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{{Museo
|NomeMuseo= Museo civico di Bevagna
|Stato = ITA
|Indirizzo= Corso Matteotti, 70, Bevagna (Pg)
|Tipologia= [[Arte]]
|Immagine=
|Immagine= [[File:Ingresso museo di Bevagna.jpg|thumb|Ingresso museo di Bevagna]]
|Didascalia=
|Larghezza=
|Telefono= 0742360031
|Fax=
|e-mail=
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Nel 1996, dopo lunghi lavori di adeguamento strutturali e di allestimento realizzati dal Comune e dalla Regione, apre al pubblico la nuova sede della pinacoteca comunale al piano terra di Palazzo Lepri.
Dopo il terremoto del 1997, la sede del Municipio viene trasferita nell'attiguo Palazzo già sede della Congregazione di Carità, e la pinacoteca viene allestita nelle nuove sale al secondo piano di palazzo Lepri,che verrà progressivamente destinato ad usi culturali (biblioteca, archivio, pinacoteca, museo archeologico).
 
 
 
===Storia delle collezioni===
 
[[File:Una sala del Museo di Bevagna.JPG|thumb|left350px|unaUna sala del Museo civico di Bevagna (Pg) in Corso Matteotti]]
Il Museo di Bevagna è costituito da una pinacoteca e da una raccolta archeologica.
 
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===Madonna di Costantinopoli===
[[File:Madonna di Costantinopoli Ascensidonio Spacca Museo Bevagna.JPG|thumb|Madonna di Costantinopoli- di Ascensidonio Spacca]]
 
L’opera raffigurante la [[Madonna di Costantinopoli]], l’[[Annunciazione]] e i Ss. [[San Francesco|Francesco]] e [[San Bernardino da Siena|Bernardino da Siena]], è analoga per caratteristiche iconografiche e stilistiche ad altre opere del medesimo soggetto e contribuì alla diffusione del culto per la Madonna di Costantinopoli nella media [[Valle Umbra]] in tempo di [[Controriforma]].
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===Pala Ciccoli===
[[File:Pala Ciccoli.jpg|thumb|left|Pala Ciccoli]]
[[File:Pala Ciccoli Dono Doni Museo Bevagna.JPG|thumb|left|300px| Pala Ciccoli di Dono Doni]]L’opera proviene dalla chiesa di San Francesco di Bevagna dove è ricordata, oltre che dal [[Bragazzi]] (1864), da [[Cristofani]] (1866), da [[Guardabassi]] (1872) e da [[Urbini]] (1913).
L’opera realizzata in olio su tela, di dimensioni 210 x 135 cm, proviene dalla chiesa di San Francesco di Bevagna.
 
Attribuita al pittore assisano [[Dono Doni]] e realizzata tra il [[1565]] e il [[1570]], presenta uno stile caratterizzato "da un'asciutta semplificazione delle cifre manieristiche e da una levigata rifinitura delle forme"<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.26</ref>.
Raffigura la Madonna con il Bambino e una fanciulla di casa Ciccoli. La conoscenza di quest’ultima è possibile grazie alle iscrizioni che si trovano nella parte inferiore della tela.
 
Nella parte superiore, sopra un trono di nuvole, vengono raffigurati la Madonna, il Bambino e una bambina inginocchiata che sta per essere incoronata dal Bambino con una ghirlanda fiorita. Il riconoscimento della fanciulla, appartenente alla famiglia Ciccoli, è reso possibile grazie alle iscrizioni che si trovano nella parte inferiore della tela.
Al centro, dentro una ricca cornice a volute, si legge: “Deo opt. max./ ac virgini deiparae / coelicolarum dominae / viatorum patronae / cunctorumqu(e) reginae / gisb. ciccolus d(onavit)” (A Dio ottimo massimo, alla Vergine Madre di Dio, signora degli abitatori del cielo, protettrice di coloro che vanno e regina di tutti Gisberto Ciccoli offrì).
 
