Emilio Franceschini: differenze tra le versioni
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'''Emilio Franceschini''' è
==Storia==
La traduzione apparsa a firma "Emilio Franceschini" è in realtà una delle prime traduzioni italiane de ''Il conte di Montecristo'', quella del 1869 pubblicata, anonima, da [[Sonzogno (editore)|Sonzogno]].<ref name=stam /><ref name=gior /> Nel [[1984]] la casa editrice [[Mondadori Editore|Mondadori]] ripubblicò l'opera di Dumas, riproponendola con la traduzione del 1869, a sua volta ripresa dall'editore [[Adriano Salani Editore|Salani]]: allorché si trattò d'inserire il nome del traduttore, i curatori dell'edizione scelsero lo pseudonimo "Emilio Franceschini".<ref name=stam /><ref name=gior /> Le caratteristiche della traduzione "Franceschini" sono la presenza di arcaismi<ref name=stam /> e uno stile ripetitivo e poco scorrevole, ottenuto ricalcando il testo dello stesso Dumas.<ref>{{Cita|Eco|p. VII-IX.}}</ref> Inoltre, la traduzione è incompleta e manca di alcune parti presenti invece nel testo originale.<ref>{{Cita|Miccinelli; Animato|p. 18
La vicenda dell'invenzione del traduttore Emilio Franceschini è stata scoperta dall'editore Carmine Donzelli, che ha pubblicato nel [[2010]] una nuova traduzione de ''Il conte di Montecristo'', illustrando nell'introduzione le sue ricerche e la conclusione cui lo avevano portato.<ref>{{Cita|Dumas|p. VI.}}</ref> A parere dello stesso Donzelli, la traduzione "Franceschini" è stata tanto a lungo ripubblicata, quasi immutata, perché il romanzo di Dumas era considerato poco importante (lo stesso [[Umberto Eco]], nel suo saggio ''Elogio del Montecristo'', sostiene che il libro sia stato a lungo considerato [[paraletteratura]]<ref>{{Cita|Eco|p. VII.}}</ref>), e che quindi non gli sia stata dedicata molta attenzione al momento di verificare la correttezza della traduzione.<ref name=stam /><ref name=gior />
== Tagli e censure ne “Il conte di Montecristo”==▼
Ecco di seguito alcune delle censure apportate da Emilio Franceschini al testo originale. A sinistra vi è la sua traduzione, a destra quella di Lanfranco Binni dell'edizione Garzanti.
===Capitolo XII===
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||Il re! Volete sapere come sono andate le cose? |lingua=it}}
===Capitolo XVI===
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E il vecchio chinò la testa.
Dantès non capiva come un uomo potesse rischiare la vita per simili interessi; è anche vero che, se conosceva Napoleone per averlo visto e avergli parlato, in compenso non sapeva affatto chi fossero Clemente VII e Alessandro VI
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===Capitolo XVII===
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||La filosofia non s’impara, la filosofia è la riunione delle scienze imparate nel genio che le applica|lingua=it}}
===Capitolo XX===
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||Non era meglio morire, anche col rischio di passare per la lugubre porta dei patimenti?|lingua=it}}
===Capitolo XXIII===
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||Il difetto non era di Dantès, ma della nostra natura che crea desideri infiniti|lingua=it}}
===Capitolo XXXI===
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||Diavolo! Questo cambia tutto: sei giorni! Sarebbe troppo|lingua=it}}
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||Accade dei pirati come degli assassini, che quantunque siano creduti sterminati, pure aggrediscono tutt'i giorni i viaggiatori fin sotto le porte della città. È successo presso Velletri, saranno passati sei mesi|lingua=it}}
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||Senza dubbio, essi sono stati perseguitati non per altro, che per aver fatta la pelle a qualcuno, mossi da spirito di vendetta (del che non li lodo), ma pure accade così|lingua=it}}
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Simbad trasalì e lo guardò fisso.
«Da che cosa lo capite?» domandò.
