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=='''Memoria su i saggi diversi di olio'''==
 
Giovanni Presta dedicò la sua prima opera all’imperatrice di Russia [[Caterina II di Russia]], dalla quale “per mezzo del Ministro di Napoli signor duca di Serracapriola ricevè in segno di gradimento duecento Zecchini effettivi di Olanda, ed un medaglione di oro col busto dell’Augusta Imperatrice da una parte, e la statua equestre di Pietro il Grande dall’altra”.
[[Immagine: Ulivo1.jpg|thumb|400px|left| Albero di Ulivo]]
 
Giovanni Presta dedicò la sua prima opera all’imperatrice di Russia Caterina II, dalla quale “per mezzo del Ministro di Napoli signor duca di Serracapriola ricevè in segno di gradimento duecento Zecchini effettivi di Olanda, ed un medaglione di oro col busto dell’Augusta Imperatrice da una parte, e la statua equestre di Pietro il Grande dall’altra”.
 
==='''Dedica'''===
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* “l’oliva di Spagna”, che presentava le olive più grosse in quelle zone;
* “la Corniola”;
* “l’uliva dolce”;dolce".
* “le Coccole di oleastro”, che in passato si credeva producessero un olio amaro in quanto le olive di questa pianta erano amare, invece, se raccolte mature davano all’olio un sapore gradevole.
Tutti i tipi di olio che egli aveva prodotto grazie all’uso delle sue tecniche e di quelle degli antichi, erano stati inviati da Giovanni Presta all’ imperatrice Caterina II. Alla fine del libro, l’autore analizza anche la “ragia” degli alberi di ulivo ottenuta senza alcun tipo d’incisione o di tecnica in quanto usciva da sola dai rami dell’albero. Presta dice che la “ragia” non apparteneva a tutti gli alberi ma negli ulivi era molto presente. Egli subito dichiara che le notizie sulla “ragia” erano state prese dal marchese Giuseppe Palmieri, economista leccese tra le figure più rappresentative del settecento napoletano ma attivo anche nel Salento.
 
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* terzo campione: olive raccolte nella prima metà di ottobre;
* quarto campione: olive raccolte nella seconda metà di ottobre.
Questo olio era chiamato “Onfacino” ed era di colore verdegiallo e poco fluido ma l’autore trovò il modo per schiarire il suo colore. DalleIl olivequinto semiacerbee siil ricavavasesto l’oliocampione contenevano l'olio ricavato dalle olive semiacerbe che in passato era chiamato “strictivum oleum, oleum ad unguenta, oleum viride”:
* quinto campione: olive raccolte nella prima metà di novembre;
* sesto campione: olive raccolte nella seconda metà di novembre;
Presta definì questo olio “Semionfacino”. NeiIl duesettimo successivie campionil'ottavo l’oliocampione puòcontenevano essereanch'essi consideratoolio “Onfacino”, datoricavato che leda olive erano ancora acerbe nonostante fossero raccolte a dicembre,. questoQuesto perché le olive appartenevano ad alberi differenti da quelle dei primi raccoltiquattro campioni. Nei mesi a seguire le olive erano ormai mature e l’olio che si produceva era di scarsa qualità e probabilmente era proprio l’olio che in passato era dato agli schiavi, quello delle olive nere detto “Cibarium Oleum”. I fiaschicampioni numero XV, XVI e XVII contenevano l’olio appartenente all’ “Ogliara” raccolta però a differente maturazione:
* il primo era di olive verdi e verdi biancastre, cioè di “Onfacino”;
* il secondo era di ulive rossonerastre, meno saporito del precedente;
* il terzo era di olive nere.
NelIl XVIII fiascocampione conteneva l’olio vergine che è da considerarsisempre da sempreconsiderato quello più prezioso.
 
