Un<nowiki>'</nowiki>'''esplosione di polveri''' è un evento dannoso causato da una violenta [[reazione chimica|reazione]] di [[combustione]] di una [[polvere]] [[combustibile]], che avviene in presenza di particolari condizioni.
{{P|La voce presenta un problema di impostazione: invece di spiegare in cosa consiste la revisione del Risorgimento ed esporla criticamente sottolineare eventuali limiti o carenze e pregi di tale revisione e loro contraddittorio, si presenta più come un manifesto di controstoria. Nella voce non si trova una disamina su cosa sia un certo revisionismo del risorgimento, ma è una miscuglio di commenti disorganici negativi sul risorgimento e di presentazioni di supposte ricostruzioni di fatti e osservazioni sfavorevoli al risorgimento, ricostruiti non solo in modo partigiano, ma mescolando acriticamente opinioni (non contestualizzate) e disomogenee nel tempo, con interpretazioni di episodi di controstoria controversi nella loro ricostruzione, e anche nella loro effettiva rilevanza storica. Nella sostanza manca proprio quell'approccio critico verso il revisionismo che dovrebbe essere il nucleo di ogni voce di storiografia, se tale vuole essere. Infine l'incipit afferma che diverse sono le "anime" rintracciabili, mentre nel leggere il testo si nota che vengono riportate quasi esclusivamente le tesi di quello che ormai è definito revisionismo neo-borbonico, e l'inserimento di storici come S. Lupo, D.m. Smith, Duggan fra questo genere di revisionismo è puramente speculativa e non in accordo con le recensioni critiche alle opere di questi autori.|storia|dicembre 2014}}
== Fattori scatenanti ==
Per '''revisionismo del Risorgimento''', nella storiografia italiana, si intendono le interpretazioni [[Revisionismo storiografico|revisionistiche]], attraverso un approccio critico, di quel periodo della [[storia d'Italia]] noto come [[Risorgimento]].
{{F|combustibili|gennaio 2010}}
=== Pentagono dell'esplosione ===
L'analisi posta in essere dai vari autori non è univoca, poiché diverse sono le "anime" rintracciabili nell'ampio panorama dell'interpretazione o reinterpretazione del Risorgimento e, in particolare, degli eventi che condussero all'unificazione politica dell'[[Italia continentale e peninsulare|Italia peninsulare]] e [[Italia insulare|insulare]] in una sola entità statuale, delle istanze e dei presupposti alla base di tali eventi, delle condizioni economiche e sociali degli stati preunitari, degli interventi legislativi e militari attuati dal neonato [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] per mantenere il nuovo assetto istituzionale, delle politiche economiche, fiscali, daziarie e sociali realizzate dai diversi governi unitari nelle ''province meridionali'' e degli effetti di queste stesse politiche.
[[File:Pentagono dell'esplosione.svg|thumb|Pentagono dell'esplosione]]
In analogia al [[triangolo del fuoco]], che rappresenta le condizioni di [[infiammabilità]] (e conseguentemente di esplosività) per i combustibili liquidi e gassosi, nel caso delle polveri ci si riferisce al cosiddetto "'''pentagono dell'esplosione'''", che è applicabile anche nel caso di esplosioni di gas, vapori o nebbie.<ref>{{Cita|Melito|p. 225}}</ref>
== Contesto e premesse storiche ==
Le idee alla base della critica revisionista cominciarono a sorgere e consolidarsi già negli anni immediatamente successivi agli eventi che condussero il [[Regno di Sardegna]] a trasformarsi in [[Regno d'Italia]], ancor prima della nascita di un dibattito storiografico in materia.
I primi dubbi sulle ragioni alla base della politica estera di Casa Savoia furono sollevate da [[Giuseppe Mazzini]], uno dei teorici e fautori dell'unificazione italiana. Questi, al proposito, teorizzò sul suo giornale ''[[L'Italia del Popolo (1848)|Italia del popolo]]'' che il governo di Cavour non fosse stato interessato al principio di un'Italia unita, ma semplicemente ad allargare i confini dello Stato sabaudo.<ref>"Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento territoriale (Giuseppe Mazzini)". Citato in Alberto Cappa, ''Cavour'', G. Laterza & figli, 1932, p. 249.</ref>
Le cinque condizioni rappresentate nel pentagono delle esplosioni e necessarie per creare le condizioni di esplosività alle polveri sono:<ref name=pubint/>
Anche una volta unificata l'Italia, Mazzini tornò ad attaccare in proposito il governo della nuova nazione:
* presenza di polvere combustibile;
* presenza di comburente nell'ambiente (generalmente [[ossigeno]]);
* presenza di una fonte di [[innesco]] (ad esempio apporto di calore sufficiente all'attivazione della combustione);
* ambiente confinato (ad esempio un recipiente);
* [[miscelazione]] dei reagenti.
Rispetto al triangolo del fuoco, nel caso dell'esplosione di polveri intervengono due fattori aggiuntivi, che sono la presenza di confinamento del fenomeno e la miscelazione di combustibile e comburente.
{{citazione|Non c'è chi possa comprendere quanto mi senta infelice quando vedo aumentare di anno in anno, sotto un governo materialista e immorale, la corruzione, lo scetticismo sui vantaggi dell'Unità, il dissesto finanziario; e svanire tutto l'avvenire dell'Italia, tutta l'Italia ideale.|Giuseppe Mazzini<ref>[[Denis Mack Smith]], ''Mazzini'', Rizzoli, 1993, p. 286.</ref>}}
Entrando più nel dettaglio, l'esplosività di una polvere è funzione di molti fattori:
Le dichiarazioni di Mazzini sono antesignane della disputa ideale sul processo di unificazione, che iniziò già nel corso del [[XX secolo|Novecento]], come continuazione del dibattito polemico tra i partiti risorgimentali moderato e democratico.
* natura del combustibile: la composizione chimica e il potere calorifico della polvere; in particolare le polveri metalliche producono le esplosioni più violente;
Le prime critiche contro le ricostruzioni agiografiche provennero dagli stessi esponenti liberali, i quali avevano promosso con entusiasmo ogni attività politica utile alla causa nazionale. Tra i principali bersagli polemici vi fu la politica accentratrice del nuovo Stato unitario, definita negativamente con il neologismo di "[[piemontesizzazione]]".
* concentrazione del comburente: concentrazioni di ossigeno superiori al 21% aumentano la velocità dell'esplosione; invece al disotto del 10% la combustione non si sostiene;
* granulometria: la riduzione della dimensione delle particelle aumenta la superficie di contatto combustibile comburente, provocando pressioni più elevate, e richiedendo energie di innesco minori;
* umidità: diminuisce la tendenza esplosiva, sia per la coesione delle particelle sia a causa della presenza dell'acqua che sottrae calore durante la sua vaporizzazione;
* turbolenza: facilita il mescolamento dei reagenti, sviluppando una combustione più veloce ed un fronte di fiamma più frastagliato;
* temperatura: all'aumentare della temperatura diminuisce l'umidità, aumentando quindi la velocità di reazione;
* pressione: un ambiente precompresso creerà un'esplosione più violenta, in quanto la pressione massima di esplosione si andrà ad aggiungere alla pressione che aveva l'ambiente di reazione prima dell'esplosione;
* inerti: gas o solidi (carbonati, cloruri di metalli alcalini o alcalino-terrosi) in sospensione non reagenti, sottraggono calore alla reazione nella misura del loro calore specifico; risulta una pressione massima di esplosione minore, e si necessita di un'energia di innesco maggiore; l'effetto inertizzante è tanto maggiore quanto più alto è il calore specifico del gas inerte; per le polveri metalliche, che ad alte temperature possono reagire con azoto e anidride carbonica, i gas inerti più efficaci sono [[argon]] ed [[elio]];
* presenza di gas infiammabili: quando al sistema combustibile-comburente sono aggiunti dei gas o vapori infiammabili, si parla di "miscele ibride"; è il caso dell'essiccamento di un prodotto di sintesi esplodibile da un solvente infiammabile; la presenza di tale componente abbassa il limite inferiore di infiammabilità della miscela anche quando le concentrazioni dei singoli componenti si trovano al di sotto dei singoli limiti di infiammabilità; in tali miscele è accentuata la violenza dell'esplosione; oltre al limite di infiammabilità subiscono un abbassamento anche la temperatura di accensione e l'energia minima di innesco.
=== Polveri combustibili ===
[[File:Italy unification 1815 1870.jpg|thumb|La penisola italiana prima dell'unificazione|200px|left]]
I materiali combustibili da cui si possono avere origine polveri esplodibili sono:
== Le interpretazioni revisionistiche ==
* sostanze organiche naturali (ad esempio cereali, zucchero, carbone);
{{Vedi anche|Interpretazioni revisionistiche del Risorgimento}}
* sostanze organiche sintetiche (ad esempio pesticidi, materie plastiche);
Vari autori e personaggi politici hanno espresso una visione critica del fenomeno dell'unificazione italiana, con letture spesso diverse ma accomunate da una visione critica di fondo.
* materiali metallici ossidabili (ad esempio alluminio, zinco, ferro).
=== Influenza della dispersione delle polveri ===
Il processo di revisione iniziò già nell'immediatezza dell'unificazione italiana, trovando in [[Giacinto de' Sivo]] una delle prime voci critiche per quanto riguarda la descrizione degli eventi che nel 1860 portarono all'annessione del sud italia al regno di Sardegna. In epoca successiva, si segnalano i contributi critici di numerosi meridionalisti, tra cui [[Piero Gobetti]], [[Antonio Gramsci]], [[Gaetano Salvemini]] e [[Francesco Saverio Nitti]]. In età contemporanea, la critica revisionista si è accentrata soprattutto sull'analisi delle vicende che hanno portato all'unificazione del Regno delle Due Sicilie al resto della penisola italiana, mentre quelle riguardanti gli altri Stati preunitari sono state molto meno trattate. Tra gli autori di questa nuova fase, che ha visto negli ultimi anni un aumento del numero di opere pubblicate, è possibile citare [[Carlo Alianello]], [[Gigi Di Fiore]], [[Lorenzo Del Boca]], [[Eugenio Di Rienzo]], [[Nicola Zitara]], [[Michele Topa]], [[Tommaso Pedio]], {{citazione necessaria|[[Salvatore Lupo]]}} e [[Roberto Martucci]]; e tra gli storici stranieri,{{citazione necessaria| [[Denis Mack Smith]]}} e {{citazione necessaria|[[Christopher Duggan]]}}.
L'esplosione di una polvere miscelata intimamente con il comburente come è solito essere in una nube in sospensione, può esistere se la concentrazione della sospensione rientra entro certi limiti.
Come quasi unico esempio di autore dedicatosi alle vicende dello [[Stato Pontificio|Stato della Chiesa]], è possibile ricordare la revisionista di estrazione cattolica [[Angela Pellicciari]].
Se la densità è troppo elevata il calore è assorbito totalmente dalle particelle senza che l'ambiente ne tragga profitto, al contrario se la particelle sono troppo lontane, l'accensione locale non sviluppa un calore sufficiente a coprire la distanza.
Determinare i limiti di infiammabilità (o esplosività) delle polveri presenta dei problemi in quanto, mentre il gas è costituito da particelle di dimensioni molecolari, all'interno di un campione di polvere ci possono essere porzioni a [[granulometria (geologia)|granulometria]] differente che a causa dell'azione della [[forza di gravità]] possono formare zone a concentrazione differente in una stessa nube.
== Le argomentazioni ==
Ciò rende difficoltosa la determinazione dei limiti di infiammabilità, soprattutto della concentrazione massima esplodibile.
[[File:Koenigreich beider Sizilien.jpg|thumb|Mappa del Regno delle Due Sicilie]]
L'intervallo di infiammabilità di una polvere (le concentrazioni si esprimono in genere in g/L o mg/cm<sup>3</sup>) è molto più esteso rispetto a quello di un gas e approssimativamente è compreso fra 10 mg/L e 6 g/L.
Tra i revisionisti una corrente di pensiero sostiene che che l'invasione del Regno delle Due Sicilie non sia stata dettata da motivi ideali legati alla volontà di unire l'Italia, ma sia piuttosto derivata dalla volontà del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] di allargare i propri confini a danno degli stati contigui, incamerandone inoltre le ricchezze per sanare il proprio deficit<ref>Eugenio Di Rienzo (2012) Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee – 1830-1861. Rubbettino editore, Soveria Mannelli</ref><ref>Francesco Saverio Nitti, Scritti sulla questione meridionale, pag. 471. Laterza, 1978.</ref><ref>Gigi Di Fiore (2010) Controstoria dell'Unità d'Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento, pag. 31. Rizzoli.</ref><ref>Roberto Martucci (1999) L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864, pag. 397. Sansoni, Milano.</ref><ref name="L'Unità d 1974, p.40">[[Nicola Zitara]], ''L'Unità d'Italia: nascita di una colonia'', Jaca Book, 1974, p.40.</ref><ref name="Pellicciari 117">{{cita libro |cognome= Pellicciari |nome= Angela |wkautore= Angela Pellicciari |titolo= L'altro Risorgimento: una guerra di religione dimenticata |editore= Edizioni Piemme |città= Milano |anno= 2000 |p= 117 |isbn= 88-384-4970-8 |cid= Angela Pellicciari, 2000}}</ref><ref>Camillo Benso di Cavour, ''Opera parlamentaria del conte di Cavour, volume primo'', Razzauti Editore, Livorno, 1862, p.209</ref>. Al fine di conseguire questo scopo, il Regno di Sardegna, attraverso soprattutto l'opera diplomatica di [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], si sarebbe assicurato l'appoggio sia dell'Inghilterra<ref name="L. Cappelleti 1892, p 258">L. Cappelleti, 1892, p 258 e succ.</ref>, che della Francia, che a diverso titolo avevano interesse in proposito.
== Effetti dell'esplosione ==
In quest'ottica, la [[spedizione dei Mille]] non sarebbe stata un moto spontaneo di pochi idealisti, ma la [[testa di ponte]] di un'[[invasione]] pianificata a tavolino. In preparazione di quest'ultima, sarebbe stata effettuata una vasta opera di [[mistificazione]] e [[propaganda]] ai danni del governo borbonico<ref name="Milano 2003, p. 67">[[Lorenzo Del Boca]], ''Indietro Savoia!'', Milano, 2003, p. 67</ref><ref name="Sivo, 2009, p. 428">Giacinto de' Sivo, ''Storia delle Due Sicilie 1847-1861'', Edizioni Trabant, 2009, p. 428.</ref>, la quale aveva lo scopo di accentuarne l'isolamento diplomatico. Contemporaneamente, il governo piemontese avrebbe effettuato una vasta manovra di [[corruzione]] degli alti gradi dell'[[Esercito delle Due Sicilie|esercito]] e della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|marina]] del Regno delle Due Sicilie<ref name="Lorenzo Del Boca 1998, p. 61">Lorenzo Del Boca, ''Maledetti Savoia!'', Milano, 1998, p. 61.</ref><ref name=autogenerato1>{{cita libro |cognome= Servidio |nome= Aldo |titolo= L'imbroglio nazionale |anno=2002 |editore= Guida |città= Napoli |isbn= 88-7188-489-2 |p= 197 }}</ref>. Oltre che con l'appoggio del Regno Unito<ref name= "viglione">[[Massimo Viglione]], '' Libera Chiesa in libero Stato? Il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epocale'', Roma, 2005, p.61</ref> e marginalmente francese, nonché della [[massoneria]] internazionale<ref name="Lorenzo Del Boca 1998, p.61">Lorenzo Del Boca, ''Maledetti Savoia!'', Casale Monferrato, 1998, p.61</ref>, l'impresa dei Mille sarebbe stata effettuata con l'appoggio della [[mafia]] in Sicilia<ref name=autogenerato8>Gigi di Fiore, I vinti del Risorgimento</ref>, e della [[camorra]] a Napoli<ref name=autogenerato8 /><ref name=autogenerato4>Michele Topa, Così finirono i Borbone di Napoli</ref><ref>http://www.bibliocamorra.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=75&Itemid=27 Coinvolgimento della camorra da parte di Liborio Romano</ref>, e sarebbe stata successivamente consolidata con l'invasione del [[Regno delle Due Sicilie]] da parte delle truppe sabaude, senza che tale atto fosse preceduto da una [[dichiarazione di guerra]]<ref name="Risorgimento, Utet 2004, p. 99">[[Gigi Di Fiore]], ''I vinti del Risorgimento'', Utet, Torino, 2004, p. 99.</ref><ref name="Edizioni Trabant 2009, p. 331">[[Giacinto de' Sivo]], ''Storia delle Due Sicilie 1847-1861'', Edizioni Trabant, 2009, p. 331.</ref><ref name="Mario Spataro 2001, p. 50">Mario Spataro, ''I primi secessionisti: separatismo in Sicilia'', Napoli, 2001, p. 50.</ref>.
L'esplosione è una rapida combustione in uno spazio confinato, in cui la reazione chimica non ha il tempo di liberare tutta l'energia prodotta sotto forma di calore, per cui una parte consistente di energia si libera sotto forma di energia di pressione, che genera a sua volta lo spostamento dell'aria circostante a velocità elevatissime, con conseguenti rischi per le cose e le persone presenti nelle vicinanze.
Sempre secondo tali autori, in seguito all'invasione, sarebbero stati organizzati dei [[Plebisciti del Regno d'Italia|plebisciti]]-farsa, tesi a dipingere come moto popolare spontaneo degli abitanti delle Due Sicilie il [[rivoluzione|rivolgimento]] in atto, e a giustificare l'operato piemontese di fronte all'opinione pubblica europea<ref name="La Farina">{{cita libro |cognome= Giuseppe |nome= La Farina |wkautore= Giuseppe La Farina |curatore= Ausonio Franchi |titolo= Epistolario di Giuseppe La Farina, Vol. 2 |url= http://books.google.it/books?id=vH5CAAAAcAAJ&pg=PA181 |anno= 1869 |editore= E. Treves & C. |città= Milano |pp= 181-184 |accesso= 19 gennaio 2011}}</ref>.
La violenza di un'esplosione in genere si misura attraverso i seguenti parametri:
Dopo l'annessione, il Piemonte avrebbe infine proceduto ad un'opera di estensione della propria organizzazione statale, con norme e persone piemontesi, all'intero territorio del neonato [[Regno d'Italia|Regno d’Italia]], cancellando leggi ed ordinamenti secolari, e smantellando più o meno coscientemente le attività economiche del sud Italia a favore di quelle del nord.<ref name=autogenerato5>Francesco Proto Carafa, Duca di Maddaloni, Interpellanza al Parlamento Italiano, Atto 234, 20 novembre 1861</ref><ref name="Marco Meriggi 1996, p. 60">Marco Meriggi, ''Breve storia dell'Italia settentrionale dall'Ottocento a oggi'', Roma, 1996, p. 60</ref><ref>Christopher Duggan (2011) La forza del destino – Storia d'Italia dal 1796 ad oggi, pag. 257-258. Laterza editore, Roma-Bari. ISBN 978-88-420-9530-9</ref>
* pressione massima sviluppata;
* velocità di incremento della pressione.
== Eventi disastrosi ==
Il peggiorare improvviso delle condizioni economiche ed il forte contrasto sociale e culturale tra piemontesi e abitanti delle regioni meridionali annesse sarebbe stato alla base dell'esplosione del fenomeno del [[brigantaggio]], interpretato dai revisionisti come movimento di [[Resistenza (politica)|resistenza]]<ref name="Massimo Viglione 2001, p.164">Massimo Viglione, Francesco Mario Agnoli, ''La rivoluzione italiana:storia critica del Risorgimento'', Il minotauro, 2001, p.164</ref><ref name=autogenerato3>{{cita libro| Francesco | Pappalardo |Il brigantaggio postunitario. Il Mezzogiorno fra Resistenza e reazione| 2004 | D'Ettoris}}</ref> (durante il quale i sabaudi si resero colpevoli di [[Crimine di guerra|crimini di guerra]] quali [[deportazione|deportazioni]]<ref name="Lorenzo Del Boca 1998, p. 145">Lorenzo Del Boca, ''Maledetti Savoia'', Piemme, 1998, p. 145.</ref><ref name="Napoli 2003, p. 258">[[Francesco Mario Agnoli]], ''Dossier brigantaggio: viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità'', Napoli, 2003, p. 258.</ref><ref name="Matteo, 2000, p. 187">Giovanni De Matteo, ''Brigantaggio e Risorgimento:legittimisti e briganti tra Borbone e i Savoia'', Guida Editore, Napoli, 2000, p. 187.</ref><ref name="Fulvio Izzo 1999, p. 62">Fulvio Izzo, ''I lager dei Savoia:storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali'', Controcorrente, Napoli, 1999, p. 62.</ref>, [[Strage|eccidi]]<ref name="Destiny 2007, p. 224">[[Christopher Duggan]], ''The Force of Destiny: A History of Italy Since 1796'', Penguin Books, 2007, p. 224</ref><ref name="Di Fiore">{{cita libro |cognome= Gigi |nome= Di Fiore |wkautore= Gigi Di Fiore |titolo= 1861, Pontelandolfo e Casalduni un massacro dimenticato |anno= 1998 |editore= Grimaldi & C. editori |città= Napoli }}</ref> e [[violenza sessuale|stupri]]<ref name="Di Fiore"/><ref>Christopher Duggan (2011) La forza del destino – Storia d'Italia dal 1796 ad oggi, pag. 255. Laterza editore, Roma-Bari. ISBN 978-88-420-9530-9</ref>) ed alla successiva massiccia [[emigrazione]] che colpì i territori meridionali<ref name="Massimo Viglione 2001, p. 98">Massimo Viglione, Francesco Mario Agnoli, ''La rivoluzione italiana:storia critica del Risorgimento'', Roma, 2001, p. 98</ref><ref name=autogenerato6>{{cita libro| E. | Sori | L'emigrazione italiana dall'Unità alla seconda guerra mondiale| 1979 | Il Mulino| Bologna }}</ref>. Alcuni autori sostengono che nell'opera di [[Vernichtungsgedanke|annichilimento]] culturale e sociale avrebbero avuto un'influenza le teorie [[razzismo|razziste]] elaborate da [[Cesare Lombroso|Lombroso]] a partire dal [[1864]], e pubblicate a partire dal [[1876]], che furono adottate come base [[pseudoscienza|pseudoscientifica]] per giustificare le repressioni in atto,<ref name="Fiore, p.227-228">[[Tommaso Pedio]], ''Perché «Briganti»'', p.99. Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia'', p.227-228.</ref><ref name="Guida 1978, p.19">[[Giuseppe Galasso]], ''Passato e presente del meridionalismo, vol.1'', Guida, 1978, p.19</ref><ref name="Christopher Duggan 2011">Christopher Duggan (2011) La forza del destino – Storia d'Italia dal 1796 ad oggi, pag. 306-308. Laterza editore, Roma-Bari. ISBN 978-88-420-9530-9</ref> ma questo punto è tuttora oggetto di dibattito.
[[File:Washburnamill.jpg|thumb|Rappresentazione stereoscopica del disastro avvenuto nel 1878 in Minnesota.]]
[[File:Imperial Sugar Georgia One.jpg|thumb|Conseguenze dell'esplosione di polveri nella [[Zuccherificio|raffineria di zucchero]] di [[Port Wentworth]], [[Georgia (Stati Uniti d'America)|Georgia]].]]
Di seguito è riportata una lista di alcuni esplosioni di polveri che hanno portato a conseguenze più o meno disastrose:
=== Presupposti economici ===
* 14 dicembre [[1785]] - esplosione di farina in un deposito a [[Torino]]; è stata la prima esplosione di polveri accertata;<ref name=Ronch/>
==== Situazione economica e sociale del Regno delle Due Sicilie ====
* 2 maggio [[1878]] - esplosione di farina in un mulino presso [[Minneapolis]] ([[Minnesota]]); morti 18 lavoratori;<ref name=pubint/>
* 7 novembre [[1887]] - esplosione di farina ad [[Hameln]] ([[Bassa Sassonia]]); circa 30 morti;<ref name=Ronch>[http://www.scienzaegoverno.org/48/48esplo.htm Gino Ronchail, "Studio del fenomeno dell'esplosione di polveri nell'industria agro-alimentare"] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20060516040607/http://www.scienzaegoverno.org/48/48esplo.htm |data=16 maggio 2006 }}</ref>
* [[1965]] - esplosione di polveri in una fabbrica di materie plastiche a [[Masterton]]; 4 morti;<ref>{{en}} [Dust Explosions in Factories - Precautions Required with Combustible Dusts http://www.osh.dol.govt.nz/order/catalogue/dustexplosions.shtml {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20130131003817/http://osh.dol.govt.nz/order/catalogue/dustexplosions.shtml |date=31 gennaio 2013 }}]</ref>
* [[1982]] - esplosione di zucchero a [[Boiry-Sainte-Rictrude]] ([[Francia]]);<ref name=Ronch/>
* marzo [[1982]] - esplosione di un silos contenente orzo e malto a [[Metz]] ([[Francia]]);<ref name=Ronch/>
* 11 dicembre [[1995]] - esplosione di polveri di [[nylon]] in un impianto tessile a [[Methuen (Massachusetts)|Methuen]] ([[Massachusetts]]); feriti 37 lavoratori;<ref name=pubint/>
* 1º febbraio [[1999]] - esplosione di polveri di [[carbone]] a [[Dearborn (Michigan)|Dearborn]] ([[Michigan]]) in un impianto della [[Ford|Ford Motor Company]]; 6 morti e 36 feriti;<ref name=pubint/>
* 16 luglio [[2007]] - esplosione di farina al Molino Cordero di [[Fossano]] (CN); 5 morti;
* 7 febbraio [[2008]] - esplosione di zucchero nella [[Zuccherificio|raffineria di zucchero]] di [[Port Wentworth]], [[Georgia (Stati Uniti d'America)|Georgia]], di proprietà della [[Imperial Sugar]]; 14 morti e 38 feriti.<ref>[http://www.dustexplosion.info/ Dust explosion info | Website for dust explosion information<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>
* 17 marzo [[2008]] - esplosione di un impianto di stoccaggio e macinazione del grano a [[Lumut]] ([[Perak]]); 4 morti e 2 feriti;<ref>{{en}} [http://www.dosh.gov.my/doshv2/index.php?option=com_content&view=article&id=103%3Acombustible-dust-explosion&catid=84%3Asafety-alerts&Itemid=118&lang=en Department of Occupational Safety and Health Malaysia, "Combustible Dust Explosion"]</ref>
* novembre [[2010]] - esplosione di polveri di alluminio in un impianto per la fabbricazione di [[Cerchione|cerchioni]] di motocicli; 8 feriti;<ref>{{en}} [http://www.dosh.gov.my/doshv2/index.php?option=com_content&view=article&id=295%3Acombustible-dust-explosion-at-motorcycle-rim-manufactured-factory&Itemid=118&lang=en Department of Occupational Safety and Health Malaysia, "Combustible Dust Explosion at Motorcycle Rim Manufactured Factory"]</ref>
* 31 gennaio [[2011]] - esplosione di polveri a presso [[Nashville]] ([[Tennessee]]) in un impianto di produzione di polveri metalliche; morto un lavoratore;<ref name=pubint>{{en}} [https://www.publicintegrity.org/2012/05/29/8957/unchecked-dust-explosions-kill-injure-hundreds-workers Unchecked dust explosions kill, injure hundreds of workers]</ref> nello stesso anno (il 29 marzo e il 27 maggio) seguirono altri due eventi di esplosione di polveri nello stesso impianto, portando in totale alla morte di 5 lavoratori.<ref name=pubint/>
==Note==
[[File:Fergola, Salvatore The Inauguration of the Naples - Portici Railway, 1840.JPG|left|thumb|Inaugurazione della linea ferroviaria Napoli-Portici]]
<references/>
Il primo argomento su cui si basano diversi autori di questo orientamento storiografico è il dato secondo il quale il Regno delle Due Sicilie, generalmente descritto come uno Stato povero e oppresso<ref name=romano>{{cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/2010/ottobre/19/NOSTALGIA_DEI_BORBONE_RISORGIMENTO_DEL_co_9_101019086.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/ottobre/19/NOSTALGIA_DEI_BORBONE_RISORGIMENTO_DEL_co_9_101019086.shtml|dataarchivio=pre 1/1/2016|pubblicazione=archiviostorico.corriere.it|autore=[[Sergio Romano]]|titolo=La nostalgia dei Borbone e il Risorgimento del sud|accesso=8 gennaio 2011}}</ref><ref>{{cita news|url=http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/ricerca-nel-manifesto/vedi/nocache/1/numero/20101024/pagina/04/pezzo/289738/?tx_manigiornale_pi1showStringa=pino%2Baprile&cHash=73ee22b2a3|pubblicazione=www.ilmanifesto.it|autore=[[Pino Aprile]]|titolo=Quel nord che ha educato i meridionali alla minorità|accesso=1º novembre 2010}}</ref>, sia stato in realtà un regno in cui si viveva un certo benessere<ref name = alianello/>, con un buon tasso di progresso economico, sociale e culturale e che stava attraversando una fase di sviluppo crescente, bruscamente fermata dalle modifiche indotte dalla [[piemontesizzazione]].<ref name="ReferenceA"/>
A supporto di questa tesi può essere citata l'opera dell'economista [[Basilicata|lucano]] [[Francesco Saverio Nitti]], che fu tra l'altro [[Presidenti del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia|Presidente del consiglio dei ministri del Regno d'Italia]] tra il [[1919]] e il [[1920]]. Agli inizi del Novecento, quest'ultimo compì studi approfonditi sulla situazione economica del regno borbonico e degli altri stati che comporranno in seguito l'Italia unita, sostenendo che le Due Sicilie fossero lo Stato che apportò al bilancio italiano minori debiti e la più grande ricchezza pubblica sotto tutte le forme<ref>[[Francesco Saverio Nitti]], ''L'Italia all'alba del secolo XX'', Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, Torino-Roma, 1901, p.118</ref>. In particolare, nelle sue opere ''Scienza delle Finanze'' e ''Nord e Sud'', Nitti riportò che al momento dell'introduzione della [[lira italiana|lira]], nel Regno delle Due Sicilie furono ritirate 443,3 milioni di monete di vario conio<ref>{{cita libro |cognome= Zitara|nome= Nicola|titolo= Nascita di una colonia|url=http://books.google.it/books?id=z9IDV5NaxSMC&pg=PA36 |anno=1971 |editore= Jaka Book |p=36}}</ref> pari al 65,7% di tutte le monete circolanti nella penisola (il che, per la storiografia consolidata, sarebbe semmai indice di un alto tasso inflazionistico caratterizzante il regno borbonico); mentre il [[Banca nazionale degli Stati Sardi|Regno di Sardegna]] ne aveva 27,1 milioni<ref>{{cita |Harold Acton |p. 2}}</ref>. Nitti pose inoltre l'accento sulle condizioni economiche del Regno delle Due Sicilie, all'epoca quello dotato di maggiore solidità finanziaria, e sulle condizioni opposte dello Stato piemontese:
{{citazione|Ciò che è certo è che il Regno di Napoli era nel 1857 non solo il più reputato d’Italia per la sua solidità finanziaria – e ne fan prova i corsi della rendita – ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito, le imposte non gravose e bene ammortizzate, semplicità grande in tutti i servizi fiscali e della tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte senza criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del fallimento. Senza togliere nessuno dei grandi meriti che il Piemonte ebbe di fronte all'unità italiana, che è stata in grandissima parte opera sua, bisogna del pari riconoscere che, senza l'unificazione dei vari Stati, il Regno di Sardegna per l'abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento. La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il '49 e il '59 da una enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, avea determinato una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di altro Stato più grande.|Francesco Saverio Nitti<ref name=autogenerato5>Scritti sulla questione meridionale. Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1897, Laterza, Bari, 1958.</ref>}}
A sostegno di quanto affermato da Nitti, {{citazione necessaria|altri autori}} riportano che l'entità del risparmio pubblico e privato nelle Due Sicilie era di notevoli dimensioni. Nel periodo immediatamente precedente alla [[spedizione dei Mille]], il solo [[Banco di Napoli|Banco delle Due Sicilie]] (evoluzione del [[Banco di Napoli]] fondato nel [[1584]]) gestiva una somma pari a 33 milioni di ducati tra depositi pubblici e privati, equivalenti a circa 140 milioni di lire piemontesi (il tasso di cambio tra le due monete era infatti pari ad un rapporto di 4,25:1,<ref>Domenico Demarco, ''Banca e congiuntura nel Mezzogiorno d'Italia'', vol. I (1809-1863), p. 31, E.S.I., Napoli, 1963</ref> in favore di quella napoletana). A tale somma andavano aggiunti due milioni di sterline, pari a circa 60 milioni di ducati (e quindi a 255 milioni di lire piemontesi) di proprietà personale di [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]]. Altri 30 milioni di ducati (equivalenti ad altri 127,5 milioni di lire piemontesi) erano invece custoditi dalle banche siciliane<ref>R. Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, Sansoni, Milano, 1999. Citato in: Gigi di Fiore, I vinti del Risorgimento, pag. 263.</ref>. Oltre al già citato Banco di Napoli, nella capitale era presente una delle uniche quattro filiali europee (le altre erano a [[Londra]], [[Parigi]] e [[Vienna]]) della banca della [[Rothschild di Napoli|famiglia Rothschild]].<ref>Beaud Michel (2004) Storia del capitalismo. Dal Rinascimento alla New Economy. Oscar Storia Mondadori. ISBN 88-04-52802-8</ref>
[[File:Ferdinando I - Prima nave a vapore nel Mediterraneo.jpg|thumb|La Ferdinando I, prima nave a vapore del Mediterraneo]]
Quanto sostenuto dagli autori suddetti sulla base di aspetti qualitativi dell'economia, è stato di recente oggetto di studio scientifico da parte di ricercatori moderni. Gli economisti Vittorio Daniele dell'[[Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro|Università di Catanzaro]] e Paolo Malanima dell'"Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo del [[Consiglio Nazionale delle Ricerche]]" (ISSM - CNR) di Napoli hanno di recente pubblicato un'analisi delle serie storiche del prodotto delle regioni nel periodo [[1861]]-[[2004]]. Nell'ambito delle conclusioni del loro lavoro, essi sostengono che al momento dell'annessione non vi fosse alcun reale divario economico tra nord e sud e che esso iniziò a manifestarsi nell'ultimo ventennio dell'800.<ref>{{cita news|url=http://www.paolomalanima.it/default_file/Articles/Daniele_%20Malanima.pdf|pubblicazione=www.paolomalanima.it|autore=Paolo Malanima, Vittorio Daniele|titolo=Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)|accesso=27 dicembre 2010}}</ref>
Le posizioni di Malanima e Daniele vengono corroborate dal recente studio quantitativo di [[Stefano Fenoaltea]] e Carlo Ciccarelli<ref>Rispettivamente docente di Economia Applicata e Dottore di Ricerca in Teoria economica ed Istituzioni presso l'Università di Tor Vergata (Roma).</ref> "''Through the Magnifying Glass: Provincial Aspects of Industrial Growth in Post-Unification Italy''", pubblicato dalla [[Banca d'Italia]] nella collana Quaderni di Storia Economica. In questo lavoro, gli studiosi indagano le ragioni per le quali il Mezzogiorno non ha tenuto dopo l'unificazione lo stesso passo di sviluppo industriale del resto d'Italia, lamentando, tra l'altro, che la discussione sulla Questione Meridionale in proposito si sia a lungo basata non su stime quantitative. Nell'ambito delle conclusioni del proprio lavoro, Fenoaltea e Ciccarelli affermano:
{{citazione|Questa ulteriore disaggregazione rinforza le principali ipotesi revisioniste suggerite dalle stime regionali. I dati provinciali dunque confermano che un decennio dopo l'unificazione le vecchie capitali politiche rimanevano centri manufatturieri (artigianali), che le aree industrialmente sotto la media erano allora le periferie Adriatiche e Ioniche di più ampia entità, che l'arretratezza industriale del Sud, evidente alla vigilia della [[prima guerra mondiale]], non era stata ereditata dalla storia pre-unitaria d'Italia. (...) Le nuove stime provinciali forniscono inoltre una batteria di nuovi risultati. Sorprendentemente, province famose in Italia o anche nel mondo per i propri prodotti industriali, risultano non essere state particolarmente industriali. Lo storico dell'economia e lo storico del business vedono un panorama molto differente.|Fenoaltea e Ciccarelli, 2010<ref>Carlo Ciccarelli, Stefano Fenoaltea (2010) ''Through the Magnifying Glass: Provincial Aspects
of Industrial Growth in Post-Unification Italy'', Banca d'Italia - quaderni di Storia Economica, 2010, p. 5-22.</ref>}}
La studiosa Stéphanie Collet, docente e storica della finanza della ESCP Europe Business School, ha recentemente apportato un contributo a tali ipotesi attraverso il suo scritto "''A unified italy? sovereign debt and investor scepticism''", premiato dalla Economic History Society di Cambridge con il "''New researcher Prize''"<ref>[http://www.escpeurope.eu/nc/it/faculty-research/the-escp-europe-faculty/professor/name/collet/-/biography/ Biografia di Stèphanie Collet e riferimento al "New Researcher Prize" sul sito di ESCP Europe Business School]</ref>. Nell'ambito del suo lavoro, la Collet ha ricostruito le serie storiche per gli anni 1847-1873 dei prezzi settimanali dei titoli di Stato nelle borse di Parigi e Anversa per gli stati pre-unitari (25 emissioni riunite nei gruppi Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio). Secondo la studiosa, i dati indicano che il Regno di Napoli era lo stato che pagava i rendimenti più bassi, attestandosi intorno ad un valore pari al 4,3%. Tale valore era circa 140 punti base inferiore sia ai rendimenti pagati dai titoli papali, che da quelli piemontesi, i quali inoltre dopo l'unificazione apportarono il 29% ed il 44% del debito del neonato Regno d'Italia. Il valore suddetto era inoltre circa 160 punti base minore di quello del Lombardo-Veneto, il quale dopo il 1861 apportò circa il 2% del debito<ref name=autogenerato11>[http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-30/eurobond-fecero-unita-italia-190357.shtml?uuid=AbDwao0F Giuseppe Chiellino - Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania. Il Sole 24Ore, 30 giugno 2012. Accesso il 23 aprile 2015.]</ref>. Secondo la Collet, "''A quel tempo Napoli era economicamente più importante di qualunque altra città in Italia, anche in confronto a Roma''"<ref>Stéphanie Collet (2011) A unified Italy? Sovereign debt and investir scepticism, pag. 17.</ref>, e le condizioni economiche del Regno di Napoli, erano paragonabili a quelle odierne della Germania:
{{citazione|è possibile tracciare un paragone tra Napoli e la Germania. Infatti, similmente a Napoli nel periodo precedente all'integrazione del debito sovrano, la Germania è l'economia più forte dell'Eurozona e gode del costo del denaro più basso.|Stéphanie Collet (2011), A unified Italy? Sovereign debt and investor scepticism, pag. 20.}}
Dopo il 1861 i mercati internazionali accolsero con scetticismo l'unificazione italiana, e questo si tradusse in un aumento del fattore di rischio (risk premium) per tutti i titoli degli stati preunitari. In particolare, i bond del Regno di Napoli (Italy-Neapolitan) persero 260 punti base, che divennero 460 nel 1870<ref name=autogenerato11 />.
