Ca' Dolfin: differenze tra le versioni
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|paese = Italia
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|città = Venezia
|indirizzo = Dorsoduro, Calle de la Saoneria, 3825/D
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|uso = Università di Ca' Foscari, Aula Magna
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|proprietario = Università di Ca' Foscari
|committente = famiglia Secco, [[famiglia Dolfin]]
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}}
'''Ca' Dolfin''' (detto anche '''Palazzo Secco Dolfin''' o '''Palazzo Dolfin''') è un edificio civile situato nel sestiere di [[Dorsoduro]] di [[Venezia]] vicino a [[Chiesa di San Pantalon|San Pantalon]]; uno dei numerosi palazzi sparsi per Venezia un tempo posseduti e abitati dalla [[Dolfin (famiglia)|famiglia Dolfin]]. Attualmente ospita l'Aula Magna Silvio Trentin dell'[[Università Ca' Foscari Venezia|Università di Ca' Foscari]].
== Storia ==
Dai rilievi compiuti durante il restauro successivo al 1955 sappiamo che su quel luogo insisteva una costruzione già nel IX secolo. Dalla documentazione archivistica risulta che, nella stessa posizione, nel Duecento esisteva un edificio di proprietà dei Barbo (citati come allora come ''Barpo'') assieme ad altre case attorno<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 208.</ref>.
In una data ignota l'edificio trecentesco dei Barbo fu acquisito dai Secco, una ricca famiglia di origine bergamasca. È pensabile che avesse già la configurazione di un palazzo, visto che prima della cessione la tenevano in affitto a Marcella Marcello per 95 ducati annui. Gli ultimi eredi, che risiedevano da tempo a Padova dove erano stati ammessi nella nobiltà locale, decisero di vendere la casa per 12.000 scudi nel 1621.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 184, 207, 210-211.</ref> L'acquirente fu l'importante [[Dolfin (famiglia)|famiglia Dolfin]] che presto vi intraprese grandi lavori di modifica.<ref>{{Cita|Zorzi 1989}}, p. 478.</ref>[[File:Dolfin01.jpg|miniatura|Scorcio del salone di Ca' Dolfin verso est|alt=|sinistra]]
L'acquirente diretto dell'edificio fu il [[cardinale]] [[Giovanni Dolfin (1545-1622)|Giovanni Dolfin]], figlio di Iseppo, questi però morì l'anno successivo per cui si deve quasi certamente al nipote Nicolò l'avvio della ristrutturazione del palazzo.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 181, 184</ref> Difatti già nel 1663 Giustiniano Martinioni, nelle sue aggiunte al [[Francesco Sansovino|Sansovino]], tiene a segnalare come ragguardevole il palazzo «di Nicolò Delfino grandissimo Senatore, fabbricato […] alla Romana […]» sul «rio di S. Pantaleone».<ref>{{Cita|Martinioni 1663}}, p. 393.</ref> Sicuramente prima che i lavori fossero conclusi venne approntata nel giardino una grande costruzione in legno, provvisoria ma lussuosa, per accogliere il re di Danimarca [[Federico IV di Danimarca|Federico IV]] l'11 febbraio nel 1709 con una festa di carnevale ricordata come memorabile.<ref>Lo stesso stratagemma della costruzione provvisoria fu utilizzato dalle altre famiglie incaricate dell'ospitalità, Il re aveva deciso di viaggiare in forma privata come conte di Oldenburg per questo la Repubblica non poté intervenire ufficialmente ma incaricò quattro patrizi insigniti dell'ordine equestre (Nicolò Erizzo, Giambattista Nani, Daniele Dolfin e un Morosini di san Canzian) di provvedere a proprie a proprie spese. Non è chiaro dai documenti, né condiviso nell'interpretazione degli storici, se il cavaliere incaricato ufficialmente fosse Daniele III giovanni o Daniele IV Gerolamo, certamente i due collaborarono. Cfr. {{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 191-195.</ref> [[Tommaso Temanza|Temanza]] assegna i lavori di risistemazione a [[Domenico Rossi (architetto)|Domenico Rossi]], sicuramente questi ultimi furono limitati al salone e all'ultimo piano, mentre i precedenti interventi sono attribuibili ad altri architetti della cerchia del Longhena come [[Giuseppe Sardi (1624-1699)|Giuseppe Sardi]], zio del Rossi.<ref name=":0">{{Cita|Zorzi 1989}}, p. 480.</ref>
