Procurator omnium bonorum: differenze tra le versioni
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La figura del ''procurator omnium bonorum'' si sviluppa a partire dalla seconda metà del [[II secolo a.C.]] in concomitanza con un periodo di grande espansione territoriale romana, e di progressiva concentrazione della [[proprietà fondiaria]]. Fino a quel momento, infatti, non era stata ancora sentita come necessaria l'esigenza di servirsi di un soggetto estraneo alla propria organizzazione familiare a cui affidare la gestione dell'intero [[patrimonio]], o di una consistente parte di esso. In un'economia agricola basata fino ad allora sui fondi di modeste dimensioni, il [[pater familias]] poteva agevolmente occuparsi in prima persona di tutti gli affari che lo riguardavano, con il solo aiuto dei membri della sua ''[[Famiglia (società)|familia]]''. Quando l'espansione territoriale romana fu tale da consentire la formazione di ingenti patrimoni, peraltro in regioni spesso assai distanti dall'abitazione della famiglia, nacque la necessità di affidare l'amministrazione del proprio patrimonio ad un unico soggetto che se ne occupasse stabilmente.
All'inizio si trattò di un [[liberto]], schiavo manomesso, che al tempo in cui era in schiavitù svolgeva le medesime funzioni di gestione del patrimonio del
Solo successivamente si ebbero procuratori ''omnium rerum ingenui'' per la gestione del patrimonio.
== Azioni a tutela del rapporto di procura ==
Due sono le ipotesi ricostruttive avanzate dalla dottrina [[romanistica]]. Secondo un primo orientamento l'azione che regolava in origine i rapporti tra ''procurator omnium bonorum'' e principale era l'''[[actio negotiorum gestorum]]''. Alla base di questa tesi vi era una concezione della [[procura (diritto)|procura]] che la considerava, almeno durante l'
Secondo un'altra ipotesi ricostruttiva, fondata sul presupposto che il ''procurator omnium bonorum'' ripetesse i propri poteri non da un atto di ''praepositio'' ma da un mandato generale, per la tutela di tali rapporti veniva invece impiegata l'''[[actio mandati]]''.
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