Al centro, dentro una ricca cornice a volute, si legge: “Deo''Deo opt. max./ ac virgini deiparae / coelicolarum dominae / viatorum patronae / cunctorumqu(e) reginae / gisbGisb. ciccolusCiccolus d(onavit)'' (A Dio ottimo massimo, alla Vergine Madre di Dio, signora degli abitatori del cielo, protettrice di coloro che vanno e regina di tutti Gisberto Ciccoli offrì).
Ai lati, al di sotto di uno scudo che presenta l'arme dei Ciccoli e accanto a quella dei Sermattei di Assisi, si trovano due cartigli con le seguenti iscrizioni.
*A sinistra: “Unica neptis erat prudens pulcherrima, sola haec / Mira suae aetatis corpore et ingenio / Sic dulcis sic chara mihi ut mihi sola senectae / Dulce haec solamen presidiumque foret / Nata decem menses binos compleverat annos, / vivebatque decem quatuor atque Dies / Tunc mors sic neptem invidit mihi saeva quae ausit / Proh Dolor, inferre huic febre furente necem (“Unica nipote, era saggia, bellissima, lei sola meravigliosa nel corpo e nell’ingegno per la sua età, così dolce così cara a me, da essere per me lei sola dolce sollievo e rifugio della vecchiaia; nata, aveva compiuto dieci anni e due mesi, e visse ancora quattordici giorni; a quel punto l’ atroce Morte così me la invidiò che osò, oh dolore, causare la sua fine con una febbre furente).
*A destra: “Non Victrix Mors saeva mei solaminis unquam / Mors in nepte fuit gloria nulla tibi, / Spiritus aeternis, ut cernis, sedibus, Orbe hoc / utque vides longum sic mea Neptis erit. / Sic ego te in vita consolor imagine neptis, / nepte duce et spero sede perenne frui” (“Oh atroce morte, mai (sarai) vincitrice della mia consolazione, la morte di (mia) nipote non ha dato nessuna gloria a te; il (suo) spirito (è), come vedi, nelle sfere immortali e come vedi (sarà) a lungo in questa terra, così mia nepote sarà (sempre fra noi); così io conforterò te in vita con la sua immagine e spero di usufruire. Grazie al suo aiuto, di una dimora eterna”).
 
Gisberto Ciccoli dunque, zio della bambina raffigurata, è il committente di questa pala. Dalle iscrizioni presenti nei cartigli ai lati, si deduce anche il motivo alla base di questa commissione.
Dall’iscrizione si deduce che alla base della commissione ci sia stato un grande dolore per la morte della nipote e un senso di impotenza da parte del Dottor Gisberto Ciccoli per non averla potuta salvare.
 
Ai lati, al di sotto di uno scudo che presenta l'arme dei Ciccoli e accanto a quella dei Sermattei di Assisi, si trovano i due cartigli con le seguenti iscrizioni in corsivo.
Ad arrivare al nome dell’autore [[Dono Doni]], possono aver concorso diversi fattori: il fatto che la moglie di Gisberto Ciccoli era una Sermattei di [[Assisi]], come si ricava dallo stemma vicino ai Ciccoli; e il fatto che i Ciccoli erano imparentati con “Domina Finalteria de Meneco de Calamo” moglie del notaio bevanate Bonifacio Lucani e committente di Dono Doni.
*A sinistra: ''Unica neptis erat prudens pulcherrima, sola haec / Mira suae aetatis corpore et ingenio / Sic dulcis sic chara mihi ut mihi sola senectae / Dulce haec solamen presidiumque foret / Nata decem menses binos compleverat annos, / vivebatque decem quatuor atque Dies / Tunc mors sic neptem invidit mihi saeva quae ausit / Proh Dolor, inferre huic febre furente necem.''
 
