismo a lui contestato si era estinto per amnistia e ne ordinò la scarcerazione<ref>[http://www.archiviolastampa.it ''L'ex-prefetto Basile assolto''], articolo de [[La Stampa]], del 30 agosto 1947</ref>.
 
L'assoluzione determinò grandi proteste soprattutto a Genova, dove fu proclamato lo sciopero generale dalle 10 alle 24<ref>[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,viewer/Itemid,3/page,0001/articleid,0041_01_1947_0204_0001_24584030/anews,true/ ''Sciopero a Genova''], articolo de ''[[La Stampa]]'', del 31 agosto 1947</ref> e nella provincia di Milano<ref>[http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1947_08/19470831_0001.pdf ''Sciopero generale a Genova''] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160304094402/http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=%2Farchivio%2Funi_1947_08%2F19470831_0001.pdf |data=4 marzo 2016 }}, articolo de ''[[L'Unità]]'' del 31 agosto 1947</ref>. La [[CGIL]], con un comunicato, approvò le manifestazioni di protesta<ref>[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,0041_01_1947_0205_0001_24634336/ Basile arrestato per misura di sicurezza], articolo de ''[[La Stampa]]'', del 31 agosto 1947</ref>.
 
Il 19 novembre 1947 fu presentata un'interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia dai socialisti [[Gaetano Barbareschi]], [[Vannuccio Faralli]] e Sandro Pertini nella quale si chiedeva quali provvedimenti si intendessero adottare contro il Procuratore Generale di Napoli Siravo, il quale, a detta dei tre esponenti socialisti, nella requisitoria del processo Basile aveva dichiarato che le leggi eccezionali contro i fascisti erano una "mostruosità" e aveva sostenuto che la magistratura del nord, nel giudicare i fascisti, aveva compiuto non opera di giustizia ma di vendetta, in quanto aveva subito interferenze estranee. Il Ministro di giustizia [[Giuseppe Grassi (politico)|Giuseppe Grassi]] ([[Partito Liberale Italiano|liberale]]) rispose che Siravo era un ottimo magistrato e che nel verbale della requisitoria non vi era alcun riferimento alle affermazioni attribuitegli sulle leggi contro i fascisti. Invece riguardo ai processi svoltisi al nord, il ministro rispose che Siravo faceva riferimento agli episodi di violenza che accaddero tra il pubblico e che quindi egli aveva solo fatto un apprezzamento sul clima nel quale si svolsero tali processi. Allora Faralli gridò più volte che Siravo era un fascista perché aveva fatto assolvere Basile, ma il deputato [[Democrazia Cristiana|democristiano]] [[Giovanni Leone]], avvocato napoletano, rispose che Siravo era il più indipendente magistrato di Napoli. Pertini riprese la parola ribadendo che Basile era stato un collaborazionista, che aveva fatto eseguire rastrellamenti di operai a Genova e che era stato uno strumento cosciente nelle mani dei nazisti; espresse quindi la sua preoccupazione per le decisioni prese dalla magistratura e proseguì affermando che ciò che meritava Basile era il plotone di esecuzione e che il problema non sarebbe esistito se i suoi compagni partigiani avessero eseguito il suo ordine di fucilarlo subito, invece di farlo cadere in mano agli alleati. Pertini riferì altre frasi, riportate dalla stampa, che sarebbero state pronunciate nella requisitoria dal PG Siravo (Basile «non era collaborazionista e se lo fosse stato, forse avrebbe avuto ragione, se si pensi come i liberatori sono stati ingrati verso il popolo italiano», «Basile, oggi imputato, potrebbe domani essere portato sugli scudi!»), corroborate da quanti, avvocati e parti civili presenti in aula, egli aveva personalmente intervistato. Il deputato napoletano [[Unione Democratica Nazionale|democratico nazionale]] [[Amerigo Crispo]] rispose che nessuna delle frasi citate si trovava in quella forma nel testo stenografato della requisitoria<ref>cfr. [http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed295/sed295nc.pdf Resoconto stenografico della seduta dell'Assemblea Costituente del 19 novembre 1947], pagg.2198-2202.</ref>.
 
Nell'occasione Pertini dichiarò:{{
Citazione|''Ora, io non nego che il giudice possa anche interessarsi di politica, ma deve interessarsene quando non esercita il magistero della giustizia. Quando esercita la sua funzione di giudice, egli deve dimenticarsi di essere un uomo politico!''<ref>.cfr. [http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed295/sed295nc.pdf Resoconto stenografico della seduta dell'Assemblea Costituente del 19 novembre 1947], pag.2201.</ref>}}
 
=== L'opposizione al "Fronte Popolare" ===
[[File:Sandro Pertini 1948.jpg|thumb|verticale|Sandro Pertini nel 1948]]
Nonostante fosse fautore dell'unità del movimento dei lavoratori e dell'"unità d'azione" con il [[Partito Comunista Italiano]], Pertini era anche un fervido sostenitore dell'autonomia socialista nei confronti del PCI. In tal senso si oppose, in seno al [[Partito Socialista Italiano]] (tornato alla sua storica denominazione dopo la scissione di Palazzo Barberini), alla presentazione di liste unitarie con il PCI nel [[Fronte Democratico Popolare]] per le [[Elezioni politiche italiane del 1948|elezioni del 1948]]. Al XXVI Congresso di Roma del 19-22 gennaio 1948 la sua mozione contraria al Fronte fu tuttavia minoritaria: prevalse la linea di Nenni e Pertini si adeguò alla decisione della maggioranza.<ref name= FSP />
 
Pertini rientrò nella direzione nazionale del partito con il XXVIII Congresso di [[Firenze]] del maggio [[1949]], divenendo anche, a partire dal [[1955]], di nuovo vicesegretario. Sarebbe rimasto nella direzione fino al [[1957]], quando, al XXXII Congresso di [[Venezia]], anche in seguito alla [[Rivoluzione ungherese del 1956|invasione sovietica dell'Ungheria]], con la sua opposizione, venne interrotta la collaborazione con il PCI.<ref>[http://www.domanisocialista.it/storia4.htm La storia del PSI - Dal 1946 al 1968].</ref>
 
=== Il voto contro la NATO e la commemorazione di Stalin ===
Nella [[I legislatura della Repubblica Italiana|I legislatura]] fu nominato [[senatore|senatore della Repubblica]], in ossequio alla [[s:Italia, Repubblica - Costituzione, testo originale#III|3ª disposizione transitoria e finale]] della [[Costituzione della Repubblica Italiana|Costituzione]], e divenne presidente del gruppo parlamentare socialista al [[Senato della Repubblica|Senato]].
 
Il 27 marzo [[1949]], durante la 583ª seduta del Senato, Pertini dichiarò il voto contrario del suo partito all'adesione dell'Italia al [[Patto Atlantico]], perché inteso come uno strumento di guerra e in funzione antisovietica nell'intento di dividere l'Europa e di scavare un solco sempre più profondo per separare il continente europeo, e sottolineò come il Patto Atlantico avrebbe influenzato la politica interna italiana, con conseguenze negative per la classe operaia.
In quella seduta difese anche la pregiudiziale pacifista del gruppo socialista, esprimendo la solidarietà nei confronti dei compagni comunisti&nbsp;– veri obiettivi, a suo dire, del Patto Atlantico –, concludendo con le seguenti parole:
{{Citazione|''Oggi noi abbiamo sentito gridare "Viva l'Italia" quando voi avete posto il problema dell'indipendenza della Patria. Ma non so quanti di coloro che oggi hanno alzato questo grido, sarebbero pronti domani veramente ad impugnare le armi per difendere la Patria. Molti di costoro non le hanno sapute impugnare contro i nazisti. Le hanno impugnate invece contadini e operai, i quali si sono fatti ammazzare per la indipendenza della Patria!''<ref>Atti parlamentari. I Legislatura, Senato. Vol. V: Discussioni 1948-49</ref>}}
 
Nel [[1953]], alla morte di [[Stalin]], il suo intervento, in qualità di presidente del gruppo senatoriale socialista, celebrò il capo dell'[[Unione Sovietica|URSS]]:
{{Citazione|''Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L'ultima sua parola è stata di pace. [...] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l'immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto''.<ref>{{cita libro|Vittorio|Messori|wkautore=Vittorio Messori|[[Pensare la storia]]|1992|Edizioni San Paolo|Milano}} p. 111.</ref>}}
 
Per questo elogio, avvenuto prima della divulgazione del [[XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica|rapporto Kruscev]] con cui furono denunciati i crimini di Stalin, Pertini venne molto criticato, ad esempio da [[Indro Montanelli]] e da [[Marcello Veneziani]]; in un articolo della Fondazione Pertini si precisa che «''egli nel [[1953]] ricordava lo Stalin difensore di [[Stalingrado]] e co-liberatore dell'Europa dalla barbarie nazista; lo Stalin al quale strinsero la mano [[Winston Churchill]] e [[Franklin Roosevelt]]''» e che «''Sandro Pertini ha lottato contro ogni forma di totalitarismo per la realizzazione piena di sistemi democratici fondati sulla libertà e sulla giustizia sociale''» con «''molte prese di posizione che Sandro Pertini assunse di petto, come era solito fare, anche contro il regime sovietico''».<ref name= Veneziani>[http://www.fondazionepertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto=800&IdSottoSez=48 Marcello Veneziani denigra Sandro Pertini]</ref>
 
=== L'impegno contro la "legge truffa" ===
Sempre nel [[1953]], fu tra i più strenui oppositori della cosiddetta "[[legge truffa]]",<ref>cfr. [http://www.pertini.it/cesp/p_10.htm Il secondo dopoguerra] nel sito web del Centro Espositivo "Sandro Pertini".</ref> pronunciando un duro intervento in Senato contro l'approvazione del provvedimento nella seduta del 10 marzo.
 
=== Il passaggio dal Senato alla Camera dei deputati ===
Fu successivamente eletto nella lista del PSI alla [[Camera dei deputati]] nel [[1953]], e poi ancora nel [[1958]], [[1963]], [[1968]], [[1972]] e nel [[1976]], nel collegio [[Genova]]-[[Imperia]]-[[La Spezia]]-[[Savona]], per divenire presidente prima della Commissione Parlamentare per gli Affari Interni e poi di quella degli Affari Costituzionali, e nel [[1963]] vicepresidente della Camera.
 
=== Il processo contro gli assassini mafiosi del sindacalista socialista Salvatore Carnevale ===
[[File:Sandro pertini con la lapide di salvatore carnevale.jpg|thumb|left|Sandro Pertini a [[Sciara]] (PA) nel [[1955]] in occasione dell'erezione della lapide in memoria di [[Salvatore Carnevale]] otto giorni dopo i funerali del [[sindacalista]] [[Partito Socialista Italiano|socialista]] assassinato dalla [[mafia]].]]
Negli anni cinquanta, Pertini, assieme agli avvocati [[Partito Socialista Italiano|socialisti]] Nino Taormina e Nino Sorgi (che molte volte difese il quotidiano ''[[L'Ora]]'' da querele di politici collusi con la [[mafia]]), rappresentò la parte civile [[Francesca Serio]], madre del [[sindacalista]] socialista [[Salvatore Carnevale]], assassinato dalla mafia il 16 maggio [[1955]] a [[Sciara]] (PA), perché impegnato nelle lotte contadine contro il latifondismo e per la redistribuzione delle terre.<ref>cfr. [[Carlo Lucarelli]], ''Storie di bande criminali, di mafie e di persone oneste'', [[2008]], [[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]]|, capitolo ''Terra e libertà'', pagg. 280-332, ISBN 978-88-06-19502-1.</ref>
A seguito delle indagini svolte dal [[procuratore della Repubblica]] di [[Palermo]] [[Pietro Scaglione]] (poi caduto anch'egli vittima della mafia), dell'omicidio vennero accusati quattro mafiosi di Sciara dipendenti della principessa [[Notarbartolo]]: l'amministratore del feudo Giorgio Panzeca, il magazziniere Antonio Mangiafridda, il sorvegliante Luigi Tardibuono e il campiere Giovanni Di Bella.
Al collegio di parte civile si contrappose un altro futuro [[Presidente della Repubblica Italiana|presidente della Repubblica]], il democristiano [[Giovanni Leone]], difensore degli imputati.
Alla fine, dopo un lungo iter giudiziario tra assoluzioni e condanne in vari tribunali italiani, il 21 dicembre [[1961]] la [[Corte d'Assise]] presso il Tribunale di [[Santa Maria Capua Vetere]] (dove il processo era stato spostato per ''legitima suspicione'') condannò i quattro imputati all'[[ergastolo]], accogliendo la ricostruzione del delitto fatta da Scaglione, Pertini, Sorgi e Taormina.<ref>{{Cita web|url=http://www.vittimemafia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=213:16-maggio-1955-a-sciara-pa-assassinio-del-sindacalista-salvatore-carnevale&catid=35:scheda&Itemid=67|titolo=16 Maggio 1955 a Sciara (PA) Assassinio del sindacalista Salvatore Carnevale|cognome=Rosanna|sito=www.vittimemafia.it|accesso=14 maggio 2016}}</ref>
In appello e in [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]] il verdetto fu ribaltato e gli imputati furono assolti per insufficienza di prove.<ref>Lo Bianco Giuseppe, Viviano Francesco, ''La strage degli eroi. Vita e storia dei caduti nella lotta contro la mafia'', Arbor, [[1996]], ISBN 88-86325-24-X</ref>
 
=== La protesta contro il congresso neo-fascista a Genova ===
[[File:1960 DIREZIONE PSI CORONA PIERACCINI NENNI PERTINI BRODOLINI LOMBARDI JACOMETTI.jpg|thumb|[[1960]], Direzione PSI: da sinistra [[Achille Corona]], [[Giovanni Pieraccini]], [[Pietro Nenni]], Sandro Pertini, [[Giacomo Brodolini]], [[Riccardo Lombardi (politico)|Riccardo Lombardi]] e [[Alberto Jacometti]].]]
{{vedi anche|Fatti di Genova del 30 giugno 1960}}
Pertini fu tra i politici che protestarono pubblicamente riguardo alla possibilità che si tenesse nella città di [[Genova]], nella sua [[Liguria]], il congresso del [[Movimento Sociale Italiano]], con un celebre comizio tenuto nel capoluogo genovese in Piazza della Vittoria il 28 giugno [[1960]]<ref>cfr. ''28 giugno 1960. Discorso di Sandro Pertini a Genova, Piazza della Vittoria, prima dei gravi fatti del 30 giugno'' in [http://www.centropertini.org/300660.htm Centro culturale "Sandro Pertini"] di Genova.</ref>:
 
{{citazione|Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza.
Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l'amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell'amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui.}}
 
Tre giorni dopo, denunciò alla Camera i soprusi delle forze dell'ordine nei confronti dei manifestanti, sia nel capoluogo ligure, sia in altre città d'Italia.
 