==='''Seconda parte'''===
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* ovale con polpa “soda” ma più dolce della precedente;
* la terza oliva grossa “fatta a pendente” era dolcissima.
Un altro tipo di oliva era la “Mennella” di polpa tenerissima quasi acquosa ma l’autore ne chiamò un'altra “piccola Mennella” di l’oliva matura. Poi c'è “l’Usciana”, “l’Algiana”, l’oliva che i tarantini chiamavano “uliva dolce”, sempre per i tarantini la “Cerasola” simile alla “Mennella”, nel fiasco numero X “l’uliva Spagnola” di polpa soda e nel successivo la “Barisana” o “Varisana”. La “Pasola” che era nei quattro campioni di seguito, si distingueva in:
* “Pasola” ovale dolce;
* “Pasola” ovale amara;
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==='''Terza parte'''===
 
In quest’ultima parte Presta iniziò precisando, appunto, che mentre in passato tutti credevano che il nocciolo dell’oliva rovinasse il sapore dell’olio in realtà la sua presenza era indifferente. L’autore continua raffigurando le macchine utilizzate per la spremitura delle olive. Dai Greci era stato inventato il “Frantoio”, ritrovato negli scavi di Stabia. Per farlo funzionare c’era bisogno della spinta di braccia umane, quindi in passato erano gli schiavi a essere usati per macinare le olive. La vasca in cui avveniva questo lavoro con il “frantoio” non era molto ampia e doveva essere svuotata e poi riempita diverse volte, quindi questo lavoro richiedeva molto tempo. Nel periodo illuministico la macchina utilizzata per spremere le olive era la “Macina verticale”, ma sia con il “frantoio” sia con “la macina”, si notò che dal nocciolo non usciva olio, quindi tutto quello che si produceva apparteneva comunque alla polpa dell’oliva. In passato per capire se la presenza del nocciolo potesse rovinare il sapore dell'olio furono spremute sia le olive con il nocciolo sia quelle senza, ilricavandone saporeun dell'oloolio eradal sapore differente. aGli causaAntichi dellapensavano maturazioneche dell'olivail esapore nondiverso perfosse ladovuto alla presenza del nocciolo, in quanto gli antichi avevano raccolte le olive in periodi diversi. In fine, Presta dichiarainvece cheindividuava l’usonel delgrado frantoiodi anticomaturazione eradelle statoolive dismessoraccolte inla quantocausa riuscivadi atale ridurre in farina anche il nocciolo e questo cambiava il sapore dell'oliodifferenza.
 
=='''Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l'olio'''==
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==='''Dedica'''===
 
La lettera dedicatoria fu scritta a Gallipoli nel 1793. Come aveva promesso nellanell'opera seconda"''Memoria operaintorno a sessantadue saggi diversi di olio''", l’autore dedicò anche questo lavoro a Ferdinando IV, re delle Due Sicilie. Nella lettera dedicatoria Presta affermò di riuscire a produrre dell’olio che sarebbe riuscito a far tornare il prestigio al territorio per la sua alta qualità al territorio e scrisse al re che qui avrebbe riportatodescritto le tecniche di produzione dell’olio. In quest’opera egli affrontò gli argomenti che aveva presentato nelle famose lettere a Marco Lastri.
 
==='''Prefazione'''===
IlPresta all'inizio dell'opera dimostrò subito il suo carattere illuministico, poichè basava ancora una volta il suo lavoro sullo studio e sugli esperimenti. All'epoca l'olio prodotto nel Salento era considerato tra i migliori produttori di olio, tanto che l’olio salentino era contesotra con quellii più rinomati come quelli di Provenza e di Lucca. TaleLa perfezionesua dell’olioqualità dipendeva anche dall’efficacia del suo frantoio, dato chesalentino. Presta analizzando i frantoi delle altre zone e notandonotò i loro difetti none eranon riuscitoriuscì a trovare un frantoio migliore della “macine“macina verticale” usata nel Salento. QuelloA suo dire, quello fiorentino era difettoso in quanto solcato, mentre quello Genovese e quello Provenzale erano di taglio strettissimo. Grazie ai suoi successi e ai risultati da lui ottenuti il Salento continuava a ottenere prestigio per l’ottima produzione di olio.
 
Presta all’inizio dell’opera dimostrò subito il suo carattere illuministico, poiché basava ancora una volta il suo lavoro sullo studio e sugli esperimenti. Nella prefazione l’autore parlò un po’ della sua vita, fece un accenno alle accademie di quel tempo che affrontavano discorsi riguardanti la produzione agricola, poi parlò dell’ulivo come l’albero preferito da Minerva, divinità della guerra. Tutto ciò per conoscere meglio la pianta che egli stava studiando e per dare dignità alla propria ricerca. Egli, anche in quest’opera, confrontava tutti i suoi studi sulle tecniche del passato e su quelle moderne alla sua esperienza, tutto doveva essere verificato.
[[Immagine: Uliveto.jpg|thumb|300px|left]]
Il Salento era considerato tra i migliori produttori di olio, tanto che l’olio salentino era conteso con quelli più rinomati come quelli di Provenza e di Lucca. Tale perfezione dell’olio dipendeva anche dall’efficacia del suo frantoio, dato che Presta analizzando i frantoi delle altre zone e notando i loro difetti non era riuscito a trovare un frantoio migliore della “macine verticale” usata nel Salento. Quello fiorentino era difettoso in quanto solcato, mentre quello Genovese e quello Provenzale erano di taglio strettissimo. Grazie ai suoi successi e ai risultati da lui ottenuti il Salento continuava a ottenere prestigio per l’ottima produzione di olio.
 