*A sinistraTraduzione: “Unica neptis erat prudens pulcherrima, sola haec / Mira suae aetatis corpore et ingenio / Sic dulcis sic chara mihi ut mihi sola senectae / Dulce haec solamen presidiumque foret / Nata decem menses binos compleverat annos, / vivebatque decem quatuor atque Dies / Tunc mors sic neptem invidit mihi saeva quae ausit / Proh Dolor, inferre huic febre furente necem (“Unica"Unica nipote, era saggia, bellissima, lei sola meravigliosa nel corpo e nell’ingegno per la sua età, così dolce così cara a me, da essere per me lei sola dolce sollievo e rifugio della vecchiaia; nata, aveva compiuto dieci anni e due mesi, e visse ancora quattordici giorni; a quel punto l’ atroce Morte così me la invidiò che osò, oh dolore, causare la sua fine con una febbre furente)".
Questa pala quasi certamente si trovava inserita in un contesto dedicato al culto della Vergine e che inneggiava alla purezza, alla castità; con questo contesto si inserisce molto bene la figura di una bambina che muore precocemente senza peccato, ancora immacolata come la Vergine di cui, a livello figurativo, si intessono le lodi.
 
Nel dipinto, in corrispondenza dell’architrave della cappella, si legge la scritta [[Ianua Coeli]], la porta del cielo.
*A destra: ''Non Victrix Mors saeva mei solaminis unquam / Mors in nepte fuit gloria nulla tibi, / Spiritus aeternis, ut cernis, sed, Orbe hoc / utque vides longum sic mea Neptis erit. / Sic ego te in vita consolor imagine neptis, / nepte duce et spero sede perenne frui''.
 
*A destraTraduzione: “Non Victrix Mors saeva mei solaminis unquam / Mors in nepte fuit gloria nulla tibi, / Spiritus aeternis, ut cernis, sedibus, Orbe hoc / utque vides longum sic mea Neptis erit. / Sic ego te in vita consolor imagine neptis, / nepte duce et spero sede perenne frui” (“Oh"Oh atroce morte, mai (sarai) vincitrice della mia consolazione, la morte di (mia) nipote non ha dato nessuna gloria a te; il (suo) spirito (è), come vedi, nelle sfere immortali e come vedi (sarà) a lungo in questa terra, così mia nepote sarà (sempre fra noi); così io conforterò te in vita con la sua immagine e spero di usufruire. Grazie al suo aiuto, di una dimora eterna”)eterna".
 
Dall’iscrizioneDalle due iscrizioni si deduce quindi che alla base della commissione ci sia stato unil grande dolore per la morte della nipote e un senso di impotenza da parte del Dottor Gisberto Ciccoli, noto medico e lettore di medicina nello studio di Perugia per non averla potuta salvare.
 
AdIl arrivarecommittente alprobabilmente, nomeentrò dell’autorein contatto con il pittore [[Dono Doni]], possonograzie aver concorso diversi fattori: ilal fatto che la moglie di Gisberto Ciccoli era una Sermattei di [[Assisi]], come si ricava dallo stemma vicino ai Ciccoli; e ilanche grazie al fatto che i Ciccoli erano imparentati con “Domina Finalteria de Meneco de Calamo” moglie del notaio bevanate Bonifacio Lucani, egià committente di Dono Doni.
 
Questa pala, all'interno della chiesa di San Francesco, era visibile sullo sfondo di una porta identificata come la ''ianua coeli'' (porta del Cielo), e era inserita in un contesto dedicato al culto della [[Vergine]] come [[Immacolata Concezione]] che inneggiava alla purezza e alla castità. E' evidente che la similitudine che questo contesto voleva suggerire era tra la Vergine e la bambina morta precocemente senza peccato, immacolata.
 
===Modellino Santuario della Madonna delle Grazie===
È un modello architettonico in scala ridotta che ha il suo corrispettivo monumentale nel grande edificio costruito nel [[1583]] sul colle che sovrasta [[Bevagna]] (Colpulito).
[[File:Sala museo - Copia.jpg|thumb|modello ligneo e immagine del Santuario]]
 