Altri studiosi riportano i numerosi primati del Regno in campo scientifico e tecnologico, sostenendone su questa base il progresso civile e sociale. È ad esempio accertato che nelle Due Sicilie sia stata costruita la prima nave a vapore nel [[Mar Mediterraneo|Mediterraneo]] ([[1818]])<ref>Ressmann Claudio, Rivista Marittima, Febbraio 2007</ref>; la prima linea ferroviaria italiana ([[Ferrovia Napoli-Portici|Napoli-Portici]], [[1839]]); la prima [[illuminazione a gas]] in Italia ([[1839]]); il primo osservatorio vulcanologico del mondo ([[Osservatorio Vesuviano]] ([[1841]])<ref>Lisetta Giacomelli,Roberto Scandone, ''Vulcani d'Italia'', Napoli, 2007, p.161</ref> ed emanate le prime norme antisismiche d'Europa (1783)<ref>[http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/11/terremoti-se-sistema-antisismico-700-tiene-quelli-moderni/1331304/ Alessandro Cannavale Terremoti: se il sistema antisismico del ‘700 tiene meglio di quelli moderni. Il Fatto Quotidiano online, accesso 13 gennaio 2015.]</ref>
<ref>[http://www.corriere.it/scienze/13_settembre_09/terremoto-case-antisismiche_6b8cff0a-1923-11e3-965e-2853ac612ccd.shtml Elisabetta Curzel - Case antisismiche: i sistemi dei Borbone sono validi ancora oggi. Il Corriere della Sera, 9 settembre 2013]</ref>. Gli stessi autori sottolineano inoltre la presenza di impianti industriali avanzati come la fabbrica metalmeccanica di [[Officine di Pietrarsa|Pietrarsa]] (la più grande di tutta la penisola),<ref>[[Piero Bevilacqua]] ''Breve storia dell'Italia meridionale: dall'Ottocento a oggi'', Roma, 1993, p.54</ref>; il [[Cantiere navale di Castellammare di Stabia]]<ref>A. Fratta (a cura di) (1990) La fabbrica delle navi. Storia della cantieristica nel Mezzogiorno d'Italia. Electa Napoli</ref>, il [[Reali ferriere ed Officine di Mongiana|Polo siderurgico di Mongiana]]<ref name="Stefano Manno 1979">Brunello de Stefano Manno; Gennaro Matacena, Le Reali Ferriere ed officine di Mongiana, I edizione, Napoli, casa editrice storia di Napoli e delle due Sicilie, 1979.</ref> e quello tessile, settecentesco, di [[San Leucio (Caserta)|San Leucio]] (oggi sito [[patrimonio dell'umanità]] dell'[[Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura|UNESCO]]). Tra gli esempi di maggiore importanza per quanto riguarda il tessuto produttivo industriale, possono inoltre essere citati gli stabilimenti della [[Reale Fabbrica d'armi di Torre Annunziata]], la [[Fabbrica d'armi di Mongiana]], le [[Ferriere Fieramosca]], il [[Reali ferriere ed Officine di Mongiana|Polo siderurgico di Mongiana]] le [[Officine di Pietrarsa]], il [[Cantiere navale di Castellammare di Stabia]], l'[[Opificio Zino & Henry]], la [[Fonderia Ferdinandea]], le [[Fonderie Pisano]], la [[Fonderia Oretea]] e le [[Flotte Riunite Florio]]. Oltre ai primati del Regno nella sua totalità, i revisionisti riportano inoltre alcuni dati su Napoli. L'allora capitale, tra i numerosi primati, aveva quelli di prima città d'Italia (e la terza d'Europa) per numero di abitanti; di città d'Italia con il più alto numero di tipografie (113) e per pubblicazioni di giornali e riviste; ed il più alto numero di conservatori musicali e di teatri, fra cui il famoso [[Teatro di San Carlo|San Carlo]] ([[1737]]), tuttora il più antico teatro d'opera d'Europa in attività. A Napoli era infine stata fondata la prima cattedra di [[economia politica]] a livello mondiale, nata ad opera di [[Antonio Genovesi]] nel [[1754]]<ref>{{cita libro |cognome= Boccardo |nome= Gerolamo |wkautore= Gerolamo Boccardo |titolo= Dizionario della economia politica e del commercio |url= http://books.google.it/books?id=xgYoAAAAYAAJ&pg=PR12 |editore= Sebastiano Franco e Figli e C. |città= Torino |anno= 1857 |p= XII |accesso= 30 gennaio 2011}} {{NoISBN}}</ref> nell'ambito dell'[[università degli Studi di Napoli Federico II|università Federico II]], la più antica università statale d'Europa<ref>Norbert Kamp, Federico II di Svevia, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani (on line). http://www.treccani.it/Portale/elements/categoriesItems.jsp?pathFile=/sites/default/BancaDati/Federiciana/VOL01/FEDERICIANA_VOL01_000205.xml</ref>.
==== Stato delle finanze del Regno di Sardegna ====
{{P|Il paragrafo parlando e comparando solamente debiti, non trattando delle entrate fiscali: fornisce una visione parziale e viziata dello stato delle finanze: i debiti sono rilevanti solo in rapporto alle entrate e non come indice assoluto di ricchezza/povertà di una nazione|storia|aprile 2015}}
{{C|La citazione di Cavour del 1850 non è circostanziata: nel febbraio '51 minaccio' le dimissioni per la gestione delle finanze e nell'aprile del '51 Cavour divenne ministro delle finanze per cui una dichiarazione di quel genere da parte sua nel luglio del '50 non stupisce più di tanto in quanto strumentale ad ottenere le dimissioni dell'allora ministro delle finanze e a prenderne il posto.
''Il paragrafo confonde le rendite sul debito pubblico con il debito pubblico stesso. ''
''Il paragrafo mischia dati relativi al dominio napoletano con quelli relativi al Regno delle Due Sicilie.''
''Il Savarese non sa spiegarsi i dati relativi al debito piemontese (op.cit. pag. 23), ma nel paragrafo vengono comunque riportati tali dati acriticamente: essere meno rigorosi del Savarese è un'impresa, ad ogni modo sarebbe meglio trovare una fonte più autorevole in materia.''
''Il paragrafo presenta numeri, tra l'altro contradditori tra loro, come ad esempio quelli sul debito, senza tentare di elaborare un discorso od un ragionamento organico, ma affidandosi, a quanto pare, interamente a suggestioni: sarebbe opportuno elaborare una tesi e poi presentarne gli argomenti favorevoli e contrari, in maniera discorsiva, ed eventualmente in seguito riportare cifre e citazioni, cercando di circostanziarle il più possibile, ovvero cercando di spiegare la relazioni tra tali cifre e citazioni con il senso del discorso elaborato nel paragrafo.''
|storia|aprile 2015}}
In contrasto con quanto riportato per il Regno delle Due Sicilie, una parte della corrente revisionista sostiene che il vero motivo della conquista degli stati preunitari, ed in particolare del Regno delle Due Sicilie, non sia stato di natura ideale, ma piuttosto riconducibile alla crisi finanziaria del regno sabaudo, in quanto all'opposto di quanto riportato per il Regno delle Due Sicilie, numerosi autori di questa corrente sostengono che il regno sabaudo fosse gravato da una pesante crisi finanziaria,<ref name="L'Unità d 1974, p.40"/><ref name="Pellicciari 117"/>; il quale, tra il [[1848]] e il [[1859]], avrebbe accumulato un debito di circa 910 milioni di lire<ref>Camillo Benso di Cavour, ''Opera parlamentaria del conte di Cavour, volume primo'', Razzauti Editore, Livorno, 1862, p.209.</ref>. Fin dal luglio [[1850]], lo stesso conte di Cavour, pur dichiarando la sua fiducia in un prossimo recupero della situazione, così esprimeva in un intervento alla Camera le sue preoccupazioni riguardo allo Stato delle finanze piemontesi: {{citazione|Furono su questo argomento da vari oratori pronunciate severe e lugubri parole sul nostro avvenire finanziario; lungi da me negare che noi siamo in condizioni difficilissime, lungi da me il disconoscere i pericoli che ci sovrastano; io conosco quant’altro in quale condizione ci troviamo, a quali estremi potremmo essere condotti se nella futura Sessione Ministero e Parlamento non si adoperassero a tutta forza per sciogliere la gran questione finanziaria, per istabilire in tutto o in parte l'equilibrio finanziario. Io so quant'altri che, continuando nella via che abbiamo seguito da due anni, noi andremo difilati al fallimento, e che continuando ad aumentare le gravezze, dopo pochissimi anni saremo nell'impossibilità di contrarre nuovi prestiti e di soddisfare agli antichi; ma però dalla condizione nostra alla sfiducia completa vi ha una gran differenza, e io dichiaro che sono lungi dal credere la condizione attuale disperata.|Camillo Benso di Cavour<ref>[http://books.google.it/books?id=R2MLAAAAYAAJ&pg=PA496&dq=Io+so+quant’altri+che,+continuando+nella+via+che+abbiamo+seguito+da+due+anni,+noi+andremo+difilati+al+fallimento,+e+che+continuando+ad+aumentare+le+gravezze,+dopo+pochissimi+anni+saremo+nell%27impossibilità+di+contrarre+nuovi+prestiti+e+di+soddisfare+agli+antichi.&hl=it&sa=X&ei=81-EVM2bBInjO9ThgNgF&ved=0CCAQ6AEwAA#v=onepage&q=Io%20so%20quant’altri%20che%2C%20continuando%20nella%20via%20che%20abbiamo%20seguito%20da%20due%20anni%2C%20noi%20andremo%20difilati%20al%20fallimento%2C%20e%20che%20continuando%20ad%20aumentare%20le%20gravezze%2C%20dopo%20pochissimi%20anni%20saremo%20nell'impossibilità%20di%20contrarre%20nuovi%20prestiti%20e%20di%20soddisfare%20agli%20antichi.&f=false Camillo Benso conte di Cavour, Giuseppe Massari, Raffaelo Biffoli (1863) Discorsi parlamentari, Volume 1, pag. 496. Per gli eredi Botta, tip. della Camera dei deputati.]</ref>}}
Ad incidere sul passivo del bilancio dello Stato sabaudo furono le spese sostenute per le diverse guerre espansionistiche volute per inserirsi nel gioco diplomatico internazionale. In particolare, la [[guerra di Crimea]], che Cavour considerava un buon trampolino di lancio per introdurre il Piemonte sullo scacchiere politico europeo, comportò a Torino un importante sacrificio economico, che fu finanziato con la contrazione di un debito con la Gran Bretagna che verrà saldato solo nel [[1902]], andando a gravare per oltre quarant'anni sul bilancio dello Stato unitario<ref>{{cita |Angela Pellicciari, 2000|pp. 111-112}}</ref>.
Diverse fonti confermano lo stato di forte indebitamento del Regno di Sardegna, riportando, invece, una situazione opposta per il Regno delle Due Sicilie. Ciò che si evidenza fu la grande preponderanza del debito ereditato dal Regno di Sardegna (60% circa del totale a fronte del 30% del Regno delle Due Sicilie)<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/bilancio-e-finanza-pubblica_%28L%27Unificazione%29/ Vera Zamagni (2011) Bilancio e finanza Pubblica. In: enciclopedia Treccani online, accesso il 24 aprile 2015]</ref> con le altre aree che avevano contribuito solo marginalmente.Il livello di indebitamento totale del nuovo Regno non era troppo elevato, ma era destinato rapidamente ad aumentare perché la copertura della spesa in essere da parte delle entrate si attestava solo al 60%. Rispetto alla popolazione del nuovo Regno, questi debiti erano pari a 69 lire pro-capite. Ma le quote procapite risultavano abbastanza diversificate tra i diversi Stati preunitari: Piemonte (142 lire), Toscana (67 lire), Napoli (63 lire), Lombardia (56 lire), Sicilia (49 lire), altri Stati unificati (13 lire). È una realtà, poco controvertibile, che i cittadini del nuovo Regno furono chiamati ad accollarsi gli oneri di debiti contratti dal Regno di Sardegna,senza poter usufruire dei benefici delle opere finanziate con l'emissione di questi debiti.
<ref>[http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-30/eurobond-fecero-unita-italia-190357.shtml?uuid=AbDwao0F Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania - Il Sole 24 ORE<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref><ref>http://www.delpt.unina.it/stof/15_pdf/15_6.pdf</ref><ref>http://promotori.bancaipibi.it/Atos-Cavazza/wp-content/uploads/2013/09/LItalia-unita-Debito-sovrano-e-lo-scetticismo-degli-investitori.pdf</ref>
In un suo studio del [[1862]], il barone Giacomo Savarese, già ministro del Regno delle Due Sicilie ed esponente nel periodo postunitario della corrente neoguelfa, confrontò le emissioni di titoli di debito pubblico di Piemonte e Regno di Napoli nel periodo 1848-1859. In particolare, evidenziò che il Piemonte aveva nel [[1847]] un debito pubblico limitato a 9.342.707,04 lire, il quale negli anni successivi lievitò a tal punto che al 1860 esso ammontava a 67.974.177,10 lire. Il debito di nuova contrazione per il periodo suddetto ammontava quindi a "''annue lire 58.611.470,03''"<ref name="Savarese 26">{{cita libro |cognome= Savarese |nome= Giacomo |titolo= Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860 |url= http://books.google.it/books?id=JTQ9AAAAYAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false |editore= Tipografia Cardamone |città= Napoli |anno= 1862 |p= 25 |cid= Giacomo Savarese}} {{NoISBN}}</ref>. Per contro, il totale delle emissioni di titoli del debito pubblico del Regno di Napoli, nel decennio [[1848]]-[[1859]], assommò a 5.210.731,00 lire<ref name="Savarese 26"/>. Savarese, inoltre, mise a confronto, sempre nel decennio preso a periodo di riferimento, i bilanci e le leggi allegate del Regno di Napoli e del Piemonte deducendone che quest'ultimo aveva accumulato, un [[disavanzo statale|disavanzo]] maggiore del primo di 234.966.907,40 lire (369.308.006,59 lire del Piemonte contro 134.341.099,19 lire delle Due Sicilie – che, negli anni 1856 e 1859, avevano fatto registrare finanche un avanzo di bilancio)<ref>{{cita |Giacomo Savarese |pp. 24-25}}</ref>. Sempre nello stesso periodo, il Piemonte aveva approvato 22 provvedimenti legislativi che introducevano nuove tasse o aggravavano quelle già esistenti (contro nessuna nuova tassa o aggravio nel Regno di Napoli), nonché altre disposizioni che decretarono l'alienazione di una serie di beni pubblici<ref>{{cita |Giacomo Savarese |pp. 28-29}}</ref> per ridurre il disavanzo<ref>Gigi di Fiore, I vinti del Risorgimento, pag. 263-264.</ref>.
La solidità finanziaria del Regno di Napoli e la contemporanea situazione opposta a carico del Piemonte, è stata esemplificata in questo modo dall'economista [[Francesco Saverio Nitti]]:
{{citazione|Ciò che è certo è che il Regno di Napoli era nel 1857 non solo il più reputato d’Italia per la sua solidità finanziaria – e ne fan prova i corsi della rendita – ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito, le imposte non gravose e bene ammortizzate, semplicità grande in tutti i servizi fiscali e della tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte senza criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del fallimento. Senza togliere nessuno dei grandi meriti che il Piemonte ebbe di fronte all'unità italiana, che è stata in grandissima parte opera sua, bisogna del pari riconoscere che, senza l'unificazione dei vari Stati, il Regno di Sardegna per l'abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento. La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il '49 e il '59 da una enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, avea determinato una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di altro Stato più grande.|Francesco Saverio Nitti<ref name=autogenerato5 />}}
Anche la storica revisionista di impostazione cattolica Angela Pellicciari sostiene quanto sopra, riportando una frase di Pier Carlo Boggio, deputato del Regno di Sardegna<ref>Angela Pellicciari, Il sud era ricco prima di diventare Italia in www.angelapellicciari.it. URL consultato il 16-01-2011.</ref>. Quest'ultimo scrisse nella sua opera ''Fra un mese!'' (1859) che «''la pace ora significherebbe per il Piemonte la riazione e la bancarotta''»<ref name=autogenerato6>Pier Carlo Boggio, Fra un mese!, Tip. scol. di S. Franco, 1859, p. 21-22.</ref> affermando che i gravi problemi finanziari del Piemonte erano conseguenza delle ingenti spese derivanti dal suo impegno per la causa nazionale:
{{citazione|Il Piemonte accrebbe di ben cinquecento milioni il suo debito pubblico: il Piemonte falsò le basi normali del suo bilancio passivo; il Piemonte spostò la propria azione dal suo centro primitivo; il Piemonte impresse a sé medesimo un impulso estraneo alla sua orbita naturale; il Piemonte arrischiò a più riprese le sue istituzioni; il Piemonte sacrificò le vite di numerosi suoi figli, sempre in vista della gloriosa meta che si è proposto: il Riscatto d'Italia.|Pier Carlo Boggio<ref name=autogenerato6 />}}
Al contrario [[Luigi Einaudi]] comparando le due economie pose l'accento sull'aspetto propulsivo per l'economia degli investimenti pubblici piemontesi:
{{citazione|la finanza borbonica provvedeva alle opere pubbliche atte a dare un incremento all'economia del paese entro i limiti dell’andamento spontaneo delle entrate al di sopra delle esigenze delle spese ordinarie, sì da far credere che l’opera fosse dovuta a generosità del sovrano; la finanza cavourriana non temeva di anticipare con prestiti l’incremento del gettito tributario o lo provocava con opere di ferrovie, di canali, di navigazione atte ad accrescere la produttività del lavoro nazionale.| L. Einaudi, ''Miti e paradossi della giustizia tributaria'', Einaudi, Torino, 1959, p. 274.}}
=== La politica internazionale del Regno delle Due Sicilie ===
[[File:Ferdinand Zweite von Neapel Sizilien.jpg|thumb|upright=0.8|Ferdinando II delle Due Sicilie]]
Con l'ascesa al trono di Ferdinando II, la politica estera del Regno delle Due Sicilie fu caratterizzata da un orientamento molto chiaro: il sovrano voleva trasformare il regno in uno Stato ''nelle cui faccende nessun altro stato avesse da immischiarsi, tale da non dar noia agli altri e da non permetterne per sé''.
Alcuni revisionisti sostengono che, in seguito alle politiche adottate dal sovrano, il regno borbonico fosse caduto in una situazione di isolamento diplomatico<ref>{{cita libro |cognome= Di Nolfo |nome= Ennio |titolo= Europa e Italia nel 1855-1856 |anno= 1967 |editore= Istituto per la storia del Risorgimento italiano |città= Roma |p= 412 }} {{NoISBN}}</ref>. Ferdinando II, infatti, aveva effettuato la scelta di perseguire una politica autarchica nella gestione dello Stato, che sul fronte estero si tradusse nella non adesione ad un "partito" specifico. Il Regno delle Due Sicilie era piuttosto legato all'[[Impero austriaco|Austria]] ([[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa]], moglie di Ferdinando II, era austriaca) ed aveva relazioni di lunga data sia con la Francia di [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]], che con l'Inghilterra (queste ultime risalenti proprio al periodo speso in Sicilia da [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando I]]). Ferdinando II, tuttavia, aveva dato segni fin dall'inizio del suo regno di volere assicurare al proprio paese un'indipendenza diplomatica<ref>È famoso a tal proposito il commento del console inglese a Napoli all'atto della sua salita al trono, che individuava la necessità di "dargli [a Ferdinando II] qualche salutare lezione in proposito"</ref>, convinto com'era che la sua posizione di paese "''tra l'acqua santa e l'acqua salata''"<ref>L'espressione si riferisce al fatto che la sicurezza del Regno delle Due Sicilie era garantita dall'essere protetto a nord dallo Stato della Chiesa, ai tempi considerato intangibile, e da tutti gli altri lati dal mar Mediterraneo, che era protetto dalla flotta militare</ref><ref>Eugenio Di Rienzo (2012) Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee – 1830-1861, pag. 15. Rubbettino editore, Soveria Mannelli</ref> lo avrebbe protetto da ingerenze estere, a condizione di avere una potente marina militare.
In ossequio alle proprie posizioni di stretta neutralità, Ferdinando II rifiutò di intervenire in occasione della [[prima guerra Carlista]] (1833-1840). Tale conflitto era scoppiato per la successione a [[Ferdinando VII di Spagna|Ferdinando VII]] sul trono di Spagna, e vedeva contrapposti [[Isabella II di Spagna|Isabella II]], figlia dello scomparso sovrano, ed il fratello di quest'ultimo, [[Carlo Maria Isidoro di Borbone-Spagna|don Carlos]]. A fianco della prima erano schierate Francia ed Inghilterra, e sulla base delle alleanze in essere, fu richiesto l'intervento anche da parte del Regno delle Due Sicilie. Il rifiuto di Ferdinando II fu considerato un ''atto di insubordinazione'' e fu determinante nel danneggiare irrimediabilmente i rapporti con la Gran Bretagna. Esso fu infatti interpretato dal governo di Londra come un eloquente segnale che indicava una precisa volontà del governo borbonico: liberare il Regno delle Due Sicilie da qualsiasi condizione di subalternità, elevandolo al rango di medio-grande potenza.<ref name="PaoloMieli">{{cita web |cognome= Mieli |nome= Paolo |wkautore= Paolo Mieli |titolo= L'errore dei Borbone fu inimicarsi Londra. L'ostilità inglese destabilizzò il Regno di Napoli |url= http://www.nuovarivistastorica.it/?p=3387 |sito= [[Nuova Rivista Storica|nuovarivistastorica.it]] |editore= [[Società editrice Dante Alighieri]] |città= Roma |accesso= 9 dicembre 2014}}</ref>
==== Il deterioramento dei rapporti tra Regno delle Due Sicilie e Inghilterra ====
{{Vedi anche|Questione degli zolfi}}
Coerentemente alla volontà di mantenere una stretta neutralità, ed eliminare qualunque ingerenza estera dalla propria politica interna ed internazionale, il reame di ''Sua Maestà Siciliana'' mantenne un ''contegno non servile verso l'Inghilterra''<ref>{{cita libro |cognome= Croce |nome= Benedetto |wkautore= Benedetto Croce |titolo= Storia del Regno di Napoli}} Citato in {{cita web |cognome= Mieli |nome= Paolo |wkautore= Paolo Mieli |titolo= L'errore dei Borbone fu inimicarsi Londra. L'ostilità inglese destabilizzò il Regno di Napoli |url= http://www.nuovarivistastorica.it/?p=3387 |sito= [[Nuova Rivista Storica|nuovarivistastorica.it]] |editore= [[Società editrice Dante Alighieri]] |città= Roma |accesso= 15 aprile 2012}}</ref>; ma tale atteggiamento non fu gradito al Regno Unito, poiché Londra riteneva che l'aver protetto la monarchia borbonica in età napoleonica ''le desse i titoli per poter ottenere una totale subalternità da parte di Ferdinando II''<ref name=autogenerato7>{{cita web |cognome= Mieli |nome= Paolo |wkautore= Paolo Mieli |titolo= L'errore dei Borbone fu inimicarsi Londra. L'ostilità inglese destabilizzò il Regno di Napoli |url= http://www.nuovarivistastorica.it/?p=3387 |sito= [[Nuova Rivista Storica|nuovarivistastorica.it]] |editore= [[Società editrice Dante Alighieri]] |città= Roma |accesso= 22 aprile 2012}}</ref>. Del progressivo deterioramento dei rapporti anglo-napoletani riferisce anche lo storico Ernesto Pontieri, che definisce la politica britannica verso le Due Sicilie come una ''politica di rancori, di insidie, di mal celata avversione verso chi, non senza ragione, conservava rispetto all'Inghilterra, immutata la sua diffidenza''<ref>{{cita libro |nome= Ernesto |cognome= Pontieri |wkautore= Ernesto Pontieri |titolo= Il riformismo borbonico nella Sicilia del sette e dell'Ottocento: saggi storici |editore= Edizioni scientifiche italiane |città= Napoli | anno= 1965 |isbn= {{NoISBN}} |p= 347 }}</ref>.
Secondo alcuni autori, il contrasto diretto tra la Gran Bretagna ed il Regno delle Due Sicilie avrebbe avuto radici anche nella progressiva affermazione di quest'ultimo quale potenza marinara posta al centro del [[Mar Mediterraneo|Mediterraneo]], e, quindi, in diretto contrasto con gli interessi inglesi<ref>Erminio De Biase, L'Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie. Controcorrente editore, Napoli, 2002</ref><ref name="ReferenceC">Michele Topa, Così finirono i Borbone di Napoli, [[Fausto Fiorentino Editore]], Napoli 1990</ref>. A tal proposito, diverse fonti riportano come, in particolare sotto il regno di [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II di Borbone]], la marina mercantile napoletana fosse progressivamente cresciuta dalle 5.328 unità (102.112 tonnellate) del [[1834]] alle 9.847 unità (259.917 tonnellate) del [[1860]], e come, soprattutto, fosse mutata la tipologia del naviglio a favore di unità a più elevato tonnellaggio, le quali consentivano, quindi, di condurre traffici commerciali su lunghe distanze<ref>[http://books.google.it/books?id=1uZNSMtpzuQC&pg=PA306 Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni] di Angelo Massafra,Università di Bari. Dipartimento di scienze storiche e sociali,Italy. Soprintendenza archivistica per la Puglia, pag. 307-309. EDIZIONI DEDALO, 1988 - 1312 pagine. Consultato il 12 gennaio 2011</ref><ref>Radogna, Lamberto. Storia della marina mercantile delle Due Sicilie. (1734 – 1860). Mursia, 1982.</ref>. Ferdinando II diede inoltre "''una svolta decisiva (alla) politica militare marittima del Regno delle Due Sicilie''"<ref>Lamberto Radogna (1978) Storia della Marina Militare delle Due Sicilie (1734-1860), pag. 97. Mursia Editore.</ref>. Convinto che le forze armate fossero lo strumento fondamentale del mantenimento dello Stato, egli diede infatti un forte impulso all'Armata di Mare, rendendo possibile il varo in pochi anni di numerose unità a vela, il forte aumento degli effettivi, e l'intrapresa di azioni di intimidazione dei confronti del bey di Tunisi e del sultano del Marocco, che portarono alla stipula di trattati dove il Regno delle Due Sicilie veniva riconosciuto come nazione più favorita<ref name=autogenerato3>Lamberto Radogna (1978) Storia della Marina Militare delle Due Sicilie (1734-1860), pag. 98-100. Mursia Editore.</ref>. L'aumento del numero e del tonnellaggio delle navi misero in condizione l'Armata di Mare, che fino a quel momento si era mossa principalmente nelle acque del Mediterraneo, di intraprendere alcune crociere oceaniche, che ebbero come risultato il migliore addestramento dei marinai alla manovra, alla navigazione ed al calcolo astronomico<ref name=autogenerato3 />. A completamento del processo di evoluzione dell'Armata di Mare, Ferdinando II dispose, primo tra i sovrani italiani, che essa fosse equipaggiata con unità a vapore. Tra il 1839 ed il 1846, 19 di queste, sia realizzate localmente, che acquistate all'estero, entrarono in servizio. A sostenere tale sforzo, il bilancio per la Marina militare aumentò dal 1.850.000 ducati del 1842, ai 3.258.000 del 1843, ai 3.265.000 del 1844, ai 3.050.000 del 1845, ai 2.730.000 del 1846 ed ai 2.530.000 del 1847<ref>Lamberto Radogna (1978) Storia della Marina Militare delle Due Sicilie (1734-1860), pag. 108-109. Mursia Editore.</ref>.
[[File:Ferdinadea historical.jpg|thumb|right||larghezzapx 200|L'Isola Ferdinandea in un documento dell'epoca.]]