Nei due decenni successivi i fratelli Daniele III e Daniele IV Dolfin fecero intraprendere un vasto programma iconografico per la decorazione del salone. Lo scopo era la glorificazione della loro storica famiglia. Dapprima, intorno al
[[File:The Ca Dolfin Tiepolos The Metropolitan Museum of Art Bulletin v 55 no 4 Spring 1998 Pagina 29 Immagine 0002.jpg|thumb|upright=1.4|Scorcio del salone di Ca' Dolfin, vista verso nord ovest|alt=]]
Con [[Daniele Andrea Dolfin|Andrea]] (1748-1798) il ramo dei Dolfin di san Pantalon si estinse e il palazzo finì in eredità alla sorella Cecilia Dolfin sposata con Francesco [[Lippomano]] e da questa nel 1854 al nipote [[Giovanni Querini Stampalia]].<ref>{{Cita web|url=http://www.querinistampalia.org/ita/uploads/schedeMuseo.pdf|titolo=Palazzo Querini Stampalia - Salotto verde|formato=pdf|accesso=30 giugno 2019|dataarchivio=31 agosto 2021|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20210831210914/http://www.querinistampalia.org/ita/uploads/schedeMuseo.pdf|urlmorto=sì}}</ref> La casa rimase abbandonata per oltre settant'anni fino al 1872 quando, per pagare le tasse di successione, la neonata [[Fondazione Querini Stampalia]] fu costretta a vendere prima i Tiepolo (per 6.000 lire) e poi l'intero edificio con le opere contenute all'antiquario [[Michelangelo Guggenheim]] per altre 16.520.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 222</ref> Solo il ritratto dell'avo [[Daniele Girolamo Dolfin|Daniele IV]] (forse perché un tempo ritenuto il ritratto di un procuratore [[Querini]])<ref>{{Cita|Pedrocco-Gemin}}, p. 406.</ref> pervenne al museo della Querini Stampalia dov'è ancora.
Le cifre erano decisamente esigue per ambedue le vendite. Tuttavia bisogna ricordare la sfortuna del barocco e del rococò a quel tempo e lo stesso Tiepolo era considerato soltanto un abile decoratore.<ref>Vedi la lettera di [[Giovanni Morelli (storico dell'arte)|Giovanni Morelli]] (21/2/1872) pubblicata integralmente in {{Cita|Christiansen 1998}}, p. 59.</ref> Quanto al palazzo era quasi in rovina: i Querini lo avevano utilizzato come cava di materiali pregiati (per esempio i gradini di marmo rosso erano stati completamente smantellati rendendo lo scalone impraticabile) e prima, durante l'[[Repubblica di San Marco|insurrezione del 1848]],
[[Michelangelo Guggenheim|Guggenheim]] vendette i dieci teleri del Tiepolo al barone Eugen Miller von Aichholz per 50.000 lire,<ref>{{Cita web|url=https://www.metmuseum.org/art/collection/search/437788?&searchField=All&sortBy=Relevance&ft=tiepolo&offset=0&rpp=20&pos=2|titolo=The Triumph of Marius|sito=Met Museum|accesso=25 giugno 2019}}</ref> più altre opere a vari clienti per ulteriori 30.000 lire, e nel 1876 il palazzo all'architetto Giovanni Battista Brusa. Le opere rilevate da von Aichholz presero strade diverse e finirono per emigrare in diversi musei di livello internazionale: oggi cinque sono all'[[Ermitage]] di [[San Pietroburgo]], tre al [[Metropolitan Museum of Art|Metropolitan Museum]] di [[New York]] e due al [[Kunsthistorisches Museum]] di [[Vienna]]. Sappiamo che Guggenheim vendette altre opere del palazzo per 30.000 lire ma in mancanza di descrizioni non è possibile identificarle.