Come narra la cronaca conservata all'interno del santuario, la chiesa nasce sul luogo dove già si trovava un’edicola fatta costruire un secolo prima. “Un uomo di Bevagna, soprannominato Pancascio, e residente temporaneamente a [[Roma]], assalito d’infermità gravissima dubitava morire. Raccomandatosi alla Vergine, gloriosissima salute degli infermi, la pregò che per sua misericordia gli concedesse grazia poter ritornare prima morisse alla disiata sua patria. Messosi in cammino e giunto dopo vari giorni sul luogo dove è oggi il santuario, non appena da quell’altura vide la cara e disiata sua patria, sentendosi perfettamente ristabilito, decise di ringraziare la Vergine costruendo un’edicola in suo onore, dove fece dipingere una bellissima e devotissima immagine della gloriosissima [[Vergine Maria]]; con Gesù nostro salvatore in braccio, che sta in atto di benedire e altre immagini di Santi”. Tutto questo avvenne nel 1462 (data che si leggeva sull’altare della piccola cappella)<ref>"Vicende narrate in una cronaca conservata all'interno del santuario" - Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.65.</ref>. L’immagine, in breve tempo, divenne oggetto della devozione popolare per i suoi poteri miracolosi.
 
Il progetto del santuario fu affidato all’architetto perugino [[Valentino Martelli]] (Perugia 1550 circa – 1630), che prima di dare inizio ai lavori, consegnò alla [[Compagnia della Misericordia]], incaricata di raccogliere le offerte per la costruzione, un modello ligneo. Il modello prevedeva una pianta a croce latina a tre navate.
 
La costruzione, fedele al modello, venne realizzata in laterizio, travertino e arenaria. L’utilizzo del modello ligneo, prima dell’inizio dei lavori, è tipico dell’età rinascimentale, come raccomandava anche l’[[Leon Battista Alberti|Alberti]], a tutti i buoni architetti, nel suo “De re edificatoria”.
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===San Giuseppe e Sant’Antonio da Padova===
[[File:S.Giuseppe.tif|left|100px|thumb|San Giuseppe]]
 
[[File:S.Antonio da Padova.tif|right|100px|thumb|Sant'Antonio da Padova]]
Le due tavole dipinte ad olio da [[Andrea Camassei]], provengono dalla Chiesa Bevanate di [[San Domenico]] e Giacomo <ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.37</ref>. Facevano forse parte di un trittico di cui sono rimasti solo i due comparti con Sant' Antonio e San Giuseppe.
La modesta qualità pittorica e le rigide ed acerbe fattezze dei due santi, evidenziano l'appartenenza alla primissima fase di attività artistica del Camassei, prima del 1625 quando affrescò la cappella Spetia e prima della partenza per [[Roma]]<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.37</ref>. Il primo soggiorno romano documentato al [[1626]], metterà l’artista a diretto contatto con la cultura classicista e lo porterà all’incontro decisivo con il [[Domenichino]], il cui influsso sarà poi dominante.
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Sant’[[Antonio da Padova]] è vestito con il tradizionale saio bruno dell’[[ordine francescano]]. Nel dipinto è rappresentato con un giglio bianco, simbolo di purezza, e un cuore per dimostrare l’amore divino per [[Gesù]], nella mano destra. Nella mano sinistra ha un libro con sopra il Bambin Gesù rappresentato con in mano un globo, simbolo di salvatore del mondo.
 