In questo contesto, la contesa su [[Isola Ferdinandea|Ferdinandea]], un'isola di circa quattro chilometri quadrati emersa dal mare nel luglio del [[1831]] tra [[Sciacca]] e [[Pantelleria]] e, quindi, entro le acque territoriali siciliane, viene generalmente considerata una spia del contrasto tra la Gran Bretagna e le Due Sicilie. La disputa sull'isolotto cominciò con la presa di possesso dello stesso da parte della Gran Bretagna, che, da [[Malta]], inviò la [[corvetta]] ''Rapid'', comandata dal tenente di vascello Charles Henry Swinburne, per sbarcare sull'isola alcuni fanti affinché la occupassero. L'atto dei britannici viene considerato come un segno inequivocabile delle mire britanniche sulla Sicilia, dalla quale Londra importava non solo prodotti agroalimentari, ma soprattutto lo [[#La questione dello zolfo siciliano|zolfo]] e che, quindi, avrebbe avuto interesse a tenere sotto il proprio controllo<ref name="PaoloMieli"/><ref>Eugenio Di Rienzo (2012) Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee – 1830-1861, pag. 30. Rubbettino editore, Soveria Mannelli</ref>. Il 10 agosto, dunque, gli inglesi piantarono per primi il loro vessillo sull'isolotto, che fu battezzato ''isola di Graham''. Il 17 agosto, tuttavia, ritenendo la neonata isola posta all'interno delle proprie acque territoriali, lo Stato borbonico ne rivendicò l'appartenenza dandole il nome del proprio sovrano. Questa disputa, risolta velocemente con la scomparsa dell'isola a fine dicembre<ref>Tuttavia l'Inghilterra non perse l'interesse su quest'isola, posizionata lungo la rotta per [[Malta]], effettuando su quel tratto di mare, negli anni successivi, rilievi batimetrici</ref>, è generalmente interpretata come un altro indice della volontà di Ferdinando II di affermare le Due Sicilie come potenza marinara tesa al controllo del Mediterraneo centro-meridionale<ref name="ReferenceC"/>, in contrasto diretto con gli interessi inglesi.
Secondo alcune fonti, il comportamento degli inglesi sarebbe correlato anche con la ''[[Questione degli zolfi|questione dello zolfo siciliano]]''<ref>Thomson, Dennis (1989): The Sulphur War (1840): A Confrontation between Great Britain and the kingdom of the Two Sicilies in the Mediterranean, Michigan State University.</ref><ref>Giura, Vincenzo(1973): La questione degli zolfi siciliani (1838-1841), in: Cahiers internationaux d´histoire economique et sociale, Nummer 2, pag.278-392</ref>. La produzione di tale preziosa materia prima, propria soprattutto dell'agrigentino, era gestita prevalentemente da cittadini inglesi<ref name=autogenerato8>{{cita |Harold Acton |p. 140}}</ref>. A quei tempi, lo [[zolfo]] era una risorsa strategica per la fabbricazione di [[polvere da sparo]], e la produzione delle miniere siciliane copriva i quattro quinti della domanda mondiale<ref name=autogenerato8 />. Nel [[1836]], [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]] irritato dalle continue lamentele per l'eccessiva produzione ed il crollo dei prezzi, ritenne svantaggiose per le casse dello Stato le condizioni economiche della concessione assegnata agli inglesi<ref name=autogenerato8 />. Il sovrano, che nel frattempo aveva ribassato il dazio fiscale sul macinato e rimossa la parte detta consumo rurale, si trovava in condizione di dover cercare altri mezzi con cui incamerare contributi per le casse del regno. La gestione dello zolfo venne così affidata ad una ditta francese, la Taix & Aycard di [[Marsiglia]], la quale si impegnò a versare 400.000 ducati annui al governo borbonico, e a calmierare la produzione a 600.000 quintali l'anno, di cui 20.000 sarebbero stati consegnati alla Regia polveriera<ref name=autogenerato8 />.
Tutto ciò provocò una forte reazione della [[Gran Bretagna]] per bocca dell'incaricato d'affari Kennedy, il quale protestò che il nuovo accordo era in palese violazione della convenzione stipulata il 26 settembre 1816 tra il suo paese ed il Regno delle Due Sicilie<ref name=autogenerato8 />, la quale accordava alla Gran Bretagna dello status di "nazione maggiormente favorita"<ref>[http://books.google.it/books?id=XgpZAAAAYAAJ&pg=PA669&dq=convention+26th+September+1816+great+britain+kingdom+of+two+sicilies&hl=it&sa=X&ei=ISaEVNHZAsO9Ua2ngvAP&ved=0CFEQ6AEwBg#v=onepage&q=convention%2026th%20September%201816%20great%20britain%20kingdom%20of%20two%20sicilies&f=false John Ramsay McCulloch (1851) A dictionary, practical, theoretical, and historical, of commerce and commercial navigation, Volume 2, pag. 668-669. A. Hart.]</ref>. Il ministro Palmerston fece recapitare a Ferdinando II una nota minacciosa, che mandò quest'ultimo su tutte le furie. Dopo lunghe schermaglie diplomatiche, che furono complicate anche dal rapporto tra il re ed il fratello Carlo, che aveva sposato senza consenso una cittadina inglese, Ferdinando II adottò la linea della fermezza e si dispose a difesa:
{{citazione|Signori, Loro hanno ascoltato la nota del Ministro d'Inghilterra; oggi trattasi di decidere la questione se si debba o no cedere alle pretenzioni ed alle minacce che ci dirigono; si tratta di una questione d'onore e di dignità. Io per me sono pronto a respingere le une come le altre. (…) Vi sono taluni che ci consiglierebbero di cedere, ma sanno cosa guadagneressimo con ciò, oltre alla perdita della dignità ed alla macchia dell'onore? Bisognerebbe assoggettarsi alle instancabili richieste dell'Inghilterra. (…) Quello che ho operato riguardo al contratto degli zolfo era nelle mie facoltà e non vi è in esso manco un'ombra di violazione di trattato. È un diritto sovrano innegabile il fare quanto richiede la prosperità ed il benessere dei popoli. Gli Inglesi guadagnavano tanto al commercio de' zolfi sol pregiudizio dei nazionali, che non vogliono vedere diminuire il lucro loro, e perciò vogliono imporci la legge. Potevo e volevo accomodare spontaneamente l'affare, ma non lo posso più sotto l'imperio dell'altrui minacce: sarebbe discreditarmi…La fermezza è il partito che ci conviene contro ingiuste pretensioni.|Ferdinando II delle Due Sicilie<ref>{{cita |Harold Acton |p. 149}}</ref>}}
Oltre a preannunciare il sequestro delle navi siciliane,<ref>[[Denis Mack Smith]], ''Storia della Sicilia medioevale e moderna'',Editori Laterza, 1976, pag.512-513.</ref> la Gran Bretagna mandò nel [[1840]] una flotta navale nel golfo di Napoli, l'ordine era di bloccare le navi battenti bandiera delle Due Sicilie. Ferdinando II come risposta ordinò l'[[embargo]] contro tutti i legni mercantili britannici presenti nei porti del regno o lungo le sue coste<ref>[[Lodovico Bianchini]]'', ''Della storia economico-civile di Sicilia'', [[Palermo]], Stamperia di Francesco Lao, 1841, Vol. II, p. 276''</ref>. Il tutto sarebbe sfociato in una vera e propria guerra se il sovrano francese [[Luigi Filippo di Francia|Luigi Filippo]] non fosse riuscito a fare da arbitro tra i due stati. La contesa venne conclusa con l'annullamento da parte dello Stato borbonico del contratto stipulato con la Taix Aycard,<ref>Rivista contemporanea,Vol 26,a pag 429,Torino-1861</ref><ref>Denis Mack Smith,Storia della Sicilia medioevale e moderna,pagg.512-513.Editori Laterza, 1976</ref> l'obbligo di rifondere agli inglesi le perdite che sostenevano di aver avuto causa la rescissione del contratto, e di rimborsare ai francesi il mancato guadagno derivante dall'annullamento del nuovo accordo.<ref name = alianello/>
=== La politica internazionale del Regno di Sardegna ===
==== I rapporti tra Regno di Sardegna e Inghilterra ====
{{C|Due fonti usate nel paragrafo affermano palesemente il falso: Del Boca e Servidio affermano che Cavour avrebbe ordinato a Persano di prendere contatti a Napoli con un uomo di fiducia del governo inglese di nome Edwin James, mentre nella lettera di Cavour, datata 3 settembre 1860 ed usata come fonte dai due "scrittori", Cavour chiede a Persano di aiutare James a raggiungere Garibaldi. Dalla biografia di James, si sa che si recò in Italia nell'autunno del 1860 e fu presente agli scontri di Capua del 19 settembre: Garibaldi era entrato a Napoli, in treno, il 7 settembre. Dalla lettera si ricava che Cavour raccomanda James presso Persano perché preoccupato di come trattare con i mazziniani, il fatto non ha alcuna attinenza con la caduta dei Borbone.([[Discussione:Revisionismo del Risorgimento/Archivio 6#I rapporti tra Regno di Sardegna e Inghilterra - tendenziosit.C3.A0 delle fonti|discussione]]),|storia|ottobre 2012}}
Secondo talune interpretazioni revisioniste, le politiche adottate da Ferdinando II nelle relazioni diplomatiche e il conseguente contrasto con l'Inghilterra furono tra le circostanze che determinarono una convergenza di interessi internazionali verso l'annessione delle Due Sicilie al Piemonte. Per i sostenitori di queste interpretazioni il processo di annessione sarebbe stato una operazione pianificata, attuata con il sostegno più o meno palese della Gran Bretagna<ref>[[Giuseppe Buttà]], ''I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli'', Tipografia del giornale La Discussione, Napoli, p.111</ref>.
Secondo alcuni filoni revisionisti, una macchinazione contro il Regno delle Due Sicilie sarebbe stata ordita dal Regno di Sardegna e l'Inghilterra, con lo scopo di trarre entrambi profitto dal collasso dello Stato borbonico<ref name = alianello/>. [[Carlo Alianello]] sostenne che, oltre al regno sardo, anche la Gran Bretagna, una delle maggiori potenze mondiali, aveva i suoi punti deboli (come la [[Grande carestia irlandese|Grande carestia]] in [[Irlanda]], a quel tempo parte del [[Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda|Regno Unito]], che, oltre a provocare migliaia di morti, portò un elevato tasso di emigrazione verso le Americhe).<ref name = alianello>{{cita news|url=http://www.ilportaledelsud.org/alianello.htm|pubblicazione= Brigantino - il Portale del Sud|titolo= La conquista del Sud|autore= [[Carlo Alianello]]|accesso=25 giugno 2010}}</ref>.
Tuttavia non vi è ancora molta chiarezza sul ruolo di Cavour nell'annessione del regno delle Due Sicilie. Secondo [[Arrigo Petacco]], il primo ministro piemontese disapprovava la conquista del regno borbonico e cercò persino di stipulare un accordo con [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] per una formazione di uno Stato federale, ma quest'ultimo si sarebbe rifiutato.<ref>{{cita news|url=http://www.giornale.ms/intervista-ad-arrigo-petacco-autore-del-il-regno-del-sud/|pubblicazione=www.giornale.ms|autore=|titolo=Intervista ad Arrigo Petacco autore {{sic|del}} ”Il Regno del Sud”|accesso=3 novembre 2010|urlarchivio=http://web.archive.org/web/20110722222017/http://www.giornale.ms/intervista-ad-arrigo-petacco-autore-del-il-regno-del-sud/|dataarchivio=22 luglio 2011}}</ref>
Altri scrittori come [[Lorenzo Del Boca]]<ref name= delboca2>Lorenzo Del Boca, ''Maledetti Savoia'', Piemme Editore, Milano, 1998, p. 36.</ref> e Aldo Servidio<ref name= servidio>Aldo Servidio, ''L'imbroglio nazionale'', Napoli, 2000, p. 65.</ref> riportano invece che nel [[1856]], quattro anni prima della [[Spedizione dei Mille]], Cavour e il [[George Villiers, IV conte di Clarendon|conte di Clarendon]], emissario di [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Lord Palmerston]] nonché ministro degli esteri inglese, ebbero contatti per organizzare rivolte antiborboniche nelle [[Regno delle Due Sicilie|Due Sicilie]].<ref name= servidio/> Cavour avrebbe ordinato a [[Carlo Pellion di Persano]] di prendere contatti a Napoli con l'avvocato Edwin James, uomo di fiducia del governo inglese.<ref name= delboca2/><ref name= servidio/>
Il conte di Clarendon si scagliò contro [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]], al quale, a suo dire, le potenze progredite dovevano imporre di ascoltare la voce della giustizia e dell'umanità.<ref>{{cita libro |cognome=Romeo |nome=Rosario |wkautore= Rosario Romeo |titolo= Vita di Cavour |anno= 2004 |editore= Giuseppe Laterza & Figli |città= Bari |p= 327 |isbn= 88-420-7491-8 |cid= Rosario Romeo}}</ref>
==== La guerra di Crimea e la politica estera di Cavour ====
La politica internazionale neutralista voluta da Ferdinando II, secondo alcune interpretazioni storiografiche, si estrinsecò anche nella scelta di non intervenire in alcun modo nella [[guerra di Crimea]] (1853-1856), non solo non inviando un proprio contingente, ma non concedendo l'uso dei suoi porti alle flotte inglesi e francesi<ref>Gigi Di Fiore, Controstoria dell'Unità d'Italia</ref>, il che gli alienò non poche simpatie. Secondo Paolo Mieli, la guerra di Crimea fu per Ferdinando II l'occasione per affermare nuovamente le Due Sicilie come stato libero da qualsiasi forma di subalternità. Dopo essersi dichiarato neutrale, infatti, Ferdinando II adottò ogni provvedimento possibile per non favorire il fronte anglo-francese. Il governo borbonico, infatti, emanò disposizioni sanitarie, giustificate dall'epidemia di colera sviluppatasi in Crimea, che obbligavano i vascelli provenienti dall'Impero ottomano ad una quarantena di quindici giorni. Inoltre, vietò il rilascio di passaporti ai cittadini siciliani, temendo che avversatori isolani della dinastia si potessero arruolare nella Legione anglo-italiana, composta da fuoriusciti politici italiani<ref name="PaoloMieli"/>. In conseguenza di ciò, il 7 agosto 1855, il primo ministro britannico [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Palmerston]], in una seduta della Camera dei Comuni, accusò il governo di Napoli di essersi schierato a favore dell'Impero russo, poiché, secondo il capo del governo britannico, il Regno delle Due Sicilie ne era divenuto uno Stato vassallo. {{chiarire|A tal proposito Palmerston dichiarò che "''il regno borbonico aveva dimostrato sfrontatamente la sua ostilità alla Francia e all'Inghilterra vietando l'esportazione di merci che il suo stato di neutrale gli avrebbe consentito tranquillamente di continuare a trafficare''"<ref name="PaoloMieli"/>.|Chiarire: Non c'è nesso con quello che viene precedentemente scritto: quarantene e divieti di rilascio di passaporti sono altra cosa rispetto a un divieto di esportazione di merci verso dei paesi ben definiti, per altro non menzionato le decisioni borboniche}}.
Differentemente da Ferdinando II, in tutto il decennio precedente l'unità d'Italia, Cavour fu molto attivo nella diplomazia europea per assicurare allo Stato sabaudo la simpatia, se non l'alleanza, di Inghilterra e Francia. È noto, infatti, che nel [[1855]] egli inviò un contingente di truppe per combattere a fianco di quelle inglesi nella [[Guerra di Crimea]]. In questo modo, si guadagnò un seggio alla successiva [[Congresso di Parigi|conferenza di pace]], dove riuscì far prendere ai rappresentanti inglesi e francesi una [[Congresso di Parigi#Cavour al Congresso|posizione sulla questione italiana]]. L'amicizia piemontese con la Gran Bretagna venne confermata dalla visita di stato che re Vittorio Emanuele II fece alla [[Vittoria del Regno Unito|Regina Vittoria]]<ref name="L. Cappelleti 1892, p 258"/> al termine del conflitto. Sul fronte diplomatico francese, invece, Cavour riuscì ad avvicinare a sé Napoleone III e lo fece, secondo quanto riportato da Gigi Di Fiore, anche grazie alle arti seduttive di una sua parente nei confronti dell'Imperatore<ref>Gigi di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p. 19</ref>. L'amicizia con la Francia da parte del Piemonte si concretizzò in alleanza militare con gli [[accordi di Plombières]], che posero le basi per la collaborazione tra francesi e sabaudi contro l'Austria durante la [[Seconda guerra d'indipendenza italiana|Seconda guerra di indipendenza italiana]] e per la successiva annessione della [[Lombardia]] al Piemonte.
=== La politica di appoggio inglese ===
==== Le dichiarazioni di Gladstone ====
[[File:Gladstone.jpg|left|thumb|upright=0.6|William Gladstone]]
{{Approfondimento
|allineamento = destra
|larghezza = 30%
|titolo = La visita di un deputato del Regno Unito alle carceri napoletane nel marzo 1850
|contenuto = Un'illustre personalità, talvolta confusa da alcuni autori con Gladstone, visitò il 20 marzo [[1850]] il carcere della Vicaria di [[Castel Capuano]] e quello di [[Chiesa di Santa Maria Apparente|Santa Maria Apparente]]. Si trattava di [[Alexander Baillie-Cochrane]], deputato [[Partito Conservatore (Regno Unito)|conservatore]] e sostenitore dei diritti dei governi assolutistici<ref>{{cita|Coppola|p. 617}}</ref>. La sua visita, effettuata con il proposito di informarsi sulle condizione dei popoli sottoposti ai governi della penisola italiana usciti vincitori dai [[Primavera dei popoli|rivolgimenti del 1848]], va inquadrata nell'aspro scontro che si svolgeva allora nelle [[Parlamento del Regno Unito|aule parlamentari inglesi]] tra conservatori e liberali<ref>{{cita|Coppola|p. 613}}</ref>. Della sua visita vi sono quattro testimonianze:
* un rapporto (conosciuto come ''Memorandum per S. M.'') steso da un ignoto funzionario della polizia napoletana;
* una lettera, datata 29 marzo, scritta da [[Antonio Scialoja]], che incontrò il deputato britannico in Castel Capuano, dov'era detenuto<ref>Antonio Scialoja, [http://books.google.it/books?id=UvEGcSkDZ88C&lpg=PR13&dq=Alexander%20Baillie-Cochrane&pg=PR13#v=onepage&q&f=false I principi della economia sociale esposti in ordine ideologico], a cura di Gabriella Gioli, p. XIII, Franco Angeli editore, Milano, 2006</ref>;
* una lettera scritta il 24 marzo da Carlo Poerio dove egli descrive l'incontro con il Cochrane avuto a Santa Maria Apparente, suo luogo di detenzione;
* l'opera scritta dal Baillie-Cochrane stesso, ''Young Italy''<ref>{{cita libro |cognome=Baillie-Cochrane |nome=Alexander |titolo=Young Italy by Alexander Baillie Cochrane |url=http://books.google.it/books?id=o08IAAAAQAAJ&dq=Young%20Italy%20%2F%20by%20Alexander%20Baillie%20Cochrane&pg=PA262 |anno=1850 |editore=John W. Parker |città= Londra |pp=262-279 |capitolo=The prisons of Naples|cid=Baillie-Cochrane}} {{NoISBN}}</ref>.
Il rapporto di polizia contiene alcune imprecisioni e omissioni, dovute, probabilmente, all'intendimento del funzionario di compiacere i propri superiori; vi è, comunque, descritto l'incontro del Cochrane con il Poerio.
La lettera di Scialoja lascia intendere che l'ex-ministro non si aspettasse risultati positivi dalla visita dell'esponente politico inglese «''spedito qui dai suoi amici politici per esaminare le tristi condizioni di questo paese e farne rapporto''»<ref name=Coppola629>{{cita|Coppola|p. 629}}</ref>.
Le considerazioni esposte da Poerio nella propria missiva concordano in gran parte con quelle dello Scialoja, non credendo che l'Inghilterra (così come la Francia) avrebbe esercitato delle forti pressioni sul governo napoletano per il ristabilimento della Costituzione e della legalità<ref name=Coppola629 />.
Nella sua opera il Cochrane riporta che le opinioni da lui raccolte a [[Napoli]] erano eterogenee: la nobiltà riteneva che tutto andasse per il meglio, mentre la classe media si lamentava del dispotismo imperante. Egli, per accertare la verità, si recò a far visita al presidente del consiglio dei ministri, Giustino Fortunato, chiedendogli di visitare subito le carceri napoletane e di parlare con i detenuti politici; alla proposta del Fortunato di effettuare la visita l'indomani, egli replicò con un «''sul momento, o non più''», al che il presidente acconsentì. Cochrane effettuò una prima rapida visita a Santa Maria Apparente, sulle cui condizioni di vita espresse un parere abbastanza positivo. Qui interrogò i prigionieri politici circa il motivo della loro detenzione (gli venne risposto, genericamente, per "cospirazione contro il governo") e la durata della stessa (da due settimane a otto-nove mesi, senza aver subito né interrogatorio né processo)<ref>{{cita|Coppola|pp. 619-620}}</ref>.
Spostatosi alla Vicaria ne ebbe, invece, una pessima impressione, poiché si trovò di fronte a «''gentiluomini di elevata educazione costretti a mescolarsi con la feccia delle galere''» e poiché fu quasi assalito da una turba di carcerati speranzosi di avere da lui assicurazioni e promesse che egli non poté dare. Chiese, poi, di visitare il piano sotterraneo, del quale dichiarò che per descriverne gli orrori avrebbe avuto bisogno dell'immaginazione di [[Dante Alighieri|Dante]]<ref>{{cita|Coppola|p. 623}}</ref>.
Viste le misere condizioni dei prigionieri, il Cochrane pensò a come recare loro sollievo e, ricevuto un invito a visitare il Re a [[Caserta]], decise di rivolgere la richiesta direttamente al monarca. Recatosi a Caserta il giorno dopo, 21 marzo, ne ricavò rispetto a Ferdinando II un'"universale impressione favorevole circa la sua operosità, condotta ed ansia di fare ciò che era giusto"<ref name=Baillie-Cochrane275>{{cita|Baillie-Cochrane|p. 275}}</ref>.
Una volta di fronte al Re, dichiarò che egli riconosceva l'iniquità delle accuse a lui rivolte dai liberali, ma che era necessario, visto lo stato deplorevole delle carceri e la promiscuità che vi regnava, liberare i detenuti politici che vi si trovavano (il cui numero ammontava a 614, secondo quanto da lui constatato, e non a 15.000, secondo quanto veniva falsamente propagandato)<ref name=Baillie-Cochrane275 />. Ferdinando II, con un linguaggio che secondo Cochrane "non avrebbe potuto essere più nobile, generoso e sensibile''", rispose che la commistione tra detenuti comuni e prigionieri politici era stata determinata dal fatto che "''fino al 1848 non vi era un solo prigioniero politico, e che il governo non aveva mai considerato una tale terribile necessità" ma ciò non era esatto,<ref name=Coppola624>{{cita|Coppola|p. 624}}</ref> in quanto vi erano stati detenuti politici nelle carceri delle Due Sicilie già a partire dal 1832<ref>{{cita libro|cognome=Mastroberti |nome=Francesco |titolo=Tra scienza e arbitrio : il problema giudiziario e penale nelle Sicilie dal 1821 al 1848 |anno=2005 |editore=Cacucci |città=Bari |isbn=88-8422-461-6 |p=251 }}</ref>, ed altri erano stati imprigionati in seguito ai moti insurrezionali avvenuti nel 1844 e 1847 tant'è che il Re stesso aveva concesso un'amnistia ai "politici" condannati nel 1847.<ref>{{cita libro|cognome=Gilles |nome=Pécout |curatore=R. Balzani |titolo=Il lungo Risorgimento. La nascita dell'Italia contemporanea (1770-1922) |url=http://books.google.it/books?id=S1Gf95fGYysC&lpg=PA129&dq=amnistia%201848%20ferdinando%20II%20politici&pg=PA129#v=onepage&q&f=false |anno=1999 |editore=Bruno Mondadori |città=Torino |isbn=978-88-424-9357-0 |p=129 }}</ref>. Ammettendo il male che da tale condizione derivava, il Re promise che avrebbe immediatamente operato per eliminare i problemi segnalati dal deputato inglese. Egli dichiarò inoltre false le voci secondo cui il governo stesse promuovendo petizioni per abolire la Costituzione, e che sperava di concedere presto un'amnistia. Andando via, Cochrane si scusò della sua franchezza, ma Ferdinando II gli rispose "Sono felice di aver ascoltato la verità - desidero ascoltarla; nessuno è più ansioso di me di fare ciò che è giusto. Sono stato vergognosamente descritto e calunniato - per lo più ingiustamente; ma voi avete parlato dal cuore coraggiosamente ed onorevolmente, e vi ringrazio per questo!"<ref>{{cita|Baillie-Cochrane|p. 276}}</ref>.
Lasciata Napoli il 22, Cochrane riportò che quale risultato immediato del suo colloquio con il Re, si ebbe la separazione dei detenuti politici dai delinquenti comuni ed il rilascio di alcuni di essi. Lo stesso Cochrane fu in seguito raggiunto in patria da notizie secondo cui i detenuti politici erano stati trasferiti in un posto peggiore, e che i contatti con le famiglie erano stati resi più difficili. In conclusione della descrizione di quell'esperienza, Cochrane constatò che la verità si trovava tra i due estremi che aveva ascoltato e, pur ammettendo che vi erano state delle violazioni della legalità da parte del governo borbonico, espresse critiche rispetto al linguaggio diplomatico adottato dal governo inglese nei confronti di Ferdinando II. Egli scrisse "Molto può essere fatto con persone come il Re di Napoli, usando tatto e buon senso. Nulla può essere ottenuto da coloro che iniziano con il negarne qualunque buona qualità, e che, rivendicando i diritti di un popolo straniero, mostrano una perfetta noncuranza o ignoranza rispetto al diritto delle nazioni"<ref>{{cita|Baillie-Cochrane|p. 279}}</ref>.
L'anno successivo, Cochrane fu alla [[Camera dei comuni|Camera dei Comuni]], fiero difensore della politica seguita dai governi borbonico e austriaco in Italia. Le sue dichiarazioni, inoltre, furono spesso usate dai borbonici in difesa del governo napoletano e, talvolta, proprio per controbattere alle affermazioni del Gladstone.<ref>{{cita|Coppola|p. 625}}</ref>.
}}
Il politico [[Partito Conservatore (Regno Unito)|conservatore]] del Regno Unito [[William Ewart Gladstone|William Gladstone]], tra l'autunno del [[1850]] e l'inverno del [[1851]], soggiornò a [[Napoli]], con la sua famiglia, per circa quattro mesi: la motivazione ufficiale del suo viaggio riguardava i problemi di salute di una delle sue figlie, Mary, di soli 3 anni. Rientrato in patria, in febbraio, scrisse due lettere al [[Parlamento del Regno Unito|Parlamento britannico]], in cui sosteneva che lo Stato borbonico fosse in una terribile situazione sociale. Gladstone, assistette a Napoli al processo contro [[Luigi Settembrini]] e [[Carlo Poerio]] e si reco' a visitare il carcere di [[Isola di Nisida|Nisida]], nel quale erano incarcerati senza distinzione e nelle medesime condizioni i detenuti politici e i delinquenti civili<ref>vedi p.223-224 [[Gianni Oliva]], Un regno che è stato grande, Mondadori, 2012</ref>; nelle lettere scrisse di essere rimasto scioccato dalle condizioni in cui versavano i detenuti<ref name="Milano 2003, p. 67"/>.
Queste lettere ebbero un vasto diffusione e provocarono un vasto eco nell'opinone pubblica europea.
Nell'introduzione alle lettere, era scritto, tra l'altro:
{{citazione|Non descrivo severità accidentali, ma la violazione incessante, sistematica, premeditata delle leggi umane e divine; la persecuzione della virtù, quand'è congiunta a intelligenza, la profanazione della religione, la violazione di ogni morale, sospinte da paure e vendette, la prostituzione della magistratura per condannare uomini i più virtuosi ed elevati e intelligenti e distinti e culti; un vile selvaggio sistema di torture fisiche e morali. Effetto di tutto questo è il rovesciamento di ogni idea sociale, è la negazione di Dio eretta a sistema di governo.|William Gladstone<ref name="Sivo, 2009, p. 428"/>}}
Le due lettere vennero anche date alle stampe divenendo note come: ''Two Letters to the Earl of Aberdeen, on the State Prosecutions of the Neopolitan Government''; ebbero diverse ristampe<ref>{{cita libro |cognome= Gladstone |nome= William Ewart |wkautore= William Ewart Gladstone |titolo= Two Letters to the Earl of Aberdeen, on the State Prosecutions of the Neopolitan Government |url= http://books.google.com/books?id=nQcBAAAAYAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false |lingua= inglese |editore= John Murray Publication |città= Londra |anno= 1851}} {{NoISBN}}</ref> e ne venne pubblicata anche una loro traduzione in [[lingua francese|francese]], intitolata ''Deux Lettres Au Lord Aberdeen Sur Les Poursuites Politiques Exercées Par Le Gouvernement Napolitain''. Le missive, dunque, si diffusero in tutta Europa e le affermazioni in esse contenute furono accreditate come vere. A nulla valsero i tentativi del governo borbonico di smentire le asserzioni del britannico<ref name="DiFiore2007-93">{{Cita|Gigi Di Fiore (2007)|p. 93}}</ref>. La diffusione di tali assunti, inoltre, costò le dimissioni del primo ministro napoletano [[Giustino Fortunato (1777-1862)|Giustino Fortunato]], per non aver informato il re della vicenda<ref>Raffaele De Cesare, ''La fine di un regno: Ferdinando II'', S. Lapi, 1909, p.68</ref>.
Secondo [[Gianni Oliva]] la denuncia di Gladstone era data dalla preoccupazione che il regno borbonico, dopo gli eventi del 1848, avrebbe continuato ad essere un fattore d'instabilità politica senza un suo cambiamento su posizioni meno rigide<ref>vedi p.224 [[Gianni Oliva]], Un regno che è stato grande, Mondadori, 2012</ref>.
Immediatamente dopo la loro pubblicazione, le accuse di Gladstone suscitarono reazioni tra i contemporanei, ed i primi commenti in risposta alle lettere si concentrarono sulla confutazione delle affermazioni del politico britannico. Alphonse Balleydier, ad esempio, in ''La vérité sur les affaires de Naples, réfutation des lettres de m. Gladstone'', si propose di demolire gli assunti su cui Gladstone basava le sue "''fabuleux échafaudage''", deplorando, tra l'altro, il fatto che una volta giunto a Napoli, in luogo di visitare il ministro Fortunato o rendere omaggio al sovrano, si fosse recato subito nelle prigioni a parlare con i più accaniti avversari del governo napoletano<ref>{{cita libro |cognome= Balleydier |nome= Alphonse |titolo= La vérité sur les affaires de Naples, réfutation des lettres de m. Gladstone |url= http://books.google.it/books?id=-JQBAAAAQAAJ&pg=PA5 |lingua= francese |editore= Imprimerie de W. Remquet |città= Parigi |anno= 1851 |pp= 5-6 }} {{NoISBN}}</ref> ivi detenuti.
Sempre in [[Francia]], Jules Gondon, al fine di respingere le accuse di Gladstone, pubblicò il libro ''La terreur dans le royaume de Naples, lettre au right honorable W.E. Gladstone en réponse à ses Deux lettres à lord Aberdeen''<ref>{{cita libro |cognome= Gondon |nome= Jules |titolo= La terreur dans le royaume de Naples, lettre au right honorable W.E. Gladstone en réponse à ses Deux lettres à lord Aberdeen |url= http://books.google.com/books?id=YpgBAAAAQAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false |lingua= francese |editore= Auguste Vaton |città= Parigi |anno= 1851 }} {{NoISBN}}</ref>. Il conte [[Alexandre Florian Joseph Colonna Walewski|Walewski]], ambasciatore francese che soggiornò a Napoli per quasi due anni, scrisse, invece, una lettera a [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Lord Palmerston]], in cui affermò:
{{citazione|Milord [...], posso dirvi che i fatti narrati nelle lettere, sulle quali vi puntellate per assalire il [[Sovrani di Napoli|Re di Napoli]], sono in parte falsi ed in parte esagerati. Il Re di Napoli ha dovuto aggravare la mano su uomini che cospiravano per rapirgli la corona, qualsivoglia altro Governo in simili condizioni avrebbe fatto lo stesso, e ve ne ha non pochi ch'ebbero assai meno umanità.|Alessandro Walewski<ref>{{cita libro |cognome= Cotugno |nome= Raffaele |titolo= Tra reazioni e rivoluzioni. Contributo alla storia dei Borboni di Napoli dal 1849 al 1860 |url= http://books.google.it/books?id=SG0pAAAAYAAJ&pg=PA97 |anno= s.a. |editore= M. & R. Frattarolo |città=Lucera |p= 97 |cid= Raffaele Cotugno}} {{NoISBN}}</ref>}}
Ad ogni modo, taluni autori collocano le lettere di Gladstone tra gli episodi che potrebbero essere ascritti all'ipotesi del complotto internazionale ai danni delle Due Sicilie. Gli antirisorgimentali, infatti, ritengono che le denunce sul presunto malgoverno dei Borbone fossero un chiaro appoggio ai liberali italiani e che esse avrebbero permesso a piemontesi e inglesi di indebolire la posizione delle Due Sicilie nello scacchiere della diplomazia internazionale<ref name = alianello/>. Secondo Gigi Di Fiore, la motivazione ufficiale della visita di Gladstone a Napoli, cioè i problemi di salute di sua figlia, fu soltanto un pretesto: in realtà, il motivo del viaggio sarebbe stato quello di relazionare il governo di Londra circa gli eventi del 1848 nelle Due Sicilie. Inoltre, per Di Fiore, le lettere di Gladstone sarebbero state finalizzate esclusivamente a screditare lo Stato borbonico<ref name="DiFiore2007-93"/>.
{{citazione|Quegli scritti furono in realtà il risultato di una macchinazione politica realizzata per creare argomenti denigratori contro l'amministrazione borbonica.|Gigi Di Fiore<ref name="DiFiore2007-93"/>}}
Paolo Mieli, sposando la tesi della cospirazione orchestrata dai due politici britannici, arriva a sostenere che Palmerston e Gladstone furono "''i più implacabili nemici della dinastia napoletana''"<ref name="PaoloMieli"/>.