Il diffondersi della protesta portò pochi giorni dopo ai tragici fatti della [[strage di Reggio Emilia]].
 
In seguito Pertini scrisse nella presentazione di un libro<ref>cfr. Sandro Pertini, presentazione del libro "''A Genova non si passa''" di Francesco Gandolfi (edizioni ''[[Avanti!]]!'', 1960)</ref>:
{{citazione| È [[Genova]] che ha riaffermato come i valori della [[Resistenza italiana|Resistenza]] costituiscano un patrimonio sacro, inalienabile della Nazione intera e che chiunque osasse calpestarli si troverebbe contro tutti gli uomini liberi, pronti a ristabilire l'antica unità al di sopra di ogni differenza ideologica e di ogni contrasto politico.}}
 
Come esempio del suo attaccamento ai valori della [[Resistenza italiana|Resistenza]] e dell'[[Antifascismo in Italia|antifascismo]], va ricordato un episodio avvenuto poco dopo la [[strage di Piazza Fontana]] del 12 dicembre [[1969]], quando Pertini, divenuto nel frattempo Presidente della [[Camera dei deputati]], si recò a [[Milano]] in visita ufficiale e si rifiutò di incontrare l'allora [[Questore (ordinamento italiano)|questore]] del capoluogo lombardo [[Marcello Guida]], che egli ben conosceva essendo stato questi, durante il regime fascista, direttore del [[confino]] di [[Ventotene]] in cui Pertini aveva trascorso parte dei suoi periodi di detenzione sotto il fascismo; fu un gesto che ruppe il protocollo e che ebbe un forte rilievo mediatico. Pochi anni dopo, lo stesso Pertini, intervistato da [[Oriana Fallaci]], aggiunse che a determinare quel gesto non fu estraneo il fatto che su Guida «gravava l'ombra della morte» dell'anarchico [[Giuseppe Pinelli]], avvenuta appunto quando Guida era questore di Milano<ref>«Lei sa che al presidente della Repubblica, della Camera, del Senato, spetta viaggiare col saloncino, che poi è una vettura speciale attaccata al treno. Sicché vado a Milano e, quando il saloncino è fermo su un binario morto perché sto facendo colazione, il mio segretario dice: «Il questore Guida ha chiesto di ossequiarla, signor presidente». E io rispondo: «Riferisca al questore Guida che il presidente della Camera Sandro Pertini non intende riceverlo». Mica perché era stato direttore della colonia di Ventotene, sa? Non fosse stato che per Ventotene, avrei pensato: ormai tu sei questore e voglio dimenticare che hai diretto quella colonia, che vieni dal fascismo, che eri un fascista. Perché su di lui gravava, grava, l’ombra della morte di Pinelli. E a me basta che Pinelli sia morto in quel modo misterioso quando Guida era questore di Milano perché mi rifiuti di accettare gli ossequi di Guida. Oriana, io non sono capace di far compromessi!»<br />
in [[Oriana Fallaci]], ''Intervista a Sandro Pertini'', articolo de «L'Europeo», 27 dicembre 1973, riportato nel sito web [http://www.oriana-fallaci.com/pertini/intervista.html oriana-fallaci.com]</ref>.
 
=== La posizione critica sul centro-sinistra ===
[[File:Sandro Pertini62.gif|thumb|Pertini nel [[1962]]]]
{{NN|politici|arg2=giornalisti|novembre 2017}}
Politicamente fu tra coloro che non sostennero il [[centro-sinistra]] perché attraverso quell'accordo si sarebbero discriminati i [[Partito Comunista Italiano|comunisti]], mettendo fine alla collaborazione tra i due principali partiti della sinistra.
 
In questa chiave dell'unità fra i partiti della sinistra ricostruì (retrospettivamente, in una celebre intervista a [[Gianni Bisiach]]) le vicende del negoziato all'Arcivescovado di Milano che il [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLNAI]] aveva tenuto con il cardinale [[Alfredo Ildefonso Schuster|Schuster]] per la resa di [[Mussolini]], prima del 25 aprile [[1945]]: a suo dire egli si oppose al negoziato con l'argomento formale che il PCI di [[Luigi Longo|Longo]] non era stato invitato ai colloqui.
[[File:PERTINI E LOMBARDI.jpg|thumb|upright=0.8|Sandro Pertini e [[Riccardo Lombardi (politico)|Riccardo Lombardi]]]]
Pertini, peraltro, non costituì mai nel [[Partito Socialista Italiano|PSI]] una propria corrente e vantava rapporti travagliati (quando non pessimi) con quasi tutti gli esponenti socialisti (disse di lui il compagno di partito [[Riccardo Lombardi (politico)|Riccardo Lombardi]]: «''cuore di leone, cervello di gallina''».
 
=== L'elezione a Presidente della Camera ===
Dal [[1963]] al [[1968]], durante la [[IV legislatura della Repubblica Italiana|IV legislatura]], svolse il mandato di vicepresidente della Camera.
 
{{vedi anche|Elezione del Presidente della Camera del 1968|Elezione del Presidente della Camera del 1972}}
Nella [[V legislatura della Repubblica Italiana|V]] e [[VI legislatura della Repubblica Italiana|VI legislatura]], ricoprì l'incarico di presidente della Camera dei deputati, risultando il primo uomo politico non democristiano e di sinistra a ricoprire tale incarico.
 
Nel [[1968]], da poco eletto presidente della Camera, polemizzò con l'ambasciatore dell'[[URSS]] in Italia per l'[[Primavera di Praga|invasione sovietica]] in [[Cecoslovacchia]]: «''Sapesse che diverbio ho avuto con l’ambasciatore sovietico pei fatti di Praga! Voi ristabilite l’ordine coi carri armati, gli ho detto, proprio alla maniera dei fascisti che lo ristabilivano con le baionette. Voi volete l’ordine che c’è nelle galere, nei cimiteri! Ci siamo lasciati male. Così male che non è più venuto da me e io non sono più andato da lui''»<ref>Cfr. [[Oriana Fallaci]], Intervista a Sandro Pertini, articolo de «L'Europeo», 27 dicembre 1973, riportato nel sito web [http://www.oriana-fallaci.com/pertini/intervista.html oriana-fallaci.com]</ref>.
 
Durante l'[[Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1971|elezione del Capo dello Stato]] del [[1971]], che si protraeva per molti scrutini senza alcun esito, da presidente del Parlamento in seduta comune vietò il controllo del voto imposto dai notabili [[Democrazia Cristiana|democristiani]], che pretendevano che i singoli parlamentari DC mostrassero la scheda bianca prima del suo deposito nell'urna: l'iniziativa, a salvaguardia della segretezza del voto, nell'immediato determinò una sollecitazione decisiva per lo scioglimento dei nodi politici che produssero l'elezione di [[Giovanni Leone]], ma a lungo termine gli guadagnò la stima dell'opinione pubblica come presidente d'Assemblea che svolgeva il suo compito in modo non notarile.
 
Il 10 marzo [[1974]], la [[Domenica del Corriere]] pubblicò un'intervista concessa da Pertini a [[Nantas Salvalaggio]]. In risposta a chi lo accusava di essere un po' squilibrato, Pertini rispondeva: {{Citazione|''Non mi meraviglia niente. So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall'inflazione... voi date quest'esempio d'insensibilità? Io deploro l'iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un'ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo''.<ref>{{cita web|url=http://www.storiaestorici.it/index.asp?art=202|titolo=Me ne infischio del sistema, se dà ragione ai ladri|accesso=12 febbraio 2013}}</ref>}}
 
Nel corso del suo mandato di presidente della Camera vennero votati dall'aula di Montecitorio numerosi importanti provvedimenti: oltre allo Statuto dei Lavoratori e alla legge sul divorzio, varati entrambi nel 1970, il 18 febbraio 1971 vi fu l'approvazione dei nuovi Regolamenti parlamentari, di cui era stato uno dei principali promotori.
 
=== L'intransigenza contro i brigatisti nel "caso Moro" ===
Nella primavera del [[1978]], durante il [[sequestro Moro]], Pertini, a differenza della maggioranza del Partito socialista, fu un sostenitore della cosiddetta «linea della fermezza» nei confronti dei sequestratori del leader democristiano, ovvero fu per il rifiuto totale della trattativa con le [[Brigate Rosse]].
 
== La presidenza della Repubblica ==
=== L'elezione e il discorso d'insediamento ===
{{vedi anche|Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1978}}
[[File:Sandro Pertini6.jpg|thumb|Il [[Presidente della Repubblica Italiana|presidente della Repubblica]] Sandro Pertini al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]]]]
Le votazioni per l'elezione del settimo [[Presidente della Repubblica Italiana|presidente della Repubblica]] iniziarono il 29 giugno [[1978]] a seguito delle dimissioni del presidente in carica, il democristiano [[Giovanni Leone]], annunciate agli italiani il 15 giugno attraverso un messaggio televisivo.
 
Nei primi tre scrutini la [[Democrazia Cristiana|DC]] optò per la candidatura di [[Guido Gonella]] e il [[Partito Comunista Italiano|PCI]] votò in modo pressoché unanime il proprio candidato, [[Giorgio Amendola]], mentre l'ala parlamentare socialista concentrò i propri voti su [[Pietro Nenni]]. Fino al 13º scrutinio il PCI mantenne la candidatura di Amendola senza trovare consensi; a partire dal quarto scrutinio, democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani decisero di astenersi.<ref>Era comunque già presente un ridotto pacchetto di mischia sempre manifestatosi per Pertini: v. Giampiero Buonomo, [https://www.academia.edu/19059487/Il_pacchetto_di_mischia_nelle_nomine_a_scrutinio_segreto Il rugby e l'immortalità del nome, in ''L'Ago e il filo online'', 30 gennaio 2015].</ref>
 
Il 2 luglio il segretario del [[Partito Socialista Italiano|PSI]] [[Bettino Craxi]] propose la candidatura ufficiale di Sandro Pertini per la più alta carica dello Stato<ref name=panorama>[http://www.panorama.it/news/politica/sandro-pertini-socialista-quirinale/ ''Panorama'', 15 aprile 2013]</ref>, in quanto:
{{Citazione|[...] figura eminente della democrazia repubblicana, la cui vita politica si è sempre identificata con lotte per la libertà e per la emancipazione sociale delle classi lavoratrici del Paese.}}
Pertini, dal canto suo, non intendendo essere il candidato delle sole forze di sinistra, inviò una lettera a Craxi<ref name=panorama/> con la quale sottolineava che la sua candidatura doveva essere intesa come {{Citazione|[...] espressione di tutto l’arco costituzionale che rappresenta il Paese.}}
La proposta del segretario socialista era chiara ed era rivolta in primo luogo alla DC, in quanto: «Dopo Leone, la DC deve passare la mano almeno per i sette anni di presidenza e noi poniamo la candidatura di un socialista al Quirinale»<ref name=panorama/>.
I democristiani risposero di indicare un nome del partito di maggioranza relativa.
Il 3 luglio i [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicani]] candidarono [[Ugo La Malfa]], senza successo. Il 3 luglio Craxi tornò alla carica con la DC per un Presidente socialista indicando altri due nomi ([[Antonio Giolitti]] e [[Giuliano Vassalli]]).
[[File:Sandro Pertini5.jpg|thumb|Sandro Pertini al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]]]]
Solo dopo quindici scrutini andati a vuoto, di cui dodici con la maggioranza dei parlamentari che si astennero o votarono scheda bianca, la pressione dell'opinione pubblica spinse il segretario della DC, [[Benigno Zaccagnini]] ad accettare la candidatura di Sandro Pertini<ref name=panorama/>. Su tale nome si accodarono anche gli altri partiti del cosiddetto "fronte costituzionale" (PCI-PSDI-PRI e PLI) e Pertini risultò eletto l'8 luglio 1978, al 16º scrutinio, con 832 voti su 995, corrispondenti all'82,3%, la più larga maggioranza della [[Storia dell'Italia|storia repubblicana]].
 