Nel 1955 l'Università di Ca' Foscari colse l'occasione di acquistare l'edificio dalla famiglia Ambrosoli. La vicinanza alla sede centrale lo vedeva eleggibile per adattare il prestigioso salone ad aula cerimoniale e il secondo e terzo piano a collegio universitario a imitazione di quelli degli atenei di [[Scuola Normale Superiore|Pisa]] e [[Università degli Studi di Pavia|Pavia]],<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 33-35</ref> Il collegio rimase attivo fino al 1972 quando l'affluenza di massa agli studi superiori obbligò a ricorrere a spazi ben più ricettivi e a un sistema di accesso agli alloggi non più meritocratico ma
== Descrizione ==
[[File:Dolfin02.jpg|sinistra|thumb|upright=1.7|Nicolò Bambini e Antonio Felice Ferrari, ''Apoteosi di Venezia'', affresco, 1714 c.|alt=]]
[[File:Dolfin02.jpg|sinistra|thumb|upright=1.7|Nicolò Bambini e Antonio Felice Ferrari, ''Apoteosi di Venezia'', affresco, 1714 c.|alt=]]Ca' Dolfin ci appare oggi esternamente pressoché come l'aveva lasciata Domenico Rossi alla fine della sua ristrutturazione. Al di là delle incertezze sugli autori delle due campagne di restauro del XVII e XVIII secolo sappiamo dai rilievi per il restauro a cura dell'Università che il rivestimento dell'intera facciata sul canale risale a un'unica epoca<ref name=":1">{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 215</ref>. Questo fronte, di un barocco classicheggiante, denuncia al piano terra la originaria struttura interna tripartita che sopravvive solo in questo piano. È indicativo il gruppo di aperture costituito dalla porta d'acqua accostata ai lati da due finestre desinate all'illuminazione dell'atrio centrale e così le due finestre poste simmetricamente per lato destinate alle più piccole stanze laterali. Le cinque grandi finestre del primo piano invece dissimulano la mancanza di partizioni dell'interno che trasformato, con la demolizione delle quattro stanze laterali, in un unico grande ambiente è allineato al canale: il salone da cerimonia.▼
=== Il palazzo ===
La facciata sebbene non venga considerata di grande qualità riesce a ostentare, con il suo totale rivestimento in bianca pietra d'Istria, la grande nobiltà delle dimora, soprattutto nelie grandi aperture del piano centrale limitate dalla continua balaustrata. Curiosi sono i supporti dei davanzali dell'ultimo piano rastremati verso il basso e ornati da un drappeggio, motivo rintracciabile a Venezia solo nel palazzo Stazio Gradenigo a Santa Sofia costruito un secolo prima,<ref>{{Cita libro|autore=Elena Bassi|wkautore=Elena Bassi|titolo=Palazzi di Venezia - Admiranda Urbis Venetae|anno=1976|editore=Stamperia di Venezia|p=498}}</ref> contrapposti ai modiglioni a voluta dei davanzali sul piano d'acqua.▼
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▲La facciata, definita al suo tempo "alla romana", sebbene non venga considerata di grande qualità riesce a ostentare, con il suo totale rivestimento in bianca pietra d'Istria, la grande nobiltà delle dimora,<ref>{{Cita|Christiansen 1998}}, p. 25.</ref> soprattutto nelie grandi aperture del piano centrale limitate dalla continua balaustrata. Curiosi sono i supporti dei davanzali dell'ultimo piano rastremati verso il basso e ornati da un drappeggio, motivo rintracciabile a Venezia solo nel palazzo Stazio Gradenigo a Santa Sofia costruito un secolo prima,<ref>{{Cita libro|autore=Elena Bassi|wkautore=Elena Bassi|titolo=Palazzi di Venezia - Admiranda Urbis Venetae|anno=1976|editore=Stamperia di Venezia|p=498}}</ref> contrapposti ai modiglioni a voluta dei davanzali sul piano d'acqua.
Di sicura attribuzione al Rossi è l'ampliamento verso il giardino. Un corpo a "L" costituito da un blocco che estende l'edificio per tutta la sua larghezza e da un altro blocco che si prolunga da un lato dentro al giardino<ref name=":1" />. Da questo punto di vista l'edificio appare di quattro piani, compreso il pian terreno, rivelando l'altezza del salone sul canale corrispondente a quella del primo e secondo piano assieme.