In particolare, alcuni autori hanno sostenuto che le affermazioni di Gladstone fossero false, che egli non sarebbe mai entrato in alcun carcere borbonico e che quanto da egli riportato sarebbe stato partorito dalla mente del politico inglese di concerto con il segretario di stato per gli affari esteri del governo britannico, [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Lord Palmerston]]. Ad esempio, [[Giacinto de' Sivo]] in ''Storia delle Due Sicilie'' sostenne che Gladstone fosse stato inviato a Napoli "''col segreto onorevole ufficio''", conferitogli da Palmerston, di divulgare calunnie riguardanti lo stato delle cose nel reame di ''Sua Maestà Siciliana''<ref>{{cita libro |cognome= de' Sivo |nome= Giacinto |wkautore= Giacinto de' Sivo |titolo= Storia delle Due sicilie: dal 1847 al 1861 |anno= 1868 |editore= Brenner |città= Trieste |volume= Volume Primo |isbn= {{NoISBN}} |pp= 377-378 }}</ref>. Domenico Razzano, invece, nell'opera ''La Biografia che Luigi Settembrini scrisse di Ferdinando II'' sostenne che Gladstone, tornato a Napoli tra il [[1888]] e il [[1889]], avrebbe confessato di non essere mai stato in alcun carcere e di aver scritto le due missive dietro incarico di Palmerston, basando le sue dichiarazioni sulle affermazioni di alcuni rivoluzionari antiborbonici<ref>{{cita libro |cognome= Razzano |nome= Domenico |curatore= Vincenzo D'Amico |titolo= La Biografia che Luigi Settembrini scrisse di Ferdinando II |anno= 2010 |editore= Ripostes |città=Battipaglia |p= 26 |isbn= 978-88-96933-02-2 }}</ref>. Anche Di Fiore riporta che, a distanza di quaranta anni, il politico britannico sarebbe stato costretto a smentire le affermazioni contenute nelle sue missive, ammettendo che le sue denunce sarebbero state da lui stesso inventate e che egli non avrebbe visitato alcun penitenziario napoletano<ref name="DiFiore2007-93"/>. In un articolo comparso sulla pubblicazione ''Rassegna storica del Risorgimento'', Maria Gaia Gajo, però, avanza dei dubbi in merito alla possibilità di un'intesa tra Palmerston e Gladstone, poiché, ritiene assurdo che, un liberale ed un conservatore (che in passato si era dimostrato un tenace oppositore della linea politica di Palmerston) avessero potuto collaborare in tal senso<ref>{{cita pubblicazione |cognome=Gajo |nome=Maria Gaia |anno=1973 |mese=ottobre-dicembre |titolo=Le lettere di Gladstone ad Aberdeen |rivista=Rassegna Storica del Risorgimento |volume=anno LIX |numero=fasc. IV |pp=31-47 |url=http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=51485 |cid=Gajo}}</ref>.
Ai dubbi sull'effettiva presenza di Gladstone nelle carceri borboniche si ricollega un documento che indusse [[chiarire|coloro]] che lo hanno considerato come un elemento probatorio. Un ''memorandum per S. M.'' Ferdinando II del 22 marzo [[1850]], che descrive le visite di un ''personaggio distinto'' a due carceri napoletane e le conversazioni intrattenute con le autorità delle prigioni, riguardo al trattamento dei detenuti (sia comuni, sia politici), e con i detenuti politici stessi (e con il [[Carlo Poerio]] in particolare), è stato, talvolta, interpretato come prova della presenza del Gladstone in quei luoghi<ref>in {{cita|Cotugno (lettere)|pp. 8-9}}</ref>.
Nelle sue missive Gladstone fece ampio riferimento alla prigionia che Carlo Poerio scontò sotto il governo borbonico, spendendo, a giudizio di Gigi Di Fiore, ''parole di fuoco'', per il liberale napoletano<ref name="DiFiore2007-93"/>. [[Ferdinando Petruccelli della Gattina]], in un articolo pubblicato, il 22 gennaio [[1861]], sul giornale "Unione" di [[Milano]], parlò di Gladstone e di Poerio, senza, peraltro, negare l'imprigionamento di quest'ultimo:
{{citazione|Poerio è un'invenzione convenzionale della stampa anglofrancese. Quando noi agitavamo l'Europa, e la incitavamo contro i Borboni di Napoli, avevamo bisogno di personificare la negazione di questa orrida dinastia, avevamo bisogno di presentare ogni mattina ai creduli leggitori dell'Europa libera una vittima vivente, palpitante, visibile, cui quell'orco di Ferdinando divorava cruda ad ogni pasto. Inventammo allora Poerio. Poerio era un uomo d'ingegno, un galantuomo, un barone; portava un nome illustre, era stato ministro di Ferdinando e complice suo in talune gherminelle del 1848! Ci sembrò dunque l'uomo opportuno per farne l'antitesi di Ferdinando - ed il miracolo fu fatto. E Gladstone fece come noi, magnificò la vittima onde rendere più odioso l'oppressore; esagerò il supplizio, onde commuovere a maggior ira la pubblica opinione.|Ferdinando Petruccelli della Gattina<ref>Carlo Alianello, ''La conquista del sud'', Rusconi, 1972, p.25</ref>}}
La figura di Poerio, come persona di riferimento dei liberali napoletani, quindi, sarebbe stato una creazione mediatica, costruita [[ad hoc]] per incarnare la figura del "tipico" rivoluzionario liberale da contrapporre ad un'altra creazione mediatica, il "mostro ''Bomba''", frutto, secondo [[Harold Acton]], di una stampa, da un lato, suggestionata dal "giocoliere" Gladstone e, dall'altro, disprezzata dallo stesso [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]]<ref>Il richiamo alle affermazioni di Petruccelli è utilizzato da Acton per sottolineare come i liberali napoletani restarono coesi fintantoché fu in vita Ferdinando II, «''principale bersaglio dei loro strali''», ma, morto quest'ultimo, furono incapaci di una seria azione politica finendo per scagliarsi «''l'uno contro l'altro per sbranarsi''». {{cita |Harold Acton |p. 4}}</ref>; il Cotugno, in merito alle affermazione del Petrucelli sul Poerio, riporta che: «dimentico di quel che aveva scritto in onore del Poerio nel suo libro su "''La Rivoluzione di Napoli del 1848''", per odio di parte, lo aggrediva con plateali insulti ne ''[[I moribondi del Palazzo Carignano]]''»<ref>{{cita|Cotugno (lettere)|p. 34}}</ref>. Nel 1885, l'ex Ministro degli esteri inglese lord James Howard Harris, III conte di Malmesbury, richiamando il caso Poerio nelle sue memorie, scrisse che le torture denunciate relativamente al Poerio non avrebbero potuto corrispondere a verità poiché, avendolo incontrato alla Camera dei Lords (a Londra) tre mesi dopo la sua liberazione dalla prigione borbonica avvenuta nel 1859, nove anni dopo la visita di Gladstone, lo ritenne in buone condizioni fisiche
{{citazione|[...] le torture fisiche alle quali si è detto egli sarebbe stato sottoposto, io credo siano inventate. Nessun individuo, che avesse tanto sofferto, avrebbe potuto ristabilirsi in soli tre mesi e apparirmi in così florida salute come costui, quando mi fu presentato da Lord Shaftesbury, alla Camera dei Lords|James Howard Harris, III conte di Malmesbury<ref>{{cita|James Howard Harris Malmesbury|p. 313}}</ref>|lingua=en|[...] the physical torture to which he was said to be subjected I believe to be apocryphal. No man who had suffered such could so far have recovered in three months an be so fat and sleek as he was when Lord Shaftesbury introduced him to me in the House of Lords.}}
Secondo {{chiarire|alcuni storici|alcuni? o una?}} la linea assunta dal re Ferdinando II verso i condannati per reati politici non sarebbe stata delle più dure. Tra il 1851 ed il 1854, riporta Angela Pellicciari, i tribunali meridionali comminarono 42 condanne a morte per delitti politici, ma, non ne fu eseguita alcuna, poiché furono tutte commutate da Ferdinando II (19 in ergastoli, 11 in trenta anni di reclusione e 12 in pene minori)<ref name="Pellicciari 188">{{cita | Angela Pellicciari, 2000 | p. 188}}</ref>, viceversa Lord James Howard Harris, nella stessa pagina delle sue memorie in cui parla di Poerio, osserva che a Napoli i prigionieri politici venivano tenuti in carcere per anni, senza condanna, prima di subire un processo.
La polemica tra il regno delle due Sicilie e Galverston non si attenuo' nel tempo, quando nel 1856 re Ferdinando II cerco' un accordo col governo argentino per creare lungo il [[río de la Plata|rio della Plata]] una " «una colonia di sudditi napoletani, già condannati o in attesa di giudizio per delitti politici, che in quelle terre sarebbero stati confinati in commutazione della pena da espiare nella madrepatria» per risolvere la questione dei detenuti politici nelle carceri borboniche, Galverston arrivo' ad affermare alla [[Camera dei comuni]] che: "l'invio dei detenuti in Argentina non poteva costituire un passo soddisfacente per riallacciare le normali relazioni diplomatiche con Napoli, perché le carceri napoletane, una volta svuotate, sarebbero state immediatamente riempite con nuove vittime della tirannia dei Borbone"<ref>[http://www.corriere.it/unita-italia-150/recensioni/12_gennaio_10/de-rienzo-regno-due-sicilie_b6068094-3b92-11e1-9a5f-c5745a18f471.shtml [[Paolo Mieli]] ''L'errore dei Borbone fu inimicarsi Londra '' Corriere della sera" 10 gennaio 2012]</ref>.
Una parte della stampa italiana, seguendo l'eco delle dichiarazioni di Gladstone, che continuò a propagarsi negli anni, si scagliò contro il sistema carcerario borbonico. Il 19 marzo [[1857]], il "[[Corriere Mercantile]]" di Genova, quindi l'[[L'Italia del Popolo|Italia del Popolo]] nell'aprile dello stesso anno pubblicarono articoli in cui si sosteneva che nelle carceri meridionali era adoperata ''la cuffia del silenzio''<ref name="Pellicciari 190">{{cita | Angela Pellicciari, 2000 | p. 190}}</ref>, che sarebbe stata inventata da Baione, ispettore di polizia di Palermo, ed utilizzata soprattutto nei riguardi di due prigionieri politici Lo Re e De Medici,<ref>vedi pag 700 Alfredo Comandini, ''L'Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata,'' Volume 3, A. Vallardi, 1918</ref>, il console generale delle Due Sicilie a Genova rispose al Corriere Mercantile dichiarando falso che a Napoli sia stato istituito lo strumento di tortura qualificato cuffia del silenzio<ref>vedi pag 702 Alfredo Comandini, ''L'Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata,'' Volume 3, A. Vallardi, 1918</ref>. Nel 1863, ancora, Pietro Corelli sostenne che, dopo l'arresto di [[Francesco Riso]], in seguito alla [[rivolta della Gancia]], la polizia di Palermo, avrebbe minacciato di adoperare ''la cuffia del silenzio'' su costui, se egli non avesse rivelato i nomi degli altri rivoltosi<ref>{{cita libro |cognome= Corelli |nome= Pietro |titolo= La stella d'Italia; o, Nove secoli di Casa Savoia, Vol. 5 |editore= Alessandro Ripamonti Editore |città= Milano |anno= 1863 |p= 388 }} {{NoISBN}}</ref>. Si trattava, in sostanza, di uno strumento di tortura composto da una serie di fasce metalliche, da assicurare intorno alla testa del detenuto, e recante una lingua di ferro ricurva che entrava nella bocca fino al palato per impedire a questi di parlare. A queste affermazioni, risalenti al periodo risorgimentale, la storica revisionista Pellicciari, ribatte affermando che tale dispositivo di costrizione, sarebbe stato ampiamente adoperato dal sistema carcerario britannico<ref>In Gran Bretagna, infatti, le pene corporali stabilite dai tribunali non erano infrequenti.</ref>, e sarebbe stato sconosciuto a Napoli e mai impiegato nei penitenziari delle Due Sicilie<ref name="Pellicciari 190"/>. Secondo il [[Dizionario biografico degli italiani]] la cuffia del silenzio venne usata dal capo della polizia siciliana Salvatore Maniscalco durante l'azione repressiva susseguente al moto di [[Mezzojuso]] (1856) capitanato da [[Francesco Bentivegna]] e la caccia alla banda armata di [[Salvatore Spinuzza]]<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/salvatore-maniscalco_(Dizionario-Biografico)/ Salvatore Maniscalco]</ref>
==== La questione degli aiuti inglesi ai Mille ====
[[File:Sbarco Marsala 1860.jpg|left|thumb|Lo sbarco dei Mille a Marsala da un disegno di un ufficiale osservatore, a bordo di una nave inglese.]]
Secondo più fonti revisioniste, il governo inglese avrebbe rivestito un ruolo importante nella [[spedizione dei Mille]], finanziando la campagna militare di Garibaldi con 3 milioni di franchi francesi,<ref name="viglione"/> forniti anche con il contributo della massoneria statunitense e canadese.<ref name="Lorenzo Del Boca 1998, p.61"/> Prima che i Mille giungessero in Sicilia, il [[contrammiraglio]] George Rodney Mundy, vicecomandante della ''Mediterranean Fleet'' della [[Royal Navy]], aveva ricevuto ordine, dal suo governo, di assumere il comando del grosso delle unità navali della sua flotta e di incrociare nel [[Mar Tirreno|Tirreno]] e nel [[canale di Sicilia]], effettuando frequenti scali nei porti siciliani, oltre che a scopo intimidatorio, come riporta Alberto Santoni<ref>{{cita libro|cognome= Santoni |nome= Alberto |titolo= Storia e politica navale dell'età moderna: XV-XIX secolo |anno= 1998 |editore= Ufficio storico della marina militare |città= Roma |p= 305 }}</ref>, e di raccolta di informazioni, anche al fine di attenuare la capacità di reazione borbonica, come sostiene Roberto Martucci<ref>{{cita libro|cognome= Martucci |nome= Roberto |titolo= L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864 |anno= 1999 |editore= Sansoni |città= Firenze |isbn= 88-383-1828-X |p= 165 }}</ref>.
Al momento dello [[sbarco a Marsala]], erano presenti due navi da guerra britanniche nei pressi della costa. I due vascelli inglesi ''Argus'' e ''Intrepid'', giunsero circa tre ore prima della comparsa delle navi ''Piemonte'' (a bordo della quale si trovava Garibaldi) e ''Lombardo''<ref>{{cita |Harold Acton |p. 493}}</ref>. È tuttora controverso il motivo della presenza delle imbarcazioni inglesi a Marsala<ref>{{cita libro|cognome= Pandolfo|nome= Giuseppe|titolo= Una Rivoluzione tradita:da Marsala a Bronte |anno= 1986|editore= Italo-Latino-Americana Palma|città= }}</ref>, diversi storici revisionisti e fonti sia coeve che moderne danno per certo che essa fosse diretta ad appoggiare lo sbarco dei garibaldini<ref>{{cita libro|cognome= Dupanloup|nome= Félix |titolo= La sovranità del Pontefice secondo il diritto cattolico e il diritto europeo |anno= 1861|editore= Tipografia Monaldi|città= |p= IV}}</ref><ref>{{cita libro|cognome= Carteny|nome= Andrea|titolo= Contro l'unità d'Italia, di Pierre Joseph Proudhon |anno= 2010|editore= Miraggi Edizioni |città= |p= 12}}</ref><ref>{{cita libro|cognome= Tamborra|nome= Angelo|titolo= Garibaldi e l'Europa |anno= 1983|editore= Stato maggiore dell'Esercito, Ufficio storico |città= Roma|p= 27}}</ref><ref>{{cita libro|cognome= Protonotari|nome= Francesco|titolo= Nuova antologia, Vol. 548-549|anno= 1982|editore= Direzione della Nuova Antologia |città= |p= 61}}</ref>. Secondo D. M. Smith, le navi borboniche arrivarono a distanza di tiro quando i garibaldini erano tutti sbarcati<ref>pag. 88 D. M. Smith, Garibaldi, una grande vita in breve, Lerici, 1966</ref>.
Dopo lo sbarco, vi fu a tal proposito un dibattito nel parlamento della Gran Bretagna, durante il quale il deputato Sir Osborne accusò le imbarcazioni britanniche di aver favorito l'approdo di Garibaldi a Marsala<ref name=editorivari>Editori Vari, ''[http://books.google.it/books?id=vQ8OAQAAIAAJ&pg=PA80&dq=%22Nella+camera+de%27+comuni+d%27Inghilterra+il+deputato+sir+Osborne+accusa+i+legni+inglesi+di+aver+favorito+lo+sbarco+di+Garibaldi+a+Marsala%22&hl=it&sa=X&ei=hZ1jT--zOYLrOZup8YAI&ved=0CDUQ6AEwAA#v=onepage&q=%22Nella%20camera%20de%27%20comuni%20d%27Inghilterra%20il%20deputato%20sir%20Osborne%20accusa%20i%20legni%20inglesi%20di%20aver%20favorito%20lo%20sbarco%20di%20Garibaldi%20a%20Marsala%22&f=false Cronaca degli avvenimenti di Sicilia da aprile 1860 a marzo 1861]'', Harvard College Library, 1863, p.80, cit.:«Nella camera de' comuni d'Inghilterra il deputato sir Osborne accusa i legni inglesi di aver favorito lo sbarco di Garibaldi a Marsala : il ministro lord Russell fa una risposta, in ogni parola della quale si può desumere qualche spiegazione sullo spirito della politica inglese ne' fatti di Sicilia.»</ref>. Nella seduta parlamentare del 21 maggio 1860, Osborne chiese se corrispondesse a verità quanto era stato riportato da alcuni giornali sulla vicenda<ref>pagg. 42-43 in Giuseppe da Forio, ''Storia di Giuseppe Garibaldi - Volume secondo - Documenti'', Napoli, Stabilimento tipografico Perrotti, 1870</ref>. [[John Russell, I conte di Russell|Lord Russell]] sostenne che l'invio di navi britanniche presso Marsala era stato ordinato dall'ammiraglio Fanshawe<ref>Comandante la flotta inglese nel Mediterraneo</ref>, in seguito alle richieste di protezione avanzate dai numerosi sudditi inglesi, aventi case e interessi commerciali a Marsala (come i magazzini vinicoli di Woodhouse e Ingham)<ref name=editorivari/>, preoccupati dalla voce di una possibile insurrezione siciliana e del progetto della spedizione di Garibaldi. Lord Russell, basandosi anche sul dispaccio telegrafico spedito dall'ufficiale in capo dell'Intrepid ricevuto dall'ammiragliato, così ricostruì la vicenda: mentre era in corso lo sbarco dei garibaldini una fregata ed un vapore della marina militare napoletana si avvicinarono a Marsala, ma si astennero dallo sparare sulle navi garibaldine e sugli uomini durante lo sbarco, per quanto l'ufficiale dell'Intrepid affermasse che avessero l'opportunità di far fuoco su entrambi gli obiettivi. Successivamente allo sbarco il comandante del vapore napoletano chiese a Marryatt, comandante dell'Intrepid di prendere possesso dei due vascelli, l'ufficiale inglese rifiutò non avendo ricevuto istruzioni contrarie all'ordine di condotta del governo inglese di mantenersi neutrale. Lord Russell aggiunse che sembrerebbe che il comandante napoletano avesse chiesto il richiamo a bordo dei vascelli inglesi degli ufficiali eventualmente a terra, richiesta prontamente accetta ed eseguita con l'innalzamento dell'apposito segnale sul pennone, dopo l'imbarco degli ufficiali iniziò il bombardamento da parte delle due navi borboniche; questa richiesta, secondo Lord Russell potrebbe essere interpretabile come un atto di cortesia internazionale da parte dell'ufficiale borbonico ma rimarcò non implicasse che le due navi inglesi si opponessero al suo fuoco. Il rappresentante inglese concluse la sua risposta affermando che non risultava che l'ufficiale inglese abbia ecceduto nello svolgere suo dovere, e trovandosi colà per proteggere gli interessi britannici nulla fece di più<ref>Il testo integrale dell'interpellanza è riportato, numerato come doc. 23 pagg. 42-43 in Giuseppe da Forio, ''Storia di Giuseppe Garibaldi - Volume secondo - Documenti'', Napoli, Stabilimento tipografico Perrotti, 1870.</ref>.
[[File:Garibaldi à Londres 1864.jpg|thumb|left|[[Xilografia]] dell'[[The Illustrated London News|Illustrated London News]] raffigurante una folla festante durante il passaggio di Garibaldi nel corso del suo soggiorno [[Londra|londinese]] del 1864.]]
Lo stesso Garibaldi, durante il suo viaggio in Inghilterra compito nel 1864, il 16 aprile durante un pubblico discorso al [[Crystal Palace (palazzo)|Crystal Palace]] [[Londra]], ove era invitato dal Comitato Italiano, ringraziò ampiamente l'Inghilterra per l'aiuto ricevuto: «''... L'Inghilterra ci ha aiutato nei buoni e cattivi giorni. Il popolo inglese ci prestò assistenza nella guerra dell'Italia meridionale, ed anche ora gli ospizi di Napoli sono in gran parte mantenuti dalle largizioni mandate da qui. ... Se non fosse stato per l'Inghilterra gemeremmo tuttavia sotto il giogo dei [[Borbone di Napoli|Borboni di Napoli]]. Se non fosse stato pel governo inglese, non avrei mai potuto passare lo [[stretto di Messina]]. Concittadini il nostro arrivo a Napoli sarebbe stato impedito, se fosse stato possibile, dagli stessi despoti che oggi si sforzano di schiacciare la povera e piccola [[Danimarca]]<ref>In quell'anno la Danimarca [[Seconda guerra dello Schleswig|venne attaccata da Austria e Prussia]]</ref>. ... ''» e, dopo altre frasi inneggianti all'Inghilterra concludeva il discorso promettendo che sarebbe stato pronto contraccambiare l'aiuto ad accorrere per assistere l'Inghilterra, se questa fosse stata attaccata e invasa da un nemico<ref>pagg. 906-907 in Giuseppe da Forio, ''Vita di Garibaldi'', Napoli, Stabilimento tipografico Perrotti, 1870(?)</ref><ref>Patrick Keyes O'Clery, ''L'Italia dal Congresso di Parigi a Porta Pia'', Roma, 1980, p.118.</ref>.
Alcuni storici sostengono, che non vi siano prove dirette di un'azione inglese volta a rovesciare il governo borbonico. A tal proposito, la storica [[Lucy Riall]], autrice di un saggio sulla demitizzazione di Garibaldi scrive: «Tuttavia, pur tenendo presenti i vantaggi derivanti dall'aiuto britannico, non vi è alcuna prova che il governo della Gran Bretagna avesse cospirato con Garibaldi per rovesciare la monarchia borbonica»<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/il-sud-e-i-conflitti-sociali_(L'Unificazione)/ Lucy Riall, ''Il Sud e i conflitti sociali L'Unificazione'',(2011), Treccani.it, 2011]</ref>. Si osserva inoltre che gli inglesi non ostacolarono l'organizzazione e il funzionamento di una struttura borbonica nell'isola di Malta, a quel tempo possedimento inglese, che, a partire dalla caduta del Regno delle Due Sicilie, organizzava e spediva aiuti e volontari sul continente, tra cui la [[spedizione di Borjes]] salpato da Malta con 21 uomini armati, per alimentare la rivolta antiunitaria, questo nonostante le rimostranze italiane espresse sia sull'isola che a Londra, arrivando ad arrestare due ufficiali della Marina italiana per un alterco con redattori di un giornale maltese filoborbonico<ref>{{cita pubblicazione |cognome=De Leonardis |nome=Massimo |anno=1985 |titolo=Malta tra Risorgimento e anti-Risorgimento. La visita di Garibaldi nel 1864 |url=http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=58487 |rivista=Rassegna storica del Risorgimento |volume=vol. LXXII |numero=fasc. III |pp=339-341 }}</ref>.
L'inventore statunitense [[Samuel Colt]], affiliato alla loggia massonica "St John's" del [[Connecticut]],<ref name = viglione/> offrì all'esercito garibaldino 100 armi da fuoco che comprendevano [[rivoltella|rivoltelle]] e [[carabina|carabine]], approfittando di poter pubblicizzare i suoi prodotti.<ref name = Colt>Herbert G. Houze, ''Samuel Colt: arms, art, and invention'', Yale University Press, 2006, p.187.</ref> Dopo la conquista della Sicilia, Garibaldi sembrò soddisfatto delle armi fornite ed acquistò da Colt 23.500 [[moschetto|moschetti]] al costo di circa 160.000 dollari.<ref name = Colt/> Garibaldi inviò poi una lettera di ringraziamento all'inventore americano e Vittorio Emanuele II gli donò una medaglia d'oro.<ref name = Colt/>
=== L'invasione del Regno delle Due Sicilie ===
==== L'ipotesi di tradimento degli ufficiali borbonici ====
Gli autori appartenenti ad alcuni filoni revisionisti sostengono che in aggiunta al supporto britannico e americano, i Mille ebbero dalla loro parte anche il rinnegamento di numerosi ufficiali delle Due Sicilie, reso possibile soprattutto dalle sovvenzioni finanziarie dell'Inghilterra. I franchi, che sarebbero stati forniti dai britannici furono convertiti in piastre turche (la moneta usata a quel tempo nel commercio internazionale) e sarebbero stati sfruttati in gran parte per garantire ai traditori il reclutamento nell'esercito del nuovo Stato, conservando il grado, le qualifiche, i comandi e lo stipendio. La formula andò a buon fine e i garibaldini avrebbero avuto dalla loro parte circa 2300 ufficiali<ref name="Lorenzo Del Boca 1998, p. 61"/><ref name=autogenerato1 />.
Un esempio è quello di [[Tommaso Clary]], comandante del forte di Milazzo, che, secondo [[Giuseppe Buttà]], "''fu vile o traditore''".<ref name="Giuseppe Buttà p.111">Giuseppe Buttà, I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli, Tipografia del giornale La Discussione, Napoli, p.111</ref>
Un altro ufficiale accusato di tradimento fu [[Guglielmo Acton]], nipote di [[John Acton|John]] e cugino di secondo grado di [[John Emerich Edward Dalberg-Acton|Lord Acton]]. Con il grado di capitano di fregata, Acton era comandante della corvetta ''Stromboli''<ref>{{cita libro|cognome= De Cesare |nome= Raffaele |wkautore= Raffaele De Cesare |titolo= La fine di un regno, Vol. 2 |anno=1909 |editore= Scipione Lapi |città= Città di Castello |p= 233 }}</ref>, una delle navi della flotta borbonica che, nella mattinata dell'11 maggio [[1860]], avevano l'incarico di dare la caccia ai due vapori piemontesi che i servizi borbonici avevano indicato trovarsi nel tratto di mare compreso tra [[Trapani]] e [[Sciacca]] e che non contrastarono, se non con forte ritardo<ref>{{cita libro|cognome= Di Fiore |nome= Gigi |titolo= Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento |anno=2007 |editore= Rizzoli Editore |città= Napoli |isbn= 88-17-01846-5 |p= 114 }}</ref>, lo sbarco dei Mille a [[Marsala]]. L'Acton fu sottoposto ad inchiesta per il suo comportamento durante lo sbarco; il giudizio della commissione della marina napoletana sulla sua condotta fu che essa era stata «irreprensibile»; comunque fu sospeso per due mesi finché venne assegnato al ''Monarca'' in armamento presso il [[cantiere navale di Castellammare di Stabia]].<ref>* {{cita libro |cognome=Agrati |nome=Carlo |titolo=I mille nella storia e nella leggenda |anno=1933 |editore=Mondadori |città=Milano |p=172 }} {{NoISBN}}</ref> Dopo l'Unità, Guglielmo Acton fu nominato ammiraglio del Regno d'Italia divenendone, in seguito, anche senatore e Ministro della Marina del [[Governo Lanza]] (14 dicembre 1869 - 10 luglio 1873) dal 15 gennaio [[1870]] al 5 agosto [[1872]].
La [[battaglia di Calatafimi]], dipinta sovente dalla storiografia come un'eroica impresa garibaldina, secondo Buttà sarebbe stata solamente una farsa. Il generale borbonico [[Francesco Landi (generale)|Francesco Landi]] fu colpevole, sempre secondo Buttà, di una vergognosa condotta dopo il fatto d'armi di Calatafimi che «...segnò la caduta della Dinastia delle Due Sicilie».<ref name="Giuseppe Buttà p.111"/>
Nonostante la netta superiorità numerica del suo esercito, Landi ritirò le proprie truppe dal campo di battaglia, permettendo ai Mille di poter avanzare senza troppi disagi a [[Palermo]].<ref>Lorenzo Del Boca, ''Indietro Savoia!'', Milano, 2003, p. 78-79.</ref> Accusato di tradimento, fu destituito e confinato ad [[Isola d'Ischia|Ischia]] per ordine di [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]]. Landi morì il 2 febbraio [[1861]], secondo Di Fiore, di crepacuore per essere stato ingannato dai garibaldini, i quali gli avrebbero promesso una somma di 14.000 ducati depositata al [[Banco di Napoli]] ma, in realtà, ne avrebbe trovati solo 14.<ref>Archivio privato Giuseppe Catenacci, missive e documenti famiglia Quandel: lettera del tenente colonnello Nicola Landi a Raffaele De Cesare, 9 agosto 1898. Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.147.</ref>. [[Raffaele De Cesare]] smentisce la sua morte per crepacuore, riportando che morì dopo alcuni giorni di malattia, ed aggiunge che uno dei suoi figli, per difenderne la memoria, scrisse a Garibaldi invocando la sua testimonianze, Garibaldi rispose smentendo l'accusa di corruzione con una lettera che fu poi pubblicato in un giornale di Napoli<ref>vedi pag. 211, Raffale De Cesare, ''La fine di un regno, vol II., S.Lapi tipografo, Città di Castello, 1900''</ref>.
Secondo la Pellicciari la somministrazione di denaro da parte del conte [[Carlo Pellion di Persano]], fatta il 31 agosto 1860, a [[Salvatore Pes, marchese di Villamarina]] a [[Giuseppe Devincenzi]] [[Eugenio Fasciotti]] e al comitato d'ordine cavouriano (che si opponeva al comitato d'azione mazziniano) riportata nelle pagine del diario del conte [[Carlo Pellion di Persano]], sarebbe una prova della pratica della corruzione. In questo passaggio del diario, riportante una lettera scritta a Cavour, sembrerebbe che Persano potesse disporre di grosse cifre da adoperare per foraggiare i sostenitori della causa unitaria: ''Ho dovuto Eccellenza somministrare altro denaro. Ventimila ducati al Devincenzi, duemila al console Fasciotti, giusta invito del marchese di Villamarina, e quattromila al comitato. Sebbene tutto questo sia fatto secondo le formole, che ho stabilite, perché non un soldo passi per le mie mani, pure questa faccenda di denaro m'intisichisce''<ref>Vedi pag. 84 in Carlo Pellion di Persano, ''Diario privato-politico-militare nella campagna navale degli anni 1860 e 1861 - seconda parte'', Tipografia Arnaldi, Torino, 1870 [https://archive.org/details/diarioprivatopo00persgoog online]</ref>. Infatti secondo la Pellicciari l'ammiraglio e futuro [[ministri della Marina del Regno d'Italia|ministro della Marina]], fu tra i mandatari di [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] che ebbero il compito, dopo la conquista garibaldina della Sicilia, di assicurarsi i servigi, non solo degli ufficiali borbonici, ma anche di esponenti della nobiltà e della classe politica meridionale<ref>{{cita libro |cognome= Pellicciari |nome= Angela |titolo= Risorgimento da riscrivere: liberali & massoni contro la Chiesa |editore= Edizioni Ares |città= Roma |anno= 1998 |p= 314 |isbn= 88-8155-156-X }}</ref> rispetto all'entrata in campo della monarchia sabauda. Il 6 agosto 1860, nel suo diario, scritto mentre era nella rada di Napoli a bordo della [[Maria Adelaide (pirofregata)|Maria Adelaide]], dopo aver incontrato personalità del regno quali [[Leopoldo di Borbone-Due Sicilie|Leopoldo conte di Siracusa]] e zio di re Francesco II, Liborio Romano, ed appresa la notizia delle dimissioni del [[Alessandro Nunziante|generale Nunziante]] così sintetizza nella parte conclusiva di una missiva scritta al primo ministro piemontese: ''Termino col dargli la buona notizia che possiamo oramai far conto sulla maggior parte dell'ufficialità della regia marina napoletana''<ref>{{cita libro|cognome= Pellion di Persano |nome= Carlo |wkautore= Carlo Pellion di Persano |titolo= La presa di Ancona: Diario privato politico-militare (1860) |url= http://books.google.it/books?id=AB8VCJ6Q1EkC&pg=PA91 |accesso= 23 febbraio 2011 |anno= 1990 |editore= Edizioni Studio Tesi|città= Pordenone |isbn= 88-7692-210-5 |p= 91 |cid= Carlo Pellion di Persano}}</ref>. Sempre riguardo alla corruzione di militari la Pellicciari sostiene che fu tentata inutilmente anche verso i generali dell'esercito pontificio, con esiti negativi rispetto a quanto accadde con quelli borbonici, e afferma che sarebbe interessanti comprendere le ragioni di tale differente comportamento<ref>Vedi A. Pellicciari, ''Risorgimento italiano: un dibattito da non chiudere'', conferenza, Marina di Pisa, 6 ottobre 2005 [http://www.eroicifurori.com/modules.php?name=News&file=print&sid=5301 Risorgimento italiano: un dibattito da non chiudere]</ref>.
==== Commistioni con la camorra ====
[[File:Liborio Romano.jpg|upright=0.7|thumb|Liborio Romano]]
Una parte della critica revisionista pone l'accento anche sulle modalità con cui agli artefici del Risorgimento si sarebbero serviti della [[criminalità organizzata]] per addivenire al fine dell'Unità.
La trattazione verte su [[Liborio Romano]], un ex [[Carboneria|carbonaro]] che, quando ancora ricopriva la carica di Ministro di polizia sotto Francesco II, iniziò a trattare segretamente con Cavour e Garibaldi e strinse accordi con la [[Camorra]], finalizzati ad agevolare l'avvento del nuovo assetto istituzionale.