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<<Io conduco la vita più felice che si conosca, una vera vita da pascià: mi piace un luogo, vi resto|lingua=it}}
▲{{quote|Obbedivano ai suoi ordini come a quelli di Dio
||L'obbedivano ciecamente|lingua=it}}
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||Allora per Franz che subiva per la prima volta l'effetto dell'hashish, fu una voluttà, come quello che prometteva il Vecchio della Montagna ai suoi seguaci|lingua=it}}
===Capitolo XXXIV===
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||Farei in modo di parlare ad uno che conosco pregandolo di ottenere che l'esecuzione si differisca a quest'altro anno: quindi nel corso dell'anno tornerei a parlare con commovente eloquenza ad un altro tale che pure conosco, e lo farei evadere di prigione|lingua=it}}
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||Le graziose contesse genovesi, fiorentine e napoletane si erano conservate per i loro mariti, per i loro amanti, ed Alberto aveva acquistata la crudele convinzione che le italiane sanno essere almeno fedeli|lingua=it}}
===Capitolo XXXV===
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||Allungò una mano, e tirò il cordone del campanello. Subito entrò un individuo|lingua=it}}
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||Non c'è nella vita una preoccupazione più grave di quella della morte... Ebbene non è curioso studiare in quanti differenti modi l'anima può uscir dal corpo, e come, secondo i caratteri, i temperamenti, ed anche i costumi dei paesi, gl'individui sopportino questo supremo passaggio?|lingua=it}}
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||Senza calcolare che a volte è il reo che riporta il vantaggio nel duello, e viene così scolpato agli occhi del mondo.|lingua=it}}
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«Oh sì! - rispose il conte – ma intendiamoci: mi batterei in duello per una sciocchezza, per un insulto, per una smentita, per uno schiaffo, e con tanta più noncuranza in quanto, grazie all'abilità che ho acquisito in tutti gli esercizi del corpo ed alla lenta abitudine al pericolo, sarei quasi sicuro di uccidere il mio avversario. Oh sì! Mi batterei in duello per queste cose; ma per un dolore lento, profondo, infinito, eterno, restituirei, se fosse possibile, un dolore pari a quello che mi hanno fatto soffrire: occhio per occhio, dente per dente, come dicono gli orientali, nostri maestri in ogni cosa, quegli eletti della creazione che hanno saputo costruirsi una vita di sogni ed un paradiso di realtà »
«Ma – disse Franz al conte, – con questa teoria che vi istituisce giudice e carnefice nella vostra causa, è difficile che vi conteniate nei giusti limiti, in modo da evitare di volta in volta i rigori della legge. L’odio è cieco, la collera stordisce, e colui che si versa la vendetta rischia di bere un’amara pozione». «Sì, se è povero e maldestro, ma non se è abile e milionario» ||«Voi disapprovate dunque il duello? Dunque non vi battereste in duello?» domandò a sua volta Alberto, meravigliato nel sentire una tale teoria.
«No certamente, non mi batterei» disse il conte.
«Ma – disse Franz al conte, – con questa teoria che vi istituisce giudice
«Anche questo può essere vero, e qualche volta abbiamo visto avverarsi ciò che ora affermate»|lingua=it}}
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||Anzi Alberto faceva onore alla colazione come un uomo condannato da quattro o cinque mesi ad una cucina ben differente dalla sua.|lingua=it}}
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||Ma l'uomo, a cui Iddio ha imposto per prima, per unica, per suprema legge l'amore del prossimo, l'uomo a cui Iddio ha dato la parola per esprimere il pensiero, ora vedetelo qui con i vostri propri occhi, che va sulle furie perché va a morir solo, perché sa che il compagno è salvo. In verità, non me lo sarei mai aspettato! Ecco là, non più terrore, non più rassegnazione; oh, disgraziata creatura, quanto è lacrimevole la tua sorte!|lingua=it}}
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||I due aiutanti avevano portato con grande stento il paziente ai piedi della scala fatale. Il misero si dibatteva, si contorceva e puntava i piedi, gettandosi con tutta la persona all'indietro.