Senz'altro per quanto riguarda gli interni l'opera di spoliazione finita dal Guggenheim era stata accurata. Oltre alle storie romane e al ritratto di Daniele IV Gerolamo di Tiepolo, il palazzo conteneva moltissime altre opere ora disperse. In precedenza, e per altri motivi, era già stato ceduto a [[Augusto III di Polonia|Federico Augusto II di Sassonia]] con la mediazione di [[Francesco Algarotti]], il presunto, e ora perduto, ''Ritratto della famiglia di Thomas More'' di [[Hans Holbein il Giovane|Hans Holbein]].<ref name="Mariuz_1981">{{Cita|Mariuz 1981}}, p. 184.</ref> Manca certamente il busto che, nelle volontà redatte prima della partenza per Costantinopoli, Daniele III Giovanni si era tanto raccomandato di realizzare affinché rimanesse una sua immagine a coronamento del portale principale del salone.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 197.</ref> Mancano le dieci statue che ne integravano in qualche modo il programma iconografico.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, p. 260 n. 12.</ref> Non esistono più gli affreschi di Antonio Felice Ferrari a decorazione della scala monumentale, forse perduti nelle ristrutturazioni del 1876.<ref>{{Cita|Mariuz 1981}}, p. 186 n. 21.</ref> E di tutti gli altri quadri e arredi enumerati in un inventario del 1771 non rimane più traccia.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 220</ref>
=== Le decorazioni del salone ===
Resta veramente di pregio il grande salone con la volta affrescata da [[Nicolò Bambini]] e [[Antonio Felice Ferrari]] e dove un tempo era la serie di storie romane dipinte su tela dal Tiepolo. Nelle lacune rimaste dentro le incorniciature affrescate a finto stucco che ospitavano le tele, Brusa, dopo l'acquisto del palazzo nel 1876, adattò delle specchiere anticheggianti.[[File:Dolfin05.jpg|thumb|upright=1.5|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare]]Per comprendere lo spirito del programma iconografico commissionato bisogna ricordare che tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento il gusto dell'aristocrazia veneziana per le dimore private si era spostato dal collezionismo accumulativo verso la commissione di grandi complessi di decorazione celebrative parietali introducendo anche la decorazione alla imperitura a fresco dei soffitti. Tecnica fino ad allora utilizzata per le ville di terraferma piuttosto che a Venezia dove erano ancora preferite le tele.<ref>{{Cita|Pedrocco-Gemin}}, pp. 61-62.</ref> Le famiglie più antiche, per ostentare una presunta e fantasiosa 'romanità' originaria, amavano i riferimenti a storie e personaggi dell'antica Roma (o dell'antica Grecia). E la famiglia Dolfin era appunto tra le venticinque ''case vecchie'' e tra queste una delle dodici definite ''Apostoliche''.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, pp. 259-260</ref> ▼
==== Gli affreschi ====
Una volta concluso il nuovo grande spazio del salone venne dapprima realizzato il grande soffitto affrescato da Nicolò Bambini e incorniciato dalle quadrature di Antonio Felice Ferrari. Gli storici hanno proposto una forbice di date piuttosto ampia per questo, alla fine ristretta al periodo 1710-1715. La morte di Ferrari nel 1720 è senza dubbio largamente il limite ''ante quem,'' perché dai suoi biografi sappiamo anche che negli ultimi anni non fu più in grado di lavorare a causa dell'indebolimento della vista e del tremore delle mani, oltre al fatto che grazie al successo del lavoro di Ca' Dolfin lavorò anche nei palazzi Morosini, Nani e Gradenigo.<ref name="Mariuz_1981" /> Un ulteriore fatto dirimente è il soggiorno nello stesso palazzo del suo allora allievo e aiutante [[Girolamo Mengozzi Colonna]], documentato tra il 1711 e il 1715.<ref>{{Cita|Favilla-Rugolo 2008}}, p. 216.</ref> ▼