Il giorno prima, venerdì 7 luglio, Pertini aveva acquistato un biglietto aereo per recarsi in Francia dove si trovava la moglie, con la quale avrebbe trascorso il fine settimana in quanto per lui la questione dell’elezione presidenziale era una cosa che non lo riguardava più<ref name=panorama/>.
 
Il Presidente neo-eletto prestò giuramento il 9 luglio successivo. Dopo aver [[Giuramento del Presidente della Repubblica Italiana|giurato]], nel suo discorso d'insediamento<ref name= wikisource/> Pertini ricordò come "luminosi esempi" per la sua formazione politica i nomi di [[Giacomo Matteotti]], di [[Giovanni Amendola]] e [[Piero Gobetti]], di [[Carlo Rosselli]], di [[don Giovanni Minzoni]] e di [[Antonio Gramsci]], suo indimenticabile compagno di carcere.
 
Sottolineò quindi la necessità di porre fine alle violenze del [[Terrorismo italiano dal 1945 a oggi|terrorismo]] ricordando, tra l'altro, la tragica scomparsa di [[Aldo Moro]].
 
La sua elezione apparve subito un importante segno di cambiamento nella scena politica italiana, grazie al carisma e alla fiducia che esprimeva la sua figura di eroico combattente antifascista e padre fondatore della Repubblica, in un Paese ancora scosso dalla vicenda del [[sequestro Moro]].
[[File:Sandro Pertini con governo.jpg|thumb|left|Sandro Pertini con il [[Governo Forlani|governo]] presieduto da [[Arnaldo Forlani]]]]
 
=== Gli incarichi di governo ad esponenti non democristiani ===
Pertini fu il primo presidente della Repubblica a conferire l'incarico di formare il governo ad una personalità non democristiana (infatti, l'unico governo post-fascista guidato da un non democristiano, il [[governo Parri]], era stato insediato ancora sotto la monarchia, dal [[Luogotenenza del regno#Umberto II|Luogotenente generale del regno]] [[Umberto II di Savoia]]).
 
Nel [[1979]] diede l'incarico di formare il governo (senza successo) al segretario del [[Partito socialista italiano|PSI]] [[Bettino Craxi]], suscitando grande scalpore negli ambienti politici
e preparando così il terreno per il primo governo a guida non democristiana della Repubblica.
 
Nel [[1981]], in seguito alla caduta del [[governo Forlani]] dopo lo scoppio dello scandalo della [[P2|loggia massonica segreta P2]], Pertini incaricò il [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicano]] [[Giovanni Spadolini]], il quale presentò il [[Governo Spadolini I|suo governo]] il 28 giugno 1981. Fu una sorta di ''rivoluzione'': dal 10 dicembre [[1945]], data di giuramento del [[Governo De Gasperi I|primo governo]] [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], la presidenza del Consiglio era stata sempre affidata ad esponenti della [[Democrazia Cristiana|DC]], ininterrottamente per più di 35 anni.
 
[[File:Giuramento del 1°governo Craxi il 4 agosto 1983.JPG|thumb|Giuramento del [[Governo Craxi I|1° governo Craxi]] il 4 agosto [[1983]] davanti al [[Presidente della Repubblica Italiana|Presidente della Repubblica]] Sandro Pertini.]]
Nel [[1983]] diede nuovamente l'incarico di formare il [[governo]] a Craxi, che stavolta riuscì a realizzare l'intento di Pertini. Il 4 agosto 1983 il primo governo a guida socialista si presentava al Quirinale per il giuramento. Per due anni, e per la prima volta nella storia d'Italia, furono [[Partito Socialista Italiano|socialisti]] sia il [[Presidente della Repubblica Italiana|Presidente della Repubblica]], sia il [[Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana|Presidente del Consiglio dei ministri]].
 
Ciò nonostante, Pertini ebbe con [[Bettino Craxi|Craxi]] rapporti altalenanti, dovuti essenzialmente alla diversa formazione e temperamento. Ad esempio, [[Antonio Ghirelli]], allora portavoce del Quirinale, riportò che Pertini, il giorno in cui doveva conferire a Craxi l'incarico di presidente del Consiglio, notò che il segretario socialista si era presentato al Colle indossando dei [[jeans]] e gli intimò di ritornare con un abbigliamento più adeguato.<ref>{{cita news|autore=[[Antonio Ghirelli]]|url=http://static.repubblica.it/napoli/speciali/volti_archivio/precedenti/031206.html|titolo=Il mestiere di testimone, da Togliatti a Pertini e Craxi|pubblicazione=La Repubblica edizione di Napoli|giorno=3|mese=12|anno=2006|accesso=26 aprile 2009}}</ref>
 
Pertini spesso non condivise gli atteggiamenti craxiani, come nel caso del XLIII Congresso del PSI a [[Verona]], il 15 maggio [[1984]], in cui Craxi venne rieletto segretario per acclamazione, anziché con la consueta votazione per alzata di delega. I rapporti tra i due politici comunque si mantennero sempre su un piano di cordialità e rispetto, nonostante le frequenti diversità di opinioni.
 
=== Nomine presidenziali ===
[[File:Sandro Pertini3.jpg|thumb|Sandro Pertini al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]]]]
 
;''Governi:''
 
''[[VII legislatura della Repubblica Italiana|VII legislatura]] (1976-1979)''
* prosecuzione del [[Governo Andreotti IV]] fino al 20 marzo [[1979]]
* [[Governo Andreotti V|Andreotti V]], 20 marzo 1979
 
''[[VIII legislatura della Repubblica Italiana|VIII legislatura]] (1979-1983)''
* [[Governo Cossiga I|Cossiga I]], 4 agosto 1979
* [[Governo Cossiga II|Cossiga II]], 4 aprile 1980
* [[Governo Forlani|Forlani I]], 18 ottobre 1980
* [[Governo Spadolini I|Spadolini I]], 28 giugno 1981
* [[Governo Spadolini II|Spadolini II]], 23 agosto 1982
* [[Governo Fanfani V|Fanfani V]], 1º dicembre 1982
 
''[[IX legislatura della Repubblica Italiana|IX legislatura]] (1983-1987)''
* [[Governo Craxi I|Craxi I]], 4 agosto 1983
 
;''Giudici della Corte costituzionale:''
* [[Virgilio Andrioli]], 18 ottobre 1978
* [[Giuseppe Ferrari (giurista)|Giuseppe Ferrari]], 21 ottobre 1980
* [[Giovanni Conso]], 25 gennaio 1982
 
;''Senatori a vita:''
* [[Leo Valiani]], 12 gennaio 1980
* [[Eduardo De Filippo]], 26 settembre 1981
* [[Camilla Ravera]], 8 gennaio 1982
* [[Carlo Bo]], 18 luglio 1984
* [[Norberto Bobbio]], 18 luglio 1984
 
Con queste nomine i senatori a vita diventarono complessivamente sette. Secondo l'interpretazione di Pertini, infatti, l'art. 59 della Costituzione non intenderebbe limitare a cinque il numero di senatori a vita che possono sedere in Parlamento, ma permettere a ''ogni'' Presidente della Repubblica di nominarne fino a cinque. Tale scelta non fu contestata (forse per la qualità dei senatori a vita nominati o per la popolarità di cui Pertini godeva) e il suo successore [[Francesco Cossiga|Cossiga]] seguì la stessa interpretazione.<ref>{{cita libro|Roberto|Bin|coautori=[[Giovanni Pitruzzella]]|Diritto costituzionale|2006|Giappichelli Editore|Torino|ed=7|isbn=88-348-6560-X}} p. 241.</ref>
 
== Senatore a vita ==
[[File:PERTINI BONINO2.jpg|thumb|upright=1.3|[[Emma Bonino]] e Sandro Pertini alla [[Marcia per la pace]] a [[Roma]] nel [[1985]]]]
Il 29 giugno [[1985]], pochi giorni prima della scadenza naturale del suo mandato, si dimise dalla carica per permettere l'immediato insediamento di [[Francesco Cossiga]], appena eletto suo successore: subito come [[Presidente supplente della Repubblica Italiana|Presidente supplente]] e in carica dal 3 luglio dopo il giuramento.
 
Al termine del mandato presidenziale divenne, come previsto dalla Costituzione, [[Senatore a vita (ordinamento italiano)#Senatori di diritto e a vita .28Presidenti emeriti della Repubblica.29|senatore a vita di diritto]] e si iscrisse al Gruppo del PSI al [[Senato della Repubblica Italiana|Senato]].<ref>Riferisce [[Fabio Fabbri]], all'epoca Presidente del Gruppo dei senatori socialisti: «Dal mio studio al Senato, vedo in televisione il Presidente mentre lascia il Palazzo, curvo ma con passo fermo. È molto pallido. Così l’avevo visto quando, sette anni prima, usciva dall’aula di [[Camera dei deputati|Montecitorio]] appena eletto, mentre passava in rassegna il picchetto militare che gli rendeva gli onori. Lo cerco con la voce tremante per telefono, per dirgli che lo aspetto al Senato per l’adesione al Gruppo dei senatori socialisti. Lui replica burbero: "Certo, certo, dove diamine pensavi che mi volessi iscrivere, se non al Gruppo del mio partito.". Sospiro di sollievo. Qualche malalingua aveva insinuato che potesse aderire al Gruppo degli [[Sinistra Indipendente|indipendenti di sinistra]]». Cfr. Fabio Fabbri, ''Quando rientrò dal Quirinale Pertini si iscrisse al Gruppo del Psi'' in [http://www.avantionline.it/2015/08/pertini-e-maccanico-sette-anni-insieme-al-quirinale/#.VeUL7EqUKrV ''Avanti! Online'' del 31-08-2015]</ref>
 
Come senatore a vita Pertini non svolse attività politica, né votò la fiducia ad un Presidente del Consiglio da lui precedentemente incaricato. L'unico incarico ufficiale che intraprese dopo la Presidenza della Repubblica fu la presidenza della Fondazione di Studi Storici "[[Filippo Turati]]", costituitasi a [[Firenze]] nel [[1985]] con l'obiettivo di conservare il patrimonio documentario del socialismo italiano. Conserverà questo incarico fino alla sua morte. Nel 1995 la Fondazione Turati ha dato vita all'Associazione Nazionale "Sandro Pertini" al fine di conservare e valorizzare l'archivio e la biblioteca personale del Presidente.<ref>Sito dell'[http://www.pertini.it Associazione Nazionale Sandro Pertini]</ref>
 
Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del [[Partito Socialista Italiano|Partito Socialista]], al fine di presentarsi al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista; del resto, anche durante il mandato aveva difeso la bandiera del socialismo italiano, intervenendo con un commento autorizzato nella cosiddetta "''[[lite delle comari]]''" del [[Governo Spadolini II|governo Spadolini]].
 
Indipendente dal ruolo istituzionale che aveva ricoperto e legato piuttosto a un senso di reciproca lealtà democratica appare invece l'episodio che lo vide, nel [[1988]], visitare la camera ardente di [[Giorgio Almirante]].<ref>{{cita web|url=http://www.youtube.com/watch?v=qBNCRFl1IyU&feature=related|titolo=La storia siamo noi}}</ref>
 
Il 23 marzo [[1987]] fu colto da un malore durante i funerali del generale [[Licio Giorgieri]], che era stato assassinato dalle [[Brigate Rosse]], e fu ricoverato al [[Policlinico Umberto I]]; in quella occasione ricevette anche la visita del [[papa Giovanni Paolo II]], al quale era legato da lunga amicizia<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/2004/gennaio/17/Papa_disse_vengo_sull_Adamello_co_5_040117032.shtml Archivio storico del Corriere - E il Papa disse: vengo sull'Adamello per sciare con lei]</ref>, ma questi poté solo vederlo di sfuggita, poiché gli fu impedito dai medici, in quanto Pertini risultava sedato e non ancora fuori pericolo<ref>[http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/approfondimenti/visualizza_new.html_2111866939.html Ansa - testimonianza del medico Ugolini]</ref>.
 
Pertini si rimise completamente al punto che il 2 luglio dello stesso anno si trovò a presiedere l'Aula di Palazzo Madama in occasione dell'[[Elezione del Presidente del Senato del 1987 (seconda)|Elezione del Presidente del Senato ad inizio della X Legislatura]], incarico nel quale venne votato [[Giovanni Spadolini]].
 