Uno di quei due tentò di acquistare qualche vantaggio col salire alcuni scalini dalla sua parte, e tirarlo a sé mentre l'altro lo avrebbe sospinto all'insù.
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===Capitolo XXXVI===
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||Avviene del moccoletto ciò che accade alla vita degli uomini. Per quanto è in potere loro, si adoperano a conservarla, e sebbene certi che presto o tardi debba aver fine, tuttavia hanno indagato e scoperto mille modi per reciderla|lingua=it}}
===Capitolo XXXVIII===
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||Ventiquattro mila lire nella nostra moneta, somma per la quale non mi avrebbero tanto stimato in Francia|lingua=it}}
===Capitolo XL===
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||«Davvero» disse, «gli uomini non sono tutti eguali.»|lingua=it}}
===Capitolo XLII===
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«Ebbene, vediamo, signor còrso, supponiamo che si tratti della Provvidenza; per quanto mi riguarda, sono sempre aperto a qualunque supposizione».
||«Tutto ciò non può essere opera del caso.»
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===Capitolo XLIII===
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||«Ciò mostrava che tu avevi fede...» disse Montecristo|lingua=it}}
===Capitolo XLIV===
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||«Non lo sperate, Bertuccio» disse il conte. «I cattivi non muoiono così, sembra che Dio li prenda per farne gli strumenti della sua giustizia»|lingua=it}}
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||Voi sapete tutto, signor conte, siete il mio giudice quaggiù|lingua=it}}
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||Rientrate dunque, Bertuccio, e andate a dormire in pace|lingua=it}}
===Capitolo XLVII===
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||La legge del taglione che ho ritrovata la più conforme al bisogno e la più esaustiva |lingua=it}}
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||Voi vedete ogni cosa sotto il punto di vista più ristretto, più circoscritto che sia stato permesso all'umana intelligenza di abbracciare|lingua=it}}
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||Ho desiderato di essere fatto strumento della Provvidenza|lingua=it}}
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||Vi è, per esempio, l'apoplessia, questo colpo di fulmine che vi colpisce senza distruggervi, ma dopo il quale però tutto è finito; siete sempre voi, e ciò nonostante non siete più voi. Venite, se vi piace continuare questa conversazione, venite in casa mia, signor conte, un giorno che abbiate volontà d'incontrarvi in un avversario capace di comprendervi ed avido di confutarvi e vi mostrerò mio padre, il signor Noirtier Villefort, un uomo che come voi, non aveva forse veduto tutti i regni della terra, ma aveva aiutato a rovesciarne uno dei più forti; un uomo che come voi si credeva inviato da Dio, dall'Essere supremo, dalla Provvidenza... Ebbene,
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||Sono un poco medico, e qui rammenterò che la Provvidenza si palesa nei fatti che ci cadono sotto gli occhi, e non potete negarlo|lingua=it}}
===Capitolo LI===
{{citazione|Gli orientali sono più forti di noi nei casi di coscienza, ed hanno prudentemente eliminato l'inferno, ecco tutto
||Gli orientali sono più coraggiosi di noi, ecco tutto|lingua=it}}
{{citazione|«Resta la coscienza» disse la signora di Villefort con voce emozionata e soffocando un sospiro.
«Sì – disse Montecristo, – sì, fortunatamente resta la coscienza, senza la quale saremmo terribilmente sventurati. Dopo ogni azione un po’ energica, è la coscienza a salvarci, fornendoci mille buone giustificazioni di cui siamo i soli giudici; e queste ragioni, per quanto eccellenti per conservarci il sonno, sarebbero probabilmente di scarso valore davanti a un tribunale per conservarci la vita. Così, per esempio, Riccardo III dovette sentirsi meravigliosamente servito dalla sua coscienza dopo la soppressione dei due figli di Edoardo IV; in effetti poteva dire a se stesso: “Questi due figli di un re crudele e tirannico, che avevano ereditato i vizi del padre che solo io riconobbi nelle loro inclinazioni giovanili, questi due figli mi erano da ostacolo per assicurare la felicità al popolo inglese, al quale avrebbero inevitabilmente assicurato la rovina”. Nello stesso modo fu servita dalla sua coscienza lady Macbeth che voleva, qualunque cosa ne abbia detto Shakespeare, dare un trono non al marito ma al figlio. Ah, l’amore materno è una così grande virtù, un movente talmente potente, che si fa perdonare molte cose; così, dopo la morte di Duncan, lady Macbeth sarebbe stata molto sventurata senza la sua coscienza».