Nel raccontare il tardo [[XVIII secolo]], Gigi Di Fiore riporta che, all'epoca, la camorra era attiva nella gestione del [[gioco d'azzardo]] e nello [[lenocinio|sfruttamento della prostituzione]]. L'autore poi riporta un passaggio dei giornalisti [[Ferdinando Russo]] e [[Ernesto Serao]] in cui costoro descrivono lo sviluppo storico delle commistioni che sarebbero esistite fra camorra e stato: "Sotto i Borboni la camorra era un'organizzazione tollerata in piena luce e richiesta di servigi non infrequenti. Ai tempi del [[fabrizio Ruffo|cardinale Ruffo]] era lo stato maggiore delle orde reazionarie. Ai tempi del [[Francesco Saverio Del Carretto|Del Carretto]], capo della polizia, era l'alleato politico e poliziesco del governo. Là dove la sagacia dei commissarii e il braccio rude dei feroci non riusciva a colpire, riusciva al camorra"<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|p. 45}}</ref>. Fino al [[1848]], riporta [[Marc Monnier]], la camorra sarebbe stata utilizzata come una sorta di "polizia scismatica"<ref>{{Cita libro |nome= Marc |cognome= Monnier |wkautore= Marc Monnier |url= http://books.google.it/books?id=tGo5AAAAcAAJ&pg=PA84 |accesso= 6 dicembre 2011 |titolo= La Camorra: Notizie storiche raccolte e documentate |editore= Barbèra Editore |anno= 1863 |città= Firenze |p= 84 |ISBN= {{NoISBN}} |citazione = [...] la camorra fu rispettata, usata spesso sotto i Borboni fino al [[1848]]. Essa formava una specie di polizia scismatica, meglio istruita sui delitti comuni della polizia ortodossa, che occupavasi soltanto dei delitti politici. [...] Inoltre la camorra [...] era incaricata della polizia delle prigioni, dei mercati, delle bische, dei lupanari e di tutti i luoghi malfamati della città}}</ref>, in seguito ad una insana alleanza con la polizia: la camorra avrebbe provveduto alla repressione dei piccoli reati come "sorveglianza delle prigioni, dei mercati, delle bische, delle case di tolleranza e di tutti i luoghi malfamati della città", mentre la polizia cittadina avrebbe tollerato le attività dei camorristi<ref name="Quandolacamorra">{{Cita news |url= http://www.ilgiornale.it/cultura/quando_camorra_aiuto_garibaldi_nome_liberta_delinquere/16-07-2011/articolo-id=535228 |titolo= Quando la camorra aiutò Garibaldi in nome della libertà di delinquere |pubblicazione= [[Il Giornale]] |città= Milano |editore= Società Europea di Edizioni |data= 16 luglio 2011 |accesso= 6 dicembre 2011}}</ref>.
Non univoca è la ricostruzione della posizione assunta dalla camorra nei rapporti tra governo borbonico e opposizione liberale, dopo il [[1849]]. Secondo Marcella Marmo<ref>vedi pag. 21 in Marcella Marmo, ''Il coltello e il mercato. La camorra prima e dopo l'Unità d'Italia'', Editore: L'ancora del Mediterraneo, 2011</ref>, i camorristi avrebbero mantenuto una posizione di equidistanza fra potere regio e liberali napoletani, ben sintetizzata da una loro canzoncina, citata anche da [[Salvatore Lupo]]<ref>vedi pag. 75-76 in Salvatore Lupo, ''L'unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile'', Donzelli editore, 2011</ref>: "nuje nun simm' cravunar' <nowiki>[carbonari]</nowiki>,/nuje nun simm' rialist',/ma facimm' 'e camorrist',/famm' 'n c... a chill'e a chist'".
Secondo la ricostruzione revisionista {{chiarire|.| tutto questa ricostruzione è fondata su poche righe anonime -firmate redazione- del Giornale, si trova una fonte referenziata?}}, Ferdinando II avviò una campagna di repressione contro la camorra, allo scopo di spezzare quell'''alleanza istituzioni-criminalità'', che si era generata. La risposta dei camorristi fu di tipo politico e si sarebbe concretizzata in una nuova alleanza, questa volta con i liberali<ref name="Quandolacamorra"/>. Ponendosi al "servizio del movimento liberale", la camorra favoriva la causa unitaria, tanto che, il 2 novembre 1859, Francesco II avrebbe riferito all'ambasciatore austriaco a Napoli degli elevati timori che i capi della camorra potessero organizzare una insurrezione e degli sforzi del governo meridionale per scongiurare tale ipotesi. Nel giugno del 1860, il [[Foreign Office]] britannico, veniva informato da Henry George Elliot, plenipotenziario inglese a Napoli, che bande armate di camorristi erano schierate e pronte per affrontare "la mobilitazione della plebe ancora fedele alla dinastia borbonica"<ref name="Quandolacamorra"/>.
[[File:Tore 'e Criscienzo.jpg|upright=0.7|left|thumb|Il camorrista Salvatore De Crescenzo (Tore 'e Criscienzo)]]
Con l'approssimarsi di Garibaldi a Napoli e lo spostamento di re Francesco II ed esercito a Gaeta, Liborio Romano, Prefetto di polizia passato alla fazione filounitaria, provvide ad inquadrare i malavitosi nella guardia cittadina, facendo in modo che i camorristi, che erano stati liberati il 25 giugno 1860 a seguito dell'amnistia concessa da Francesco II,<ref>Vittorio Paliotti, "Storia della camorra", 2002</ref> diventassero i "veri padroni" della città<ref name="Quandolacamorra"/>. Romano, [[Massoneria|massone]] e [[Mazzinianesimo|mazziniano]], assegnò alla camorra il compito di "corpo speciale di potere": i delinquenti furono nominati poliziotti, "''con tanto di coccarda''", e, in quanto polizia ufficiale, venivano stipendiati dallo Stato. Napoli fu consegnata nelle mani della camorra. Dunque, al fine di mantenere l'ordine all'arrivo di Garibaldi in città Romano provvide a far scarcerare i camorristi detenuti per ottenere un maggior appoggio: tra essi vi era il temuto Salvatore De Crescenzo, detto Tore 'e Criscienzo<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|pp. 62-64}}</ref>. Gli accordi tra costui, che era il capo riconosciuto della camorra, e Liborio Romano furono presi quando il De Crescenzo era ancora detenuto: egli, infatti, sotto il governo borbonico, aveva trascorso 8 degli ultimi 10 anni in galera<ref name="Servidio90">Aldo Servidio, ''L'imbroglio nazionale'', Napoli, 2000, p. 90.</ref>. Secondo Salvatore Lupo, Liborio arruolò chiunque potesse servire a mantenere l'ordine pubblico durante il turbolento periodo di transizione di potere, onde evitare il rischio di stragi e saccheggi ad opera degli elementi legittimisti similmente a quanto avvenuto nel 1799 e 1848<ref>Vedi pag. 76 in S. Lupo ''ibidem''</ref>: Liborio, infatti, scrisse nelle sue memorie che i camorristi attendevano il momento per approfittare di "qualsivoglia perturbazione avvenisse", di conseguenza per salvare, a suo giudizio, la città da questi pericoli trovò l'unico espediente di "prevenire la triste opera dei camorristi offrendo ai loro capi un mezzo per nobilitarli: e così pervenni toglierli ai partiti del disordine, o almeno a paralizzarne le tristi tendenze"<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|pp. 62-63}}</ref>. Aldo Servidio, però, nota un paradosso in questa interpretazione dell'operato del Romano, sottolineando che era stato lo stesso Ministro di polizia a far rimettere in libertà il "grande e qualificatissimo numero di camorristi" dal cui operato criminale egli voleva proteggere la città: in sostanza, per impedire di commettere crimini ai camorristi che Romano aveva rimesso in libertà, sempre Romano affidava a costoro il potere di polizia<ref name="Servidio90"/>. Una volta ottenuto il potere, la camorra avviò una serie di assalti ai commissariati di polizia: nascondendosi dietro gli intenti rivoluzionari, i malavitosi esercitarono vendette personali contro i funzionari della polizia borbonica che li avevano combattuti in passato. Così, il camorrista Felice Mele, uccise a pugnalate l'ispettore Perrelli; dopo l'omicidio, il Mele fu nominato ispettore, in sostituzione del funzionario che egli stesso aveva assassinato<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|pp. 63-64}}</ref>.
Il 7 settembre 1860, afferma Di Fiore, Garibaldi entrò nella città partenopea disarmato e senza scorta<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|p. 12}}</ref>, "solo grazie all'intervento della camorra": capeggiati dalla "sanguinaria" Marianna De Crescenzo, sorella di Salvatore e detta ''la Sangiovannara'', i camorristi assunsero il controllo delle zone strategiche di Napoli, reprimendo l'attività dei filoborbonici<ref name="Quandolacamorra"/>. Come ricompensa, Garibaldi concesse la grazia a Tore 'e Criscienzo<ref>{{cita libro |cognome= Russo |nome= Ferdinando |wkautore= Ferdinando Russo |coautori= Ernesto Serao |titolo= La camorra |anno= 1907 |editore= Bidieri |città= Napoli |p= 63 |isbn= {{NoISBN}} }}</ref> e confermò Romano ministro dell'Interno.<ref>[[Giovanni La Cecilia]], ''Storia dell'insurrezione siciliana'', Tip. Sanvito, Milano, 1860, p. 318.</ref> A sua volta Romano ricambiò la Camorra e inserì diversi membri dell'organizzazione nelle istituzioni<ref>{{cita |Harold Acton |p. 517}}</ref>, tra cui il capo camorrista Salvatore De Crescenzo<ref>[http://www.bibliocamorra.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=75&Itemid=27 Salvatore De Crescenzo]</ref>, affidando loro incarichi di polizia e facendo loro amministrare l'erogazione in tre anni di 75.000 ducati al popolo, secondo un decreto di Garibaldi emanato nell'ottobre [[1860]].<ref>Aldo Servidio, ''L'imbroglio nazionale'', Napoli, 2000, p. 55.</ref><ref>[http://books.google.com/books?id=r2EpAAAAYAAJ&pg=PA313&dq=adami+e+lemmi&hl=it&cd=5#v=onepage&q=adami%20e%20lemmi&f=false decreto]</ref>
{{citazione|Dopo aver reso questi servigi, i camorristi acquistarono una potenza e un'autorità spaventevole.|Henry George Elliot, plenipotenziario inglese a Napoli<ref name="Quandolacamorra"/>}}
Tuttavia Garibaldi, nelle sue memorie "I Mille"<ref name=GaribaldiXLIV>vedi il capitolo XLIV-La camorra di G. Garibaldi, ''I Mille'', 1874</ref>, sostenne che i camorristi aborrivano i garibaldini, venendo questi ultimi rappresentati dal clero locale come eretici, e scrisse che: {{citazione|Dopo la ritirata di Francesco II il 6 settembre, e quella dell'esercito Borbonico da Napoli, la fiducia principale dei Sanfedisti, nella capitale, fondavasi sulla camorra.|Giuseppe Garibaldi<ref name=GaribaldiXLIV/>}} accennando, inoltre, a trattative di ufficiali borbonici con camorristi affinché spargessero notizie di vittorie borboniche e indicando la camorra come responsabile della fine del patriota Gambardella, mortalmente pugnalato poco dopo l'ingresso di Garibaldi a Napoli<ref>Si veda anche pag 74 di Pasquale Fornaro, ''István Türr: una biografia politica '', Rubbettino Editore, 2004,</ref>. Secondo Gigi Di Fiore, però, fu proprio nel periodo di transizione della dittatura di Garibaldi verso l'avvento della monarchia sabauda che la camorra a Napoli riuscì ad ottenere maggior potere: {{citazione|È forse il periodo di maggior potenza della camorra cittadina. Non più combattuta, ma anzi accettata e legittimata, è forza d'ordine.|Gigi Di Fiore<ref name="Di Fiore (1993)64">{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|p. 64}}</ref>}} L'attività della camorra prosperava attraverso il contrabbando, controllato dal solito De Crescenzo e da Pasquale Merolle. I camorristi, dicendo "''è roba d'o zi' Peppe''", intendendo appunto Giuseppe Garibaldi, facevano in modo che le merci fossero sbarcate senza che venisse pagato il dazio alla dogana ed intascando essi stessi le somme che avrebbero dovuto essere pagate allo Stato<ref name="Di Fiore (1993)64"/>. Con un decreto del 26 ottobre 1860, a firma del pro-dittatore [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Giorgio Pallavicino]], fu stabilita l'erogazione di una pensione di 12 ducati al mese a Marianna la Sangiovannara, cugina di Salvatore De Crescenzo<ref>pag 126 Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento''</ref>, e ad altre cinque donne, con la seguente motivazione<ref>Giacinto de' Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, vol. V, libro XXVIII p. 261, Berisio, Napoli 1964</ref>:
{{citazione| Considerando che in tempi di tenebrosa tirannide Marianna la Sangiovannara, Antonietta Pace, Carmela Furitano, Costanza Leipnecher e Pasquarella Proto sono state esempio imitabile di coraggio civile e di costanza nel propugnare la causa della libertà|Decreto di governo, Napoli, 26 ottobre 1860"<ref>{{cita libro |titolo= Atti del governo estratti dal giornale officiale di Napoli |volume= Edizioni 1-27 |anno= 1860 |città= Napoli |pp= 178-179 }}</ref>}}
Secondo Di Fiore, le beneficiarie del provvedimento sarebbero state tutte donne di camorra ricompensate con l'attribuzione di prebende, giustificata dai meriti patriottici<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|p. 65}}</ref>. La circostanza è riportata puntualmente anche da Giacinto de' Sivo il quale la riporta come contemporanea alla chiusura provvisoria del [[Casa del Salvatore|Collegio del Salvatore]]:
Nel 1862, Salvatore De Crescenzo fu arrestato, e al momento di essere preso in custodia dal delegato di polizia Nicola Jossa, incredulo di quanto stesse avvenendo, disse: {{citazione|Ma come, io sono amico del signore Settembrini, di Spaventa, Scialoia, Nisco, Furnaro e di tutti quei liberaloni che ho servito come preti all'altare dentro il carcere e ora fanno questo tradimento!|Tore 'e Crescienzo<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|p. 69}}</ref>}} Il camorrista fu imprigionato a [[castel Capuano]], quindi nell'isola di Ponza e mandato al confino per 5 anni<ref>[http://www.bibliocamorra.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=75&Itemid=27 Salvatore De Crescenzo.] Biblioteca digitale della camorra, Università degli studi di Napoli Federico II</ref>. Fra il 1863 e il 1864, in applicazione della [[legge Pica]], furono tratti in arresto circa mille camorristi<ref>{{cita|Gigi Di Fiore (1993)|p. 68}}</ref>.
==== Violazione del diritto internazionale ====
Durante l'assedio di Gaeta, Francesco II, l'8 dicembre 1860 fece un proclama ai suoi sudditi, il cui contenuto secondo [[Giordano Bruno Guerri]], costituisce la "sintesi della futura propaganda borbonica contro il Regno d'Italia"<ref>'''Vedi pag. 67 in '''Giordano Bruno Guerri, ''Il sangue del Sud'', Mondadori, 2011</ref>, tra le varie affermazioni dove tra l'altro Francesco II disse: "Io credetti in buona fede che il re di Piemonte, che si diceva mio fratello e mio amico, ... non avrebbe rotto tutti i trattati e violate tutte le leggi, per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivo, né dichiarazione di guerra"<ref>vedi pag. 393 in Giovanni La Cecilia, ''Storia dell'insurrezione siciliana: dei successivi avvenimenti per l'indipendenza ed unione d'Italia'', Vol II, Libreria Sanvito, Milano, 1861</ref>.
Alcuni filoni revisionisti riprendendo il tema della modalità di intervento militare piemontese sostengono che l'[[risorgimento|unificazione]], con particolare riferimento all'annessione del [[Regno delle Due Sicilie]] al [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], sia avvenuta in violazione del [[diritto internazionale]]. A tal proposito, essi affermano che l'entrata dell'esercito sabaudo nei territori delle Due Sicilie fu un atto illegale di [[Guerra di aggressione|aggressione]], in quanto non preceduta da una formale [[dichiarazione di guerra]]<ref name="Risorgimento, Utet 2004, p. 99"/><ref name="Edizioni Trabant 2009, p. 331"/><ref name="Mario Spataro 2001, p. 50"/>. Di Fiore osserva inoltre che un comportamento simile a quello tenuto nelle Due Sicilie si verificò anche in occasione dell'apertura delle ostilità contro il [[Ducato di Modena e Reggio|Ducato di Modena]] e lo [[Stato Pontificio|Stato della Chiesa]], nessuno dei quali beneficiò di una dichiarazione di guerra.<ref>Gigi di Fiore, controstoria dell'Unità d'Italia</ref>
==== I plebisciti ====
{{vedi anche|Plebisciti del Regno d'Italia}}
Le annessioni territoriali al Regno di Sardegna (e al successivo Regno d'Italia), vennero ratificate mediante i cosiddetti [[Plebisciti del Regno d'Italia|plebisciti d'annessione]]<ref>{{cita web |url=http://www.treccani.it/Portale/elements/categoriesItems.jsp?pathFile=/sites/default/BancaDati/Vocabolario_online/P/VIT_III_P_080986.xml |titolo= Plebiscito |accesso= 18 gennaio 2011 |sito= [[Enciclopedia Treccani|Treccani]].it}}</ref>.
Il concetto di [[plebiscito]], come consultazione elettorale per ratificare il trasferimento di territori tra stati, si era affermato con la [[rivoluzione francese]] e l'originarsi del principio di [[autodeterminazione dei popoli]], ed era stato del tutto ignorato sia durante la fase di riassetto geografico politico europeo operato in modo assolutistico dal [[Congresso di Vienna]] e sia nei successivi cambiamenti avvenuti in alcuni stati pre-unitari italiani, come l'unificazione del [[Regno di Sicilia]] nel [[Regno di Napoli]] a formare un unico [[Regno delle Due Sicilie]] con unica capitale a Napoli e le modifiche delle sovranità, e parziale dei confini, dei ducati di [[Ducato di Lucca|Lucca]] [[Ducato di Parma e Piacenza|Parma e Piacenza]] e [[Ducato di Massa e Carrara|Massa e Carrara]] alla morte dei sovrani loro assegnati dalla restaurazione. Questo tipo di consultazione, non rimase infrequente ove era presente l'eredità culturale della rivoluzione francese: basti pensare ai plebisciti svoltisi nel [[1852]] e nel [[1870]] che ratificarono per due volte la monarchia di [[Napoleone III di Francia]]. I plebisciti prevedevano sostanzialmente le medesime modalità di svolgimento: erano votazioni a [[suffragio censitario]], ovvero limitate a coloro che possedevano un certo [[Patrimonio|censo]], svolte per convalidare ''[[de iure]]'' situazioni [[de facto|di fatto]]. Ai plebisciti risorgimentali, cui partecipò solo l'1,9% della popolazione nazionale<ref>Lucy Riall (1994) [http://books.google.it/books?id=8yhJZncn2L0C&printsec=frontcover The Italian Risorgimento: state, society, and national unification], pag. 75. Routledge, London.</ref> (ciò era perfettamente in linea con il resto del mondo, in quanto gli stati più liberali avevano introdotto unicamente il suffragio censitario maschile: il suffragio universale sarà introdotto, in Italia e nel resto del mondo, parecchi decenni dopo), risultò aver preso parte la maggioranza degli [[elettorato passivo|aventi diritto]]: in particolare il numero di [[astensionismo in Italia|astenuti]] e di contrari alle annessioni risultò essere irrisorio.
Lo Stato sabaudo utilizzò le consultazioni plebiscitarie per dimostrare la diffusa volontà degli Italiani di riunirsi in un unico Stato e per legittimare, quindi, la politica espansionistica attuata dal Piemonte<ref name="La Farina"/>. [[Giuseppe La Farina]], in alcune epistole indirizzate all'abate Filippo Bartolomeo, sottolineò come, per evitare la disapprovazione delle potenze europee, fosse indispensabile, per Vittorio Emanuele II, ottenere un qualche riconoscimento popolare per giustificare le annessioni territoriali e per impedire che si parlasse di "conquista"<ref name="La Farina"/>. Il re sabaudo era consapevole di non poter estendere la propria sovranità a popoli che non avessero invocato il suo intervento; era consapevole che solo il consenso popolare avrebbe dato pretesto alla diplomazia di affermare che gli italiani approvavano il nuovo Stato unitario<ref name="La Farina"/>.
Roberto Mancini e Marco Pignotti osservando l'adesione al [[Plebisciti del Regno d'Italia#1860|plebiscito avvenuto nel marzo 1860]] nell'Italia centrale commentano che essa sia stata ''la dimostrazione più emblematica di come una parte significativa dei «nuovi» cittadini si sentisse depositaria di una delega finora mai ricevuta: quella di eleggere il nuovo sovrano dello stato unitario''<ref>vedi p.10 in Roberto Mancini, Marco Pignotti, ''Una Nazione Da Inventare'',Nerbini editore, 2011, ISBN 978-88-6434-047-0.</ref>
Successivamente allo svolgimento dei plebisciti d'annessione svoltisi nell'ottobre 1860 nell'Italia meridionale, non mancò qualche voce critica sul senso di tale suffragio, come quella dell'ex [[Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana|Presidente del Consiglio dei Ministri]] del Regno di Sardegna, il [[Torino|torinese]] [[Massimo d'Azeglio|Massimo D'Azeglio]]:
{{citazione|A [[Napoli]], noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per stabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono e sembra che ciò non basti, per contenere il Regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti o non briganti, niuno vuol saperne. Ma si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio, ma so che al di qua del [[Tronto]] non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore e bisogna cambiare atti e principi. Bisogna sapere dai Napoletani un'altra volta per tutto se ci vogliono, sì o no. Capisco che gli italiani hanno il diritto di fare la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia, ma agli italiani che, restando italiani, non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo il diritto di dare archibugiate, salvo si concedesse ora, per tagliare corto, che noi adottiamo il principio nel cui nome Bomba (Ferdinando) bombardava [[Palermo]], [[Messina]] ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo, ma siccome io non intendo rinunciare al diritto di ragionare, dico ciò che penso.|[[Massimo d'Azeglio|Massimo D'Azeglio]]<ref>{{cita libro|cognome= Alberti |nome= Franco |titolo= Due costituzioni, da Napoli a Torino: note storiche e considerazioni sullo Zeitgeist |url= http://books.google.it/books?id=CqQk5KLSWPMC&pg=PA73 |accesso= 27 novembre 2010 |anno= 2002 |editore= Guida |città= Napoli |isbn= 88-7188-442-6 |p= 73 }}</ref>}}
Una critica simile fu mossa dal liberale britannico [[John Russell, I conte di Russell|Lord Russell]], in un dispaccio inviato a [[Torino]] il 31 gennaio [[1861]]:
{{citazione|I voti del suffragio universale in quei regni non han gran valore; sono mere formalità dopo una rivoltura ed una ben riuscita invasione; né implicano in sé lo esercizio indipendente della volontà delle nazioni, nel cui nome si son dati.|Lord Russell<ref>Giacinto de' Sivo, ''Storia delle Due Sicilie 1847-1861'', Edizioni Trabant, 2009, p. 512</ref>}}
Sullo stesso tema si era espresso, il 30 aprile [[1860]], il [[quotidiano]] inglese [[The Times]] commentando il plebiscito avvenuto nell'aprile 1860 per il distacco della [[Savoia (regione storica)|Savoia]] dal regno di Sardegna e la sua annessione alla [[Secondo Impero francese|Francia]]:
{{citazione|La più feroce beffa mai perpetrata ai danni del suffragio popolare: l'urna del voto in mano alle stesse autorità che avevano emesso il proclama; ogni opposizione stroncata con l'intimidazione.<ref>Martin Clark, ''Il Risorgimento italiano. Una storia ancora controversa'', BUR, 2006, p.128</ref>}}
Critiche alle modalità di svolgimento dei plebisciti sono state oggetto di trattazione da parte di accademici come [[Denis Mack Smith]] e [[Martin Clark]], che ha citato il predetto brano del Times, e di alcuni altri autori revisionisti come [[Angela Pellicciari]], secondo la quale le consultazioni si sarebbero svolte senza tutela della segretezza del voto e, talvolta, perfino, in un clima di intimidazione, dato che, i plebisciti avevano il mero scopo di dare una parvenza di legittimazione popolare ad una decisione già presa<ref name="Pellicciari">{{cita web |cognome= Pellicciari |nome= Angela |wkautore= Angela Pellicciari |url= http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=771 |sito= Libertà e persona |titolo=La farsa dei plebisciti |accesso= 19 gennaio 2011}}</ref>. La Pelicciari, addirittura, definisce i plebisciti come una truffa colossale considerandoli una consultazione truccata<ref name="Pellicciari"/>.
In particolare, Pellicciari cita aneddoti riguardanti le consultazioni plebiscitarie per l'annessione del [[Ducato di Modena e Reggio|Ducato di Modena]] e del [[Granducato di Toscana]]. Filippo Curletti, stretto collaboratore di Cavour e capo della polizia politica sabauda, affermò, nel suo memoriale, che ai plebisciti modenesi, partecipò un modesto numero di aventi diritto e, alla chiusura delle urne, furono distrutte le schede degli astenuti. Dato l'elevato numero di assenti, inoltre, una pratica diffusa fu quella di "''completare la votazione''" con l'introduzione nelle urne di schede dove la preferenza era stata espressa dai sabaudi al fine di compensare le assenze<ref name="Pellicciari"/>. Tale pratica fu messa in atto in modo così grossolano che, in alcuni collegi, al momento dello spoglio, il numero dei votanti risultava maggiore di quello degli aventi diritto<ref name="Pellicciari"/>. In [[Toscana]], secondo quanto riportato da [[La Civiltà Cattolica]], rivista che osteggio' tutto il percorso risorgimentale italiano, le consultazioni furono precedute da un'incalzante campagna stampa dove si definiva ''nemico della patria e reo di morte'' chiunque non avesse votato per l'annessione<ref name="Pellicciari"/>. Alle tipografie toscane, poi, fu commissionata la stampa di un gran quantitativo di ''bollettini'' pro annessione, mentre fu scoraggiata la stampa di ''bollettini'' contrari all'unificazione. Sempre la [[rivista]] [[compagnia di Gesù|gesuita]] affermò che si sarebbe abusato dell'ingenuità delle popolazioni delle aree rurali spingendole a recarsi alle urne poiché, in caso contrario, sarebbero incorse in sanzioni<ref name="Pellicciari"/>.
Altri autori, come Roberto Martucci, corroborano le loro critiche ai plebisciti sottolineando, oltre l'esiguo numero degli astenuti, anche il numero irrisorio dei "no" all'annessione: tali dati consentono al Martucci di definire il voto politicamente ininfluente<ref>{{cita libro|cognome= Martucci |nome= Roberto |titolo= L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864 |anno= 1999 |editore= Sansoni |città= Firenze |isbn= 88-383-1828-X |p= 251 |cid= Roberto Martucci}}</ref>. Al riguardo, l'autore si sofferma ad analizzare le modalità di voto ed i risultati plebiscitari delle province [[sicilia]]ne, citando i casi di [[Palermo]] (36.000 favorevoli e 20 contrari), dove furono autorizzati a votare anche i cittadini sprovvisti di certificato, poiché "''smarrito''"; [[Messina]] (24.000 contro 8); [[Alcamo]] (3.000 contro 14); [[Agrigento|Girgenti]] (2.500 contro 70); [[Siracusa]], dove si votò senza che fossero state redatte le liste elettorali; e [[Caltanissetta]], dove il governatore proibì qualsiasi propaganda in senso [[Indipendentismo siciliano|autonomista]]<ref>{{cita |Roberto Martucci |pp. 256-257}}</ref>. [[Giuseppe Tomasi di Lampedusa|Tomasi di Lampedusa]], nelle pagine de ''[[Il Gattopardo]]'', affrontò le problematiche connesse ai plebisciti siciliani.
A [[Venosa]], comune in [[provincia di Potenza]], riporta Antonio Vaccaro, su 1.448 preferenze, solamente una risultò contraria all'unificazione<ref>Antonio Vaccaro, ''Guida di Venosa'', Osanna, Venosa, 1998, p. 93</ref>.
Altri autori riportano infine come il plebiscito che determinò l'annessione delle Due Sicilie al Regno d'Italia fu accompagnato da eventi di particolare gravità ed illegalità. Le operazioni di voto avvennero nel centralissimo Largo di Palazzo a Napoli (l'attuale [[Piazza del Plebiscito]]). Le urne, su cui vi era chiaramente indicato il "sì" o il "no", erano palesi e venivano sorvegliate a vista da numerosi [[camorra|camorristi]], che [[Liborio Romano]] aveva arruolato come poliziotti, esautorando gli agenti fedeli ai Borbone.<ref name=autogenerato8 /><ref name=autogenerato4 />
=== Il brigantaggio postunitario ===
{{vedi anche|Brigantaggio postunitario|Legge Pica}}
[[File:Briganti Volonnino.JPG|thumb|Briganti [[Basilicata|lucani]] della banda Volonnino, fucilati dall'esercito sabaudo.]]
La reinterpretazione del [[brigantaggio postunitario italiano|brigantaggio postunitario]] come rivolta [[legittimismo|legittima]], nonché l'eccessiva repressione messa in atto dallo Stato unitario. Il brigantaggio viene rivalutato da parte di un filone revisionista come un movimento di [[Resistenza (politica)|resistenza]],<ref name="Massimo Viglione 2001, p.164"/> alcuni ritengono persino in analogia a quello che avrebbe coinvolto, in seguito, i [[partigiano|partigiani]] italiani contro le truppe tedesche durante la [[seconda guerra mondiale]].<ref name=autogenerato3 /> Il deputato [[Giuseppe Ferrari (filosofo)|Giuseppe Ferrari]], durante un dibattito parlamentare, disse:
{{citazione|I reazionarii delle due Sicilie si battono sotto un vessillo Nazionale, voi potete chiamarli Briganti, ma i padri e gli Avoli di questi hanno per ben due volte ristabiliti i Borboni sul Trono di Napoli, ed ogni qual volta la Dinastia legittima è stata colla violenza cacciata, il Napoletano ha dato tanti briganti, da stancare l'usurpatore e farlo convincere che, nel Regno delle Due Sicilie, l'unico Sovrano che possa governare, dev'essere della Dinastia BORBONICA, perché in questa Famiglia Reale soltanto si ha fede, e non in altri. Dicano quel che vogliano i nemici dei Borboni, ma la mia convinzione è questa, ed è basata sull'esperienza del passato e sui fatti che attualmente si compiono.|Giuseppe Ferrari<ref>Teodoro Salzillo, ''[http://books.google.it/books?id=dd0YAAAAYAAJ&dq=potete+chiamarli+briganti&source=gbs_navlinks_s Roma e le menzogne parlamentari]'', Malta, 1863, p.34.</ref>}}
La repressione del brigantaggio, ottenuta con successo (e con molta difficoltà) in circa dieci anni dal governo unitario, viene aspramente criticata dai revisionisti a causa della violenza con cui il [[Regio Esercito|Regio Esercito italiano]] (soprattutto dopo la promulgazione della [[legge Pica]], dal cognome del deputato meridionale che la propose e che rimase in vigore dall'agosto 1863 al 31 dicembre 1865). I revisionisti come Angelo del Boca, andando oltre il testo della legge Pica, che definiva il reato di brigantaggio e poneva gli arrestati per questo reato sotto il giudizio dei tribunali militari<ref>vedi pag. 132, Salvatore Lupo,'' L'unificazione italiana'', Donzelli editore, Roma, 2011</ref> sospendendo le garanzie dello [[statuto Albertino|statuto albertino]], affermano che questa legge applicasse sommarie condanne a morte senza processo o con sbrigative sentenze emesse sul campo dai tribunali militari,<ref>[[Angelo Del Boca]], ''Italiani, brava gente? Un mito duro a morire'', Vicenza, 2005, p.60</ref> il più delle volte giustiziando anche coloro che venivano solamente sospettati di connivenze o adesioni alle bande brigantesche<ref>Aldo Servidio, ''L'imbroglio nazionale'', Napoli, 2000, p. 135</ref>. Secondo S. Lupo, questa legge era illiberale e modellata sulla tradizione borbonica, tuttavia ebbe l'effetto di bloccare le fucilazioni sommarie dei briganti, catturati armi alla mano, ordinate senza processo dai comandanti militari, finendo per essere "uno strumento «straordinario» per garantire un exit legale da uno stato di guerra in cui non era garantito alcun principio di legalità<ref>vedi pag. 132-134, Salvatore Lupo,'' L'unificazione italiana'', Donzelli editore, Roma, 2011</ref>. La necessità di far cessare il sistema delle fucilazioni sommarie senza processo e la necessità di spostare la "''cognizione dei reati di brigantaggio ... ad una giurisdizione che non sia quella dei tribunali ordinari''" ma tribunali in cui l'azione penale abbia la sua efficacia "''dal rapido succedere del castigo al delitto''" venne delineata nella relazione della commissione Massari nel marzo 1863<ref>pag. 154-156 Giuseppe Massari, Stefano Castagnola, ''Il brigantaggio nelle province napoletane'', Fratelli Ferrario, 1863</ref>.
La violenza degli scontri è testimoniata dal numero di briganti uccisi, secondo Iaquinta furono non meno di 14.000 i briganti o presunti tali fucilati, uccisi in combattimento o arrestati nel periodo di applicazione della legge<ref>Mario Iaquinta, Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 2002. pag. 63 ISBN 88-8101-112-3</ref>. Cifra sulla quale tuttavia gli storici non concordano, fornendo sia cifre in difetto che in eccesso.<br />
Molti briganti furono uccisi dal 1864 al 1867, anche dalle forze armate pontificie nel sud del Lazio, dove i briganti ex borbonici sconfinavano, sempre più pressati dal [[Regio Esercito]] Italiano e dalla [[Guardia nazionale italiana]], milizia meridionale antibriganti.<br />
Nella lotta alle bande di briganti ex borbonici, che sconfinavano nel [[Lazio]] per le loro razzie, lo [[Stato Pontificio|Stato della Chiesa]] impiegava anche uno speciale corpo, detto "Squadriglieri", la lotta fu dura e anche le perdite tra le forze pontificie non furono poche, ma il brigantaggio di origine ex borbonica fu eliminato.