La notte del 24 febbraio [[1990]], all'età di 93 anni, si spense<ref>''Pertini: Voice of Italy''. J. W., The Financial Times (London, England), Monday, February 26, 1990; pg. 4; Edition 31,084.</ref> per una complicazione in seguito ad una caduta di pochi giorni prima, nel suo appartamento privato di Roma, una mansarda affacciata sulla [[Fontana di Trevi]]. Per suo espresso desiderio, il suo corpo fu cremato e le ceneri traslate nel cimitero del suo paese natale, [[Stella San Giovanni]].
 
Pertini si era sempre dichiarato [[noncredenza|non credente]]; nonostante ciò, nel suo studio al Quirinale aveva sempre tenuto un crocifisso: sosteneva infatti di ammirare la figura di [[Gesù]] come uomo che ha sostenuto le sue idee a costo della morte.<ref>[http://www.uaar.it/ateismo/opere/60.html Fonte il sito della] [[UAAR]]</ref> In anni più recenti, un libro di [[Arturo Mari]] del [[2007]], fotografo pontificio, cercò di avvalorare la tesi che Pertini volesse convertirsi in punto di morte e che chiamò il Papa, cui fu impedito di entrare nella stanza di ospedale<ref>{{cita web|url=http://digilander.libero.it/clubconcerto/Libri-unlibrosullaconversionedelPapa.htm|titolo=Una recensione sul libro di Mari}}</ref>. Tale circostanza però fu fermamente smentita dalla "Fondazione Sandro Pertini", che fornì all'emittente [[La7]] alcune registrazioni di telefonate tra la moglie [[Carla Voltolina]] e il Papa del febbraio 1990 e rilevando come non ci fu nell'occasione alcun ricovero in ospedale, e indicando infine come la circostanza riportata fosse in realtà relativa alla visita del 1987<ref>{{cita web|url=http://www.fondazionepertini.it/asp/leggi.asp?IdSez=3&idcontenuto=511&IdSottoSez=48|titolo=Il testo della smentita della Fondazione Pertini}}</ref>.
 
Il suo appartamento in Piazza di Trevi, dopo la morte della moglie Carla nel [[2005]], non è più stato riaffittato sino al [[2011]], quando [[Umberto Voltolina]], il cognato di Pertini, in accordo con la [[#La_Fondazione_Sandro_Pertini|Fondazione Pertini]], restituì la casa al [[Comune di Roma]].<ref>{{cita news|url=http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/11_aprile_18/casa-pertini-comune-190459303120.shtml|titolo=La casa di Pertini di Fontana di Trevi torna al Comune: «Non sarà museo»|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=18|mese=4|anno=2011}}</ref>
 
== Lo "stile Pertini" ==
[[File:Sandro Pertini1.jpg|thumb|Una nota fotografia di Pertini]]
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita politica del Paese rappresentò una novità per il ruolo di Presidente della Repubblica. Se fino ad allora era prevalsa una lettura strettamente "notarile" dei poteri presidenziali<ref>Per [[Vittorio Zincone]], ''Il cappello'', Il Tempo, 17 aprile 1957, la figura del Presidente di una Repubblica parlamentare dovrebbe risultare più vicina a quella del "confessore, che non del predicatore".</ref>, con Pertini divenne indiscutibile che ai poteri formali del Quirinale si aggiungeva il cosiddetto "potere di esternazione": quello che in seguito divenne un archetipo della funzione di stimolo del Quirinale nei confronti della politica fu, per la prima volta, esercitato senza sostanziali ostacoli nella risoluzione della controversia parasindacale dei controllori di volo<ref>cfr. Francesco Natale [http://www.ragionpolitica.it/testo.9879.alitalia_mediatore_con_pipa.html ''Alitalia e il mediatore con la pipa'' - 4 settembre 2008] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20110722051019/http://www.ragionpolitica.it/testo.9879.alitalia_mediatore_con_pipa.html |data=22 luglio 2011 }}</ref>. Anzi, indicativo della novità del suo intervento - che indusse il Governo ad avallare una soluzione negoziale elaborata al Quirinale - fu il fatto che la stampa e la dottrina giuridica cercarono di ricondurre la vicenda nell'ambito dei poteri presidenziali, con un'evidente giustificazione ''a posteriori'', evidenziando il fatto che i controllori dei voli aerei erano a quel tempo personale militarizzato (era proprio questa una delle principali questioni), e affermando che Pertini era intervenuto in qualità di comandante delle forze armate (ai sensi dell'articolo 87, 9º comma della Costituzione).<ref>{{cita news|autore=[[Antonio Maccanico]]|url=http://archiviostorico.corriere.it/1992/febbraio/21/Pertini_controllori_volo_co_0_92022112632.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110520055956/http://archiviostorico.corriere.it/1992/febbraio/21/Pertini_controllori_volo_co_0_92022112632.shtml|titolo=Pertini e i controllori di volo|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=21|mese=2|anno=1992|accesso=18 aprile 2009|urlmorto=sì|dataarchivio=20 maggio 2011}}</ref>
 
Grazie all'indubbio prestigio di cui godeva, soprattutto tra i cittadini, fu in genere difficile per i vari esponenti politici non recepire, seppur spesso controvoglia, le sue incursioni. Questo modo di fare, portò il sistema istituzionale a rassomigliare quasi ad un'anomala [[repubblica presidenziale]]. [[Antonio Ghirelli]], all'epoca portavoce del Quirinale, coniò l'appellativo di ''Repubblica pertiniana'': essa fu ripresa poi dai ''media'' dell'epoca, che ne enfatizzarono l'approccio fuori degli schemi tradizionali<ref>''Pertini, Outspoken Elder of Italian Politics''. James Buxton. The Financial Times (London, England), Wednesday, February 22, 1984; pg. 3; Edition 29,253.</ref> e la partecipazione ai principali eventi della vita nazionale, sia che fossero luttuosi<ref>''Turin pays tribute to fire victims''. The Times (London, England), Thursday, Feb 17, 1983; pg. 5; Issue 61459; ''Rumblings and roaring rivers''. The Economist (London, England), Saturday, October 15, 1983; pg. 68; Issue 7311.</ref>, sia che fossero lieti, come avvenne con la sua partecipazione alla vittoria italiana al [[Campionato mondiale di calcio 1982|Mondiale di calcio del 1982]] a [[Madrid]]<ref>''Italy's Cup heroes fêted''. The Times (London, England), Tuesday, Oct 26, 1982; pg. 23; Issue 61372.</ref>.
 
== Il pensiero politico di Pertini ==
 
{{Citazione|[...] Non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà [...]<br />
L'Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della Terra [...]|dal discorso di insediamento di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica del 9 luglio 1978<ref name= wikisource>cfr. ''9 luglio 1978 - Giuramento e messaggio del Presidente della Repubblica Sandro Pertini'' [https://it.wikisource.org/wiki/Italia_-_9_luglio_1978,_Giuramento_e_messaggio_del_Presidente_della_Repubblica_Sandro_Pertini per esteso]</ref>}}
 
Il pensiero politico di Pertini può essere efficacemente espresso da alcune frasi tratte da una sua intervista:
 
{{Citazione|''Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [...]''|{{cita web
|autore=Sandro Pertini|url=http://www.pertini.it/cesp/video/socialismo2.wmv|titolo=Intervista
|editore=CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini|accesso=2 agosto 2008
}}<ref>Vedi anche {{cita web|url=http://www.pertini.it/cesp/p_video.htm|titolo=Video|editore=CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini|accesso=2 agosto 2008}}</ref>}}
 
La sua personalità era intrisa dei princìpi che avevano ispirato la democrazia parlamentare e repubblicana, nata dall'esperienza della [[Resistenza Italiana|Resistenza partigiana]]; era solito sostenere il suo rispetto della fede politica altrui tanto quanto il suo fermo rifiuto del pensiero fascista e di tutte le ideologie che rinneghino la libertà di espressione:
{{Citazione|''Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica [...] il fascismo è l'antitesi di tutte le fedi politiche [...], perché opprime le fedi altrui''.<ref>[http://www.pertini.it/cesp/video/tolleranza.wmv CESP - Video] Intervista</ref>}}
{{citazione|''Con i fascisti non si discute. Con ogni mezzo li si combatte. Il fascismo non è fede politica, come per la resistenza li ho combattuti e li combatterò sempre''.<ref>[http://www.direttanews.it/2015/01/26/cremona-veleni-dopo-il-corteo-non-e-antifascismo/ Citato in ''Cremona, veleni dopo il corteo: "Non è antifascismo"'']</ref>}}
 
Durante la sua presidenza della Repubblica, caratterizzata da importanti viaggi nei Paesi alleati,<ref>Rupert Cornwell. ''Pertini Visit Will Boost Italian-U. S. Relations''. The Financial Times (London, England), Wednesday, March 24, 1982; pg. 2; Edition 28,732; Peter Nichols. ''The man who kissed Mrs Thatcher''. The Times (London, England), Wednesday, Feb 22, 1984; pg. 7; Issue 61764.</ref> egli avversò le dittature, dando luogo, tra l'altro, ad una furibonda polemica coll'ultimo generale golpista [[Argentina|argentino]], [[Reynaldo Bignone]].
Questi - per tacitare le critiche internazionali contro le giunte militari responsabili della ''guerra sucia'' - nel maggio [[1983]] affermò sbrigativamente che i ''[[desaparecidos]]'' andavano considerati tutti morti. Pertini deplorò con veementi parole l’agghiacciante cinismo del Presidente argentino e quando il generale Bignone inviò una nota di protesta alla [[Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale|Farnesina]], replicò: «Non mi interessa che altri capi di stato non abbiano sentito il dovere di protestare come ho protestato io. Peggio per loro. Ciascuno agisce secondo il suo intimo modo di sentire. Io ho protestato e protesto in nome dei diritti civili e umani e in difesa della memoria di inermi creature vittime di morte orrenda».<ref name=bobbio>Cfr. l'orazione di [[Norberto Bobbio]] pronunciata durante i festeggiamenti a Sandro Pertini organizzati alla Camera (in occasione del quarantesimo anniversario dell’avvento della Repubblica) dai parlamentari socialisti, con la partecipazione di [[Bettino Craxi]], allora Presidente del Consiglio, e di [[Amintore Fanfani]], allora nuovamente Presidente del Senato. Le parole di Bobbio sono riportate in [[Fabio Fabbri]], ''Quando rientrò dal Quirinale Pertini si iscrisse al Gruppo del Psi'' in [http://www.avantionline.it/2015/08/pertini-e-maccanico-sette-anni-insieme-al-quirinale/#.VeUL7EqUKrV ''Avanti! online'' del 31-08-2015]</ref> La circostanza fu ricordata da [[Norberto Bobbio]] come esempio della prevalenza in Pertini di una concezione etica in politica, testimoniata anche dalle seguenti parole: «La moralità dell’uomo politico consiste nell’esercitare il potere che gli è stato affidato al fine di perseguire il bene comune»<ref name=bobbio/>.
 
Il 16 ottobre [[1981]], in un discorso da lui pronunciato alla [[Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura|FAO]] nella prima [[Giornata mondiale dell'alimentazione]], affermò: «Ricchi e poveri siamo tutti legati allo stesso destino. La miseria degli altri potrebbe un giorno non lontano battere rabbiosa alla nostra porta. Esiste un legame di reciproca interdipendenza fra crescita del mondo industrializzato e sviluppo di quello emergente. Dobbiamo restituire ai popoli il senso dell’unità del pianeta»<ref name=bobbio/>.
 
== Riferimenti nella cultura di massa ==
[[File:Sandro Pertini e sindacati.jpg|upright=1.4|thumb|[[Pierre Carniti]] ([[CISL]]), Sandro Pertini, [[Luciano Lama]] ([[CGIL]]) e [[Giorgio Benvenuto]] ([[Unione Italiana del Lavoro (1950)|UIL]]) al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]].]]
{{Citazione|Amici carissimi, non fate solo domande pertinenti, ma anche impertinenti: io mi chiamo Pertini...}}
Nel periodo della sua permanenza al [[Presidente della repubblica|Quirinale]], Pertini contribuì a fare della figura del Presidente della Repubblica l'emblema dell'unità del popolo italiano. La sua statura morale contribuì al riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, in un momento difficile e costellato di avvenimenti delittuosi come quello degli [[anni di piombo]].
 