[[File:Dolfin04.jpg|sinistra|miniatura|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare dell'allegoria dell'''Abbondanza'']]Quanto al Bambini, rinomato ''fapresto'', sappiamo che ebbe modo di vantarsi con il visitatore inglese Edward Wright di aver realizzato la sua parte in soli quindici giorni.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 214.</ref> E in effetti da [[Luca Giordano]], il primo ''fapresto'', riprende le composizione morbida e luminosa delle divinità, delle nuvole, dei drappeggi e delle invenzioni decorative sebbene raffreddate alla ricerca di una precisone accademica; è tuttavia al [[Pietro Liberi|Liberi]] che Bambini deve la costruzione delle opulente figure femminili.<ref name="Mariuz_1981" />▼
▲Resta veramente di pregio il grande salone con la volta affrescata da [[Nicolò Bambini]] e [[Antonio Felice Ferrari]] e dove un tempo era la serie di storie romane dipinte su tela dal Tiepolo. Nelle lacune rimaste dentro le incorniciature affrescate a finto stucco che ospitavano le tele, Brusa, dopo l'acquisto del palazzo nel 1876, adattò delle specchiere anticheggianti.[[File:Dolfin05.jpg|thumb|upright=1.5|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare]]Per comprendere lo spirito del programma iconografico commissionato bisogna ricordare che tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento il gusto dell'aristocrazia veneziana per le dimore private si era spostato dal collezionismo accumulativo verso la commissione di grandi complessi di decorazione celebrative parietali introducendo anche la decorazione alla imperitura a fresco dei soffitti. Tecnica fino ad allora utilizzata per le ville di terraferma piuttosto che a Venezia dove erano ancora preferite le tele.<ref>{{Cita|Pedrocco-Gemin}}, pp. 61-62.</ref> Le famiglie più antiche, per ostentare una presunta e fantasiosa 'romanità' originaria, amavano i riferimenti a storie e personaggi dell'antica Roma (o dell'antica Grecia). E la famiglia Dolfin era appunto tra le venticinque ''case vecchie'' e tra queste una delle dodici definite ''Apostoliche''.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, pp. 259-260</ref>
▲Una volta concluso il nuovo grande spazio del salone venne dapprima realizzato il grande soffitto affrescato da Nicolò Bambini e incorniciato dalle quadrature di Antonio Felice Ferrari. Gli storici hanno proposto una forbice di date piuttosto ampia per questo, alla fine ristretta al periodo 1710-1715. La morte di Ferrari nel 1720 è senza dubbio largamente il limite ''ante quem,'' perché dai suoi biografi sappiamo anche che negli ultimi anni non fu più in grado di lavorare a causa dell'indebolimento della vista e del tremore delle mani, oltre al fatto che grazie al successo del lavoro di Ca' Dolfin lavorò anche nei palazzi Morosini, Nani e Gradenigo.<ref name="Mariuz_1981" /> Un ulteriore fatto dirimente è il soggiorno nello stesso palazzo del suo allora allievo e aiutante [[Girolamo Mengozzi Colonna]], documentato tra il 1711 e il 1715.<ref>{{Cita|Favilla-Rugolo 2008}}, p. 216.</ref>
▲[[File:Dolfin04.jpg|sinistra|miniatura|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare dell'allegoria dell'''Abbondanza'']]Quanto al Bambini, rinomato ''fapresto'', sappiamo che ebbe modo di vantarsi con il visitatore inglese Edward Wright di aver realizzato la sua parte in soli quindici giorni.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 214.</ref> E in effetti da [[Luca Giordano]], il primo ''fapresto'', riprende
