Utente:Sguglielmi8/Sandbox: differenze tra le versioni

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La Società fabiana, o Fabian Society in lingua inglese, nacque nel 1884 a Londra, con l’obiettivo di mettere in pratica l’insegnamentole teorie del filosofo Thomas Davidson. Questi sosteneva che il progresso sociale dipendesse dalla rigenerazione individuale e che, per portare il mondo verso un sistema di vita migliore, occorresse che gruppi di individui si impegnassero a vivere un alto ideale di amore e fratellanza. Il fine dell’associazione era quindi quello di studiare quali fossero le condizioni per un’esistenza felice all'interno di un sistema di vita comunitario. <br>
 
Tuttavia, i primi dodici membri della società si mostrarono scettici verso le idee di Davidson e desiderarono un più preciso programma di riforme sociali. Pertanto, dichiararono di aver bisogno di tempo prima di enunciare una linea d’azione. Di qui, su proposta di Frank Podmore, co-fondatore del movimento, assunsero il nome di “fabiani”“Fabiani” per indicare il loro desiderio di esaminare i fatti più a fondo prima di agire, come si legge in uno dei loro primi opuscoli. Il nome della Società, del resto, deriva da quello del generale romano Quinto Fabio Massimo, detto il Temporeggiatore, che evitava le battaglie campali per poi gradualmente logorare le forze nemiche. <br>
 
Inoltre, il concetto di gradualismo è la chiave di volta di tutto il pensiero politico dei fabianiFabiani, i quali credevano nel graduale affermarsi del socialismo. Un ideale che in realtà si affermò solo molto tempo dopo la fondazione della Società grazie al contributo di Sidney Webb, altro membrofigura illustre delladel SocietàFabianesimo.<br>
 
Sebbene anche al suo apice, nel 1946, avesse solo 8.400 membri, non bisogna sminuire l'importanza di questo movimento. Accanto al gradualismo, l’altra tattica vincente dei fabianiFabiani consisteva nel fatto che essi preferirono esercitare una certa influenza, o meglio, “permeare” i partiti con idee socialiste, invece che formare il proprio partito politico o lavorare attraverso i sindacati. “Permeazione” significava infatti, per i fabianiFabiani, aggregarsi a tutte quelle organizzazioni politiche dove fosse possibile attuare un progetto di indirizzo socialista e influenzarle dal loro interno, una volta entrati negli organi direttivi delle organizzazioni politiche stesse. La societàSocietà fabiana, in particolare, permeò il Comitato di rappresentanza laburista separato, che divenne il Partito laburista, nei primi anni del Novecento, e da allora la Società fu affiliata a tale partito.<br>
 
Il Fabianesimo è però il frutto di un’evoluzione storica del pensiero filosofico e politico britannico, che mette radici negli anni della prima rivoluzione del mondo moderno, ossia la Rivoluzione puritana del 1642. In quel periodo, infatti, vennero discussi i fondamenti dell’autorità religiosa e politica e cominciarono ad emergere nuovi ceti sociali e gruppi politici decisi ad ottenere un peso essenziale negli equilibri di potere. Tra questi si distinsero i Livellatori, che costituiscono l’antecedente storico-filosofico del socialismo britannico, nonché del Fabianesimo. <br>
 
Secondo il laburista Tony Benn, in ''Arguments for Socialism'', fonte di ispirazione per il pensiero fabiano furono proprio le tesi di quel partito politico, esposte durante i Dibattiti d Putney del 1647 nel manifesto ''Agreement of the People'', dovele quali, per la prima volta, vennero propostiproponevano come principi fondamentali di uno Stato la libertà e l’uguaglianza, che dovevano però convivere con la proprietà privata.<br>
 
Da tali rivendicazioni prenderà forma nel corso del Settecento il partito radicale, che, nonostante la scarsa rappresentanza ai Comuni, svolse il ruolo di terza forza politica accanto ai Whigs e Tories. La nota dominante di questo atteggiamento politico è d’altra parte l’avversione al privilegio, identificato nel monopolio del re e dell’aristocrazia terriera, nel vasto apparato clientelare della Camera dei Lord, della Chiesa Anglicana e delle compagnie commerciali. Tuttavia, negli anni della Rivoluzione francese, tale partito subì una profonda crisi, dalla quale uscì totalmente rinnovato a livello ideologico grazie all’opera di grandi intellettuali come Jeremy Bentham, Tom Paine e William Godwin. <br>
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Tuttavia, fu soprattutto la filosofia di Bentham ad influenzare notevolmente il pensiero del partito radicale. Le sue teorie cercarono, d'altronde, di adeguare il sistema legislativo inglese ai nuovi rapporti sociali delineatisi nel corso della Rivoluzione industriale. Egli, inoltre, mostrava avversione verso qualsiasi tipo di privilegio accordato dalla legge ai ceti o verso interessi particolari, da lui stesso chiamati ''sinister interests''. Di qui, ritenne opportuno, dunque, rifondare la legislazione dello Stato secondo tre principi etici fondamentali: l’utilità, il benessere e la libertà individuali. In particolare, vedeva nell’utilità il criterio dell’azione morale, il benessere come il fine ultimo di ogni azione e la libertà il mezzo per perseguire tale fine. In questo modo, pervenne alla giustificazione dell'altruismo partendo da presupposti egoistici: «la maggiore felicità del maggior numero di individui». A Bentham risale la teoria, infatti, del calcolo sull’utilità immediata e futura delle proprie azioni e della conseguente estensione del piacere cosicché i piaceri ricercati dal singolo possano promuovere la felicità generale. La funzione della sua filosofia fu quindi duplice: da un lato critica, dall'altro orientativa per la condotta individuale: cerca di fornire gli strumenti adeguati per aiutare gli uomini a scegliere secondo la loro natura. <br>
 
