Utente:Giuseppe Capitano/Sandbox: differenze tra le versioni

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Nel XV secolo (1406) assistiamo alla caduta della Repubblica di Pisa sotto la dominazione Fiorentina.
Ne conseguì una grave crisi economica e sociale che interessò soprattuto commercianti e artigiani, colpiti da una dura tassazione sulle esportazioni delle proprie manifatture. Iniziò così un fenomeno migratorio importante, basti pensare che nel primo quarto del secolo i ceramisti censiti erano 66, mentre nell'ultimo quarto solo 18<ref name=C_138>{{cita|Clemente 2017|p. 138}}</ref><ref>{{cita|Tongiorgi 1964}}.</ref>.
Una prima causa di questo decremento può essere attribuita agli scontri iniziali tra pisani e fiorenti: si ha infatti notizia che molti cittadini legati al mondo della ceramica parteciparono attivamente al conflitto come guardie cittadine, capitani di guardia, o guardie del gonfalone bianco<ref name=C_139>{{cita|Clemente 2017|p. 139}}; </ref><ref>{{cita|Tongiorgi 1979|pp. 25, 26, 32, 55, 56, 91, 93-95, 98, 102, 130.}}</ref>.
Dopo la conquistà fiorentina inoltre venne imposto il confino politico costrinse a molti uomini di allontanarsi dalla città; fu vietato inoltre l’ingresso agli abitanti del contado pisano<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}; {{cita|Petralia 1991|p. 180}}.</ref>.
Alcune fornaci già attive tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo furono distrutte dai fiorentini e talvolta case e botteghe rimaste vuote a causa della guerra venivano distrutte dagli stessi proprietari per non essere tassati<ref>{{cita|Casini 1965|p. 79}}.</ref>.
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La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma le fonti testimoniano una florida attività anche in questo periodo.
Poco dopo infatti, nel 1426 viene creata una società di tre anni tra Giovanni di Cione di Lenzo e Niccolò di Jacopo Mangiacauli<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 139}}<name=C_139/ref>, mentre nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 114-115, 125-140}}; {{cita|Berti - Renzi Rizzo 2000|pp. 135-136}}; {{cita|Tongiorgi 1979|p. 52}}.</ref>:
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Anche nel secondo quarto del XV secolo non mancano attività dedite alla sola rivendita/noleggio. Nel 1428 ad esempio, Gaspare di Paolo del Rosso dichiara di avere nella sua bottega<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 149}};</ref><ref name=C_141>{{cita|Clemente 2017|p. 141}}.</ref>: {{Quote|più masserizie da nozze, cioè da desinari la quale poi prestiamo, cioè caldaie, treppie, schiedoni, altri taglieri e scodelle e altre cose, come richiede il mestiere.}}
Queste venivano vendute ancora nella zona di San Iacopo al Mercato insieme a saltuari pezzi di importazione. Ancora si registrano donne legate alla rivendita con qualche esempio di artigiana dedita alla produzione di vasellame<ref>{{cita|Tongiorgi 1964|pp. 7-8}}</ref>.
 
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Suo figlio Gherardo, nato nel 1427, lavora come “fornaciaio”, ma anche “vagellaio”, anche se la sua attività sembra dedita soprattutto alla fabbricazione e vendita di materiali edilizi, si veda {{cita|Berti 2005|p. 124}}; notizie sulla famiglia Borghesi si trovano anche in {{cita|Tongiorgi 1979|pp. 30-31, 96}}.|group=N}}.
 
La zona di San Paolo a Ripa d'Arno e di San Giovanni al Gatano continua ad essere intensamente sfruttata da 10 fornaci. Sant'Andrea in Chinzica e San Marco vengono abbandonate, mentre viene intensamente popolata da ceramisti la cappella di San Pietro ad Ischia, a nord dell'Arno nei pressi dell'odierna via Sant'Apollonia<ref>{{cita|Clemente|p. 139}}<name=C_139/ref>{{#tag:ref|Le evidenze archeologiche sono illustrate da Marcella Giorgio (https://www.academia.edu/13408119/Un_occasione_per_recuperare_il_passato_lo_scavo_di_Sant_Apollonia_a_Pisa).|group=N}}.
 
Il totale censito per tutto il XV secolo è di 144 ceramisti<ref>{{cita|Clemente 2017}}. Per una parziale lista dei nomi degli artigiani si veda {{cita|Berti 2005|pp. 138-140}}</ref>.
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Nel periodo in cui la compagnia è stata più attiva, sono state fatte fino a quattro cotte mensili; la stessa capacità di produzione aveva la fornace di Sano di Gherardo. Risulta quindi che tra il 24 febbraio 1441 e il 27 giugno 1443 sono state pagate complessivamente le gabelle per 113 “cotte”, cioè per circa 230.000 pezzi.
 
Nei documenti in questione vengono citati anche ceramisti provenienti da aree anche molto lontane da Pisa: genti di Livorno (2-3), Elba (1), località liguri come Noli, Chiavari, Rapallo, Genova, Moneglia, Levanto (8), dalla Corsica (3), da Cremona (1) e da siti iberici che importavano propri prodotti ed esportavano prodotti pisani<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 141}}<name=C_141/ref>.
Sono attestate anche esportazioni di manufatti non pisani come le ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto<ref>L’argomento viene trattato dettagliatamente in {{cita|Berti 2005|pp. 119-124}}</ref>.