La centrale area ovale affrescata dal Bambini rappresenta, con una notevole discrezione, una glorificazione dei Dolfin attraverso una ''Apoteosi di Venezia'': l'unico indiretto riferimento alla casata è il sorridente delfino che spuntando da una nuvola sorregge [[Anfitrite]]. Tuttavia nella composizione, che si sviluppa verso l'alto a partire dal lato finestrato sul canale, i vari temi esposti sono significativi delle virtù della famiglia. Emblematiche le figure dell'angelo della ''Fama'', quella più a destra, e dell'allegoria dell<nowiki>'</nowiki>''Abbondanza'', che fuoriesce dal basso a sinistra a coprire la quadratura, che in questa diagonale racchiudono il concetto delle conseguenze del buon governo.<ref>{{Cita|Favilla-Rugolo 2008}}, p. 218.</ref> Quasi al centro è la personificazione di ''Venezia'', una donna vestita d'oro, questa volta senza il leone ed esattamente con i medesimi attributi presenti nella tela di [[Paolo Veronese|Veronese]] il [[Trionfo di Venezia]] a [[Palazzo Ducale (Venezia)|Palazzo Ducale]]. Alla sinistra le regole che deve seguire il governo: la ''Giustizia'' con la spada, la ''Pace'' con l'ulivo e più in là la ''Prudenza'' con lo specchio e il serpente. Subito sotto non potevano mancare per la Repubblica marinara le divinità marine: ''Nettuno'' e la sposa ''Anfitrite''.<ref>{{Cita|Mariuz 1981}}, p. 183.</ref> Spostandosi verso destra, per ricordare come un dovere anche la protezione arti, accanto alle Grazie seguono le personificazioni allegoriche della ''Poesia'', dell<nowiki>'</nowiki>''Architettura'', della ''Scultura'' e della ''Pittura'', a cui segue l'inesorabile ''Tempo'' con falce e la clessidra. Per terminare a destra con l'agile figura del messaggero ''Mercurio'' sovrastata da ''Ercole'' che tiene schiacciati sotto una nuvola i vizi.<ref>{{Cita|Mariuz 1981}}, pp. 183-184.</ref>
[[File:Dolfin07.jpg|miniatura|Antonio Felice Ferrari ?, allegoria del ''Consiglio'', sopra l'incorniciatura dove era il ''Trionfo di Mario''
A circondare la scena scendono dalla volta le quadrature di Ferrari, prima in pieno controluce poi aperte dai terrazzini [[Ferdinando Galli da Bibbiena|bibieneschi]] di luminose nicchie.<ref name="Mariuz_1981" /> E in questa discesa si passa dal livello allegorico-concettuale della sommità al livello narrativo delle pareti.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, p. 261.</ref> Nelle nicchie svettano gli scorci di statue d'eroi e si intravedono degli ovali a monocromo con le effigi di militari in diverse uniformi. Una di queste effigi il cappello tipico dei capitani generali da mar, grado ricoperto da Daniele IV Girolamo, cosa che le fa supporre ritratti perlomeno ideali dei Dolfin.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, p. 273.</ref> A raccordo finale tra la finta architettura e le incorniciature dei teleri è posta alla sommità di ognuna di queste un'allegoria a monocromo (tutte probabilmente ridipinte) e tutte precisamente riferibili all'''Iconologia'' di [[Cesare Ripa]]. Negli studi più recenti si è potuto dimostrare il preciso legame semantico tra queste allegorie e le storie dipinte da Tiepolo.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, pp. 260-261</ref>[[File:The Triumph of Marius MET DT9353.jpg|thumb|left|Giambattista Tiepolo, ''Trionfo di Mario'', Metropolitan Museum]]
==== Le storie romane ==== La serie dei dipinti di [[Storie romane di Ca' Dolfin|Storie romane di Tiepolo]] era destinato a narrare le virtù militari e politiche dei Dolfin. L'attenzione a vicende limitate al periodo repubblicano di Roma e l'attenzione particolare ai [[Guerre puniche|conflitti contro Cartagine]] sono evidentemente evocative, da una parte, dello spirito di servizio verso la Repubblica di Venezia, e dall'altra, alla onorevole partecipazione agli eventi bellici contro i turchi che avevano informato l'intera casata. [[File:Giovanni Battista Tiepolo 069.jpg|miniatura|Giambattista Tiepolo, ''Annibale contempla la testa di Asdrubale'', Kunsthistorisches Museum]]In questa serie la qualità pittorica di Tiepolo diventa improvvisamente più matura. I colori si schiariscono ma al tempo stesso si vivacizzano nel rapporto complementare dei contrasti cromatici. Evolve così ulteriormente la comprensione del colore [[Paolo Veronese|veronesiano]] dei primi artisti rococò come [[Sebastiano Ricci|Ricci]] e [[Giovanni Antonio Pellegrini|Pellegrini]].<ref>{{Cita|Pedrocco-Gemin}}, pp. 62-63.</ref>