La sua costante presenza nei momenti cruciali della vita pubblica italiana, nelle situazioni piacevoli come nei momenti difficili, è stata probabilmente uno dei motivi della sua grande popolarità. Spesso è stato definito come il "presidente più amato dagli italiani"<ref name= Altichieri /><ref name= Spina /><ref name=Schiavi/>, ricordato per l'amore verso l'[[Italia]], per il suo carisma, per il suo modo di fare schietto e ironico, per l'onestà, per l'amore verso i bambini (a cui prestava molta attenzione durante le visite giornaliere delle scolaresche al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]]) e per aver inaugurato un nuovo modo di rapportarsi con i cittadini, con uno stile diretto e amichevole. Si ricorda la sua presenza ai tentativi di salvataggio del piccolo [[Incidente di Vermicino|Alfredino Rampi]], un bambino di sei anni di [[Frascati|Vermicino]] caduto in un pozzo nel [[1981]]. La schiettezza e la pragmaticità di Pertini si riflessero anche nella sua azione politica e istituzionale, facendolo apparire come un presidente che puntava alla concretezza, rifiutando compromessi e imponendosi con il suo rigore morale.<ref>{{cita|Montanelli 1993|p. 353}}</ref>
 
=== La presenza allo stadio per la finale dei Campionati mondiali di calcio del 1982 ===
[[File:Partita Pertini bearzot causio zoff 1982.jpg|thumb|Il presidente della [[Italia|Repubblica Italiana]], Sandro Pertini (terzo da sinistra), gioca a [[Scopone|scopone scientifico]] con [[Dino Zoff]] (primo da sinistra), [[Franco Causio]] (secondo da sinistra) e il [[Commissario tecnico]] della [[Nazionale di calcio dell'Italia|nazionale calcistica italiana]], [[Enzo Bearzot]] (ultimo da sinistra), sull'aereo presidenziale al ritorno in patria dalla [[Spagna]], con la [[Trofeo Coppa del Mondo FIFA|Coppa del Mondo]] appena vinta dagli azzurri sul suolo iberico.]]
* Le immagini della sua esultanza allo [[Stadio Santiago Bernabéu]] di [[Madrid]] per la vittoria ai [[Campionato mondiale di calcio 1982|Campionati del mondo di Calcio del 1982]] (di fronte ad un impassibile [[Juan Carlos I di Spagna|re Juan Carlos]]) sono entrate nella memoria collettiva degli italiani assieme all'esclamazione del telecronista [[RAI]] [[Nando Martellini]]: «Campioni del mondo!, Campioni del mondo!, Campioni del mondo!».
* {{Citazione necessaria|L'immagine dei festeggiamenti per la vittoria della nazionale a Madrid nel [[1982]] avrebbe inoltre generato, anni dopo, il nome del [[Pertini (cocktail)|cocktail "Pertini"]], diffuso in Spagna negli ambienti studenteschi}}.
 
=== La denuncia dei ritardi nei soccorsi ai terremotati dell'Irpinia ===
* In seguito al [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto in Irpinia]] del 23 novembre [[1980]], nell'invocare la repentina risposta dei soccorsi all'immane tragedia dei terremotati, lanciò l'appello «Fate presto», frase apparsa il giorno seguente a nove colonne sul quotidiano ''[[Il Mattino]]'' di Napoli. Dopo la sua visita in Irpinia, il 26 novembre, pochi giorni dopo la tragedia denunciò pubblicamente l'impotenza e l'inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso discorso televisivo a reti unificate, in cui sottolineò la scarsità di provvedimenti legislativi in materia di protezione del territorio e di intervento in caso di calamità e denunciò quei settori dello Stato che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel caso del [[terremoto del Belice]].<ref>[http://www.23novembre1980.it/?p=19 www.23novembre1980.it] Sito in memoria del terremoto irpino</ref>
 
=== La denuncia del ruolo della criminalità organizzata ===
{{Approfondimento
|larghezza=280px
|titolo= Pertini e la Liguria
|contenuto=<br />[[File:Sandro Pertini14.jpg|center|230px|Una delle tante immagini gioviali del Presidente Pertini]]<br />
Sandro Pertini rimase sempre legato alla sua terra d'origine, la [[Liguria]]. Nonostante i suoi impegni, specie nel periodo della presidenza della Camera, si recò spesso in visita non solo nei luoghi in cui era nato o aveva vissuto da giovane ma anche in altre città della [[riviera ligure]] e dell'entroterra, spesso palesando il suo imbarazzo per il trambusto che la sua presenza comportava nei luoghi in cui sostava, con il vistoso ed ingombrante seguito dei carabinieri di scorta. Una delle mete preferite era [[Camogli]], nella [[riviera di Levante]].}}
 
* Assunse sempre un atteggiamento di intransigente denuncia nei confronti della criminalità organizzata denunciando «la nefasta attività contro l'umanità» della [[mafia]] e ammonendo sempre a non confondere i fenomeni criminosi della mafia, della [[camorra]] e della [['ndrangheta]] con i luoghi e le popolazioni in cui sono presenti. Nel discorso di fine anno del [[1982]] parlò espressamente del problema mafioso, ricordando le figure di [[Pio La Torre]] e del generale [[Carlo Alberto dalla Chiesa]]:
{{Citazione|Vi sono altri mali che tormentano il popolo italiano: la camorra e la mafia. Quello che sta succedendo in Sicilia veramente ci fa inorridire. Vi sono morti quasi ogni giorno. Bisogna stare attenti a quello che avviene in Sicilia e in Calabria e che avviene anche con la camorra a Napoli. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano con la camorra o con la mafia. Sono una minoranza i mafiosi. E sono una minoranza anche i camorristi a Napoli.<br />
Prova ne sia questo: quando è stato assassinato Pio La Torre, vi era tutta Palermo intorno al suo feretro. Quando è stato assassinato il generale Dalla Chiesa, con la sua dolce, soave compagna, che è stata più volte qui a trovarmi, proprio in questo studio, tutta Palermo si è stretta intorno ai due feretri per protestare.<br />Quindi il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano sono contro la camorra e contro la mafia.<ref>[http://www.quirinale.it/ex_presidenti/Pertini/mess_fineanno/pertini_m1982.htm www.quirinale.it] Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani, Palazzo del Quirinale 31 dicembre [[1982]]</ref>}}
 
* Nel [[1983]], su proposta del Governo, sciolse il consiglio comunale di [[Limbadi]] in [[provincia di Vibo Valentia]], in quanto era risultato primo degli eletti il latitante [[Francesco Mancuso]], capo dell'[[Mancuso ('ndrina)|omonima famiglia mafiosa]]. Tornò poi sulle tematiche legate alla criminalità organizzata nel suo discorso di fine anno:
{{Citazione|Ci preoccupa quello che si verifica con la mafia in Sicilia, la camorra nel napoletano e la 'ndrangheta – non so mai pronunciare bene questa parola – in Calabria. Però io qui mi permetto di fare questa osservazione.<br />
Il popolo siciliano non deve essere confuso con la mafia. Il popolo siciliano è un popolo forte, popolo che ben conosco, perché negli anni passati, quando ero propagandista del mio partito, ho girato in lungo e in largo la Sicilia. Li ho conosciuti nella prima guerra mondiale i giovani siciliani, con il loro coraggio e la loro fierezza.<br />
Il popolo siciliano è un popolo forte, generoso, intelligente. Il popolo siciliano è il figlio di almeno tre civiltà: la civiltà greca, la civiltà araba e la civiltà spagnola. È ricco di intelligenza questo popolo. Quindi non deve essere confuso con questa minoranza che è la mafia. È un bubbone che si è creato su un corpo sano.<br />
Ebbene, con il bisturi, polizia, forze dell'ordine, governo debbono sradicare questo bubbone e gettarlo via, perché il popolo siciliano possa vivere in pace. Così si dica della 'ndrangheta in Calabria.<br />
Io ho girato in lungo e largo la Calabria. Se vi è un popolo generoso, buono, pronto, desideroso di lavorare e di trarre dal suo lavoro il necessario per poter vivere dignitosamente, è il popolo calabrese.<br />
Così il popolo napoletano con la camorra. Anche qui sono una minoranza i camorristi. Parlano troppo di quello che è in carcere, capo-mafia. Quello si sente un eroe. I giornali ne parlano tutti i giorni ed è chiaro che entra il giornale in carcere e lui si sente un eroe, questo sciagurato. Ma il popolo napoletano non può essere confuso con la camorra.<ref>[http://www.quirinale.it/ex_presidenti/Pertini/mess_fineanno/pertini_m1982.htm www.quirinale.it] Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani, Palazzo del Quirinale 31 dicembre [[1983]]</ref>}}
 
=== Il bacio alla bandiera ===
* Pertini introdusse il rito del "bacio alla bandiera" tricolore, che sarebbe divenuto usuale anche per i suoi successori. Non solo, ma in occasione delle sue visite ufficiali all'estero estese il rito del bacio anche alle bandiere dei Paesi ospiti.
* Nel [[1982]] [[Ronald Reagan]], all'epoca presidente degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]], ricevette il 25 marzo a [[Washington]] il presidente italiano e scrisse in uno dei suoi diari personali: «Oggi è arrivato Sandro Pertini. Ha 84 anni ed è un fantastico gentiluomo. Abbiamo avuto un ottimo colloquio. Ama molto gli Stati Uniti. C'è stato un momento commovente quando è passato davanti al marine che teneva la nostra bandiera. Si è fermato e l'ha baciata».<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/2007/maggio/03/paure_Reagan_otto_anni_diari_co_9_070503105.shtml articolo su "[[Corriere della Sera]]"] di Ennio Caretto</ref>
 
=== La partecipazione ai funerali di Stato ===
[[File:Sandro Pertini funerale Berlinguer.jpg|thumb|Pertini rende omaggio al feretro di [[Enrico Berlinguer]]]]
* Per un certo periodo Pertini diventò "il presidente dei funerali di Stato". Nel gennaio [[1979]], il funerale di [[Guido Rossa]], davanti a 250.000 persone, diventò l'occasione per un forte attacco alle [[Brigate Rosse]]; il momento forse più cupo fu il funerale dopo la [[strage di Bologna]] del 2 agosto [[1980]].<ref>Cfr. ''Il partigiano Pert - Il Presidente più amato dagli italiani'' in [http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/il-partigiano-pert/641/default.aspx ''La storia siamo noi'' - RAI]</ref>
* Pertini partecipò commosso anche ai funerali del [[Egitto|presidente egiziano]] [[Anwar al-Sadat]], camminando in mezzo alla folla al seguito del feretro lungo tutto il percorso del corteo funebre e ricordandolo durante il discorso di fine anno nel [[1981]]:
{{Citazione|Siamo preoccupati, noi abbiamo assistito ai funerali del Presidente Sadat assassinato dai fanatici. Stava operando per la pace nel suo Paese e fra [[Israele]] e il Mondo Arabo. Ebbene noi abbiamo assistito a quei funerali; vi abbiamo assistito con un animo colmo di angoscia. Sono situazioni che riguardano tutti noi, non possono essere circoscritte al popolo e alle Nazioni in cui si svolgono, riguardano ognuno di noi, ogni uomo che ama la libertà e ogni uomo che ha a cuore la pace.<ref>[http://www.quirinale.it/ex_presidenti/Pertini/mess_fineanno/pertini_m1981.htm www.quirinale.it] Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani, Palazzo del Quirinale 31 dicembre [[1981]]</ref>}}
 
* Nel maggio del [[1980]] partecipò in veste ufficiale ai funerali di [[Josip Broz Tito]], presidente della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia]], e molti ritengono che baciò la [[bandiera della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|bandiera]] che ne avvolgeva la bara. Alcuni ambienti ritennero in seguito tale presunto gesto offensivo nei confronti della comunità giuliano-dalmata, poiché il regime di Tito perpetrò i [[massacri delle foibe]] e provocò l'[[esodo istriano]]<ref>{{cita libro|1=Giuseppe|2=Dicuonzo|3=Nato in rifugio. Il polesano di Barletta|url=http://books.google.it/books?id=1v0kBu498AQC&printsec=frontcover&source=gbs_summary_r&cad=0#PPA54,M1|accesso=20 marzo 2009|6=2008|7=Editrice UNI Service|isbn=88-6178-239-6|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110520143354/http://books.google.it/books?id=1v0kBu498AQC&printsec=frontcover&source=gbs_summary_r&cad=0#PPA54,M1|dataarchivio=20 maggio 2011}} p. 54.</ref><ref>{{cita news|autore=Paolo Granzotto|url=http://www.anvgd.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2082&Itemid=144|titolo=La mattanza delle foibe e le amnesie di Pertini|pubblicazione=Il Giornale|giorno=15|mese=2|anno=2008|accesso=23 maggio 2008}} Articolo riportato sul sito dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.</ref>. In realtà, almeno in quella occasione, appoggiò solo un braccio sulla bara<ref>http://www.youtube.com/watch?v=uZD5UHxx_84 , minuto 7.04</ref>, baciando la bandiera in un altro momento della cerimonia.
* Nella vicenda della scomparsa di [[Enrico Berlinguer]], Pertini fu particolarmente partecipe. Trovandosi a [[Padova]] per ragioni di Stato, si recò in ospedale per constatare le condizioni del leader comunista. Poche ore dopo il decesso impose di trasportarne la salma sull'aereo presidenziale, dicendo: «Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta». Durante le esequie in [[Basilica di San Giovanni in Laterano#Piazza di San Giovanni in Laterano|piazza S. Giovanni]] il 13 giugno [[1984]], [[Nilde Iotti]], dal palco delle autorità, ringraziò pubblicamente Pertini, scatenando un commovente applauso della folla partecipante (che, subito dopo, tributò fischi e contestazioni al Presidente del Consiglio [[Bettino Craxi]] e agli esponenti di Governo presenti<ref>[[Gennaro Acquaviva]], che era presente, ha ricordato che Craxi: «La prese male. "Non lo accetto", sbottò. "In mezzo a loro ci sono tanti nostri compagni e io considero questa gente la mia gente!". Cfr. [[Marcello Sorgi]], ''PCI-PSI, c'eravamo tanto odiati'', [http://www.lastampa.it/2010/11/17/cultura/pci-psi-c-eravamo-tanto-odiati-ps275rW0Bic2gP8IZLodaN/pagina.html ''La Stampa'' del 17 novembre 2010]</ref>).
 