===Adorazione dei Magi di Corrado Giaquinto===
[[File:Adorazione dei Magi - Corrado Giaquinto.JPG|thumb|400px|Adorazione dei Magi -di Corrado Giaquinto]]
E' un'opera realizzata ad [[olio su tela]] di dimensioni 152 x 113 cm. Ritenuto in passato di [[scuola veneta]], il dipinto fu pubblicatopoi comeattribuito autografoa del[[Corrado Giaquinto]]<ref>Pinacoteca nelComunale 1976di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.55</ref>. Appartiene quasi certamente alla maturità del maestro, che forse lo realizzò intorno al [[1750]], alla vigilia della partenza per la [[Spagna]]<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.55</ref>.
Si ignora la provenienza della tela, probabilmente realizzata per qualche nobiluomo o prelato di Bevagna (e non per una chiesa o per il Palazzo Comunale).Bruno Toscano sostiene che l'opera fu commissionata in ambito locale successivamente alla realizzazione di una grande pala raffigurante San Francesco in estasi e l'Immacolata Concezione per l'altare maggiore della chiesa dei Cappuccini a Foligno, che suscitò molto interesse nel territorio<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.56</ref>.
Prima del restauro del 1970, il quadro era in pessime condizioni di lettura: era sporco e appannato e dubbia era la sua attribuzione. Il restauro ha restituito all’opera la luminosità originaria e ha tolto ogni dubbio sull’artista che l’ha eseguita: Corrado Giaquinto, considerato tra i più grandi pittori del [[Rococò]] internazionale dopo [[Tiepolo]] ( tra i due artisti non corse mai buon sangue ).
L’attribuzione non è stata semplice: il dipinto era fortemente mal ridottomalridotto e si pensò a lungo che si trattasse di una copia ( tanto più che esiste un’altra versione pressoché identica a questa di [[Bevagna e autografa]], a Northfolk[[Norfolk]] in [[Virginia]]. Il soggetto raffigurato piacque talmente tanto al pubblico che G.Giaquinto lo replicò più volte ).
Non si hanno notizie del dipinto prima che esso entrasse a far parte della collezione civica. Sembrerebbe quasi senza storia: si ignora la sua provenienza ( collezione privata bevanate o piccola cappella gentilizia? ). Le dimensioni della tela, comunque, la vorrebbero più proveniente dall’altare di una piccola cappella.
Tutti i personaggi che vi figurano, dalla [[Madonna]] col Bambino ai tre [[Magi]] a [[San Giuseppe]] al guerriero, corrispondono ai tipi cari all’artista.
Nel dipinto, a destra, si vedono i [[Re Magi]] Gaspare, Melchiorre e Baldassare, inginocchiati nell’atto di adorazione adi Gesù Bambino, che è in braccio a Maria, seduta a sinistra su una scalinata.
I Magi sono riconoscibili dagli abiti sontuosi, dalle corone e dai doni che offrono, deposti in terra, oro, incenso e mirra. Si possono dedurre i diversi continenti di provenienza dei tre dai loro tratti somatici, tipici dell’Europadell’[[Europa]], dell’Asiadell’[[Asia]] e dell’Africadell’[[Africa]].
Ai piedi di [[Maria]], in un cesto, sono raffigurate due colombe bianche, simbolo della sua purezza. Alle sue spalle c’è [[San Giuseppe]], in piedi con le braccia aperte, in segno di stupore per la singolarità e la grandezza dell’evento.
Sullo sfondo, nella penombra, si intravedono altri personaggi che assistono alla scena, tra cui un soldato e un anziano, indicante gli angeli in cielo.
CaratteristicheVi delsi Giaquintoriconoscono sonole lacaratteristiche cromiastilistiche raffinatadel eGiaquinto: brillante,un immersaraffinato ine un’atmosferabrillante doratauso chedei rende sfumaticolori, i contorni sfumati, la predilezionemaestria pere glil'attenzione ori,nel lerappresentare setegli eoggetti id'oro, broccatile resistoffe conin raraseta e cristallina accuratezzabroccato, nonchéed anche la sapientestudiata composizione:, i personaggi appaionoinfatti sono disposti lungo una diagonale digradante verso destra.
 
L’immagine fu replicata più volte dal Giaquinto: una versione autografamolto identicasimile nel soggetto e nelle dimensioni, si trova in [[Virginia]], mentre un’altra, su rame di dimensioni ridotte, si trova in una collezione privata a [[Londra]]<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.56</ref>.
Quest’opera non è una prova di grande impegno da parte di GGiaquinto. E’ di modeste dimensioni e pertanto non dà all’artista la possibilità di sfogare tutta la sua abilità di grande pittore decorativo.
G.Giaquinto è infatti un pittore di grandi pale d’altare e di grandi decorazioni. Si afferma soprattutto come grande decoratore internazionale.
 
===Sacrificio di Vitellio===
[[File:Sacrificio di Vitellio 1.jpg|left|350px|thumb|Sacrificio di Vitellio di Francesco Providoni]]Il dipinto eseguito ad [[olio su tela]], fu realizzato da [[Francesco Providoni]] nella seconda metà del [[XVII secolo]]. Si tratta dell'unica opera profana nota di questo pittore<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.52</ref>.
 
Il quadro è inserito in una antica cornice di legno, verniciata in marrone e decorata con motivi vegetali dorati.
 
Il soggetto del dipinto è tratto dal racconto di [[Tacito]] presente nel terzo libro delle ''Historiae'', e riassunto sul plinto in basso a destra.
 