La dimostrata stretta aderenza dell'artista ai testi di [[Floro|Publio Anneo Floro]] (di cui era stata pubblicata a [[Leida]] nel 1722 un'edizione commentata) e di [[Tito Livio]] e l'accurata attenzione al repertorio antiquariale allora noto aveva lo scopo di conferire autorevolezza e veridicità storica alle vicende narrate.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, pp. 262-263</ref>
L'aderenza ai testi è presente anche nell'uso di ''tituli'' inseriti in cartigli alla cima di ogni tela (per lo più cancellati e talvolta recuperati con errori ortografici dopo la vendita), cosa
Entrando dal portale principale, e girando in senso antiorario, dovremmo trovare a destra nella stessa parte dell'ingresso la grande tela di battaglia ''La presa di Nuova Cartagine'' (sormontata dall'allegoria dell<nowiki>'</nowiki>''Esperienza''). Nella parete più stretta a destra (ovest) erano tre quadri di cui quello centrale più grande che dovrebbero essere nell'ordine ''Fabio Massimo davanti al senato di Cartagine'' (sormontato dall<nowiki>'</nowiki>''Intelligenza''), il ''Trionfo di Mario'' (il ''Consiglio'') e ''La dittatura offerta a Cincinnato'' (a cui corrisponde un'allegoria ormai illeggibile). Nella parete finestrata a sud erano le due tele più piccole: ''Annibale contempla la testa di Asdrubale'' (la ''Cognizione'') e ''Bruto e Arrunte'' (la ''Nobiltà''). La parete verso est ripete lo schema della parete opposta e la sequenza dovrebbe essere: ''Muzio Scevola'' (la ''Perfezione''), la più grande tela del ''Trionfo di Manio Curio Dentato'' (il ''Decoro'') e ''Veturia ferma Coriolano'' (la ''Fama buona''). Tornando alla parte d'ingresso troveremmo un'altra grande tela ''La Battaglia di Zama'' sormontata dall<nowiki>'</nowiki>''Immortalità''.
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== I Dolfin di san Pantalon ==
[[File:Leandro Bassano – Portrait of Cardinal Giovanni Dolfin.jpg|miniatura|Leandro Bassano, ''Ritratto del cardinale Giovanni Dolfin'']]
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[[File:Delfino-Dionisio - Patriarcato Udine.jpg|thumb|Anonimo, ''Ritratto del patriarca di Udine Dioniso Dolfin'']]
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Nella parrocchia di san Pantalon esistette un altro e precedente ramo di Dolfin di San Pantalon iniziatosi almeno nel 1259 da tale Giacomo, proveniente dal ramo di san Canzian, ma già estinto alla fine del Quattrocento.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 179, 208-209.</ref>
▲Nella parrocchia di san Pantalon esistette un altro e precedente ramo di Dolfin di San Pantalon iniziatosi almeno nel 1259 da tale Giacomo, proveniente dal ramo di san Canzian, ma già estinto alla fine del Quattrocento.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 179, 208-209.</ref>
Non si sa se il nuovo, e più noto, ramo giunse a san Pantalon ricevendo delle proprietà in eredità del primo né quale fosse il sito, o i siti, dove i due rami risiedevano; è solo noto che il ramo più recente fu incominciato da Benedetto di Daniele ''quondam'' Giovanni (1479?-1527) massaro della [[Zecca di Venezia|Zecca]] e dal figlio Iseppo (Giuseppe), [[Provveditore (Repubblica di Venezia)|provveditore]], [[Consiglio dei Pregadi|senatore]] e membro del [[Consiglio dei Dieci|Consiglio dei X]].<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 180</ref> Senz'altro dal 1621 al 1798 la storia del palazzo rimase legata a quella della dinastia di cui molti membri ricoprirono cariche rilevanti.
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**'''Giuseppe Dolfin''', figlio di Benedetto (1521-1585), arrivò al grado di ''[[Marineria veneziana|Governator de nave]]'', poi ebbe diversi incarichi come [[Provveditore (Repubblica di Venezia)|provveditore]], e fu anche [[Consiglio dei Pregadi|senatore]] e membro del [[Consiglio dei Dieci]].