<ref>[https://archive.org/stream/lesercitopontif00carlgoog#page/n41/mode/2up “L'ESERCITO PONTIFICIO dal 1860 al 1870”, Giulio Cesare Carletti, Viterbo, Tip. soc. Agnesotti & C.,1904, pagg. 30-40-41]</ref>
==== Le deportazioni ====
{{vedi anche|Forte di Fenestrelle#Prigione militare}}
[[File:Lapide Fenestrelle.jpg|thumb|Lapide in ricordo dei soldati borbonici all'interno del forte di Fenestrelle]]
Secondo alcune tesi revisioniste, i militari borbonici che rifiutarono di prestare giuramento al nuovo sovrano Vittorio Emanuele II, vennero reclusi in presidi militari del settentrione italiano, quali [[Alessandria]], [[San Maurizio Canavese]] e [[Fenestrelle]], considerati da taluni revisionisti veri e propri [[Campo di concentramento|campi di concentramento]].<ref name="Lorenzo Del Boca 1998, p. 145"/><ref name="Napoli 2003, p. 258"/><ref name="Matteo, 2000, p. 187"/><ref name="Fulvio Izzo 1999, p. 62"/> I soldati fedeli al loro vecchio sovrano furono visti con scarsa considerazione e disprezzo, tanto che il generale La Marmora li definì "un branco di carogne".<ref>{{cita web|url=http://archiviostorico.corriere.it/2010/novembre/20/Quelle_fortezze_carceri_dove_terroni_co_9_101120016.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/novembre/20/Quelle_fortezze_carceri_dove_terroni_co_9_101120016.shtml|dataarchivio=pre 1/1/2016|titolo= Quelle fortezze-carceri dove i «terroni» morivano|autore= Gigi Di Fiore|accesso=17 gennaio 2011}}</ref> Lo stesso Cavour, in una lettera indirizzata a Vittorio Emanuele II, scrisse: «''I vecchi soldati borbonici appesterebbero l'esercito''».<ref>Cavour, ''La liberazione del Mezzogiorno, vol.IV'', p.295. Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia'', p.174</ref>
Non esistono ancora stime ufficiali sul numero dei detenuti e delle vittime. Nel forte di San Maurizio Canavese il numero degli imprigionati sarebbe ammontato a 3000 al settembre [[1861]], quando gli allora ministri [[Bettino Ricasoli]] e [[Pietro Bastogi]] vi fecero visita.<ref>Il numero dei detenuti è stato riportato da [[Alfredo Comandini]] in una pubblicazione intitolata ''L'Italia nei Cento anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per giorno illustrata''. Citato in Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', p.177</ref> Nel [[forte di Fenestrelle]] si sostiene, invece, che furono deportati tra i 14.000<ref>{{cita libro|cognome=Di Rienzo|nome=Eugenio |titolo= Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee (1830-1861), pag. 217|anno=2004|editore=Rubbettino|città=Soveria Mannelli }}</ref> ed i 20.000 soldati borbonici (per lo più provenienti dalla resa della fortezza di [[Capua]])<ref>{{cita libro|cognome=Di Fiore|nome=Gigi |titolo= I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli|anno=2012|editore=UTET Università|città=}}</ref> e [[Papalino|papalini]].<ref name =fenestrelle>{{cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/05/neoborbonici-all-assalto-di-fenestrelle-in-quel.html|titolo= Neoborbonici all'assalto di Fenestrelle 'In quel forte ventimila soldati morti'|accesso=29 luglio 2010}}</ref>
Per via delle condizioni malsane e delle temperature molto rigide, si ritiene che gran parte dei detenuti perì per fame, stenti e malattie.<ref name =fenestrelle/><ref>{{cita libro |cognome= Martucci |nome= Roberto |titolo= L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864 |anno= 1999 |editore= Sansoni |città= Firenze |p= 215 |isbn= 88-383-1828-X }}</ref> Per evitare epidemie ed essendovi difficoltà nel seppellire i cadaveri, i corpi dei reclusi venivano disciolti nella [[calce|calce viva]].<ref>Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento'', Napoli, 2007, p. 178.</ref> Anche alcuni briganti vennero relegati al forte, un esempio fu la calabrese [[Maria Oliverio]]. Nel [[2008]] venne posta all'interno della fortezza una lapide commemorativa in ricordo ai deportati borbonici.<ref>{{cita web|url=http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cultura/articolo/lstp/206252/|titolo= A Fenestrelle per ricordare le vittime dell'Unità d'Italia|accesso=24 agosto 2010}}</ref>
Nella medesima prigione furono rinchiusi anche alcuni garibaldini fatti prigionieri sull'[[giornata dell'Aspromonte|Aspromonte]] nel [[1862]], mentre tentavano una spedizione verso lo Stato Pontificio.<ref>[[Mino Milani]], ''Giuseppe Garibaldi'', Mursia, 1982, p.399.</ref>
È accertato che successivamente, il gabinetto [[Urbano Rattazzi|Rattazzi]] del neonato Regno d'Italia decise di relegare al di fuori dei confini nazionali i detenuti di Fenestrelle, Pinerolo, Sestriere, San Maurizio Canavese. A tal fine, intraprese trattative con il bey di Tunisi e con il Portogallo, al fine di individuare un'area coloniale in Africa o in Asia da usare come colonia penale. Fallite queste trattative, nel 1867 fu contattato il governo britannico al fine di chiedere la concessione di un'area in [[Eritrea]]. Nel 1868, fu contattata l'Argentina, al fine di ottenere in concessione le lande disabitate della [[Patagonia]]. Nel 1869, infine, una spedizione comandata dal capitano di vascello Carlo Alberto Racchia intavolò trattative con il [[Brunei|Sultanato del Brunei]] al fine di ottenere la [[Baia di Gaya]]. Tali trattative [[Schiaffo della baia di Gaya|furono bloccate da Inghilterra ed Olanda]], le quali non vedevano di buon occhio lo stabilirsi in loco di un avamposto che avrebbe potuto successivamente essere usato com punto commerciale italiano<ref>{{cita libro|cognome=Di Rienzo|nome=Eugenio |titolo= Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee (1830-1861), pag. 217-218|anno=2004|editore=Rubbettino|città=Soveria Mannelli }}</ref>.
==== Gli eccidi ====
{{Vedi anche|Massacro di Pontelandolfo e Casalduni|Massacro di Auletta|Massacro di Montefalcione|Massacro di Ruvo del Monte}}
Nei territori dell'ormai decaduto Regno delle Due Sicilie, ed in particolare durante la fase acuta del cosiddetto brigantaggio ([[1861]]-[[1862]]), si verificarono numerosi episodi di violenza ai danni delle popolazioni civili. In particolare, i revisionisti affermano che le truppe piemontesi si resero responsabili di diversi [[Strage|eccidi]], tra cui i più noti furono quelli di [[Casalduni]] e [[Pontelandolfo]], due paesi del [[provincia di Benevento|Beneventano]].
Il 14 agosto [[1861]], il generale [[Enrico Cialdini]] ordinò una feroce rappresaglia contro i due comuni, dove i briganti di [[Cosimo Giordano]] avevano ucciso 45 soldati sabaudi che vi erano appena giunti. Cialdini inviò un battaglione di cinquecento [[bersaglieri]] a Pontelandolfo, capeggiato dal colonnello [[Pier Eleonoro Negri]], mentre a Casalduni mandò un distaccamento separato, al comando del maggiore Melegari. I due piccoli centri vennero quasi rasi al suolo dai militari, lasciando circa 3.000 persone senza dimora.<ref name="Destiny 2007, p. 224"/> Diverse fonti riferiscono inoltre che la distruzione dei due paesi fu accompagnata da atti di [[saccheggio]]<ref>Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento, Napoli, Guida, 2000, pag. 210</ref> e [[violenza sessuale|stupri]]<ref>Gigi di Fiore Controstoria dell'Unità d'Italia</ref><ref>Aldo De Jaco, Il brigantaggio meridionale, Editori Riuniti, 2005, pag. 185</ref>. Sul numero esatto delle vittime non vi è tuttora consenso, dato che le cifre vanno da un centinaio a più di un migliaio di morti.<ref>{{cita news|url=http://www.corriere.it/cultura/speciali/2010/visioni-d-italia/notizie/32-stella-rizzo-pontelandolfo-roghi-400-morti_83544b90-c60e-11df-89af-00144f02aabe.shtml|pubblicazione=www.corriere.it|autore=[[Sergio Rizzo]], [[Gian Antonio Stella]]|titolo=Il rogo delle case e 400 morti che nessuno vuole ricordare|accesso=18 ottobre 2010}}</ref> Altre città ove i militari furono responsabili di uccisioni per rappresaglia furono [[Rivolta di Montefalcione|Montefalcione]], [[Campolattaro]] e [[Auletta]]<ref>{{cita news |cognome= Avallone |nome= Raffaele |url= http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2011/7-marzo-2011/estate-1861-massacro-briganti-190171956826.shtml |titolo= Estate 1861, il massacro dei "briganti" |pubblicazione= [[Corriere del Mezzogiorno]] |giorno= 7 |mese=marzo|anno= 2011 |accesso= 14 marzo 2011}}</ref><ref>{{cita libro |cognome= de' Sivo |nome= Giacinto |wkautore= Giacinto de' Sivo |titolo= Storia delle Due Sicilie 1847-1861, Vol. 2, libro XXXIII, paragrafo 7 |url= http://www.adsic.it/wp-content/uploads/2007/11/2201.pdf |accesso= 14 marzo 2011 |anno= 2009 |editore= Edizioni Trabant |città=Brindisi |p= 440 |isbn= 88-96576-11-3 }}</ref> ([[Campania]]); [[Rignano Garganico]] ([[Puglia]]); [[Campochiaro]] e [[Guardiaregia]] ([[Molise]]); [[Ruvo del Monte]], [[Barile (Italia)|Barile]] e [[Lavello]] ([[Basilicata]]); [[Cotronei]] ([[Calabria]]).<ref>Lorenzo Del Boca, ''Indietro Savoia!'', Milano, 2003, p. 231</ref><br />
Una forte revisione al ribasso del numero degli uccisi, ridotti a 13 morti, viene sostenuta dal ricercatore Davide Fernando Panella sulla base della lettura dei registri parrocchiali della chiesa della Santissima Annunziata ove sarebbero annotati dal canonico Pietro Biondi e dal canonico Michelangelo Caterini (firmatario degli atti di morte) i nomi dei morti, le modalità della loro morte e il luogo del seppellimento: 12 persone (undici uomini e due donne) sarebbero morte durante il giorno stesso della strage (dieci direttamente uccisi e due nel rogo delle case) e una tredicesima morì il giorno seguente<ref>[http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2014/11-marzo-2014/altra-verita-pontelandolfoi-morti-furono-solo-tredici-2224196255275.shtml Giancristano Desiderio,'' L'altra verità su Pontelandolfo -I morti furono solo tredici - Lo studio di un ricercatore sannita fa luce sulla strage'', Corriere del Mezzogiorno, 11 marzo 2014]</ref>.
Nel periodo di cui sopra, diversi comandanti militari si distinsero per i loro duri provvedimenti contro il brigantaggio, tra cui [[Alfonso La Marmora]], [[Pietro Fumel]], [[Raffaele Cadorna (1815-1897)|Raffaele Cadorna]], [[Enrico Morozzo Della Rocca]] e [[Ferdinando Augusto Pinelli|Ferdinando Pinelli]]. Tali atti suscitarono numerose polemiche, anche da parte della classe liberale. [[Giovanni Nicotera]] deputato dell'opposizione di sinistra, intervenne in Parlamento dichiarando:
{{citazione|I Proclami di Cialdini e degli altri Capi sono degni di Tamerlano, di Gengis Khan, o piuttosto di Attila''.|Giovanni Nicotera<ref>Teodoro Salzillo, ''[http://books.google.it/books?id=dd0YAAAAYAAJ&printsec=frontcover&dq=Roma+e+le+menzogne+parlamentari&hl=it&ei=NAcSTYOWDIadOv7V7YAJ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CCkQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false Roma e le menzogne parlamentari]'', Malta, 1863, p.34.</ref>}}
Lo stesso [[Nino Bixio]] (uno dei comandanti della [[spedizione dei Mille]] e protagonista del discusso episodio della [[fatti di Bronte|strage di Bronte]]) denunciò questi metodi in un discorso alla camera il 28 aprile [[1863]]:
{{citazione|Si è inaugurato nel Mezzogiorno d'italia un sistema di sangue. E il Governo, cominciando da Ricasoli e venendo sino al ministero Rattazzi, ha sempre lasciato esercitare questo sistema|Nino Bixio<ref>Giovanni De Matteo, ''Brigantaggio e Risorgimento'', Guida Editore, 2000, p. 263.</ref>}}
[[Napoleone III di Francia|Napoleone III]], riferendosi ad una azione militare con uccisione di briganti, disse "''les Bourbons n'ont jamais fait autant''" (i Borbone non hanno mai fatto tanto),<ref>Alfredo Capone, ''La crisi di fine secolo e l'età giolittiana, Volume 2'', UTET, 1981, p.53</ref> mentre lord [[Alexander Baillie-Cochrane]] (lo stesso deputato [[Partito Conservatore (Regno Unito)|conservatore inglese]] che nel marzo 1850 aveva visitato le carceri napoletane e Ferdinando II), riferendosi ad un editto antibrigantaggio di [[Pietro Fumel]], dichiarò "''a more infamous proclamation had never disgraced the worst days of the Reign of Terror in France''" (un proclama più infame non aveva mai disonorato i giorni peggiori del regno del terrore in Francia).<ref>Patrick Keyes O'Clery, ''The making of Italy'', Regan Paul, Trench, Trübner, 1892, p.301.</ref> I metodi violenti delle truppe del [[Regio Esercito|Regio Esercito Italiano]] furono infine applicati anche per la repressione dei moti di protesta operaia per la chiusura progressiva di impianti industriali, ad esempio dello stabilimento siderurgico di [[Officine di Pietrarsa|Pietrarsa]] (attualmente sede del Museo Nazionale Ferroviario), dove il 6 agosto [[1863]], per reprimere le proteste degli operai, intervennero Guardia Nazionale, Bersaglieri e Carabinieri, lasciando sul terreno tra quattro e sette morti e una ventina di feriti. Al comando delle truppe c'era il Questore [[Nicola Amore]], successivamente divenuto [[sindaco]] di [[Napoli]], che nella sua relazione al [[Prefetto]] parla di ''fatali e irresistibili circostanze''<ref>Archivio di Stato di Napoli, “Fondo Questura”, Fascio 16, inventario 78.</ref><ref>[http://www.ferroviedellostato.it/cms/v/index.jsp?vgnextoid=082568ae9d50a110VgnVCM10000080a3e90aRCRD Il-museo-nazionale di Pietrarsa.pdf a pag 21]</ref>. Il mantenimento dell'ordine pubblico tramite interventi repressivi dell'esercito, senza scrupolo nell'uso delle armi contro le proteste popolari, continuò fino alla fine del secolo esteso a tutto il territorio nazionale, culminando nelle sanguinose repressioni dei [[moti popolari del 1898]].
Occorre precisare che negli altri territori del centro Italia e del nord-est, occupati dal Regno di Sardegna, non si verificarono rivolte, né vi furono eccidi in conseguenza dei fatti relativi all'annessione al Regno di Sardegna.
=== Le conseguenze dell'unità italiana ===
==== La "piemontesizzazione" ====
{{vedi anche|Piemontesizzazione}}
Con il termine ''piemontesizzazione'', utilizzato già nel [[1861]] in chiave critica nel neonato Parlamento del [[Regno d'Italia]]<ref name=autogenerato5 />, si indica l'estensione ai territori del nuovo [[Regno d'Italia]] dell'organizzazione politica ed amministrativa dello Stato sabaudo, dello [[Statuto Albertino]] nonché, in buona parte, delle sue leggi. Secondo le tesi revisioniste tale estensione normativa non avrebbe tenuto in considerazione le differenze tra i diversi stati pre-unitari. Nell'ambito delle stesse critiche si fa notare come le principali cariche burocratiche e militari siano state quasi esclusivamente riservate ad appartenenti della classe politica del Regno sabaudo.<ref name="Marco Meriggi 1996, p. 60"/> La critica revisionista sottolinea negativamente anche alcuni aspetti formali quali la numerazione della prima legislatura del [[Regno d'Italia]] fu l'VIII, come da numerazione dello Stato piemontese e il fatto che il primo re d'Italia conservò la sua precedente successione dinastica di secondo, come se fosse ancora sovrano di Sardegna, per quanto il mantenimento della numerazione fosse conforme alla tradizione della dinastia sabauda, come accadde ad esempio con [[Vittorio Amedeo II di Savoia|Vittorio Amedeo II]] che continuò a chiamarsi così anche dopo aver ottenuto il titolo regio (prima di Sicilia e poi di Sardegna), similmente a [[Ivan IV di Russia|Ivan IV]] di [[Granducato di Mosca|Moscovia]], che non cambiò numerale una volta proclamatosi [[Zar|Zar di tutte le Russie]] o ai [[sovrani britannici|monarchi britannici]], che mantennero il numerale del [[Regno d'Inghilterra]] ([[Guglielmo IV del Regno Unito|Guglielmo IV]] o [[Edoardo VII del Regno Unito|Edoardo VII]]), riconoscendo così di fatto la continuità istituzionale del regno. Diversamente invece aveva fatto Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia che decise di intitolarsi [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando I]] dopo la cancellazione del [[Regno di Sicilia (1734-1816)|Regno di Sicilia]] e del [[Regno di Napoli]] come entità statuali autonome e l'istituzione del [[Regno delle Due Sicilie]].<ref>"''la gloriosa monarchia siciliana veniva letteralmente cancellata nella nuova carta geografica d'Europa''" vedi pag. 5 di {{cita pubblicazione |autore=Antonio Martorana |titolo= L'autonomia siciliana nella storia della Sicilia e dell'Europa'' |rivista= Viaggio nell'autonomia, ARS - [[Assemblea regionale siciliana]] |anno= 2006 |url=http://issuu.com/iriscommunication/docs/opuscolo5 |accesso= 2 agosto 2011}}</ref>. Il mantenimento del numerale secondo alcuni storici<ref>cfr pag 18 in [[Indro Montanelli]], ''L'Italia dei notabili'', Rizzoli, 1973</ref>, sottolineerebbe il carattere di estensione del dominio della Casa Savoia sul resto dell'[[Italia]], piuttosto che la nascita ''ex novo'' del Regno d'Italia. A tale riguardo lo storico Antonio Desideri commenta:
{{Citazione|Il 17 marzo 1861 il Parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele non già re degli Italiani ma «re d'Italia per grazia di Dio e volontà della nazione». Secondo non primo (come avrebbe dovuto dirsi) a sottolineare la continuità con il passato, vale a dire il carattere annessionistico della formazione del nuovo Stato, nient'altro che un allargamento degli antichi confini, «una conquista regia» come polemicamente si disse. Che era anche il modo di far intendere agli Italiani che l'Italia si era fatta ad opera della casa Savoia, e che essa si poneva come garante dell'ordine e della stabilità sociale.<ref>Antonio Desideri, ''Storia e storiografia'', vol.II, Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze, 1979, p.754</ref>}}
L'estensione dello [[statuto Albertino|statuto albertino]] aveva esteso la rappresentanza elettorale in un parlamento nazionale eletto, il diritto e la pratiche di elezione politiche di voto negli stati preunitari italiani che ne erano sprovvisti. In previsioni delle elezioni politiche del 1861 Cavour, in una lettera del dicembre [[1860]], raccomandò al ministro di grazia e giustizia [[Giovanni Battista Cassinis]] di avere una rappresentanza napoletana ridotta:
{{Citazione|Mi restringo a pregarlo a fare ogni sforzo onde si acceleri la formazione delle circoscrizioni elettorali, vedendo modo di darci il minor numero di deputati napoletani possibile. Non conviene nasconderci che avremo nel Parlamento a lottare contro un'opposizione formidabile|Camillo Benso di Cavour<ref>Camillo Benso di Cavour, Carlo Pischedda, ''Epistolario'', Olschki, 2005, p.2875.</ref>}}
Il 20 novembre [[1861]], in un'interpellanza al Parlamento Italiano, così si esprimeva il deputato di [[Casoria]], Francesco Proto Carafa, duca di [[Maddaloni]]:
{{Citazione|La loro smania di subito impiantare nelle provincie Napoletane quanto più si poteva delle istituzioni di Piemonte, senza neppur discutere se fossero o no opportune, fece nascere sin dal principio della dominazione piemontese il concetto e la voce piemontizzare..|Francesco Proto Carafa, Duca di Maddaloni<ref name="ReferenceB">Interpellanza al Parlamento Italiano, Atto 234, 20 novembre 1861</ref>}}
==== La questione meridionale ====
{{vedi anche|Questione meridionale}}
[[File:Gfortunato.jpg|upright=0.8|left|thumb|Giustino Fortunato]]
Nonostante la storiografia più diffusa sostenga che il [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] possedesse già un problema di ritardato sviluppo prima dell'Unità, i revisionisti sostengono che il degrado economico del Sud abbia avuto inizio dopo il Risorgimento a causa delle politiche del governo unitario poco attente alle necessità meridionali.<ref name="ReferenceA">{{cita libro| Nicola | Zitara | L'unità d'Italia. Nascita di una colonia| 1984 | Quale cultura }}</ref>
{{chiarire|Secondo gli elaborati|quali scritti di Nitti?}} di [[Francesco Saverio Nitti]], l'origine della questione meridionale ebbe inizio quando il capitale appartenuto alle Due Sicilie, oltre a contribuire maggiormente alla formazione dell'erario nazionale, fu destinato in prevalenza al risanamento delle finanze settentrionali, nella fattispecie in [[Lombardia]], [[Piemonte]] e [[Liguria]].<ref>[[Nicola Zitara]], ''L'Unità d'Italia: nascita di una colonia'', Milano, 1971, p.37</ref> Nitti inoltre enunciò, attraverso la sua ricerca statistica, che i fondi di sviluppo furono stanziati maggiormente nelle zone settentrionali, fu istituito un regime doganale che trasformò il Sud in un mercato coloniale dell'industria del Nord Italia<ref>Francesco Saverio Nitti, ''L'Italia all'alba del secolo XX'', Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, Torino-Roma, 1901, p.117</ref> e la pressione tributaria del meridione risultò maggiore rispetto al settentrione<ref>Francesco Saverio Nitti, Domenico De Masi, ''Napoli e la questione meridionale'', Guida, Napoli, 2004, p.84.</ref>. L'economia del Mezzogiorno, infatti, fu sfavorita da un sistema doganale di stampo protezionistico, il quale favoriva soprattutto le industrie del nord Italia, permettendo ad esse di non soccombere di fronte alla concorrenza straniera.
[[Giustino Fortunato]], convinto sostenitore dello Stato unitario, era, afferma [[Gaetano Salvemini]], «[...] assai pessimista sulla capacità dei meridionali a sollevarsi con le loro forze dal baratro cui erano stati messi dalla natura nemica e dalle sventure della loro storia [...] e aspettava dal Nord la salvezza»<ref>Sono parole tratte dagli ''Scritti'' di [[Gaetano Salvemini]] e cit. da: Antonio Gramsci, ''Quaderno 19, Risorgimento Italiano'', Torino, Einaudi, 1977 (con introduzione e note di [[Corrado Vivanti]]), p. 175 (nota)</ref>. Nonostante ciò, non mancò di evidenziare come l'Unità d'Italia fosse stata la rovina economica del Mezzogiorno<ref>{{cita libro |cognome= Fortunato |nome= Giustino |wkautore= Giustino Fortunato |coautori= Emilio Gentile |titolo= Carteggio 1865-1911 |editore= Laterza |città= Bari |anno= 1978 |pp= 64-65 }}</ref> e non risparmiò critiche alla politica economica e finanziaria dello Stato italiano e della grande industria del [[Italia Settentrionale|Settentrione]] nel Meridione. Fu lo stesso Fortunato che, a seguito dell'indebitamento del [[Banco di Napoli]] di un milione di lire in tre anni, coniò il termine di "carnevale bancario"<ref>Giustino Fortunato, [[Emilio Gentile]], ''Carteggio, Volume 1'', Laterza, 1978, p.27</ref> per indicare il trasferimento di capitali del sud destinati alle industrie e agli istituti di credito del nord.
Il revisionista [[Nicola Zitara]] mosse denunce nei confronti degli industriali [[Carlo Bombrini]], [[Pietro Bastogi]] e [[Giuseppe Balduino]], indicandoli tra i maggiori responsabili del crollo economico del meridione dopo l'unità.<ref>{{cita news|url=http://www.eleaml.org/e_book/intervista.pdf|pubblicazione=www.eleaml.org|autore=Nicola Zitara|titolo= Sud Italia: arretratezza o colonialismo interno? (p.5)|accesso=11 gennaio 2011}}</ref>
Nel [[1954]], l'economista piemontese [[Luigi Einaudi]], nella sua opera ''Il buongoverno'' disse:
{{citazione|Sì è vero che noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano dopo la conquista dell'unità e dell'indipendenza nazionale. Peccammo, è vero di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio nazionale e ad assicurare alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale. Noi riuscimmo così a far affluire dal Sud al Nord una enorme quantità di ricchezza.|Luigi Einaudi<ref>[[Luigi Einaudi]], ''Il buongoverno'', Laterza, 1973, pag. 155</ref>}}
La teoria dello sviluppo del Nord a danno del Sud, in particolare il fatto che, il cosiddetto triangolo industriale “[[Torino]]-[[Milano]]-[[Genova]]” si sarebbe sviluppato economicamente sottraendo risorse al [[Sud|Meridione]], non spiega come le province del Nord-Est e dell'[[Italia Centrale]], pur senza ricevere aiuti, si siano sviluppate economicamente nel tempo in maniera prossima e, in diversi casi, anche superiore ad alcune aree industriali del suddetto triangolo industriale “[[Torino]]-[[Milano]]-[[Genova]]” come risulta dai seguenti dati [[Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura|Unioncamere]]<ref>[http://www.go.camcom.it/allegati/pdf/statistica/valore-aggiunto.pdf ''Unioncamere - Scenari di sviluppo delle economie locali italiane 2012'']</ref> e ISTAT<ref>[http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCN_PILPRODT ''ISTAT - Prodotto interno lordo lato produzione'' ]</ref>.<br />
La storiografia classica sostiene la tesi che considera il divario Nord-Sud preesistente all'Unità e provocato principalmente dalla diversa storia dei due territori, già a partire dalla caduta dell'impero romano, differenza che sarebbe aumentata a partire dal 1.300.<ref name=autogenerato4>[http://www.150anni.it/webi/index.php?s=37&wid=103 Il problema del Mezzogiorno - Il divario di partenza]</ref><br />
L'esistenza del divario economico-produttivo nord-sud, anteriormente al 1860, è attestata anche da altri autori: [[Carlo Afan de Rivera]], importante funzionario dell'amministrazione borbonica, con le sue ''"Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie"'', descrive la situazione dell'agricoltura nel Sud preunitario e il grande ritardo economico di partenza con cui il [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] d'Italia si trovava nel momento dell'unificazione<ref name=autogenerato10>[http://www.150anni.it/webi/index.php?s=37&wid=103 [[Carlo Afan de Rivera]], ''Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie'', Napoli 18332 II, pp. 35-38, 40-45, 52-55 - riprodotto in D. Mack Smith, ''"Il risorgimento italiano. Storia e testi"'', Bari, Laterza, 1968, pp. 152-155.]</ref>, [[Luciano Cafagna]], storico dell'economia, illustra alcune delle ragioni che portano a ritenere infondata la tesi di uno sviluppo economico dell'Italia settentrionale a spese dell'Italia meridionale.<ref>[http://www.150anni.it/webi/_file/documenti/risorgimento/italiaprimaedopounita/problemamezzogiorno/DivarioPartenza/Divpartenzadoc3.pdf Luciano Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d'Italia, Venezia, Marsilio, 1989, pp. 190-193, 206-212]</ref>, l'opera di Emanuele Felice<ref>[''Perché il Sud è rimasto indietro'', Il Mulino, Bologna, pagg. 258, 2013]</ref><ref name=autogenerato9>[https://www.academia.edu/6982123/E._Felice_Il_Mezzogiorno_fra_storia_e_pubblicistica._Una_replica_a_Daniele_e_Malanima E. Felice, Il Mezzogiorno fra storia e pubblicistica. Una replica a Daniele e Malanima ]</ref>, dimostra l'inesistenza di uno sviluppo economico dell'Italia settentrionale a spese dell'Italia meridionale, evidenziando invece i veri motivi del divario.
==== La mancata riforma agraria nel sud Italia ====
{{vedi anche|Dibattito storiografico sulla Spedizione dei Mille}}
Alcuni revisionisti sostengono che la mancata suddivisione delle grandi proprietà terriere in Sicilia sia stata uno dei fattori all'origine della conflittualità tra Garibaldi e le masse contadine<ref>{{cita libro |cognome= De Stefano |nome= Demetrio |titolo= Il Risorgimento e la questione meridionale |anno= 1964 |editore= La Procellaria |città= Reggio Calabria |p= 256 }} {{NoISBN}}</ref>. Infatti, erano stati numerosi i contadini che, spinti dal malcontento verso lo Stato borbonico dovuto alle cattive condizioni dei lavoratori agricoli, si erano uniti ai ''Garibaldini''. Tuttavia le loro speranze di mutazione della situazione esistente erano andate deluse. Inoltre la mancata attuazione dei decreti che Garibaldi, una volta assunta la dittatura sull'isola in nome del re [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]], emanò circa l'abolizione sia di diverse tasse su prodotti agricoli<ref name="dittatore">{{cita libro |url= http://books.google.it/books?id=YVYIAAAAQAAJ&pg=PA9 |accesso= 31 ottobre 2010 |titolo= Raccolta degli atti del governo dittatoriale e prodittatoriale in Sicilia |anno= 1860 |editore= Stabilimento tipografico Francesco Lao |città=Palermo |p= 9 e pag. 24 }} {{NoISBN}}</ref>, sia dei canoni sulle terre demaniali<ref name="dittatore"/> generò ulteriore malcontento<ref>{{cita libro |cognome= Scacchi |nome= Rossano |titolo= Anima ottocentesca |anno= 2008 |editore= Editrice UNI Service |città=Trento |p= 82 (nota 47) |isbn= 978-88-6178-281-5 }}</ref>. Il primo a sollevare questo dibattito fu [[Antonio Gramsci]]. In generale, nulla venne fatto dal governo unitario per combattere il [[latifondo]], che, anzi, crebbe in seguito alla vendita dei beni ecclesiastici ai grandi proprietari terrieri<ref name="Palermo 135">{{cita libro |cognome= Palermo |nome= Luciano |titolo= Storia dell'industria |anno= 2000 |editore= Laterza |città= Bari |p= 135 |cid= Luciano Palermo |isbn= 88-421-0596-1 }}</ref>.
==== Politiche fiscali ====
Patrick Keyes O'Clery, nel saggio ''The making of Italy'', sostenne che le politiche fiscali attuate dal nuovo Stato unitario si configurarono come dannose per l'economia del Meridione. Egli evidenziò che l'imposizione fiscale nel Regno delle Due Sicilie era tra le meno severe d'Europa; al contrario, la tassazione in Piemonte era molto gravosa. Dopo l'Unità, il [[sistema tributario]] sabaudo fu esteso a tutta la penisola, e ciò comportò per i cittadini delle province meridionali un improvviso incremento del prelievo fiscale (incremento giunto al 100% nel [[1866]]), che, di fatto, era il doppio di quello attuato in epoca borbonica<ref name="O'Clery 365">{{cita libro |cognome= O'Clery |nome= Patrick Keyes |titolo= The making of Italy |lingua= inglese |editore= Regan Paul, Trench, Trubner & Co. |città= Londra |anno= 1892 |p= 365 }} {{NoISBN}}</ref>.
La fiscalità piemontese prevedeva tutta una serie di imposte che, invece, erano inesistenti nelle Due Sicilie preunitarie: di conseguenza, andarono a gravare anche sulle popolazioni meridionali la ''tassa di successione'' (che poteva arrivare fino al 10% del patrimonio oggetto di trasferimento ereditario), le tasse sugli atti delle società per azioni e degli istituti di credito, e la ''tassa sul sale'' (dalla quale i Borbone avevano esentato la sola Sicilia)<ref name="Pellicciari 3403080">{{cita news|url=http://www.angelapellicciari.it/1/il_sud_era_ricco_prima_di_diventare_italia_3403080.html|pubblicazione=www.angelapellicciari.it|autore=Angela Pellicciari|titolo=Il sud era ricco prima di diventare Italia|accesso=16 gennaio 2011}}</ref>. Fu inasprita l'''imposta fondiaria''<ref name="Pellicciari 3403080"/> e furono introdotte o inasprite le tasse che colpivano gli strati più poveri della popolazione, come la ''tassa sul macinato'' (che fu più che raddoppiata ed estesa a tutte le granaglie, finanche alle castagne)<ref name="O'Clery 365"/>, i ''dazi di consumo'' (applicati sugli acquisti di bevande e generi alimentari) e la ''tassa sulla macellazione''. L'imposta di bollo, che andava da un minimo di tre ad un massimo di 12 [[Grano (moneta)|grani]], fu innalzata all'equivalente di un minimo di 13 grani ed un massimo di 58 grani<ref>{{cita libro |cognome= Lennox |nome= Henry Gordon |titolo= Italy in 1863 |editore= Harrison and Sons |città= Londra |anno= 1863 |lingua= inglese |p= 31 }} {{NoISBN}}</ref>.
