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La versatilità del fuoco greco permetteva il suo utilizzo sia in battaglie navali che in battaglie campali e assedi, tramite l'utilizzo di catapulte che lanciavano anfore contenenti la miscela o tramite l'utilizzo di un rudimentale [[lanciafiamme]], chiamato cheirosiphōn, (sifone a mano) che grazie all'ausilio di torri d'assedio riusciva a lanciare fuoco sulle mura nemiche, inoltre veniva anche installato sulle navi bizantine.
 
I [[dromoni]] erano equipaggiati con elaborati sifoni, foderati probabilmente in pelle di bovino o equino, situati sia a [[prua]] che a [[poppa]] dove il liquido fuoriusciva sotto forma di un getto di fuoco che raggiungeva i 15 metri, la fiamma durava pochi secondi ma era più che sufficiente a incendiare completamente la nave nemica, il tutto abilmente manovrato da professionisti adibiti a questa specifica mansione, chiamati sifonatori, essi si dovevano avvicinare parecchio alle navi nemiche il che dava un certo pericolo alla manovra.
 
Il sifone era utilizzabile solo nelle battaglie dove il mare era calmo e le condizioni del vento erano ottimali.
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Tuttora non sappiamo il completo funzionamento dell'arma, ma grazie alle varie fonti che si completano l'un l'altra riusciamo a comprendere almeno in parte le sue componenti ed i suoi dettagli.
 
La fiamma descritta come fuoco "liquido" o "Marino", (chiamata λαμπρος cioè brillante) veniva lanciata dai "sifoni" montati sulle navi da guerra, ancorati e protetti da assi di legno.
 
Le fonti descrivono che mentre il lanciafiamme era in funzione, esso veniva accompagnato da un forte suono e da una spessa nube di fumo.
 
Dai vari scritti che citano l'apparecchio possiamosi capirecapisce che era diviso in diverse parti, (differentemente da quanto detto nel trattato militare di [[Leone VI il Saggio|Leone VI]] chiamato [[Tactica]], che usava la parola ”sifone” per riferirsi all'intero dispositivo) tra cui: un tubo rivestito o fatto interamente in bronzo, che poteva muoversi in tutte le direzioni (quindi doveva essere montato su un qualche tipo di perno); l'apparecchio aveva anche un braciere che riscaldava il composto, che veniva pressurizzato e sparato sotto forma di un getto di fiamme attraverso una bocchetta.
 
Gran parte del funzionamento dell'arma rimane ancora un mistero per via del modo in cui le varie componenti vengono riferite nelle fonti, il sifone ad esempio viene menzionato come pompa nel testo del IX secolo [[Vita Stephani Iunioris]], mentre nel Poliorketika di [[Apollodoro di Damasco|Apollodoro]] viene descritto come un tubo attraverso il quale un liquido pressurizzato passava e veniva lanciato.