* '''Figli di Giuseppe'''
**'''[[Giovanni Dolfin (1545-1622)|Giovanni Dolfin]]''' (1545-1622), nella prima parte della vita servi la Repubblica come ambasciatore in Francia, Polonia, Spagna, Vienna e [[Procuratori di San Marco|procuratore di San Marco]]; dal 1603, presi i voti, fu vescovo di Vicenza e dal 1604 cardinale. Fu lui ad acquistare il palazzo dei Secco.
**'''Dionisio Dolfin''' (1556-1626), vescovo di [[Vicenza]].
**'''Pietro Dolfin''' (1561-1593), nella sua breve vita poté coprire solo l'incarico di [[Provveditore (Repubblica di Venezia)|provveditore ''sora i Officii'']].
* '''Figli di Pietro'''
**'''Nicolò Dolfin''' (1591-1669) probabilmente unico figlio maschio fu ''bailo'' (ambasciatore) a Costantinopoli nel 1645, comandante generale delle forze di terra a Candia nel 1646 poi [[Collegio dei Savi|savio del Consiglio]]. A lui probabilmente dobbiamo l'avvio dei lavori di restauro del palazzo.
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**'''Daniele I Nicolò Dolfin''' (1652-1723), fu Podestà a [[Brescia]] nel 1698, poi senatore, ambasciatore a Vienna nel 1701, provveditore generale a [[Palmanova|Palma]] nel 1702, procuratore di San Marco de Supra nel 1705.
**'''[[Daniele Dolfin (1653-1704)|Daniele II Marco Dolfin]]''' (1653-1704) fu nunzio apostolico in Francia nel 1695, vescovo di Brescia nel 1698 (col titolo personale già acquisito di arcivescovo) e l'anno successivo elevato a cardinale; fu anche [[abate commendatario]] di alcune abbazie.
**'''[[Daniele III Giovanni Dolfin]]''' (1654-1729) fu ripetutamente eletto savio di Terraferma e savio del Consiglio e provveditore alla sanità nel 1692, nello
**'''[[Daniele Girolamo Dolfin|Daniele IV Gerolamo Dolfin]]''' (1656-1729) fu un militare e un politico, si scontrò numerose volte e vittoriosamente contro i Turchi ma nominato poi Provveditore Generale da Mar ([[1714]]-1716) fu sostituito da [[Andrea Pisani (ammiraglio)|Andrea Pisani]] dopo la perdita della [[Seconda guerra di Morea|Morea]], divenne quindi provveditore delle Fortezze e infine nel 1717 fu inviato come ambasciatore in [[Polonia]].
**'''[[Dionisio Dolfin]]''' (1663-1734), succedette allo zio Giovanni come Patriarca di Aquileia, a lui si devono le ristrutturazioni del palazzo patriarcale di Udine, con la nuova Biblioteca, la Galleria degli Ospiti e lo Scalone d’Onore incaricando gli stessi artisti che poi consigliò al fratello Daniele Giovanni per i lavori di Ca' Dolfin.
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**'''[[Daniele Andrea Dolfin|Daniele I Andrea Dolfin]]''' (1748-1798 figlio di Daniele I Giovanni, fu ambasciatore a Parigi dal 1780 al 1785, senatore nel 1786, ambasciatore a Vienna dal 1786 al 1792., al ritorno a Venezia fu nel Consiglio dei Dieci e ripetutamente (1793, 1795, 1796) savio di Consiglio, dopo la caduta di Venezia partecipò alla Municipalità come membro del Comitato di Sanità, dopo il trattato di Campoformio fu presidente provvisorio della Municipalità. Fu l'ultimo del ramo di san Pantalon, sposato ma ormai senza figli, a causa della loro morte precoce, i suoi averi passarono alla sorella Cecilia sposata con Francesco [[Lippomano]].
Attraverso i figli di Cecilia, Gasparo e Maria, il patrimonio giunse a [[Giovanni Querini Stampalia]] che aveva sposato Maria.<ref>Per tutte le informazioni sulla famiglia cfr. {{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 180-184 e inoltre per Daniele IV Gerolamo {{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 185-191.</ref>
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== Note ==
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{{portale|architettura|Venezia}}
[[Categoria:Palazzi di Dorsoduro|Dolfin]]
[[Categoria:Residenze dei Dolfin]]
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