==='''Dell'ulivo'''===
 
Il tema scelto nella prima parte dell’opera è l’olivo. Presta aprì il trattato con un’accurata descrizione di questa pianta, dicendo che per quanto riguarda la sua utilità sicuramente tra tutte l’olivo era il migliore: “di quanti mai vi son’alberi finor noti sopra la terra, se si ha riguardo all’utilità, che ciascun arreca, si può dire senza fallo, che l’Ulivo è il migliore tra tutti, l’Ulivo è il primo tra tutti, l’Ulivo è il Re”. In questa prima parte c’era un riferimento ai tempi antichi dove si confermava la sua tesi, infatti i Greci consideravano l’ulivo una pianta “divina”. L’ulivo, diceva Presta, era una delle piante che vivevano più a lungo, sicuramente alcuni secoli, e riporta diverse tesi sulla sua propagazione:
* la “propaggine”, tecnica rifiutataapprovata da Teofrasto,Catone anticoconsisteva botaniconel greco.ricoprire Approvatacon daterreno Catoneun cheramo in uno degli incontri agricoli diancora Teofrastoattaccato affermòalla chepianta glimadre ulivilasciando potevanoscoperta esserela sottopostiparte aapicale questadel tecnicaramo. Presta dicediceva di non aver mai utilizzato questo metodo, in quanto vi erano mezzi molto più facili ed economici.
* la “talea”, metodo molto usato, “facilissimo veramente, e di poca spesa” consisteva nel tagliare una piccola porzione di ramo per farla radicare;
* i “piantoni”, preferiti dai Romani, erano rami emessi dalla pianta nella zona del colletto o delle radici. Di questi si sceglievano quelli provvisti di radici pronti per essere piantati;
* i “Curmoni”, voce che deriva dal greco, erano olivastri adulti tagliati all'altezza delle branche più grosse e innestati sul posto. Dopo 2-3 anni si estirpavano e si trapiantavano;
* gli “uovoli” (ovoli), già accennati da Lucio Giunio Moderato Columella e usati dai calabresi con il nome di “topparelle”, sono protuberanze (iperplasie) alla base dell'olivo asportate e piantate;
* “gli ulivastrelli o nati spontaneamente, o fatti nascer dal seme, e innestati”, considerato da Presta il metodo migliore.
Dei metodi di propagazione dell’olivo elencati dal Presta, due sono quelli oggi utilizzati dai vivaisti:
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Presta continuava analizzando il comportamento dei contadini e riportando le cause dei danni che l’ulivo poteva subire:
* “la seccagione pel freddo”, considerato il più grande nemico dell’olivo;
* “il mal della Brusca”, che colpiva solo gli ulivi “Ogliaroli” tipici del Salento; - - “la Rogna, che suole infestare gli Ulivi”;
* “i Gozzi, o Gobbe dai Greci appellate Gongri, da noi Testuggini”, che nascono sul tronco dell’albero;
* “la Ragia”, che esce o da qualche ramo o da qualche forellino;
* “il Musco”, presente sul tronco e sui rami dell’albero.
Le malattie dell’ulivo possono, anche, essere causate da numerosissimi insetti ma l’autore ne riporta solo alcuni esempi:
* le “Cantarelle”, che si trovano anche sulle Querce ma prendono soprattutto di mira l’olivo di cui rovinarovinano le foglie e i fiori;
* il “Verme roditore”, che nasce nel midollo dei rami e lo logora;
* il morbo “Araneum o Bombacella” , che impedisce l’apertura dei fiori;
* il “kermes”, piccolo insetto che nasce sulla parte inferiore della foglia e in seguito si attacca al ramo dell’ulivo, di conseguenzarendendo la pianta è molto debole;
* il “bruco minatore” .
 