=== Altre peculiari posizioni ===
[[File:Targa Pertini Fontana di Trevi.JPG|thumb|Targa commemorativa dedicata al Presidente Pertini esposta sul muro della sua abitazione in Piazza di Trevi.]]
[[File:Sandro Pertini con Giovanni Paolo II 2.jpg|thumb|Sandro Pertini con [[papa Giovanni Paolo II]] sull'[[Adamello (monte)|Adamello]]]]
* Prima della sua elezione nel [[1978]] Pertini dichiarò di aver evitato nelle precedenti votazioni per il Quirinale la candidatura al Colle («Non mi sarei proprio sentito a mio agio, lì al Quirinale! Infatti ogni volta che qualcuno tentava di farmi eleggere, io appoggiavo un altro candidato»).<ref name=Fallaci/> La decisione di accettare l'incarico fu probabilmente dovuta alla particolare situazione politica creatasi dopo le accuse a [[Giovanni Leone|Leone]] e le relative dimissioni.
* Pertini fu tra i presidenti che scelsero di non abitare nel [[Palazzo del Quirinale]], e mantenne la propria residenza nel suo appartamento romano, secondo lo stesso Pertini per espresso desiderio della moglie. Visse infatti per molti anni in una mansarda di 35&nbsp;m² che s'affaccia sulla [[fontana di Trevi]]. Gli abitanti del quartiere lo incontravano spesso, quando ogni mattina l'auto di servizio andava a prenderlo per condurlo "in ufficio" al Quirinale senza grandi apparati di sicurezza; per chi lo riconosceva e lo salutava, soprattutto i bambini, il Presidente aveva sempre un sorriso e un gesto di saluto.
* Pertini non volle mai conseguire la patente e, escluse le occasioni ufficiali, era la moglie a fargli da autista con l'utilitaria di famiglia. Tale vettura, una [[Fiat Nuova 500|Fiat 500 D]] rossa del [[1962]], fu donata dalla moglie al [[Comune di Torino]] ed è conservata nel [[Museo dell'automobile di Torino|Museo nazionale dell'automobile]].
* Era solito trascorrere le sue vacanze estive a [[Selva di Val Gardena]], alloggiando nella locale caserma dei carabinieri, per non disturbare la cittadinanza con ulteriori misure di sicurezza durante la sua permanenza. Nella vicina [[Val di Fassa]], nel comune di [[Campitello di Fassa|Campitello]] è stato costruito nel [[1986]] il "Rifugio Sandro Pertini", nel nome dell'amicizia che legava il Presidente e il gestore del rifugio.
 
=== Comportamenti che suscitarono polemiche ===
 
* Tra i primi provvedimenti da capo dello Stato ci fu quello di concedere la [[Grazia (diritto)|grazia]], nonostante l'assenza di pentimento da parte dell'interessato e il parere contrario della Procura di [[Trieste]],<ref>{{cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/settembre/20/Toffanin_Pertini_grazio_procura_non_co_0_97092014627.shtml|titolo=Toffanin, Pertini lo graziò ma la procura non voleva|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=20|mese=7|anno=1997|accesso=18 maggio 2009}}</ref> all'ex-partigiano [[Mario Toffanin]] detto "Giacca", condannato all'ergastolo nel [[1954]] come principale responsabile dell'[[eccidio di Porzûs]], massacro in cui avevano perso la vita diciassette partigiani cattolici della [[Brigata Osoppo]].<ref>{{cita news|autore=Roberto. Morelli|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/febbraio/28/comandante_Giacca_graziato_Pertini_co_0_96022810765.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110520060338/http://archiviostorico.corriere.it/1996/febbraio/28/comandante_Giacca_graziato_Pertini_co_0_96022810765.shtml|titolo=Toffanin, Pertini lo graziò ma la procura non voleva|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=20|mese=7|anno=1997|accesso=18 maggio 2009|urlmorto=sì|dataarchivio=20 maggio 2011}}</ref>
* Nel febbraio [[1983]], tra lo stupore generale visitò in ospedale a Roma il giovane [[Paolo Di Nella]], militante neofascista del [[Fronte della Gioventù (MSI)|Fronte della Gioventù]], in coma per essere stato colpito alla testa con una spranga da due giovani mentre affiggeva dei manifesti,<ref>[http://www.camera.it/_dati/leg08/lavori/stenografici/sed0628/sed0628.pdf Interrogazione parlamentare dell'11 febbraio 1983]</ref> e che nei giorni successivi morì.<ref>{{cita libro|Luca|Telese|wkautore=Luca Telese|Cuori neri|2006|Sperling & Kupfer|Milano|isbn=88-200-3615-0}} p. 715.</ref>
* Il giornalista [[Indro Montanelli]], in un articolo pubblicato sul ''[[Corriere della Sera]]'' del 27 ottobre [[1963]], scrisse: «Non è necessario essere socialisti per amare e stimare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità.»<ref>{{cita|Montanelli 1994}}</ref> Tuttavia lo stesso Montanelli, rispondendo alla lettera di un lettore sul Corriere del 16 giugno [[1997]], scrisse un articolo critico sulla figura del defunto presidente dal titolo "''Pertini? Sono altri i grandi d'Italia''".<ref>{{cita news|autore=Indro Montanelli|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/16/Pertini_Sono_altri_grandi_Italia_co_0_97061617382.shtml|titolo=Pertini? Sono altri i grandi d'Italia|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=16|mese=6|anno=1997|accesso=14 aprile 2009}}</ref> Il giudizio espresso dal giornalista fu definito «molto riduttivo e quasi sprezzante» dall'allora ministro [[Antonio Maccanico]], ex collaboratore di Pertini, in una lettera inviata al quotidiano e pubblicata tre giorni dopo.<ref>{{cita news|autore=Antonio Maccanico, Indro Montanelli|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/19/Montanelli_Maccanico_botta_risposta_sulla_co_0_97061916647.shtml|titolo=Montanelli Maccanico, botta e risposta sulla figura di Pertini|pubblicazione=Corriere della Sera|giorno=19|mese=6|anno=1997|accesso=14 aprile 2009}}</ref>
* Altri giudizi molto critici su Pertini furono espressi dallo scrittore e giornalista di destra [[Marcello Veneziani]]<ref name= Veneziani />.
 
=== Cinema e spettacolo ===
[[File:Sandro Pertini e Eduardo De Filippo.jpg|thumb|Sandro Pertini con il commediografo e attore [[Eduardo De Filippo]], da lui nominato senatore a vita]]
 
* Nel film del [[1974]] ''[[Mussolini ultimo atto]]'', di [[Carlo Lizzani]], c'è un personaggio, doppiato da [[Sergio Graziani]], ispirato a Pertini. Lizzani in un suo libro ha scritto che l'allora presidente della Camera dei deputati, dopo aver visto il film in proiezione privata, in una lettera commentò bonariamente: «Durante quelle caldissime giornate mi fu rimproverata un'eccessiva intransigenza. Nel film, se c'è un personaggio "moscio" sono io!». Il film, che racconta gli ultimi giorni di Mussolini, si ispira alla ricostruzione che vuole [[Walter Audisio]], colonnello della 52ª [[Brigate Garibaldi|Brigata Garibaldi]], esecutore materiale dell'ordine del CLN di fucilare il Duce. Lizzani nel suo libro riporta che Pertini nella lettera gli scrisse: «E poi non fu Audisio a eseguire la «sentenza»; ma questo non si deve dire oggi».<ref>{{cita libro|Carlo|Lizzani|wkautore=Carlo Lizzani|Il mio lungo viaggio nel secolo breve|2007|Einaudi|Torino|isbn=88-06-18802-X}} p. 236.</ref><ref>{{cita news|autore=Bernardino Marinoni|url=http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cultura%20e%20Spettacoli/85847/|titolo=Lizzani: "Pertini mi scrisse che al duce non sparò Audisio"|pubblicazione=La Provincia|giorno=20|mese=2|anno=2009|accesso=23 marzo 2009}}</ref>
* ''Ci sarà un giorno (Il giovane Pertini)'' di [[Franco Rossi (regista)|Franco Rossi]] è un film del 1993 che racconta la vita di Pertini (interpretato da [[Maurizio Crozza]]) nel quinquennio 1925-1930. Prodotto dalla [[RAI - Radiotelevisione Italiana|RAI]], è stato trasmesso solo nel 2010 a causa dell'opposizione della moglie.<ref>[http://www.imdb.com/title/tt1612754/], [http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/cultura/2010/01/05/AMsnYRGD-il_pertini_censurato.shtml], [http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/cultura/2010/01/06/AM1wvbGD-marano_trasmettera_pertini.shtml], [http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/cultura/2010/01/09/AMGZe8GD-pertini_anteprima_censurato.shtml], {{collegamento interrotto|[http://www.messinanews.com/cultura-societa/pertini-non-e-papi/]|date=gennaio 2018|bot=InternetArchiveBot}}, [http://www.digital-sat.it/new.php?id=21323]</ref>
* La sua popolarità fece sì che diventasse spesso anche oggetto di attenzione da parte del mondo dello spettacolo: nel cabaret televisivo degli [[anni 1980|anni ottanta]], vi sono stati almeno due noti imitatori di Sandro Pertini: [[Alfredo Papa]] e [[Massimo Lopez]]. Il primo doppiava il pupazzo ''Sandrino'' che interloquiva con [[Lino Toffolo]] nel varietà di [[Canale 5]] ''[[Risatissima]]''. Il secondo imitava Pertini in prima persona, particolarmente negli ''sketch'' del ''[[Il Trio|Trio]]'' (Lopez, [[Anna Marchesini|Marchesini]], [[Tullio Solenghi|Solenghi]]) per l'edizione [[1985]]-[[1986]] di ''[[Domenica In]]''.
* Pertini è il presidente che il cantautore romano [[Antonello Venditti]] cita nella canzone ''Sotto la pioggia'', scritta nel [[1982]] e contenuta nell'omonimo album:
{{Citazione|... Il Presidente dietro i vetri un po' appannati fuma la pipa, il Presidente pensa solo agli operai, sotto la pioggia...}}
 
* Pertini è citato nella canzone ''[[L'italiano/Sarà|L'Italiano]]'', presentata da [[Toto Cutugno]] al [[festival di Sanremo 1983]]; la musica del brano è dello stesso Cutugno, mentre il testo è di [[Cristiano Minellono]]: « Buongiorno [[Italia]], gli [[spaghetti]] al dente e un [[partigiano]] come [[presidente della Repubblica italiana|presidente]]».<ref>Anselmi, Eddy, Festival di Sanremo. Almanacco illustrato della canzone italiana, Panini, Modena, 2009, p. 336-338</ref><ref>[http://www.festival.vivasanremo.com/1983.htm Viva Sanremo - La storia: 1983]</ref><ref>[http://sanremotuttosulfestival.splinder.com/tag/festival+1983 Sanremo. Tutto sul Festival: 1983] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20111118013245/http://sanremotuttosulfestival.splinder.com/tag/festival+1983 |data=18 novembre 2011 }}</ref>.
* Pertini è stato protagonista di una striscia a [[fumetto|fumetti]] (''Pertini'', o ''Pertini Partigiano'') disegnata da [[Andrea Pazienza]] e pubblicata su varie testate storiche della [[satira]] italiana, tra cui ''[[Il Male]]'', ''[[Cannibale (rivista)|Cannibale]]'', ''[[Frigidaire (rivista)|Frigidaire]]'' e successivamente ''[[Cuore (periodico)|Cuore]]''. Le strisce e il materiale prodotto sono in seguito state pubblicate in volume da Primo Carnera Editore nel [[1983]] e da [[Baldini Castoldi Dalai editore|Baldini & Castoldi]] nel [[1998]]. La striscia immergeva il Presidente negli anni della [[Resistenza italiana]] al [[nazismo]], dipingendolo come coraggioso e pragmatico guerrigliero, affiancato e intralciato dall'inetto aiutante ''Paz'', l'autore stesso.
* Pertini è protagonista - dal 2014 - di una piece teatrale dal titolo ''Gli uomini per essere liberi. Sandro Pertini, il Presidente'' di Gianni Furlani. {{Citazione necessaria|La piece - replicata oltre 70 volte, anche con la presenza del Presidente della Repubblica [[Sergio Mattarella]] nell’estate del 2016 - è stata riconosciuta - con comunicazione DICA-0014928-P-11/07/2017 - "evento di interesse nazionale" dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel giugno del 2017.}}
 