Vengono raffigurati i presagi negativi che colpirono l’imperatore [[Vitellio]] mentre parlava alle truppe, accampate presso Mevania (Bevagna),durante la guerra con [[Vespasiano]]:
L’immagine fu replicata più volte dal Giaquinto: una versione autografa identica nel soggetto e nelle dimensioni, si trova in Virginia, mentre un’altra, su rame di dimensioni ridotte, si trova in una collezione privata a Londra.
"Infine, dopo insistenti pressioni dell’esercito stanziato a Mevania, con gran seguito di senatori, trascinati molti dall’ambizione, i più dalla paura, si recò all’accampamento pieno di incertezze e facile preda di malfidi consigli.
Quest’opera non è una prova di grande impegno da parte di G. E’ di modeste dimensioni e pertanto non dà all’artista la possibilità di sfogare tutta la sua abilità di grande pittore decorativo.
Mentre parlava all’esercito, si spiegò sopra di lui, raccapricciante prodigio, un volo di uccelli di malaugurio così fitto da oscurare in una nera nube la luce del sole. S’aggiunse un altro funesto presagio: un toro, scompigliando i preparativi del sacrificio fuggì dall’altare e fu sgozzato lontano, un modo per le vittime, non rituale. <ref> Historiae- III libro, Tacito (55-56)</ref>
G. è infatti un pittore di grandi pale d’altare e di grandi decorazioni. Si afferma soprattutto come grande decoratore internazionale.
 