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Nella seconda parte l’autore riporta un elenco dei vari tipi di olive scoperti nel Salento: “così da anno in anno in questi nostri uliveti osservando mi è riuscito di rinvenircene non meno di cinquanta sorte diverse, e le anderò qui ad una ad una or dicendo, e parlerò poi di molte delle medesime, alloracchè di preciso esaminerò quali siano le ulive fornite di maggior quantità di olio, e quali il versar più delicato, e più fine, il chè è stato uno dei più importanti miei scopi.
Le varietà di olive illustrate vengono descritte per peso lunghezza e colore, ma anche per quantità e qualità di olio prodotto.:
* l’oliva grossa ovale detta “uliva grossa” o “uliva di Spagna”, chiamata dai Greci e dai Latini “Orcas, Orchis, Orchitis”. La sua polpa è “soda”e produce un olio molto delicato.
* “L’uliva grossa di punta tronca”L’oliva chiamata dai Tarantinitarantini “Ulivala Cazzarola”, mentre“Mennella”e dal resto dei salentini “uliva“minna o minnedda”. grossaEssa daproduce cazzarepoco bianco”olio.
* L’uliva grossa ovale detta “sanguinesca” che differisce dalla prima in quanto ha la punta più tondeggiante.
* L’oliva grossa fatta a “pendente”, poco oliosa e chiamata anche “orchite”.
* L’oliva grossa ovale meno lunga delle altre.
* La “Angelica Palmieri”, buona anche cruda. Questa oliva grossa ha la pelle macchiata e le macchie sono presenti anche sul nocciolo. Essa è ovale ed è chiamata angelica per il suo squisito sapore.
* “L’uliva grossa fatta a pendente chiamata a Taranto “Uliva di Spagna” utilizzata per la salamoia.
* “L’uliva grossa “cordiforme” detta “Permezana”, che è la più grossa di tutte,piena di polpa e proviene da Monopoli.
* “L’uliva in forma di limoncello” detta a Monopoli la “Limoncella”.
* L’oliva chiamata dai tarantini la “Mennella”e dal resto dei salentini “minna o minnedda”. Essa non produce troppo olio.
* La “piccola Mennella” presenta una varietà molto più piccola che l’autore chiama “piccolla mennella”, che ha un sapore quasi dolce.
* “L’uliva dolce”, la cui forma è simile a quella di una pera.
* L’oliva “Cerasola” di Tricase, la quale matura è di colore rossastro ed ha un forma a pendente. Essa scarseggia di olio.
* L’oliva dolce di “Barbarano” che ha poca polpa e produce poco olio.
* L’oliva chiamata da Presta “uliva albicocca” in quanto è composta da due metà formate a cucchiaio come un’albicocca. Questa oliva non è adatta per produrre olio in quanto sarebbe di scarsa qualità.
* “L’uliva Baresana”, così chiamata perché giunse la prima volta da Bari. E’ molto nera, tenerissima e piena di polpa. Produce molto olio come “l’ogliarola”.
* La “Pasola”, anticamente “Pausia, Posia, e Posea”. Si divide in tonda dolce, tonda amara, ovale dolce e ovale amara.
* La “”Cornolara, o Corniola” che si divide in maggiore, minore e piccola “Cornolara”. Scarseggia di olio però il suo olio mantiene un buon sapore per molti anni.
* “L’uliva tonda di Galatone”, la quale produce poco olio.
* La “Termetone”, che appartiene ad un ulivo che nasce spontaneamente ed ha una forma tondeggiante, di polpa soda e scarseggia sulla quantità di olio. Presta chiama questa varietà “Ulivastrone”.
* “L’Ulivastrona dolce”, stessa figura tondeggiante della precedente però un po’ più piccola. Ha un sapore molto dolce
* La “Palmierina”, piccola e ovale, di colore prima rosso e poi nero. L’autore la vide la prima volta nell’uliveto di Giuseppe Palmieri.
* “L’uliva a ciocca”, così chiamata in quanto l’albero allega i frutti a ciocche. Questa oliva verso un olio di sapore molto fine.
* L’oliva “Manna”, piccola e di sapore molto dolce, molto simile per il colore e la figura all’oliva “Ogliarola”.
* L’oliva detta “Cellina legittima”, “di un nero vivissimo, e lustro, quandocchè sia perfettamente matura”. Quest’ultima, conosciuta anche con altri nomi, Morella, Saracena, Scuranese, Cellina di Nardò ecc. , insieme all’Ogliarola è la varietà più coltivata oggi nel Salento.
Presta riporta anche altre varietà di olive e tra queste le tre olive di origine toscana, affermando che “l’infrantoia” è la migliore razza di ulivo.
 