== Opere ==
*''La fuga di Filippo Turati'', in ''Trent'anni di storia italiana, 1915-1945. Dall'antifascismo alla Resistenza'', Torino, Einaudi, 1961.
* ''Quei giorni della liberazione di Firenze. ...e la Martinella suonò...'', a cura di G. Errera, Firenze, Le Monnier, 1983. ISBN 88-00-85598-9; Firenze, Pugliese, 2006. ISBN 88-86974-34-5.
* ''Pertini racconta. Storia di un uomo e del suo mito'', Milano, Garzanti, 1984.
* ''La mia Repubblica'', a cura di G. Spadolini, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1990.
* ''Scritti e discorsi di Sandro Pertini'', 2 voll., a cura di S. Neri Serneri, A. Casali, G. Errera, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1992.
* ''Sandro Pertini, combattente per la libertà'', a cura di S.Caretti e M.Degl'Innocenti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1996.
* ''Sandro Pertini. Carteggio: 1924-1930'', a cura di S.Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2005. ISBN 88-88546-55-3.
* ''Discorsi parlamentari 1945-1976'', a cura di M. Arnofi, Roma-Bari, Laterza, 2006. ISBN 88-420-7871-9.
* ''Sandro Pertini. Lettere dal carcere: 1931-1935'', a cura di S.Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2006. ISBN 88-89506-19-9.
* ''Sandro Pertini. Dal confino alla Resistenza. Lettere 1935-1945'', a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2007. ISBN 978-88-89506-13-4.
* ''Sandro Pertini. Dal delitto Matteotti alla Costituente. Scritti e discorsi, 1924-1946'', a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2008. ISBN 978-88-89506-63-9.
* ''Sandro Pertini. Anni di guerra fredda. Scritti e discorsi: 1947-1949'', a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2010. ISBN 978-88-89506-91-2.
* ''Sandro Pertini. La stagione del frontismo. Scritti e discorsi: 1949-1953'', a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2015. ISBN 978-88-86582-03-08.
* ''Sandro Pertini. L'autunno del centrismo e l'alternativa socialista. Scritti e discorsi: 1953-1958'', a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2016. ISBN 978-88-86852-03-039.
* ''Bibliografia degli scritti e discorsi di Sandro Pertini, 1924-2008'', a cura di A. Gandolfo, Savona, Provincia, 2008.
* ''Gli uomini per essere liberi'', a cura di P. Pierri, Torino, ADD, 2012. ISBN 978-88-96873-47-2.
*''Gli Impertinenti, il viaggio di Sandro e Carla Pertini, per l'Italia di oggi'', a cura di E. Cuccodoro, Maglie-Lecce, Edizioni Voilier, 2018.
 
== Onorificenze ==
=== Onorificenze italiane ===
Nella sua qualità di Presidente della Repubblica italiana è stato, dal 9 luglio 1978 al 29 giugno 1985:
 
{{Onorificenze
|immagine = Cordone_di_gran_Croce_di_Gran_Cordone_OMRI_BAR.svg
|nome_onorificenza = Capo dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
|collegamento_onorificenza = Ordine al merito della Repubblica Italiana
|motivazione =
}}{{Onorificenze
|immagine=Cavaliere BAR.svg
|nome_onorificenza=Capo dell'Ordine militare d'Italia
|collegamento_onorificenza=Ordine militare d'Italia
|motivazione=
}}
{{Onorificenze
|immagine=OrdineLavoro.png
|nome_onorificenza=Capo dell'Ordine al merito del lavoro
|collegamento_onorificenza=Ordine al merito del lavoro
|motivazione=
}}
{{Onorificenze
|immagine = OSSIbis3.png
|nome_onorificenza = Presidente dell'Ordine della stella della solidarietà italiana
|collegamento_onorificenza = Ordine della Stella della Solidarietà Italiana
|motivazione =
}}{{Onorificenze
|immagine=Ordine di Vittorio Veneto BAR.svg
|nome_onorificenza=Capo dell'Ordine di Vittorio Veneto
|collegamento_onorificenza=Ordine di Vittorio Veneto
|motivazione=
}}
 
Personalmente è stato insignito di:
{{Onorificenze
|immagine=Valor militare gold medal BAR.svg
|nome_onorificenza=Medaglia d'oro al valor militare
|collegamento_onorificenza=Valor militare
|motivazione=''Animatore instancabile della lotta per la libertà d'Italia, dopo 15 anni trascorsi tra carcere e confino, l'8 settembre 1943 si poneva alla testa degli ardimentosi civili che a fianco con i soldati dell'esercito regolare contrastarono tenacemente l'ingresso alle truppe tedesche nella Capitale. Membro della giunta militare del C.L.N. centrale, creava una delle maggiori formazioni partigiane operanti sui piano nazionale. Arrestato e individuato quale capo dell'organizzazione militare clandestina, sottoposto a duri ed estenuanti interrogatori ed a violenze fisiche con il suo fiero ed ostinato silenzio, riusciva a mantenere il segreto. Il 25 gennaio 1944 riacquistava la libertà con una fuga leggendaria dal carcere, riassumeva il suo posto di comando spostandosi continuamente in missione di estremo pericolo nelle regioni dell'Italia centrale, dove più infieriva la lotta alla quale partecipava personalmente. Nel maggio 1944 si recava in Lombardia per portarvi il suo contributo prezioso ed insostituibile di animatore e combattente, potenziando le Brigate che in ogni regione dell'Italia occupata, sotto la sua guida, divennero un formidabile strumento di lotta contro l'invasore. Di là, a fine luglio 1944, si portava in [[Firenze]] dove, alla testa dei partigiani locali, partecipava all'insurrezione vittoriosa. Rientrato in Roma liberata, chiedeva di essere inviato nell'Italia occupata e dalla Francia effettuava il passaggio del Monte Bianco. Nella Val d'Aosta (Cogne), soggetta ad un feroce rastrellamento, si univa alle formazioni partigiane distinguendosi in combattimento. Raggiunta Milano, riprendeva il suo posto nei maggiori organi direttivi della resistenza. L'insurrezione del Nord lo aveva, quale membro del Comitato insurrezionale, tra i maggiori protagonisti nelle premesse organizzative e nell'urto militare decisivo. Uomo di tempra eccezionale, sempre presente in ogni parte d'Italia ove si impugnassero le armi contro l'invasore. La sua opera di combattente audacissimo della resistenza gli assegnava uno dei posti più alti e lo rende meritevole della gratitudine nazionale nella schiera dei protagonisti del secondo Risorgimento d'Italia.''
|luogo=Roma, Firenze, Milano, 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945.<ref>[http://www.quirinale.it/onorificenze/DettaglioDecorato.asp?idprogressivo=14653&iddecorato=14233 www.quirinale.it] Assegnazione onorificenze</ref>
}}
{{Onorificenze
|immagine=Valor militare silver medal BAR.svg
|nome_onorificenza=Medaglia d'argento al valor militare
|collegamento_onorificenza=Valor militare
|motivazione=''Durante tre giorni di violentissime azioni offensive, senza concedersi sosta alcuna, animato da elevatissimo senso del dovere, con superlativa audacia e sprezzo del pericolo avanzava primo fra tutti verso le munite difese nemiche, vi trascinava i pochi suoi uomini e debellava una dietro l'altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne. Contribuiva così efficacemente alla conquista di ben difesa posizione nemica catturando numerosi prigionieri e bottino importante. Bellissima figura di eroismo e di audacia.''
|luogo=Descia - M. Cavallo - Jelenick, 21-22-23 agosto 1917<ref>[http://www.pertini.it/cesp/doc_06.htm CESP - Documenti] La medaglia al valore</ref>
}}
Ebbe tale decorazione per aver guidato, nell'agosto del [[1917]] un assalto al monte Jelenik, durante la [[Undicesima battaglia dell'Isonzo|battaglia della Bainsizza]]. Tuttavia, dopo la guerra, tale decorazione fu occultata dal regime fascista a causa della sua militanza socialista.
Pertini seppe del conferimento solo quando divenne Presidente della Repubblica, dopo alcune ricerche dello staff dello Stato Maggiore. Alla proposta di consegna egli si rifiutò dicendo che se l'allora regime negò tale merito non riteneva giusto raccoglierlo ora vista la sua posizione di Presidente della Repubblica. L'onorificenza gli fu comunque consegnata, terminato il suo mandato presidenziale, nel suo ufficio di senatore a vita, dall'allora presidente del Senato, [[Giovanni Spadolini]]<ref name= Medaglia17 />.
{{Onorificenze
|immagine=1GMx4.png
|nome_onorificenza=Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 1918 (4 anni di campagna)
|collegamento_onorificenza=Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 18
|motivazione=
}}
{{Onorificenze
|immagine=Medaglia a ricordo dell'Unità d'Italia BAR.svg
|nome_onorificenza=Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia
|collegamento_onorificenza=Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia
|motivazione=
}}
{{Onorificenze
|immagine=Allied Victory Medal BAR.svg
|nome_onorificenza=Medaglia commemorativa italiana della vittoria
|collegamento_onorificenza=Medaglia interalleata della vittoria
|motivazione=
}}
{{Onorificenze
|immagine = BenemeritiCultura1.png
|nome_onorificenza = Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte
|collegamento_onorificenza = Medaglia ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte
|motivazione =
|luogo = 10 luglio [[1985]]<ref>[http://www.quirinale.it/onorificenze/DettaglioDecorato.asp?idprogressivo=6184&iddecorato=5763 www.quirinale.it] Assegnazione onorificenze</ref>
}}
 
Il 6 dicembre 1985 a Padova, presso la Sala dei Giganti dell'Università, gli è stato consegnato il "[[Premio Pedrocchi per la Poesia]]" per aver detto nel corso del suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica, nel luglio 1978: « "Si svuotino gli arsenali strumenti di morte, si riempiano i granai, strumenti di vita » [cfr. ''Il Mattino di Padova'' 6, 7, dicembre 1985; ''Il Gazzettino'' 6, 7 dicembre 1985].
 
=== Onorificenze straniere ===
{{Onorificenze
|immagine=PRT Order of Saint James of the Sword - Grand Collar BAR.png
|nome_onorificenza=Gran Collare dell'Ordine di San Giacomo della Spada (Portogallo)
|collegamento_onorificenza=Ordine di San Giacomo della Spada
|motivazione=
|data=17 novembre [[1980]]
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order of the Bath (ribbon).svg
|nome_onorificenza = Cavaliere di Gran Croce onorario dell'Ordine del Bagno - civile (Regno Unito)
|collegamento_onorificenza = Ordine del Bagno
|motivazione =
|data = 14 ottobre [[1980]]
}}
 
* Fu il primo a ricevere l'onorificenza della "[[Medaglia Otto Hahn per la Pace]]" della Società Tedesca per le Nazioni Unite (Deutsche Gesellschaft für die Vereiten Nationen, DGVN): gli fu assegnata a [[Berlino]] nel dicembre [[1988]] «per meriti eccezionali in favore della pace e della comprensione fra i popoli, in particolare per la sua morale politica e la praticata umanità».
 
== Monumenti e infrastrutture dedicate a Pertini ==
[[File:Monumento Sandro Pertini Nereto Teramo.png|upright=0.7|thumb|Statua bronzea di Pertini a [[Nereto]] ([[Provincia di Teramo|TE]]).]]
Il primo monumento dedicato a Sandro Pertini fu inaugurato poco dopo la sua morte, nel [[1990]] a [[Milano]], in via Croce Rossa, opera dell'architetto [[Aldo Rossi]].
 
Altri monumenti a Pertini si ricordano nei comuni di [[Rimini]], [[Nereto]], [[Campo nell'Elba]] e [[Foligno]]. A Stella, dove nacque, e dove è sepolto, un suo busto è collocato davanti alla sede comunale.
 
A Sandro Pertini sono inoltre intitolati, tra gli altri, l'[[aeroporto di Torino-Caselle]] e l'ospedale "Sandro Pertini" di Roma, inaugurato nel 1990 nella zona di [[Pietralata (Roma)|Pietralata]].
 
A Savona gli è dedicato il ponte che collega Piazza Leon Pancaldo al porto (darsena).<ref>[http://www.savonanews.it/2015/09/24/leggi-notizia/argomenti/attualit/articolo/savona-a-sandro-pertini-il-ponte-a-raso-la-benedizione-del-vescovo.html Savona, "Sandro Pertini ponte per i cittadini verso le istituzioni": a lui l'intitolazione]</ref>
 
L'''Associazione Nazionale Sandro Pertini'' tiene inoltre un dettagliato elenco, non esaustivo, delle numerose scuole, parchi, infrastrutture, centri culturali e politici, strade, piazze e manifestazioni varie, intitolate a Sandro Pertini in Italia<ref>[http://www.pertini.it/atti.htm Associazione Nazionale Sandro Pertini - Elenco delle intitolazioni a Sandro Pertini]</ref>.
 
== La Fondazione Sandro Pertini ==
La "[[Fondazione (ente)|Fondazione]] Sandro Pertini" è stata costituita il 23 settembre [[2002]], a [[Firenze]], su iniziativa della moglie del presidente, [[Carla Voltolina]].
 
La firma dell'atto pubblico di costituzione è avvenuta in occasione di una cerimonia svoltasi nell'aula magna della facoltà di [[Scienze Politiche]] "[[Cesare Alfieri di Sostegno|Cesare Alfieri]]" che aveva visto laurearsi, nel [[1924]], proprio Sandro Pertini.
 