La signora di Villefort assimilava avidamente quelle massime spaventose e quegli orribili paradossi spacciati dal conte con l’ingenua ironia che gli era propria.
Poi, dopo un attimo di silenzio:
«Sapete, signor conte – disse lei, – che le vostre argomentazioni sono terribili e che vedete il mondo sotto una luce un po’ livida? È forse guardando l’umanità attraverso gli alambicchi e le storte che l’avete giudicata così? Perché avevate ragione: voi siete un grande chimico, e quell’elisir che avete fatto prendere a mio figlio, e che l’ha fatto rinvenire con tanta rapidità…».
||«Resta la coscienza» disse la signora di Villefort con voce commossa e soffocando un sospiro.
Montecristo voleva continuare, ma lei lo interruppe come per cambiare discorso.
«Tutto mi conduce a stimarvi» disse «per un gran chimico, e quell'elisir che avete fatto prendere a mio figlio, che lo ha così rapidamente richiamato alla vita...»|lingua=it}}
===Capitolo LXXXVIII===
{{citazione|«È scritto nel Libro sacro – rispose Montecristo, – “Le colpe dei padri ricadranno sui figli fino alla terza e alla quarta generazione”. Poiché Dio ha dettato queste parole al suo profeta, perché sarei migliore di Dio?»
«Perché Dio ha il tempo e l’eternità, due cose che sfuggono agli uomini».
Montecristo emise un sospiro che sembrava un ruggito, e si prese i bei capelli tra le mani.
||«Mi rammento di aver trovato scritto, né m'inganno» disse Montecristo: «”Le colpe dei padri ricadranno sui figli fino alla terza e quarta generazione”.»|lingua=it}}
{{citazione|Voi dite così, Mercedes; e che direste dunque se sapeste quanto è davvero grande il sacrificio che faccio per voi? Supponete che il Signore supremo, dopo aver creato il mondo, dopo aver fertilizzato il caos, si fosse fermato al terzo giorno della creazione per risparmiare a un angelo le lacrime che i nostri crimini avrebbero fatto sgorgare un giorno dai suoi occhi immortali; supponete che dopo aver preparato tutto, plasmato tutto, fecondato tutto, al momento di ammirare la sua opera Dio avesse spento il sole e risospinto con il piede il mondo nella notte eterna; allora avreste un’idea, o piuttosto no, non potreste ancora farvi un’idea, di ciò che perdo, perdendo la vita in questo momento
||Voi dite ciò, Mercedes? E che direste se sapeste tutta l'estensione del sacrificio che vi offro? Voi non ne avete una idea, o piuttosto, no, no, voi non potrete mai farvi un'idea di ciò ch'io perdo, perdendo la vita in questo momento.|lingua=it}}
==Note==
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==Bibliografia==
*{{Cita libro|autore=Alexandre Dumas|titolo=Il conte di Montecristo|anno=1998|
*{{Cita libro|autore=Alexandre Dumas|titolo=Il conte di Montecristo|anno=2010|curatore=Gaia Panfili|editore=Donzelli|città=Roma|cid=Dumas|
*{{Cita libro|autore=Clara Miccinelli; Carlo Animato|titolo=Il Conte di Montecristo. Favola alchemica e massonica vendetta|editore=Edizioni Mediterranee|città=Roma|anno=1991|cid=Miccinelli; Animato}}
{{portale|letteratura}}
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