==='''Della maniera di cavar l'olio'''===
 
[[Immagine: macinaMacina11.jpg|thumb|250px|right|MacinaFrantoio a macina verticale liscia]]
 
La terza parte illustra i metodi utilizzati per ricavare l’olio. Scrive il Presta, “la prima maniera dunque di cavar l’olio, par, che sia stata quella di spremere con le mani le ulive schiacciate, a un di presso, come tra noi costumano i contadini, o pur di cavarlo co’ piedi, siccome è di uso non che nel Regno di Marocco, ma in molti Paesi di questo medesimo Regno”. Sembra che in questo modo l’olio sia stato scoperto e che il primo uso che se ne fece fu quello di spalmarlo sulla pelle e di usarlo come condimento per i cibi. In seguito venne molto utilizzato per illuminare le strade accendendo le fiaccole. I Greci, invece, utilizzavano il “Trapetum”, ritenendo che la tecnica sopra descritta richiedevafosse una grande perdita di tempo. Secondo il Presta il Trapetum dei Greci era il frantoio che nel 1780 fu ritrovato negli scavi di Stabia. “Consiste esso in una gran vasca, o gran mortajo di pietra vulcanica, o del Vesuvio, entro cui pendono perpendicolari, e girano intorno due porzioni di sfera concentriche, infilate pel loro centro, ed acconce in un asse, che gira appoggiato, e sostenuto da un perno di ferro conficcato in una colonnetta, che si eleva dal mezzo del mortajo medesimo”. Il frantoio si diceva riducesse in polvere anche il nocciolo e questo poteva rovinare il sapore dell’olio, in realtà questo non era vero. Il frantoio usato a Firenze era, però, molto difettoso rispetto agli altri paesi che usavano la più efficace macina verticale non solcata: “Tolta Firenze, gli altri noti olearii Paesi si vagliono di un Frantojo a macine verticale non solcata, ma liscia, o piuttosto col dosso un po’ scabro, acciochè le ulive, e i noccioli non sdrucciolino, e non isfuggano di sotto la macine, ma rimangano bene stacciati”. Dice il Presta che “quando la sollecitudine del lavoro, che di esso si vanta, fosse anche vera”, diversi sono i motivi per cui la macina verticale si fa preferire al frantoio. Dopo aver parlato del frantoio antico l’autore si sofferma sul torchio o strettoio “a’ tempi di Plinio inventatosi”, utilizzato per la spremitura della pasta dalla quale si ottiene l’olio. Nel capitolo IV della terza parte egli descrive la struttura e l’uso del torchio, soffermandosi in particolare sulla forza necessaria per azionare il torchio a due viti e il torchio a una vite, concludendo “che fia sempre meglio adoprar l’argano nel torchio a una vite, che al torchio a due, e del torchio a una vite, io dalla ragione, e dalla sperienza ammaestrato mi avvalgo”. Si può tranquillamente affermare, senza paura di essere smentiti che per migliorare la produzione dell’olio è fondamentale l’azione dell’uomo. E’ questo il motivo per cui Presta descrive le macchine e gli strumenti utilizzati per estrarre l’olio in maniera molto accurata. La terza parte è sicuramente la più importante perché ricca di “Avvertimenti intorno al Fattojo, intorno agli ordigni oleari, e intorno alle ulive per fabbricarne dell’olio fine”. Presta, con le sue opere, voleva spronare il lettore ad utilizzare i suoi metodi per dare un contributo allo sviluppo socio-economico del suo territorio.
 
=='''Bibliografia'''==
 
*A. Cavallera, ''Giovanni Presta Opere'', Volume I, a cura di H.A. Lecce:Cavallera. Edizioni del Grifo, Lecce 1988.
*''Giovanni Presta Opere'', Volume II, a cura di H.A. Cavallera. Edizioni del Grifo, Lecce 1989.
*F. D'Astore, ''Dall'oblio alla storia: manoscritti di salentini tra sette e ottocento'', di F. D'Astore, 2001.