La fondazione si pone come principale obiettivo quello di promuovere e divulgare studi sull'opera e il pensiero di Sandro Pertini; inoltre, si prefigge come scopo ulteriore, ma non secondario, quello di preservare il patrimonio dell'uomo politico costituito da cimeli, libri, archivio storico, fotografie, quadri e documenti vari da destinare alla pubblica fruizione, nonché quello di diffondere i valori per i quali Pertini si era battuto durante la sua esistenza<ref>[http://www.fondazionepertini.it/asp/fondazione.asp?IdSez=1&IdSottoSez=1 Fondazione Sandro Pertini] Storia della fondazione</ref>.
 
L'attuale organigramma della Fondazione è così composto:
* Presidente: Umberto Voltolina
* Vicepresidenti: Pietro Pierri e Diomira Pertini
 
== Note ==
<references/>
 
== Bibliografia ==
* {{cita libro|40º anniversario della Repubblica. Omaggio dei senatori socialisti a Sandro Pertini. Umanità, coerenza, coraggio. Grazie Sandro|Roma|Edizioni Avanti|1986}}
* {{cita libro|Claudio|Angelini|wkautore=Claudio Angelini|In viaggio con Pertini|1985|Bompiani|Milano}}
* {{cita libro|Franco|Bandini|Le ultime 95 ore di Mussolini|1968|Mondadori|Milano|cid=Bandini}}
* {{cita libro|Gianni|Bisiach|wkautore=Gianni Bisiach|Pertini racconta gli anni 1915-1945|1983|Mondadori|Milano|cid=Bisiach}}
* Stefano Bramanti (a cura di), ''Sandro Pertini campese detenuto politico a Pianosa 1932-1935'', Comune di Campo nell'Elba, 2004.
* Stefano Bramanti, Romano Figaia, Marcello Marinari (a cura di), ''Portoferraio 1933, Processo a Sandro Pertini. Pertini detenuto politico sotto il regime fascista, atti del procedimento per oltraggio, commento giuridico, riflessioni sulla Portoferraio dell'epoca'', Roma, Editori Riuniti, 2010. ISBN 978-88-6473-024-0.
* Giuseppe Bruccoleri, ''Grazie Presidente'', Trapani, Corrao, 1985.
* {{cita libro|Salvatore|Carbone (a cura di)|Il "sovversivo" Pertini (1925-1943)|Cosenza|1991|Editoriale Bios|isbn=88-7740-116-8}}
* {{cita libro|Stefano|Caretti|coautore=Maurizio Degl'Innocenti (a cura di)|Sandro Pertini combattente per la libertà|1996|Piero Lacaita Editore|Manduria-Bari-Roma|isbn=88-87280-22-3}}
* {{cita libro|Stefano|Caretti|coautore=Maurizio Degl'Innocenti (a cura di)|Sandro Pertini e la bandiera italiana|1998|Piero Lacaita Editore|Manduria-Bari-Roma|isbn=88-87280-52-5}}
* {{cita libro|Franco|Cazzola (a cura di)|Sandro Pertini. Il presidente di tutti|Firenze|2014|Clichy|isbn=978-88-6799-108-2}}
* Lucia Compagnino, ''Pertini. Presidente per sempre'', Genova, Frilli, 2005.
* {{cita libro|Giancarlo|De Cataldo|Il combattente. Come si diventa Pertini|2014|Rizzoli|Milano|isbn=978-88-17-07246-5}}
* {{cita libro|curatore=Massimiliano Di Mino e Pier Paolo Di Mino |titolo=Il libretto rosso di Pertini |città=Roma |anno=2011 |editore=Castelvecchi Purple Press |isbn=978-88-95903-50-7 |cid=DiMino}}
* {{cita libro|Rino|Di Stefano|“Mia cara Marion..." 1926-1949. Dal carcere alla Repubblica: gli anni bui di Sandro Pertini nelle lettere alla sorella|2004|De Ferrari Editore|Genova|isbn=88-7172-621-9}}
* Giustino D'Orazio, ''Presidenza Pertini (1978-1985). Neutralità o diarchia? (contributo ad una analisi giuridico-costituzionale)'', Rimini, Maggioli, 1985.
* {{cita libro|Vico|Faggi (a cura di)|Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni|Milano|1970|Mondadori|isbn=88-04-33827-X}}, con prefazione di [[Giuseppe Saragat]].
* {{cita libro|Mimmo|Franzinelli|L'amnistia Togliatti|2007|Mondadori|Milano|isbn=88-04-56638-8|cid=Franzinelli}}
* {{cita libro|Andrea|Gandolfo|Il giovane Pertini. Da Stella a Nizza 1896-1929|2002|De Ferrari|Genova|isbn=88-7172-411-9}}
* {{cita libro|Andrea|Gandolfo|Sandro Pertini. Dalla nascita alla Resistenza 1896-1945|2010|Aracne|Roma|isbn=978-88-548-3614-3}}
* {{cita libro|Andrea|Gandolfo|Sandro Pertini. Dalla Liberazione alla solidarietà nazionale 1945-1978|2013|Aracne|Roma|isbn=978-88-548-6071-1}}
* {{cita libro|Andrea|Gandolfo|Sandro Pertini. Dalla nascita alla Resistenza 1896-1945|edizione=2|2013|Aracne|Roma|isbn=978-88-548-3614-3}}
* {{cita libro|Andrea|Gandolfo|Sandro Pertini. Dall'ascesa al Quirinale allo scandalo della P2 1978-1981|2017|Aracne|Roma|isbn=978-88-255-0187-2}}
* {{cita libro|Andrea|Gandolfo|Sandro Pertini. Dalla stagione del pentapartito agli ultimi anni 1981-1990|2018|Aracne|Roma|isbn=978-88-255-1752-1}}
* {{cita libro|Antonio|Ghirelli|wkautore=Antonio Ghirelli|Caro Presidente|1981|Rizzoli|Milano}}
* {{cita libro|Mario|Guidotti|Sandro Pertini, una vita per la libertà|1987|Editalia|Roma|isbn=88-7060-178-1}}
* [[Ugo Intini]], ''Avanti! Un giornale, un'epoca'', Ponte Sisto, Roma, 2012.
* Michelangelo Jacobucci, ''Pertini uomo di pace'', Milano, Rizzoli, 1985.
* {{cita libro|Davide|Lajolo|Pertini e i giovani|1983|Colombo|Roma|oclc=12942133}}
* {{cita libro|Antonio|Maccanico|Con Pertini al Quirinale. Diari 1978-1985|2014|Il Mulino|Bologna|isbn=978-88-15-25099-5}}
* {{cita libro|Giuseppe|Marozin|Odissea Partigiana: "i 19 della Pasubio"|1965|Azione Comune|Milano|cid=Marozin}}
* {{cita libro|Antonio|Martino|wkautore=Antonio Martino (storico)|Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura|2009|Gruppo editoriale L'Espresso|Roma}}
* Giuseppe Milazzo, ''Il primo discorso di Sandro Pertini'' in ''Quaderni Savonesi'', pubblicato dall'ISREC della provincia di Savona, nº 24 dell'aprile 2011.
* Giuseppe Milazzo, ''Cristoforo Astengo. Le lotte politiche e l'impegno antifascista'', Savona, ISREC, 2016.
* {{cita libro|Indro|Montanelli|wkautore=Indro Montanelli|coautori=[[Mario Cervi]]|L'Italia degli anni di fango (1978-1993)|1993|Rizzoli|Milano|isbn=88-17-42729-2|cid=Montanelli 1993}}
* {{cita libro|Indro|Montanelli|Istantanee. Figure e Figuri della Prima Repubblica|1994|Rizzoli|Milano|isbn=88-17-42808-6|cid=Montanelli 1994}}
* {{cita libro|Paolo|Nori|wkautore=Paolo Nori|Noi la farem vendetta|2006|Feltrinelli|Milano|isbn=88-07-01705-9}}
* Mario Oppedisano, ''Il mio presidente'', Arenzano, Caroggio, 2003.
* {{cita libro|Luisa Righi e Stefan Wallish|L'Alto Adige dei famosi. In gita con Otzi, Sissi e Pertini|Vienna-Bolzano|2007|Folio Editore|isbn=978-88-86857-82-6}}
* ''Sandro Pertini: dalla Resistenza al Quirinale'', Palazzo Montecitorio, Sala della Lupa, 20 marzo 2012, Roma, Camera dei deputati, 2013, ISBN 978-88-98375-03-5.
* ''Sandro Pertini nella storia d'Italia'', Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 1997.
* {{cita libro|Giovanni|Errera (a cura di)|Sandro Pertini. Quei giorni della liberazione di Firenze: ...e la Martinella suonò...|Firenze|2006|Lucio Pugliese Editore|isbn=88-86974-34-5}}
* Giovanni Spadolini (a cura di), Sandro Pertini, La mia Repubblica, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 1990.
* {{cita libro|Gianluca|Scroccu|La passione di un socialista Sandro Pertini e il PSI dalla Liberazione agli anni del centro-sinistra|2008|Lacaita|Manduria-Bari-Roma|isbn=88-89506-68-7}}
* {{cita libro|Marcello|Staglieno|L'Italia del Colle: 1946-2006, sessant'anni di storia attraverso i dieci Presidenti|2006|Boroli Editore|Milano|isbn=88-7493-082-8}}
* Giuseppe Tuzzolo, ''La presidenza Pertini tra democrazia e diritto'', Prato, Omnia Minima Editrice, 2003.
* {{cita libro|Raffaello|Uboldi|Il cittadino Sandro Pertini|1982|Rizzoli|Milano|isbn=88-17-13529-1}}
* {{cita libro|Raffaello|Uboldi|Pertini soldato. Il dramma della prima guerra mondiale nei ricordi di un italiano|1984|Bompiani|Milano}}
* {{cita libro|Hans|Woller|I conti con il fascismo. L'epurazione in Italia 1943-1948|2008|Il Mulino|Bologna|isbn=88-15-09709-0|cid=Woller}}
* {{cita libro|Livio|Zanetti|wkautore=Livio Zanetti|Pertini sì Pertini no|1985|Feltrinelli|Milano|isbn=88-07-11006-7}}
* Roberto Zoldan, ''Pertini Presidente di tutti gli italiani'', Milano, Marzorati, 1985.
* {{cita libro|Domenico|Zucàro|coautori=[[Pietro Nenni]]|Socialismo e democrazia nella lotta antifascista, 1927-1939|url=http://books.google.it/books?id=9sGk_1UIfr4C|accesso=8 aprile 2009|1988|Feltrinelli|Milano|isbn=88-07-99045-8|cid=Zucàro}}
 
== Voci correlate ==
* [[Antifascismo]]
* [[Arrendersi o perire!]]
* [[Capi di Stato d'Italia]]
* [[Comitato di Liberazione Nazionale]]
* [[Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1978]]
* [[Ferrata Sandro Pertini]]
* [[Palazzo del Quirinale]]
* [[Partito Socialista Italiano]]
* [[Presidente della Repubblica Italiana]]
* [[Presidenti della Repubblica Italiana]]
* [[Presidenti della Camera dei Deputati italiana]]
* [[Resistenza italiana]]
* [[Senatore a vita (ordinamento italiano)]]
* [[Senatori della I legislatura della Repubblica Italiana]]
* [[Socialismo]]
 
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|http://www.quirinale.it/qrnw/statico/ex-presidenti/Pertini/per-biografia.htm|Sito del Quirinale}}
* {{cita web|http://www.pertini.it|Associazione Nazionale Sandro Pertini}}
* {{cita web|http://www.fondazionepertini.it|Fondazione Sandro Pertini}}
* {{cita web|http://www.centropertini.org/|Centro Culturale Sandro Pertini}} di Genova
* {{cita web|http://www.pertini.it/cesp/|CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini}}
* ''Il partigiano Pert - Il Presidente più amato dagli italiani'' in [http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/il-partigiano-pert/641/default.aspx "La Storia siamo noi"], [[Rai Storia]]
* {{cita web|http://www.oriana-fallaci.com/pertini/intervista.html|Intervista di Oriana Fallaci a Pertini - 27 dicembre 1973}}
* {{Collegamenti esterni}}
 
{{Box successione
|tipologia = incarico politico
|carica = [[Presidente della Repubblica Italiana]]
|immagine = Presidential flag of Italy (mod.1965).svg
|periodo = 9 luglio [[1978]] - 29 giugno [[1985]]
|precedente = [[Giovanni Leone]]
|successivo = [[Francesco Cossiga]]
}}
{{Box successione
|tipologia = incarico parlamentare
|carica = [[Presidente della Camera dei deputati]]
|immagine = Logo della Camera dei deputati.svg
|periodo = 5 giugno [[1968]] - 4 luglio [[1976]]
|precedente = [[Brunetto Bucciarelli-Ducci]]
|successivo = [[Pietro Ingrao]]
}}
{{Box successione
|tipologia = incarico di partito
|carica = Segretario del [[Partito Socialista Italiano]]
|immagine =
|periodo = 2 agosto [[1945]] - 18 dicembre [[1945]]
|precedente = [[Pietro Nenni]]
|successivo = [[Rodolfo Morandi]]
}}
{{Antifascismo}}
{{Presidenti della Repubblica Italiana}}
{{Presidenti della Camera dei deputati}}
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