La politica fiscalista attuata dopo l'Unità ed in particolare durante i governi della [[destra storica]] è spiegata dalla volontà di risanare il bilancio dello Stato unitario, che ereditava il pesante debito pubblico del Piemonte sabaudo, per raggiungere, appunto, il [[pareggio di bilancio]] (risultato ottenuto nel [[1876]]). A tale scopo, infatti, il governo italiano attuò una severa politica fiscale, basata principalmente sulla imposizione indiretta, che gravava sui consumi, colpendo, in questo modo, principalmente i ceti meno abbienti. Il gettito fiscale, quindi, venne impiegato esclusivamente per il pagamento dei debiti contratti dallo Stato e non fu destinato allo sviluppo e alla crescita economica<ref>{{cita |Luciano Palermo|p.137}}</ref>.
==== Politiche daziarie e doganali ====
{{C|Il titolo accenna a dazi, ma questi non sono discussi. Il discorso è confuso: prima si afferma che le barriere doganali erano assenti e quindi si favori l'agricoltura meridionale, poi viceversa si parla di un protezionismo e conflitto economico contro la Francia e della sua reazione il tutto non specificato e non datato.|economia|settembre 2012}}
La dissomiglianza tra le politiche economiche attuate da [[destra storica]] e [[sinistra storica]] ebbe, invece, serie conseguenze sull'agricoltura meridionale: se, infatti, l'assenza di barriere doganali, dovuta alle politiche liberiste della destra, consentì all'agricoltura del Mezzogiorno di trovare, per i suoi prodotti pregiati, quali agrumi, olio e vino, un mercato di sbocco in Francia<ref name="Palermo 135"/>, il protezionismo attuato dalla sinistra generò un conflitto doganale con Parigi che danneggiò quei settori che erano trainanti per l'agricoltura delle regioni del Sud. La scelta del protezionismo, che aveva trovato le sue basi nell'obiettivo di favorire lo sviluppo dell'industria nazionale, non solo fu deleteria per l'agricoltura meridionale, ma comportò risultati scadenti anche in campo industriale<ref>{{cita |Luciano Palermo|p.138}}</ref>. Per compensare la mancata crescita nel settore secondario, lo Stato investì notevolmente, con commesse pubbliche, nell'industria, specie in quella armatoriale: ad esempio, nel [[1884]], furono create [[ex novo]] le [[Acciaierie di Terni]], peraltro già esistenti dal 1580 come ferriere di discreta produzione ad inizio ottocento<ref> http://www.archeologiaindustriale.org/cms/le-origini-dellindustria-a-terni/ |Ferriere di Terni fondate nel 1580 </ref>, che beneficiarono, tra le altre, delle commesse della [[Regia Marina]]<ref>{{cita |Luciano Palermo|p.139}}</ref>. <br/>
La forte presenza governativa per l'impianto di Terni si pone in contrasto con l'assenza dello Stato verso il [[Reali ferriere ed Officine di Mongiana|Polo siderurgico di Mongiana]], fiorente in età borbonica, era entrato in una fase di lento declino in seguito all'Unità<ref name="Stefano Manno 1979"/>. L'abolizione dei dazi interni voluta dalla destra storica e l'assenza di interventi da parte del nuovo Stato unitario condannarono i siti di Mongiana e Ferdinandea alla chiusura e gli operai del polo industriale e dell'indotto all'emigrazione: al declino dell'industria meridionale faceva da contraltare la nascita della grande industria del Nord<ref>{{cita web |cognome= Stentella |nome= Danilo |url= http://www.archeologiaindustriale.org/musei-monumenti-e-parchi/italia/48-polo-industriale-di-mongiana-vv.html |titolo= Polo industriale di Mongiana |accesso= 27 marzo 2012 |sito= archeologiaindustriale.org |data= 9 aprile 2008}}</ref>.
==== Le concessioni ferroviarie ====
{{Vedi anche|Ferrovia Napoli-Portici|Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa|Officine di Pietrarsa|Rete ferroviaria della Calabria}}
[[File:Planapnoc 001.png|upright=1.4|thumb|Il progetto di prolungamento della ferrovia Napoli-Castellammare fino a Nocera (linea realizzata nel 1844)]]
Le ferrovie napoletane, le prime in Italia con la tratta [[Ferrovia Napoli-Portici|Napoli–Portici]] ([[1839]]), al momento dell'Unità, avevano in esercizio una rete estesa per 128 chilometri. Buona parte della storiografia più diffusa, riferendosi al primo tratto di ferrovia italiano<ref>{{Cita libro |nome= Andrea |cognome= Giuntini |titolo= I giganti della montagna: storia della ferrovia Direttissima Bologna-Firenze, 1845-1934 |editore= Leo S. Olschki |città= Firenze |anno= 1984 |isbn= 88-222-3249-6 |p= 2 }}</ref>, afferma che le ferrovie napoletane fossero un "''giocattolo del Re''", realizzato per consentire al sovrano di spostarsi più rapidamente da Napoli alla residenza estiva della ''Favorita'' presso Portici, altri autori, come Montanelli sottolinearono che alla vigilia dell'Unità d'Italia, di chilometri di binari: "Il Piemonte ne aveva nel frattempo costruiti 900, il Lombardo-Veneto 500, la Toscana 250...". Viceversa taluni autori revisionisti affermano che le ferrovie del Regno delle Due Sicilie, non fossero, per l'appunto, un "''giocattolo del Re''", ma ne sottolineano le funzioni di trasporto pubblico e commerciale. Al riguardo, alcuni autori riportano dell'immediato riscontro, in termini di numero di passeggeri, ottenuto dal nuovo mezzo di trasporto, sulla citata tratta<ref>{{Cita libro |nome= Luigi |cognome= Settembrini |wkautore= Luigi Settembrini |curatore= Mario Battaglini |titolo= Protesta del popolo delle due Sicilie |editore= Archivio Izzi |città= Roma |anno= 2000 |isbn= 88-85760-82-1 |p= 146 |citazione= Il successo del nuovo mezzo fu enorme se si pensa che in soli tre mesi i passeggeri furono 131.116.}}</ref><ref>{{Cita libro |nome= Amintore |cognome= Fanfani |wkautore= Amintore Fanfani |titolo= Storia economica |volume= Volume V: Età contemporanea |editore= UTET |città= Torino |anno= 1972 |isbn= {{NoISBN}} |p= 255 }}</ref>, che si assestò su una media giornaliera di oltre un migliaio di viaggiatori<ref>{{Cita libro |nome= Peter Michael |cognome= Kalla Bishop |titolo= Italian Raileoads |editore= Drake Publisher |città= New York |anno= 1972 |isbn= 0-87749-144-5 |p= 16 }}</ref>, e sulle tratte realizzate negli anni successivi: a titolo di esempio il ''Giornale del Regno delle Due Sicilie'' riporta che, nel novembre [[1856]], i passeggeri che, nelle diverse classi di viaggio, adoperarono la linea Napoli-Capua furono 115.151<ref>(31 gennaio 1857) ''Giornale del Regno delle Due Sicilie'', numero 23</ref>.
Già nel [[1843]], infatti, fu inaugurato il tratto [[Ferrovia Roma-Cassino-Napoli|Napoli–Caserta]], prolungato fino a [[Capua]] nel [[1845]]; nel [[1844]] fu aperto il ramo fino a [[Nocera Inferiore|Nocera]], seguito dal tratto [[Ferrovia Cancello-Avellino|Cancello–Nola–Sarno]] nel [[1856]], mentre parallelamente era già stata prolungata la Napoli–Portici fino a [[Castellammare di Stabia|Castellammare]].
A ulteriore supporto di tale fatto, va evidenziato che lo sviluppo delle ferrovie delle Due Sicilie non si era affatto arrestato, ma anzi all'atto dell'unificazione stava per conoscere un'ulteriore fase di espansione. Con il Decreto Reale del 28 aprile [[1860]] (''Decreto contenente de' provvedimenti per la costruzione di tre grandi linee di strade ferrate ne' dominii continentali, e di altrettante nei dominii di là del Faro''), infatti, Francesco II delle Due Sicilie tracciò il piano di allungamento delle ferrovie esistenti, il quale si sarebbe poggiato sia sull'affidamento dei lavori in concessione a privati, che sull'iniziativa governativa; e che avrebbe interessato sia la parte continentale, che quella insulare del Regno:
{{citazione|Essendo nostro volere che una rete di ferrovie copra le più fertili e le più industriose contrade de' reali dominii al di qua e al di là del Faro, onde immegliare sempre di più le condizioni economiche delle nostre popolazioni, favorire lo sviluppo progressivo della loro prosperità, e sollevarle a livello delle esigenze del cresciuto movimento commerciale; considerando che a raggiungere l'intento fa mestieri che si adottino tali mezzi, i quali non lascino più oltre in espettazione le nostre sovrane sollecitudini; considerando che questi mezzi non possono ridursi altrimenti che a due, la via cioè delle concessioni circondate dalle migliori facilitazioni possibili con l'assicurazione o di un minimum di interessi o di una sovvenzione, ovvero in luogo delle concessioni la via della intrapresa per conto del nostro real Governo con capitali indigeni e sopra una scala di larga e pronta esecuzione.|Francesco II delle Due Sicilie<ref>Real Decreto n. 809 del 28 aprile 1860.</ref><ref name=Decreto809-28-04-1860>{{cita libro |cognome= |nome= |titolo=Collezione delle leggi e de' decreti reali del Regno delle Due Sicilie |anno=1860 |editore=Stamperia Reale |città=Napoli |pp=204-206 |capitolo=Decreto contenente de' provvedimenti per la costruzione di tre grandi linee di strade ferrate ne' domini continentali, e di altrettante ne' domini di là del Faro |url_capitolo=http://books.google.it/books?id=TmsuAAAAYAAJ&hl=it&pg=PA204 }}</ref>}}
Le linee ferroviarie di cui sopra avevano scopo eminentemente commerciale, come esplicitato nell'incipit del decreto. Per quanto riguardava i domini continentali, sarebbero state costruite tre linee ferroviarie, che avevano lo scopo di mettere in comunicazione il Tirreno con l'Adriatico e lo Jonio. Tutte con base di partenza Napoli, si sarebbero dirette a Brindisi e Lecce via Foggia, la prima; a Reggio Calabria attraverso la Basilicata, la seconda; e al Tronto attraverso gli Abruzzi, la terza. In Sicilia, del pari, sarebbero state costruite tre linee che, dipartendosi tutte da Palermo, si sarebbero dirette a Catania, la prima, a Messina, la seconda, e a [[Gela|Terranova]] (Gela) via [[Agrigento|Girgenti]] (Agrigento), la terza. Francesco II avrebbe presieduto personalmente ai progetti, attraverso una commissione composta dai più alti gradi del governo<ref name=Decreto809-28-04-1860 />.
I lavori per le ferrovie ed il materiale rotabile erano affidate al Real Opificio di Pietrarsa ed alle fabbriche dell'indotto.
[[File:Orarionapoli1843.png|upright=1.4|thumb|left|L'orario dei treni da Napoli da partire dal 24 dicembre 1843]]
[[File:Italia ferrovie 1861.03.17.png|upright=1.4|thumb|Le ferrovie italiane alla proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861)]]
Durante la [[Spedizione dei Mille|Spedizione dei mille]], con una serie di tre decreti (25 giugno, 2 e 17 agosto 1860), e riprendendo quindi quanto decretato due mesi prima da Francesco II, venne disposto dal prodittatore, in nome di Vittorio Emanuele II, la costruzione di una rete ferroviaria siciliana, che avrebbe dovuto unire Palermo e Messina, passando per Caltanissetta e Catania e la progettazione di una linea ferroviaria passante per i principale centri minerari solfiferi isolani, da Girgenti a [[Caltanissetta]]<ref>Il testo integrale del decreto del 17 agosto, riassuntivo anche dei precedenti, è riportato, numerato come doc. 128 pagg. 274-275 in Giuseppe da Forio, ''Storia di Giuseppe Garibaldi - Volume secondo - Documenti'', Napoli, Stabilimento tipografico Perrotti, 1870.</ref>.
Prima della proclamazione dell'unità d'Italia, il ''governo dittatoriale'' di Garibaldi concesse, con un decreto emanato il 25 settembre 1860 a Caserta, alla ditta [[Adami e Lemmi]] l'esclusiva delle ferrovie per il sud Italia<ref>[http://books.google.it/books?id=_usuAAAAYAAJ&pg=PA571&dq=Banca+Adami&cd=4#v=onepage&q=Banca%20Adami&f=false Decreto 25 settembre 1860]</ref>, con l'obbligo di estendere le esistenti linee alla Basilicata, Puglia e Calabria, di effettuare i collegamenti con le esistenti ferrovie papaline, procedere nella costruzione delle tratte ferroviarie siciliane, di costruire le grandi officine di riparazione e costruzione delle macchine e vagoni, di dotare le linee di collegamenti telegrafici e di adattare tutto l'impianto rotabile agli standard delle ferrovie dell'alta Italia dopo aver scelto se sia preferibile il sistema adottato "nell'antico regno Lombardo Veneto" o nel Piemonte. Col decreto alla ditta Adami e Lemmi era richiesto di depositare a titolo di cauzione l'equivalente di 500.000 lire e venne stabilito un sistema di pagamento lavori di tipo ''bonus et malus'' in funzione della tempistica di avanzamento dei lavori. Veniva inoltre richiesto l'impiego esclusivo di manodopera locale e di persone provenienti dall'[[esercito meridionale]]<ref>Il testo integrale del decreto è riportato, numerato come doc. 218 pagg. 516-521 in Giuseppe da Forio, ''Storia di Giuseppe Garibaldi - Volume secondo - Documenti'', Napoli, Stabilimento tipografico Perrotti, 1870.</ref>.
Il governo piemontese, però, non convalidò questa concessione<ref>{{cita |Rosario Romeo |p. 345}}</ref>, che fu affidata alla [[Società Vittorio Emanuele]]. La successiva proposta ''di mediazione'' che riservava a capitali francesi le linee adriatiche<ref>[http://books.google.com/books?id=r2EpAAAAYAAJ&pg=PA313&dq=adami+e+lemmi&hl=it&cd=5#v=onepage&q=adami%20e%20lemmi&f=false Decreto 119]</ref> non trovò attuazione.
==== L'emigrazione ====
{{Vedi anche|Emigrazione italiana}}
Dopo l'unificazione della penisola, oltre ad un aggravamento della situazione economica del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]], si ebbe un vertiginoso fenomeno [[emigrazione|migratorio]], quasi inesistente nel Sud prima del Risorgimento.<ref name="Massimo Viglione 2001, p. 98"/> Le statistiche sull'emigrazione mostrano un numero notevole di partenze dal Mezzogiorno verso l'estero dopo l'Unità, per l'aggravarsi della situazione contadina.<ref name=autogenerato6 /> L'emigrazione post-unitaria interessò anche il settentrione, in cui l'ondata migratoria fu maggiore rispetto al meridione nei primi anni di unificazione ma a partire dal '900 i flussi si intensificarono anche nel sud. Il [[Veneto]] (tra gli ultimi territori annessi), risultò la regione con il più alto tasso di espatri tra il [[1876]] ed il [[1900]].<ref>{{cita news|url=http://www.speakers-corner.it/rizzoli/stella/numeri/emi1.spm|pubblicazione=www.speakers-corner.it|autore=[[Gian Antonio Stella]]|titolo=Espatri dalle regioni italiane 1876 - 1900|accesso=7 ottobre 2010}}</ref> Nel [[1901]], l'allora presidente del consiglio [[Giuseppe Zanardelli]], in visita in diverse città del meridione, giunse a [[Moliterno]] ([[provincia di Potenza|Potenza]]) e fu accolto dal sindaco che lo salutò "''a nome degli ottomila abitanti di questo comune, tremila dei quali sono in America, mentre gli altri cinquemila si preparano a seguirli''".<ref>Denis Mack Smith, ''Storia d'Italia dal 1861 al 1948'', La Terza Editore, Bari, 1960, p. 375</ref>
== Il revisionismo nell'arte ==
{{Vedi anche|Revisionismo del Risorgimento nell'arte}}
Il revisionismo del Risorgimento ha trovato espressione in ambito artistico, letterario e cinematografico attraverso un certo numero di opere ed autori che ne hanno veicolato idee e concetti. Uno dei primi ad esprimere le proprie posizioni, narrando in forma poetica la storia alternativa del Risorgimento, fu [[Ferdinando Russo]]. Sempre in ambito letterario, [[Carlo Alianello]] narrò nel romanzo [[L'Alfiere (romanzo)|L'Alfiere]] le vicende di un giovane ufficiale dell'Esercito delle Due Sicilie a cavallo dell'unificazione italiana. Anche nel cinema vi sono numerosi esempi di narrazione alternativa dei fatti. Su tutti vanno ricordati [[Li chiamarono... briganti!]] e [[Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato|Bronte]]. Nella musica popolare, ad opera soprattutto di [[Eduardo Bennato]], [[Eugenio Bennato]], [[Eddy Napoli]], vi sono numerosi esempi di revisione dei fatti risorgimentali. Negli ultimi anni, il cabarettista [[Paolo Caiazzo]] affronta nei suoi monologhi questo tema, raccontando la storia da parte dei vinti.
== Revisionismo nell'uso del termine Borboni ==
{{C|L'argomento è di natura puntiforme e può essere tranquillamente accorpato al paragrafo delle critiche: Diversamente, costituisce a mio parere un caso di "ingiusto rilievo"|storia|febbraio 2015}}
Recentemente il revisionismo afferma che non sia corretto utilizzare il termine “Borboni” per indicare la casa regnante dell'ex Regno di Napoli, dichiarando che il termine da utilizzare sarebbe “Borbone”, e la forma "Borboni" sarebbe un errore grammaticale<ref>[http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/iniziative/2010/2010_08_31.PDF Borbone o Borboni ? Criticando un articolo comparso sulla rivista "Due Sicilie"]</ref><ref>[http://www.ilgiornale.it/news/singolare-o-plurale-sempre-borboni-sono.html [[Paolo Granzotto]] Singolare o plurale, sempre Borboni sono]</ref><ref>[http://partitodelsud.blogspot.com/2010/04/lettera-aperta-rizzo-sergio-e-stella.html Criticando i giornalisti [[Sergio Rizzo]] e [[Gian Antonio Stella]] per aver scritto "borboni" in un loro articolo]</ref><ref>[http://www.duesicilie.org/spip.php?article99 Segue la polemica Ancora su Borbone e Borboni Qual è la forma corretta?]</ref><ref>Vedi pag. 55 Giuseppe Maresca, ''Era di Maggio. La storia stracciata'', Lampi di stampa, 2012, ISBN 978-88-488-1358-7</ref>.
[[Sergio Romano]] a chi, in una lettera al [[Corriere della Sera]], gli contesto' l'uso di Borboni, ha fornito la seguente spiegazione: ''Vi sono lingue, come il francese e l'inglese, in cui i cognomi possono prendere il plurale. In italiano, invece, conservano il singolare (gli Sforza, gli Este, i Bonaparte, gli Asburgo). Bisognerebbe dire quindi, i Borbone. Ma per questa dinastia franco-spagnola prevalse l'uso francese e i «Bourbons» divennero spesso i Borboni.''<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/2010/luglio/10/Lettere_Corriere_co_9_100710070.shtml 10 luglio 2010 - Corriere della Sera]</ref>.
Il termine Borboni per indicare la dinastia borbonica è correntemente utilizzato nelle opere di importanti letterati, storici e meridionalisti come: [[Benedetto Croce]]
<ref>La Rivoluzione napoletana 1799, Bari,Gius. Laterza e figli, 1912<br />
Il termine Borboni viene indicato alle pagg. 122, 127, 132, 145.</ref>, [[Raffaele De Cesare]]
<ref>“La fine di un Regno” – vol. II, S.Lapi Editore, Città di Castello, 1910.<br />
Il termine Borboni viene indicato alle pagine: 9,43, 110, 131, 153, 198, 246, 260, 291-292, 306, 315, 350, 392.</ref>, [[Pasquale Villari]]
<ref>LETTERE MERIDIONALI ED ALTRI SCRITTI SULLA QUESTIONE SOCIALE IN ITALIA - FIRENZE - SUCCESSORI LE MONNIER 1878.<br />
Il termine Borboni viene citato alle pagine 6,34,47,75.</ref>, [[Giustino Fortunato]]
<ref>IL MEZZOGIORNO E LO STATO ITALIANO – VOL. II – Discorsi politici 1880-1910 – Bari – Gius. Laterza e Figli – 1911.<br />
Il termine Borboni viene citato alle pagine: 190, 226, 314, 336, 338.</ref>, [[Francesco Saverio Nitti]]
<ref>L'ITALIA ALL'ALBA DEL SECOLO XX - Discorsi ai giovani d'Italia,1901, Casa Editrice Nazionale, ROUX E VIARENGO,TORINO – ROMA.<br />
Il termine Borboni viene citato alle pagine: 109, 110, 111, 118.</ref>, [[Giacinto de' Sivo]]
<ref>“STORIA DELLE DUE SICILIE DAL 1847 AL 1861” – Vol. terzo - Verona, Tipografia Vicentini e Franchini,1865,<br />Il termine Borboni viene indicato alle pagg. 35, 37, 65, 104,112, 138, 157, 158, 167, 176, 190, 234, 239, 246, 247, 256, 258, 267, 269, 274, 303, 316.</ref> e anche da molti altri autori importanti dell'Ottocento e novecento, come risulta dai testi di [[Lazzaro Papi]]<ref>Comentarii della rivoluzione francese: dalla congregazione degli Stati generali fino al ristabilimento dei Borboni sul trono di Francia. - Lazzaro Papi - Societa editrice della Biblioteca dei comuni italiani - Torino – 1853</ref>,
[[Giovanni La Cecilia]]<ref>
Storie segrete delle famiglie reali o Misteri della vita intima dei Borboni di Francia, di Spagna, di Parma, di Napoli, e della famiglia Absburgo – Giovanni La Cecilia – Genova – 1859</ref>,
[[Napoleone Colajanni (1847)]]
<ref>Nel regno della Mafia, dai Borboni ai Sabaudi – Napoleone Colajanni – Rivista popolare – Roma – 1900.</ref>,
[[Carlo Afan de Rivera]]
<ref>CONSIDERAZIONI SU I MEZZI DA RESTITUIRE IL VALORE PROPRIO CHE HA LA NATURA LARGAMENTE CONCEDUTO AL REGNO DELLE DUE SICILIE<br />
NAPOLI - DALLA STAMPERIA E CARTIERA DEL FIBRENO Strada Trinità Maggiore, N.°26 - 1842.<br />
<br />pag. 44 - Intanto nel corso di otto secoli dalla fondazione della monarchia sotto i Normanni fino al ristabilimento di quella sotto la Dinastia de' Borboni, …<br /></ref>,
[[Giuseppe Buttà]]<ref>i Borboni di Napoli al cospetto di due secoli, Edizioni Trabant</ref>, [[Pietro Calà Ulloa]],<ref>“È vide la mina della patria in quella de' Borboni.” (Pag. 214) – “Di Carlo Filangieri nella storia dé nostri tempi” di Pietro Calà Ulloa – NAPOLI - TIPOGRAFIA DEI FRATELLI TORNESE - S. Geronimo alle Monache - 1876</ref> [[Michelangelo Schipa]]<ref>Il Regno di Napoli sotto i Borboni, Pierro, Napoli, 1900</ref>, [[Raffaele Cotugno]],
<ref>Tra reazioni e rivoluzioni; contributo alla storia dei Borboni di Napoli dal 1849 al 1860 – Raffaele Cotugno - Lucera, M.& R.Frattarolo, [19-]</ref>
[[Alexandre Dumas (padre)]]
<ref>Borboni di Napoli – Alessandro Dumas – Seconda Edizione – Stabilimento tipografico del Plebiscito, Strada di Chiaia n° 63 – Napoli – 1864.</ref>,
[[Antonio Gramsci]]<ref>”… mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.”- tratto da: La questione meridionale, Antonio Gramsci; - Roma: Editori Riuniti, 1966. – (pag. 5)</ref>, [[Denis Mack Smith]]<ref>I Borboni, che avevano governato Napoli e la Sicilia prima del 1860, erano stati tenaci sostenitori di un sistema feudale … (pag. 5)</ref> ed altri autori come Ramiro Barbaro de' Marchesi di San Giorgio
<ref>Napoli i Borboni ed il Governo Italiano – Ramiro Barbaro de' Marchesi di San Giorgio – Malta – 1861.</ref>, Emmanuele De Benedictis
<ref>Siracusa sotto la mala signoria degli ultimi Borboni – Emmanuele De Benedictis – Stamperia dell'unione tipografico-editrice – Torino – 1861.</ref>, Giambattista De Mari
<ref>Le Due Sicilie sotto i Borboni e sotto i Savoia – Giambattista De Mari, Principe di Acquaviva – Bari – 1863.</ref>, Vincenzo Albarella D'Afflitto
<ref>Gli ultimi Borboni al cospetto delle attuali libertà d'Italia – Vincenzo Albarella D'Afflitto – Della tipografia nazionale di V. De Ninno – Bari – 1865</ref>, Francesco Guardione
<ref>Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861 – Francesco Guardione –
Società tipografico-editrice Nazionale (già Roux e Viaregno)– Torino – 1907</ref>,
Domenico Demarco<ref>Il crollo del regno delle Due Sicilie - Demarco, Domenico - Napoli, 1960 - (Borboni citato pagg. 198, 200)</ref>,
Antonio Saladino<ref>Saggi di storia civile e storia delle istituzioni pubbliche nel regno di Napoli - Saladino, Antonio - Roma - Il Centro di ricerca - 1981. (Borboni citato a pagg. 78, 323)</ref>,
Francesco De Angelis<ref>Storia del Regno di Napoli sotto la dinastia Borbonica del cavalier Francesco de Angelis - De Angelis, Francesco - Napoli, G. Mosino [etc.] 1817-33. (Borboni citato Tomo I pag. 46)</ref>,
Giacomo Bugni<ref>COMPENDIO DI STORIA PATRIA OVVERO FATTI PRINCIPALI DELLA STORIA DEL REGNO DI NAPOLI DALLA PRIMITIVA ORIGINE FINO AI TEMPI NOSTRI - GIACOMO BUGNI- NAPOLI -
PRESSO GIUSTINO MEROLLA - Libreria della Minerva - Strada S.Anna de' Lombardi n.47 – 1854. (Borboni citato a pag. 508)</ref>,
Annibale Di Niscia<ref>Storia civile e letteraria del regno de Napoli: cioè dalla decadenza dell'impero romano sino alla dinastia presentemente regnante – Di Niscia, Annibale - Napoli -: [Stabilimento Tip. di G. Nobile], 1846 – (Borboni citato a pagg. 187, 213)</ref>,
[[Lodovico Bianchini|Ludovico Bianchini]]<ref>Della storia delle finanze del regno di Napoli: libri sette -
Bianchini, Lodovico – Napoli - Stamperia reale, 1859. 3. ed. riv. ed accresciuta dall'autore – (Borboni citato a pagg. 15, 317)</ref>,
[[Raffaele Ciasca]]<ref>Storia delle bonifiche del regno di Napoli - Ciasca, Raffaele - Bari, Laterza, 1928. (Borboni citato a pag. 69, 134)</ref>,
[[Pasquale Villani]]<ref>La vendita dei beni dello stato nel regno di Napoli, 1806-1815 - Villani, Pasquale - Milano - Banca Commerciale Italiana, 1964. (Borboni citato pagg. 17, 222)</ref>,
[[Harold Acton]]<ref>I Borboni di Napoli (1734-1825) - Aldo Martello Editore - 1960-1968 - Giunti Martello, Firenze 1974.</ref>,
[[Ruggero Moscati]]<ref>La fine del regno di Napoli, documenti borbonici del 1859-60 - Moscati, Ruggero – Firenze - F. -Le Monnier - 1960. (Borboni citato pagg. 25, 34)</ref>,
[[Gianni Oliva]]<ref>Un regno che è stato grande: la storia negata dei Borboni di Napoli e Sicilia - Oliva Gianni - Milano - Mondadori, 2012. 1. ed.</ref>,
[[Pietro Colletta]]<ref>Storia del Reame di Napoli o delle Due Sicilie - Colletta, Pietro - Milano - Franco Maria Ricci - 1995. ( Borboni citato Tomo I - pagg. 101, 143)</ref>,
[[Gaetano Salvemini]]<ref>Scritti sulla questione meridionale: 1896-1955 - Gaetano Salvemini - G. Einaudi, 1955 - 664 pagine – (Borboni citato a pagg. 34, 69, 88)</ref>,
[[Leopoldo Franchetti]]<ref>Condizioni economiche ed amministrative delle province napoletane – Leopoldo Franchetti - Firenze - TIPOGRAFIA DELLA GAZZETTA D ITALIA - Via del Cartellacelo, 8 – 1875 - (Borboni citato a pagg. 27, 59)</ref>,
[[Tommaso Pedio]]<ref>Vita politica in Italia meridionale 1860-1870 – Tommaso Pedio – Potenza - La Nuova Libreria ed. – 1966 – (Borboni citato pagg.12, 21, 48)</ref>,
[[Giuseppe Galasso]]<ref>Il Regno di Napoli, il Mezzogiorno spagnolo e austriaco - Galasso, Giuseppe - Torino - UTET, 2006. (Borboni citato pagg. 321, 557)</ref>.<br />
Anche il ramo borbonico del [[Ducato di Parma e Piacenza]] utilizzava l'espressione “i Borboni” nei suoi atti ufficiali<ref>
I Borboni di Parma nelle leggi e negli atti del Governo dal 1847 al 1859 – Edizione ufficiale – Parma – Tipografia del Governo – MDCCCLX</ref>.
Persino lo stesso re di Napoli, Ferdinando II, in una lettera al principe di Butera, ambasciatore a Parigi, utilizza l'espressione “i Borboni” per indicare la sua stessa casa regnante:
{{citazione| Le fallaci mire de’ rivoluzionari nel sostituire al ramo primogenito dei Borboni di Francia, quello degli Orléans, non ci sono occulte. }}
{{Citazione necessaria|In pratica l’espressione “i Borboni” è stata correntemente utilizzata da tutti gli autori di rilievo dal settecento fino ad oggi e buona parte di tali autori era nata e vissuta durante lo stesso Regno di Napoli, mentre l’uso dell’espressione “i Borbone” è recente}} e non risulta essere stata utilizzata che dall'ultima decade del novecento, da parte di alcuni autori, la prova è data dal fatto che non è possibile citare una sola frase da parte di autori anteriori agli anni novanta del novecento contenente la frase "i Borbone".
== Critiche al revisionismo del Risorgimento ==
{{Vedi anche|Interpretazioni revisionistiche del Risorgimento#Critiche ai revisionismi del_Risorgimento}}
L'approccio revisionista al Risorgimento, essendo legato ad una posizione largamente minoritaria in storiografia, è stato nel corso degli anni oggetto di varie critiche da parte di esponenti del mondo accademico e giornalistico.
Il revisionismo non tiene nella debita considerazione quanto affermano gli storici meridionali sulla effettiva situazione interna del [[Regno delle Due Sicilie]] e sulle condizioni di vita del popolo.
[[Giustino Fortunato]] sostenne che il Mezzogiorno fosse affetto da una povertà atavica, che sarebbe stata in gran parte determinata dalle avverse condizioni geografiche e climatiche della regione.<ref>«...io credo che il problema sociale delle Isole come in tutto il Mezzogiorno è «... il problema della miseria... sono regioni in grandissima parte non così naturalmente fertili, come si immagina, per condizioni difficilissime di clima e suolo, né suscettibili di altra produzione al di fuori di quella agricola...»Da Giustino Fortunato, ''Le Regioni'', 1896, in {{cita |Rosario Villari|pp. 245-246}}.</ref>.<br />
[[Tommaso Pedio]], pur cogliendo alcuni segnali di rinnovamento economico nel Regno delle Due Sicilie durante la prima metà dell'Ottocento, ha spesso riportato, nei suoi saggi, le misere condizioni in cui versavano all'epoca i lavoratori del Regno delle Due Sicilie, privi, nella maggior parte dei casi, di tutele e con bassi livelli di reddito.
[[Denis Mack Smith]] ritiene che le condizioni economiche e sociali del Meridione preunitario fossero proprie di regioni arretrate e che la maggior parte degli abitanti dell'area vivesse nello squallore. Secondo lo storico inglese, le cause di tale situazione sarebbero da ricercare nei [[Borbone di Napoli|Borbone]] che egli ritenne sostenitori del sistema feudale: {{citazione|La differenza fra Nord e Sud era radicale. Per molti anni dopo il 1860 un contadino della Calabria aveva ben poco in comune con un contadino piemontese, mentre Torino era infinitamente più simile a Parigi e Londra che a Napoli e Palermo; e ciò in quanto queste due metà del paese si trovavano a due livelli diversi di civiltà.<br />
I poeti potevano pure scrivere del Sud come del giardino del mondo, la terra di Sibari e di Capri, ma di fatto la maggior parte dei meridionali vivevano nello squallore, perseguitati dalla siccità, dalla malaria e dai terremoti. I Borboni, che avevano governato Napoli e la Sicilia prima del 1860, erano stati tenaci sostenitori di un sistema feudale colorito superficialmente dallo sfarzo di una società cortigiana e corrotta. Avevano terrore della diffusione delle idee ed avevano cercato di mantenere i loro sudditi al di fuori delle rivoluzioni agricola e industriale dell'Europa settentrionale. Le strade erano poche o non esistevano addirittura ed era necessario il passaporto anche per viaggi entro i confini dello Stato. In quell'"annus mirabilia" che fu il 1860 queste regioni arretrate furono conquistate da Garibaldi e annesse mediante plebiscito al Nord<ref>{{cita |Denis Mack Smith (1997)|p. 5}}</ref>.}}
[[Raffaele De Cesare]], nel suo libro [[La fine di un Regno]], descrive la mancanza di interesse per le condizioni di vita del popolo e le trascurate condizioni d'[[igiene]] pubblica, particolarmente nelle provincie del [[Regno delle Due Sicilie]], dove c'era scarsità di impianti di scarico fognario e spesso anche di acqua<ref name=autogenerato2>[https://archive.org/stream/lafinediunregnon02deceiala#page/116/mode/2up La fine di un Regno pag. 117]</ref>:
{{citazione| … Quasi non si sentiva nessun bisogno pubblico.