L'episodio è ambientato entro una scenografia prospettica costituita da architetture classiche che evidenziano l'interesse dell'artista per soggetti architettonici e vedute.
===Fuga del toro dall'altare===
[[File:Scrificio di Vitellio di Francesco Providoni.JPG|thumb|left|400px|sacrificio di Vitellio di Francesco Providoni]]il quadro e’ inserito in una notevole cornice lignea antica e verniciata in marrone e decorata con motivi vegetali dorati e di cui sarebbe interessante identificare la committenza. Rappresenta, con rara scelta iconografica i nefasti presagi che colpirono l’imperatore Vitellio mentre parlava alle truppe il sole fu oscurato da uno stormo di uccelli neri e poco dopo un toro pronto per il sacrificio fuggi dall’altare e dovette essere ucciso con rito diverso dall’usuale, dopo aver creato scompiglio trai presenti.
Menzionato dal Petrangeli dal titolo fuga del toro dall’altare e con un attribuzione al pittore di epoca neoclassica Vincenzo angeli attribuzione gia respinta nelle schede di catalogo del 1980 il,dipinto e ora restituito da Francesco Federico mancini a Francesco Providoni del quale viene a costituire l’unica opera profana che il providoni lasciò il più nutrito del gruppo di opere a partequelle realizzate per assisi e l’immediato circondario, e cioè gli affreschi con storie della passione nel monastero di santa margheritaeseguiti verso il 1665 assieme slle sagome linee dei tre dolenti del calvario e di 6 angeli con simboli della passioni che fino alla recente , imorovvida rimozione li accompagnavano sui parapetti delle due rampe della “scala santa”. questa e’ l’iscrizione sul plinto, che e’ il riassunto di quanto racconta tacito nel terzo libro delle historiae: contionanti—prodigiosum dictu—tantum foedarum volocrum supervolitavit ut nube atra diem obtenderent. accessit dirum omen, profugus altalibus taurus disiecto sacrificii apparatu, longe, nec ut feriri hostias mos est, confossus. sed praecipuum ipse vitellis ostentum erat, ignarus militiae, improvidus consili, quis ordo agminis, quae cura explorandi, quantes urgendo trahendove bello modus, alios rogitans et ad omnis nuntios vuhu quoque et incessu tepidus, dein temulentus. postremo taedio castroum et audita defectione misenensis classis roman revertit, recentissimum quodque vuhus pavens, summi discriminis incuriosus. nam cum transgredi appenninum integro execercitus sui robore et flessos heime atque inopia hostis adgredi in aperto foret, dum dispergit viris, acerrirum militem et usque in extrema obstinatum trucidandum capiendumque tradidit, peritissimis centurionum dissentientibus et, si consulerentur, vera dicturis. arcuere eos intimi amicorum vitellii, ita formatis principis auribus ut aspera quae utilia, nec quidquam nisi incundum et laesurum acciperet. vitellius ut iume somno excitus iulium priscumm et alfenum varum cum quattuordecim praetoriis cohortibus et omnibus equitum alis obsidere appenninum iubet; secuta e classicis legio. tot mila armatorum, lecta equis virisque, sidux alius foret, inferendo quoque bello satis pollebant. ceterae coortes ad tuendam urbem l. vitellio fratri datee: ipse nihil e solito luxu remittens et diffidentia properus festinare comitia quibus consules in multos annos destinabat; fodera sociis, latium extemis dilagiri; his tributa dimittere, alios immunitatibus iuare iuvare; denique nulla in posterum cura lacerare iperium. sed vurgus ad magnitudinem beneficiorum hiabat, stultissimus quisque pecuniis mercabatur, apud sapientis cassa habebantur quae neque dari neque accipi salva re publica poterant. tandem flagitante exercitu, qui mevaniam insederat, magno senaatorum agmine, quorum multos ambitione, pluris formidine trahebat, in castra venit, incertus animi et infidis consiliis obnoxius.
questa la traduzione in italiano: mentre parlava all’esercito, si spiego’ sopra di lui, raccapricciante prodigio ,un volo di uccelli di malaugurio cosi fitto da oscurare in una nera nube la luce del sole. s’aggiunse un altro funesto presagio: un toro, scompigliando i prparativi del sacrificio fuggi dall’altare fu sgozzato l’ontano , un modo per le vittime, non rituale. ma il più clamoroso portentoera vitello in persona :incompetente di guerra , incapace d’una decisione , ridotto a chiedere a altri, continuamente , consigli sull’ordine di marcia, sui servizi di ricognizione ,sui modi di affrettare o ritardare la guerra, lasciava trasparire , a ogni notizia , il panico anche dal volto e dall’andatura , e poi si rifugiava nella botte del vino. da ultimo, disgustato del campo e conosciuta la defezione della flotta del miseno, ritorno’ a roma, raggelato dalla paura a ogni nuovo colpo, ma incapace di pensare al pericolo definitivo. infatti, mentre gli si offriva la facile occasione di valicare l’appennino con tutto il peso del suo esercito fresco e piombare sui nemici stremati dall’inverno e dalla fame, sparpaglia le sue forze ed espone al massacro o alla cattura soldati combattivi e risoluti a lottare fino alla morte, e cio’ fra il dissenso dei centurioni di piu’ solida esperienza militare, disposti ad aprirgli gli occhi, se li avesse consultati.li tennero lontani gli amici intimi di vitellio, le cui orecchie rifiutavano come sgradevoli i consigli utili, pronte invece ad accettare solo quelli piacevoli, anche se rovinosi. a questo punto vitellio, come risvegliatosi dal sonno da ordine a giulio prisco ed alfeno varo di bloccare l’appennino con quattordici coorti pretorie e con tutta la cavalleria. vi segui una legione di soldati di marina. tante migliaia di armati , tanti reparti scelti di fanti e cavallieri potevano bastare anche per riprendere l’offensiva, ma ci voleva un altro a comandargli. le altre coorti le affido, per la difesa di roma , al fratello liucio vitellio. quanto al principe, sensa rinunciare alle solite crapule e reso sollecito della differenza, teneva i comizi in anticipo onde designare i consoli per una ferie do anni; elargiva concessioni agli alleati e il diritto latino agli stranieri; agli uni condonava tributi, gli altriaiutava con esenzioni: incurante dall’avvenire, compravano con denaro sonante ma le persone assennate consideravano prive di valore quei favori che si potevano dare e ricevere solo a patto di colpire a morte lo stato . in fine , dopo insistenti pressioni dell’esercito stanziato a mevania, con gran seguito di senatori, trascinati molti dall’ambizione, i piu della paura, si reco’ all’accampamento pieno di incertezze e facile preda di malfidi consigli.
 
== Note ==