L'igiene si trascurava in modo che le condizioni della maggior parte dei comuni, ma singolarmente dei più piccoli, erano orribili addirittura.
Non fogne, non corsi luridi, non cessi nelle case, scarso l'uso
di acqua, dove c'era naturalmente; quasi nessun uso, dove non
c'era. Poche le strade lastricate o acciottolate, pozzanghere e
fanghiglia nelle altre, e in questo gran letamaio razzolavano polli,
e grufolava il domestico maiale. Bisogna ricordare che nei paesi
meridionali, generalmente, i contadini vivono nell'abitato, nella
parte vecchia, ch'è quasi sempre più negletta e fomite (causa) di malattie
infettive. Ma tutto ciò sembrava così naturale, che nessuno se ne
maravigliava; e se, di tanto in tanto, si compiva qualche opera
pubblica, era piuttosto un abbellimento o una superfluità. La povera gente era abbandonata a sé stessa, mentre il galantuomo, aveva le case sulla strada principale, ovvero innanzi al suo portone si faceva costruire un metro di lastricato, per suo uso personale. I municipii, come si è detto, non avevano mezzi. }}
Lo storico [[Raffaele De Cesare]] continua la sua descrizione delle disagiate condizioni del popolo del [[Regno delle Due Sicilie]] illustrando anche la scarsa attenzione da parte della monarchia per le disparità sociali e le misere condizioni di vita del popolo provinciale<ref name=autogenerato2 />:
{{citazione|Non il principe, non le autorità si maravigliavano di un simile stato di cose. Ferdinando II aveva percorse più volte le provincie, e le condizioni moralmente e socialmente miserrime, le vedeva, ma non le intendeva. Se non rivolse mai le sue cure alla capitale, non era sperabile che le rivolgesse alle Provincie. Certi bisogni erano superfluità per lui; gli bastava ordinare la costruzione di una nuova chiesa o convento, per credere di aver così appagato il voto delle popolazioni. Negli ultimi tempi manifestò una certa energia nel volere la costruzione dei cimiteri; ma in tanta parte del Regno, di qua e di là dal Faro, anche dopo di averli costruiti, si seguitò a seppellire i galantuomini nelle chiese e a buttare la povera gente nelle ‘’fosse carnarie‘’<ref>fosse carnarie = fosse comuni</ref>. Anche innanzi alla morte l'eguaglianza civile era una parola senza significato!}}
Ad ulteriore dimostrazione di quanto sopra la durata di vita media era di diversi anni inferiore al sud rispetto al nord ed esisteva un'incidenza maggiore di malnutrizione e sottoalimentazione<ref>{{cita pubblicazione |cognome= Felice|nome=Emanuele |anno=2007 |mese=marzo-aprile |titolo=I divari regionali in Italia sulla base degli indicatori sociali (1871-2001) |rivista=Rivista di Politica Economica |url=http://www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/Eman_felice.pdf}}</ref>.
Anche il meridionalista lucano [[Giustino Fortunato]] attribuiva le cause dei problemi del meridione ai secoli di storia antecedenti all'unità, precisando che nel 1860 la situazione economica del [[Regno delle Due Sicilie]] non era migliore di quella degli altri stati preunitari, né le imposte sempre minori. Egli criticava il sistema doganale, definito “medievale” e l'elevatissima spesa militare borbonica, mentre il regno mancava di scuole, strade, approdi marittimi ed di un sistema moderno di trasporti<ref>[https://archive.org/stream/ilmezzogiornoelo02fortuoft#page/336/mode/2up Giustino Fortunato, ‘'IL MEZZOGIORNO E LO STATO ITALIANO'’ - DISCORSI POLITICI (1880-1910)'', LATERZA & FIGLI, Bari, 1911, pagine 336-337 ]</ref>, di cui si riportano alcuni paragrafi significativi:
{{citazione|Quali i dati, secondo cui le due Sicilie sarebbero state, al 1860, superiori alle altre regioni d'Italia, in particolar modo al Piemonte ?
Poche le imposte, un gran demanio, tenue e solidissimo il debito pubblico, una grande quantità di moneta metallica in circolazione... È quello che ogni giorno si ripete comunemente.
Ora, né tutto è esatto né esso vale come indice di maggiore ricchezza pubblica e privata.
Poche le imposte, perché la ricchezza mobile e le successioni erano del tutto libere; ma ben gravi le tariffe doganali e la imposta sui terreni, assai più gravi che altrove.
La fondiaria, con gli addizionali, saliva tra noi a circa 35 milioni, mentre in Piemonte non dava più di 20; così anche per le dogane, che avevano cinto il Regno d'una immensa muraglia, peggio che nel medio evo, quando almeno ora Pisa e Venezia ora Genova e Firenze avevano quaggiù grazia di privilegi e di favori. Tutto ricadeva, come nel medio evo, per vie dirette sui prodotti della terra, per vie indirette su le materie prime e le più usuali di consumo delle classi lavoratrici.
Eran poche, si, le imposte, ma malamente ripartite, e tali, nell’insieme, da rappresentare una quota di lire 21 per abitante, che nel Piemonte, la cui privata ricchezza molto avanzava la nostra, era di lire 25,60. Non il terzo, dunque, ma solo un quinto il Piemonte pagava più di noi.
E, del resto, se le imposte erano quaggiù più lievi, non tanto lievi da non indurre il [[Luigi Settembrini|Settembrini]], nella famosa «Protesta» del 1847, a farne uno dei principali capi di accusa contro il Governo borbonico, assai meno vi si spendeva per tutti i pubblici servizi: noi, con 7 milioni di abitanti, davamo via trentaquattro milioni di lire, il Piemonte, con 5, quarantadue.
L'esercito, e quell'esercito!, che era come il fulcro dello Stato, assorbiva presso che tutto; le città mancavano di scuole, le campagne di strade, le spiagge di approdi; e i traffici andavano ancora a schiena di giumenti, come per le plaghe dell'Oriente.
Secoli di miseria e di isolamento, non i Borboni, ultimi venuti e, come un giorno sarà chiaro allo storico imparziale, non essi — di fronte al paese — unici responsabili del poco o nessun cammino fatto dal '15 al '60, durante quei tre o quattro decenni di fortunata tregua economica non mai avveratasi per lo innanzi: lunghi e tristi secoli di storia avevano compressa ogni forza, inceppato ogni moto, spento ogni lume, perché, suonata l'avventurosa ora del Risorgimento, noi avessimo potuto essere qualche cosa dippiù di quel niente che eravamo.
De' due terribili malanni — secondo il Cavour — del Mezzogiorno, la grande povertà, e, frutto di questa, la grande corruttela, i Borboni furono la espressione, non la causa: essi trovarono, forse aggravarono, non certo crearono il problema meridionale, che ha cause ben più antiche e profonde...}}<ref>{{cita libro|autore=[[Giustino Fortunato]]|titolo='' IL MEZZOGIORNO E LO STATO ITALIANO - DISCORSI POLITICI (1880-1910)''|editore=LATERZA & FIGLI|città=Bari|anno=1911|pagina= 336-337}}</ref>
La effettiva consistenza della flotta mercantile borbonica viene descritta dallo storico meridionale [[Raffaele De Cesare]], nel suo libro “[[La fine di un Regno]]”<ref>[https://archive.org/stream/lafinediunregnon01deceiala#page/164/mode/2up La fine di un Regno]</ref> come segue: {{citazione|''“La marina mercantile era formata quasi interamente di piccoli legni, buoni al cabotaggio e alla pesca e la montavano più di 40.000 marinari, numero inadeguato al tonnellaggio delle navi. La navigazione si limitava alle coste dell'Adriatico e del Mediterraneo, e il lento progresso delle forze marittime non consisteva nel diminuire il numero dei legni ed aumentarne la portata, ma nel moltiplicare le piccole navi. La marina mercantile a vapore era scarsissima, non ostante che uno dei primi piroscafi, il quale solcasse le acque del Mediterraneo, fosse costruito a Napoli nel 1818. Essa apparentemente sembrava la maggiore d'Italia, mentre in realtà alla sarda era inferiore, e anche come marina da guerra, era scarsa per un Regno, di cui la terza parte era formata dalla Sicilia e gli altri due terzi formavano un gran molo lanciato verso il Levante. La marina e l'esercito stavano agli antipodi: l'esercito era sproporzionato al paese per esuberanza, la marina per deficienza.”''|}}
[[Francesco Saverio Nitti]] nel suo libro ''Eroi e briganti'' (edizione 1899) pag. 9 spiega come il brigantaggio fosse un fenomeno endemico nel sud preunitario:
{{citazione|''ogni parte d'Europa ha avuto banditi e delinquenti, che in periodi di guerra e di sventura hanno dominato la campagna e si sono messi fuori della legge […] ma vi è stato un solo paese in Europa in cui il brigantaggio è esistito si può dire da sempre […] un paese dove il brigantaggio per molti secoli si può rassomigliare a un immenso fiume di sangue e di odi […] un paese in cui per secoli la monarchia si è basata sul brigantaggio, che è diventato come un agente storico: questo paese è l'Italia del Mezzodì.''}}
Le critiche alla dinastia dei Borboni venivano anche dagli stessi parenti stretti del re, [[Leopoldo di Borbone-Due Sicilie|Leopoldo]], Conte di Siracusa, figlio del re borbonico Francesco I°, critica infatti l'operato del re di Napoli Ferdinando II, suo fratello, come risulta dalle sue lettere alla madre Isabella di Spagna.
<ref>[https://archive.org/stream/unprincipeborbon00leop#page/10/mode/2up] “LEOPOLDO BENIAMINO GIUSEPPE, CONTE DI SIRACUSA - UN PRINCIPE BORBONICO DI NAPOLI COSTANTE ASSERTORE DI LIBERTA' “.
Lettere inedite del 1847-48 di Leopoldo conte di Siracusa alla madre Isabella di Spagna.
[[Benedetto Croce]]- BARI - GIUS. LATERZA & FIGLI - TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI – 1944.</ref>
{{citazione|
VII.
Parigi, 16 febbraio 1848. }}
{{citazione|Carissima mamma,
….Il nome di Borboni, grazie alle inutili e barbare esecuzioni e grazie all'eccidio di tante centinaia di vittime sacrificate ad un principio che non è certo quello del bene dell'umanità, risveglia un'idea di orrore in tutti, siano italiani siano esteri. (omissis)… }}
[[Antonio Gramsci]] evidenzia le diverse condizioni socio-economiche presenti nella penisola italiana nel 1860. (“La questione meridionale - Il Mezzogiorno e la guerra 1, pag. 5)<ref>[https://archive.org/stream/AntonioGramsciLaQuestioneMeridionale/Antonio%20Gramsci%20-%20La%20questione%20meridionale#page/n3/mode/2up La questione meridionale di Antonio Gramsci - Il Mezzogiorno e la guerra 1 – Progetto Manuzio - www.liberliber.it – tratto da: La questione meridionale, Antonio Gramsci; a cura di Franco De Felice e Valentino Parlato. - Roma: Editori Riuniti, 1966. - 159 p.; (Le Idee; 5)]</ref>
{{citazione|La nuova Italia aveva trovato in condizioni assolutamente antitetiche i due tronconi della penisola, meridionale e settentrionale, che si riunivano dopo più di mille anni.
L'invasione longobarda aveva spezzato definitivamente l'unità creata da Roma, e nel Settentrione i Comuni avevano dato un impulso speciale alla storia, mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.
Da una parte la tradizione di una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative, ed esisteva una organizzazione economica simile a quella degli altri Stati d'Europa, propizia allo svolgersi ulteriore del capitalismo e dell'industria.<br />
Nell'altra le paterne amministrazioni di Spagna e dei Borboni nulla avevano creato: la borghesia non esisteva, l'agricoltura era primitiva e non bastava neppure a soddisfare il mercato locale; non strade, non porti, non utilizzazione delle poche acque che la regione, per la sua speciale conformazione geologica, possedeva.<br />
L'unificazione pose in intimo contatto le due parti della penisola.}}
Studi, focalizzati a valutare la situazione esistente nel 1861 rispetto alle infrastrutture esistenti all'epoca e produttività industriale riportano differenze fra il nord e il sud<ref name=autogenerato12>Vedi pag. 420-421 [https://www.aspeninstitute.it/system/files/private_files/2011-07/doc/UNIFICAZIONE_ITALIANA_SEZIONE_4_F_P.pdf L'Unificazione Italiana – Treccani – volume pubblicato con il contributo di Aspen Italia – Sez IV)]</ref>.
Lo sviluppo della rete stradale del Centro-Nord è stimata approssimativamente di 75.500 km rispetto ai 14.700 km valutati per il Meridione ed isole, rapportando il chilometraggio all'estensione dell territorio vi erano di 626 km di strade per 1.000 km². nel Centro Nord rispetto a 108 km nel Meridione, con valori minimi di 81,1 km nel Lazio e 41 km in Sardegna.
La rete ferroviaria era globalmente inferiore paragonata ai principali paesi europei: Inghilterra, francia e Germania, con uno sviluppo totale stimato di 2.520 km di linee rotabili, di queste 869 km si trovavano in Piemonte, 756 km erano attivi nel Lombardo Veneto, 361 km in Toscana, nel Regno delle Due Sicilie, che aveva inaugurato la prima linea ferroviaria italiana, esercizio ferroviario era limitato nei dintorni di Napoli con 184 km, varie regioni italiane, ossia Calabria, Abruzzo e Molise, Puglie, Basilicata e le due isole maggiori, Sicilia e Sardegna, ne erano sprovviste.
Il confronto della produzione siderurgica con l'Inghilterra indica nel 1861 un divario produttivo superiore al 99% sia per il nord che per il sud del paese, tuttavia gli studi evidenziano che su una produzione annuale di 18.500 tonnellate di ferro, 17.000 fossero prodotte nel nord e solo 1.500 nel sud<ref name=autogenerato12 />.
Il divario economico tra il settentrione ed il meridione era già evidente nel 1860, considerando il dato statistico riferito alle società in accomandita italiane al momento dell'Unità, in base ai dati relativi alle società commerciali e industriali tratti dall'Annuario statistico italiano del 1864.<br />
Le società in accomandita erano 377, di cui 325 nel centro-nord, escludendo dal computo quelle esistenti nel Lazio, nel Veneto, del Trentino, nel Friuli e nella Venezia Giulia. Comunque, il capitale sociale di queste società vedeva un totale di un miliardo e 353 milioni, di cui un miliardo e 127 milioni nelle società del centro-nord (sempre prescindendo da Lazio, Veneto, Trentino, Friuli, Venezia Giulia) e soltanto 225 milioni nel Mezzogiorno.<br />
Per fare un paragone, il totale della riserva finanziaria dello stato borbonico era pari a 443,200 milioni di lire; praticamente un terzo del capitale delle società in accomandita del centro-nord escludendo diversi territori non ancora annessi.<br />
Le sole società in accomandita del Regno di Sardegna avevano un capitale totale che era quasi doppio di quello dello stato borbonico: 755,776 milioni contro 443,200 milioni di liquidi.<br />
Aggiungendo a quanto sopra anche il valore delle infrastrutture, rete stradale, ferroviaria e fluviale, ampiamente sviluppate al nord, il divario si mostrava evidente anche nel 1860.<ref>{{cita libro|autore= [[Mario Di Gianfrancesco]]|titolo='' La rivoluzione dei trasporti in Italia nell’età risorgimentale''|editore= [[Japadre]]|città=L’Aquila|anno=1979}}</ref>
La preesistenza del divario economico-produttivo nord-sud, anteriormente all'unità d'Italia, è citata anche da altri autori: [[Carlo Afan de Rivera]], reale funzionario dell'amministrazione borbonica, con le sue ''"Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie"'', descrive la situazione dell'agricoltura nel Sud preunitario e il grande ritardo economico di partenza con cui il Mezzogiorno d'Italia si trovava nel momento dell'unificazione<ref name=autogenerato10 />.<br />
[[Luciano Cafagna]], storico dell'economia, espone alcune delle ragioni che portano a ritenere infondata la tesi di uno sviluppo economico dell'Italia settentrionale a spese dell'Italia meridionale<ref>[http://www.150anni.it/webi/_file/documenti/risorgimento/italiaprimaedopounita/problemamezzogiorno/DivarioPartenza/Divpartenzadoc3.pdf Luciano Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d'Italia, Venezia, Marsilio, 1989, pp. 190-193, 206-212. ]</ref>.<br />
Emanuele Felice nella sua opera ''Perché il Sud è rimasto indietro'', illustra le ragioni del divario nord-sud indicandone le cause nelle problematiche interne al meridione.<ref name=autogenerato9 />
Il gruppo di studiosi presieduto da [[Ernesto Galli della Loggia|Galli della Loggia]] che ha curato il sito istituzionale per il 150° dell'unità, riporta la tesi che considera il divario Nord-Sud preesistente all'Unità e provocato principalmente dalla diversa storia dei due territori, già a partire dalla caduta dell'impero romano, differenza che sarebbe aumentata a partire dal 1300, accentuata da fattori geografici, dalla maggior facilità per le regioni settentrionali a comunicare con l'europa centrale,<ref name=autogenerato4 />.
Benché si parli di migliaia di morti nel forte di Fenestrelle, un altro recente vaglio storico, ad opera di Juri Bossuto, consigliere regionale piemontese di [[Partito della Rifondazione Comunista|Rifondazione Comunista]], ridimensiona notevolmente il numero delle vittime, riportandone solo quattro nel novembre del [[1860]] e tende a smentire il maltrattamento ai danni dei prigionieri borbonici, poiché sarebbero stati assistiti con vitto e cure sanitarie.<ref>[http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/07/08/news/i_morti_borbonici_a_fenestrelle_non_furono_40mila_ma_quattro-18872501/ I morti borbonici a Fenestrelle non furono 40mila, ma quattro - Torino - Repubblica.it<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref> Più recentemente anche lo storico [[Alessandro Barbero]] si è decisamente opposto alla tesi secondo cui a Fenestrelle furono uccisi o intenzionalmente lasciati morire i soldati borbonici.<ref>Alessandro Barbero, ''I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle'', Laterza, Bari-Roma, 2012.</ref>
La tesi revisionista, che vedrebbe il Sud ostile ai Savoia dopo l'Unità, non spiega il fatto che, durante il referendum Monarchia-Repubblica del 1946, fu proprio il Sud a votare a grande maggioranza in favore della monarchia Sabauda, mentre il Nord votò Repubblica, inoltre dal 1946 al 1972 i partiti monarchici, poi confluiti nel [[Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica]] (PDIUM), ottenevano ancora consensi soprattutto nel Meridione e a [[Napoli]], dove, in occasione del referendum del 1946, diversi cittadini napoletani morirono in [[Via Medina]], durante gli scontri in difesa della monarchia Sabauda, fatti noti come [[Strage di via Medina (1946)]],<ref>Marco Demarco, ''L'altra metà della storia: spunti e riflessioni su Napoli da Lauro a Bassolino''. Guida Editori, 2007</ref>.
Anche la tesi che vedrebbe il brigantaggio antisabaudo come fenomeno di resistenza antipiemontese, è smentito dalle pagine scritte dall'ex ufficiale dell'Esercito Pontificio Giulio Cesare Carletti nel suo libro “L'ESERCITO PONTIFICIO dal 1860 al 1870”, Viterbo, Tip. soc. Agnesotti & C.,1904, pagg.39-40-41<ref>[https://archive.org/stream/lesercitopontif00carlgoog#page/n41/mode/2up “L'ESERCITO PONTIFICIO dal 1860 al 1870”, Giulio Cesare Carletti, Viterbo, Tip. soc. Agnesotti & C.,1904, pagg. 39-40-41]</ref>.<br />
Il libro dell'ex ufficiale pontificio descrive la ferocia e spietatezza delle bande di briganti meridionali in fuga dall'ex Regno di Napoli, perché pressati e inseguiti dal Regio Esercito Italiano e dalla Guardia Nazionale, che si riversavano all'interno della parte meridionale dello Stato Pontificio, compiendovi ogni genere di crimini, furti, rapine, violenze alle fanciulle, atti certamente incompatibili con il presunto status di partigiani, che taluni revisionisti vorrebbero assegnare a tali bande criminali.<br />
Nel libro si illustra come, nel periodo 1864-1867, l'esercito pontificio, coadiuvato dal corpo antibriganti chiamato "Squadriglieri", dovette sostenere una lunga e dura lotta contro le numerose incursioni delle grosse bande ex borboniche, che sconfinando facevano razzie e commettevano delitti nei territori del Lazio meridionale, attività non configurabili come lotta antisabauda.
== Note ==
{{references|strette}}
== Bibliografia ==
* {{cita libro | cognome= Melito | nome= Dante | titolo= Il rischio elettrico negli ambienti di lavoro. Con CD-ROM | editore= Maggioli Editore | città= | anno= 2008 | isbn= 88-387-4757-1 | cid= Melito | url= http://books.google.it/books?id=byy6PFhw1UkC}}
{{div col}}
* P. Cardillo, guida allo studio e alla valutazione delle esplosioni di polveri.
* {{cita libro|wkautore= Harold Acton|nome=Harold|cognome=Acton|titolo= Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861)|anno= 1997|editore= Giunti Editore|città=Firenze|p=|pp=|cid= Harold Acton|ISBN=|isbn=88-09-21256-8}}
* J. Barton, Dust explosion, prevention and protection.
* {{cita libro|wkautore= Carlo Alianello|nome=Carlo|cognome=Alianello|titolo= La conquista del Sud|anno= 1982|editore= Rusconi|città=Milano|p=|pp=|ISBN=|isbn=88-18-01157-X}}
* F.P. Lees, Loss prevention in the process industries.
* {{cita libro|wkautore= Pino Aprile|nome=Pino|cognome=Aprile|titolo= Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero «meridionali»|anno= 2010|editore= Piemme|città=Milano|p=|pp=|ISBN=|isbn=978-88-566-1273-8}}
* {{cita libro|wkautore= Alessandro Barbero|nome=Alessandro|cognome=Barbero|titolo= I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle|anno= 2012|editore= Laterza|città=Roma-Bari|p=|pp=|ISBN=|isbn=978-88-420-9566-8}}
* {{cita libro|nome=Carmelo|cognome=Bonanno|titolo= L'età contemporanea nella critica storica|anno= 1973|editore= Liviana|città=Padova|p=|pp=259|ISBN=978-88-498-3129-0}}
* {{cita libro|nome=Alberto|cognome=Cappa|titolo= Cavour|anno= 1932|editore= G. Laterza & figli|città=Bari|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|wkautore= Martin Clark|nome=Martin|cognome=Clark|titolo= Il Risorgimento italiano : una storia ancora controversa|anno= 2001|editore= Rizzoli|città=Milano|p=|pp=|ISBN=|isbn=88-17-86673-3}}
* {{cita libro|nome=Raffaele|cognome=Cotugno|titolo= Tra reazioni e rivoluzioni contributo: alla storia dei Borboni di Napoli dal 1849 al 1860|anno= s.a.|editore= M. & R. Frattarolo|città=Lucera|p=|pp=|ISBN=}}
*{{Cita libro|autore=Vittorio Daniele, Paolo Malanima|titolo=Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011|anno=2011|editore=Rubbettino|città=|p=|pp=259|ISBN=978-88-498-3129-0}}
* {{cita libro|wkautore= Giacinto de' Sivo|nome=Giacinto|cognome=de' Sivo|titolo= Storia delle Due Sicilie 1847-1861|anno= 2009|editore= Edizioni Trabant|città=Brindisi|p=|pp=|ISBN=|isbn=978-88-96576-10-6}}
* {{cita libro|wkautore= Lorenzo Del Boca|nome=Lorenzo|cognome=Del Boca|titolo= Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento|anno= 2003|editore= Edizioni Piemme|città= Milano|p=|pp=|ISBN=|isbn= 88-384-7040-5}}
* {{cita libro|wkautore= Lorenzo Del Boca|nome=Lorenzo|cognome=Del Boca|titolo= Maledetti Savoia!|anno= 2001|editore= Edizioni Piemme|città= Casale Monferrato|p=|pp=|ISBN=|isbn= 88-384-4798-5}}
* {{cita libro|wkautore= Gigi Di Fiore|nome=Gigi|cognome=Di Fiore|titolo=Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento|anno=2007|editore=Rizzoli|città= Milano|p=|pp=|cid= Gigi Di Fiore (2007)|ISBN=|isbn=88-17-01846-5}}
* {{cita libro|wkautore= Gigi Di Fiore|nome=Gigi|cognome=Di Fiore|titolo=Potere camorrista: quattro secoli di malanapoli|anno=1993|editore=Guida Editore|città= Napoli|p=|pp=|cid= Gigi Di Fiore (1993)|ISBN=|isbn=88-7188-084-6}}
* {{cita libro|wkautore= Gigi Di Fiore|nome=Gigi|cognome=Di Fiore|titolo= I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli|anno=2004|editore=UTET Università|città=|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|wkautore= Gigi Di Fiore|nome=Gigi|cognome=Di Fiore|titolo= Gli ultimi giorni di Gaeta. L'assedio che condannò l'Italia all'Unità|anno=2010|editore= Rizzoli|città=|p=|pp=|ISBN=}}
* Lisetta Giacomelli, Roberto Scandone, ''Vulcani d'Italia'', Liguori Editore, Napoli, 2007. ISBN 978-88-207-4064-1
* {{cita libro|nome=Antonio|cognome=Gramsci|titolo= Quaderno 19, Risorgimento Italiano|anno= 1977|editore= Einaudi Editore|città=Torino|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Alfonso|cognome=Grasso e altri|titolo= La storia proibita. Quando i piemontesi invasero il Sud|anno= 2001|editore= Controcorrente|città=Napoli|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Herbert G.|cognome=Houze|titolo= Samuel Colt: arms, art, and invention|anno= 2006|editore= Yale University Press|città=New Haven|p=|pp=|ISBN=|isbn=0-300-11133-9}}
* {{cita libro|nome=Fulvio|cognome=Izzo|titolo= I lager dei Savoia. Storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali|anno= 1999|editore= Controcorrente|città=Napoli|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Roberto|cognome=Martucci|titolo= L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864|anno= 1999|editore= Sansoni|città=Firenze|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Marco|cognome=Meriggi|titolo= Breve storia dell'Italia settentrionale dall'Ottocento a oggi|anno= 1996|editore= Donzelli Editore|città=Roma|p=|pp=|ISBN=|isbn=88-7989-297-5}}
* {{cita libro|nome=Patrick Keyes|cognome=O'Clery|titolo= L'Italia dal Congresso di Parigi a Porta Pia|anno= 1980|editore= Istituto nazionale di studi romani|città=Roma|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Angela|cognome=Pellicciari|titolo= Risorgimento da riscrivere|anno= 2007|editore= Edizioni Ares|città=Milano|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Rosario|cognome=Romeo|titolo= Vita di Cavour|anno= 2004|editore= G. Laterza & figli|città= Bari|p=|pp=|ISBN=|isbn=88-420-7491-8}}
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* {{cita libro|wkautore= Denis Mack Smith|nome=Denis|cognome=Mack Smith|titolo= Storia della Sicilia medioevale e moderna|anno= 1976|editore= Laterza|città= Bari|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Mario|cognome=Spataro|titolo= I primi secessionisti:separatismo in Sicilia|anno= 2001|editore= Controcorrente|città=Napoli|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Editori|cognome=Vari|titolo= Cronaca degli avvenimenti di Sicilia da aprile 1860 a marzo 1861|anno= 1863|editore=|città= Italia|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Editori|cognome=Vari|titolo= Cronaca della guerra d'Italia 1861-1862|anno= 1863|editore= Tipografia Trinchi|città=Rieti|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Massimo|cognome=Viglione|titolo= Libera chiesa in libero stato?:il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epocale|anno= 2005|editore= Città Nuova Editrice|città=Roma|p=|pp=|ISBN=|isbn=88-311-0339-3}}
* {{cita libro|wkautore= Nicola Zitara|nome=Nicola|cognome=Zitara|titolo= L'unità d'Italia. Nascita di una colonia|anno= 1984|editore= Quale cultura|città=Cosenza|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Nicola|cognome=Zitara|titolo= L'invenzione del mezzogiorno. Una storia finanziaria|anno= 2011|editore= Jaca Book|città=Milano|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Nicola|cognome=Ostuni|titolo=Iniziativa privata e ferrovie nel regno delle Due Sicilie|anno=1980|editore= Giannini|città=Napoli|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|wkautore= Lodovico Bianchini|nome=Lodovico|cognome=Bianchini|titolo=Della storia delle finanze del Regno di Napoli|anno=1839|editore= Giannini|città=Napoli|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Dennis|cognome=Thomson|titolo=The Sulphur War (1840): A Confrontation between Great Britain and the kingdom of the Two Sicilies in the Mediterranean|anno=1989|editore= Michigan State University|città=|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|nome=Raffaele|cognome=Cotugno|titolo=Le lettere di W. E. Gladstone a Lord Aberdeen al lume di nuovi documenti|anno=1914|editore=Stab. Tip. Società Cooperativa|città=Bari|p=|pp=|cid=Cotugno (lettere)|ISBN=}}
* {{cita libro|wkautore= Rosario Villari|nome= Rosario|cognome= Villari|titolo= Il Sud nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale|anno= 1981|editore= Laterza|città= Roma-Bari|p=|pp=|cid= Rosario Villari|ISBN=}} {{NoISBN}}
* {{cita pubblicazione |nome=Nunzio |cognome=Coppola |anno=1955 |titolo=Visita di un «personaggio distinto» ai detenuti politici napoletani nel marzo 1850 |rivista=Rassegna Storica del Risorgimento |volume=vol. 42 |numero=|pp=613-630 |url=http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=39126 |cid=Coppola }}
* {{cita libro|autore= James Howard Harris Malmesbury|titolo= Memoirs of an Ex-Minister. An Autobiography|anno= 1999|editore= Elibron|città= Londra|lingua= inglese|p=|pp=|volume= Volume 2|cid= James Howard Harris Malmesbury|ISBN=|isbn= 1-4021-2938-6}}
* {{cita libro|autore= Cecilia Gatto Trocchi|titolo= Il Risorgimento esoterico, storia esoterica d'Italia da Mazzini ai giorni nostri|anno= 1996|editore= Mondadori|città=|p=|pp=|cid= Cecilia Gatto Trocchi|ISBN=}}
* {{cita libro|autore= Pierluigi Baima Bollone|titolo= Esoterismo e personaggi dell'Unità d'Italia. Da Napoleone a Vittorio Emanuele III|anno= 2011|editore= Priuli e Verlucca|città=|p=|pp=|cid= Pierluigi Baima Bollone|ISBN=}}
* {{cita libro|autore= Sandro Consolato|titolo=Dell'elmo di Scipio. Risorgimento, storia d'Italia e memoria di Roma|anno= 2012|editore= flower-ed|città=|p=|pp=|cid= Sandro Consolato|ISBN=|isbn= 978-88-97815-05-1}}
* {{cita libro|autore=[[Edward C. Banfield]]|titolo=''Le basi morali di una società arretrata''|anno=1976|editore=[[Il Mulino]]|città=Bologna|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|autore=Robert D. Putnam|titolo= ''La tradizione civica nelle regioni italiane''|anno=1993|editore=[[Arnoldo Mondadori Editore|Mondadori]]|città=Milano|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|autore=Cosimo Perrotta e Claudio Sunna|titolo=''L'arretratezza del Mezzogiorno, - Le idee, l'economia, la storia''|anno=2012|editore=[[Pearson Paravia Bruno Mondadori|Bruno Mondadori]]|città=Milano|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|autore=[[Raffaele De Cesare]]|titolo=''[[La fine di un Regno]]''|anno=1900, 1908-1909|editore=S. Lapi|città=Città di Castello|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|autore=Giovanni Bursotti|titolo=''Biblioteca di Commercio, Anno II, vol. III ''|anno=1845|editore=|città=Napoli|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|autore=Mario Di Gianfrancesco|titolo='' La rivoluzione dei trasporti in Italia nell'età risorgimentale. L'unificazione del mercato e la crisi del Mezzogiorno ''|anno=1979|editore=Japadre|città=L'Aquila|p=|pp=|ISBN=}}
* {{cita libro|autore= [[Giovanni Carano Donvito]]|titolo='' L'economia meridionale prima e dopo il Risorgimento ''|anno=1928|editore=[[Vallecchi]]|città=Firenze|p=|pp=|ISBN=}}
* [[Carlo Afan de Rivera]], ''Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie'', Napoli, 18332 II, pp. 35–38, 40-45, 52-55 - riprodotto in D. Mack Smith, ''Il risorgimento italiano. Storia e testi'', Bari, Laterza, 1968, pp. 152–155.
* [[Luciano Cafagna]], Dualismo e sviluppo nella storia d'Italia, Venezia, Marsilio, 1989.
* Emanuele Felice, ''Perché il Sud è rimasto indietro'', Il Mulino, Bologna, pagg. 258, 2013
* {{cita libro|autore= [[Mario Di Gianfrancesco]]|titolo=La rivoluzione dei trasporti in Italia nell'età risorgimentale. L'unificazione del mercato e la crisi del Mezzogiorno|anno=1979|editore= [[Japadre]]|città=L'Aquila|p=|pp=|ISBN=}}
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== Voci correlate ==
* [[Esplosione]]
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* [[Polvere]]
* [[Brigantaggio postunitario italiano]]
* [[Emigrazione italiana]]
* [[Interpretazioni revisionistiche del Risorgimento]]
* [[Meridionalismo]]
* [[Plebisciti del Regno d'Italia]]
* [[Piemontesizzazione]]
* [[Questione meridionale]]
* [[Regno delle Due Sicilie]]
* [[Revisionismo]]
* [[Risorgimento]]
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==Altri progetti==
== Collegamenti esterni ==
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* {{cita web|http://www.centrostudicivitanovesi.it/AltriRisorgimentiWEB.pdf|Centro Studi Civitanovesi: ''ALTRI RISORGIMENTI'', otto conferenze dedicate al 150º anniversario dell'Unità d'Italia.}}
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