Punto di partenza della riflessione di Bentham è il problema della felicità umana. La felicità equivale al piacere, che può essere solo duraturo o passeggero e non nobile o immorale. Di qui ognuno è libero di perseguire ciò che più gli dà piacere, sotto la guida dell'etica che tenta di dirigere l’individuo verso un piacere duraturo e puro. Tuttavia, l'individuo deve tener conto anche delle ricadute che le sue azioni potranno avere su sé stesso e sugli altri, senza però al contempo rinunciare alla propria felicità. Ecco che, grazie ad una tale distinzione quantitativa dei piaceri, è possibile, attraverso il calcolo morale, fare una selezione dei propri comportamenti in modo da diffondere la maggior quantità di piacere per sé stessi e per gli altri: quel "maggior bene per il maggior numero". La limitazione dell'egoismo viene compensata dai benefici che l'individuo può aspettarsi in futuro dagli altri da lui beneficati. Pertanto, ognuno deve istituire un vero e proprio calcolo dei piaceri di una possibile azione, tenendo presenti i requisiti del piacere preferibile: intensità, durata, certezza, prossimità, fecondità (tendenza a produrre altri piaceri), purezza (ossia non mescolanza col dolore), estensione (il numero di individui che vengono a godere di quel piacere). È questa l'"aritmetica morale" con cui Bentham credeva di trasformare l'etica e la legislazione tradizionali. In tutto questo, dunque, egli ripone una grande fiducia nei mezzi della ragione umana, poiché capace di dare ordine alla vita degli uomini. Inoltre, è convinto dell’adeguatezza del suo metodo poiché fondato sul principio cui per natura tutte le creature viventi si ispirano nelle loro scelte individuali, ossia sul cosiddetto calcolo morale, o meglio, "principio di utilità", in grado di discriminare tra azioni giuste e sbagliate, utili, inutili o dannose. Lo scopo di tale principio è pertanto la costruzione della felicità con gli strumenti della ragione e della legge.<br>
 
In politica tale pensiero tendeva ad identificarsi con una riforma parlamentare, che promuovesse una legislazione e un'amministrazione efficienti e trasparenti. Bentham e i suoi seguaci attribuirono così la massima importanza alla pubblicità degli atti di governo e alla diffusione dell'istruzione, da cui sarebbe derivato un progressivo aumento dell'interesse per la cosa pubblica e quindi un più efficace controllo dei governati sui governanti. Ne consegue che la dottrina utilitaristica di Bentham veniva incontro soprattutto alle aspirazioni dei ceti emergenti, e cioè ai massimi artefici e beneficiari del nuovo assetto industriale e commerciale dell'Inghilterra. <br>
 
Gli stessi fabianiFabiani si proclamarono eredi di questa tradizione facente capo a Bentham, ma il pensatore che più di altri fu d’ispirazione primaria per loro fu John Stuart Mill. Questi era allievo dello stesso Bentham, ma presto prese le distanze dai suoi insegnamenti, sviluppando una filosofia del tutto autonoma, ma anche ambigua, specie nelle questioni riguardanti la natura dell’uomo e il suo posto nella società. Mill in effetti è apparso sia come anticipatore del collettivismo sia come difensore della libertà individuale, minacciata, secondo lui, non tanto dagli abusi dei potenti, quanto dagli eccessi della democrazia. Il pensiero di Mill, rispetto a quello del maestro, si fondava sul “libero sviluppo dell’individualità”, in modo da perseguire il “bene più grande costituito dalla libertà umana”. La libertà è proprio il punto di discordia tra Bentham e Mill: mentre il primo la considerava un elemento subordinato e strumentale, l’altro la vedeva come “fine in sé”. Si tratta insomma di conclusioni inconciliabili con l’utilitarismo di Bentham e che però esaltano la libertà individuale: intesa come un mezzo ordinato al conseguimento del benessere, una condizione necessaria al progresso dell’umanità ed un elemento costitutivo di quel benessere e di quel progresso. A livello politico, il socialismo di Mill consisteva in una rigenerazione morale della società più che in una sua riorganizzazione economica. Sulla scia di tutte le altre filosofie socialiste inglesi, della prima metà dell’Ottocento, escludeva la componente rivoluzionaria violenta. Inoltre, il pensiero socialista di Mill non è stato intaccato minimamente dal socialismo scientifico di Marx, come si può intuire dall’analisi dei ''Principles'' e dei ''Chapters on Socialism'', dove non risulta un consenso verso il socialismo marxista, in quanto la stessa libertà individuale in un “sistema comunista” appare incerta agli occhi di Mill perché sotto il dominio dell’autorità pubblica. L’alternativa non è dunque tra il socialismo nelle sue varie forme e il caos, ma tra il socialismo e il sistema della società privata riformato in modo da garantire agli individui il frutto del lavoro. La chiave di lettura di molte idee di Mill è anti-interventista con il “Laissez - faire” che fa da regola generale di condotta. Mill appare quindi colui che vorrebbe credere nel socialismo, o almeno, in una versione conciliabile con il valore supremo della libertà individuale, ma non si sente in grado di superare i suoi dubbi, che però scompariranno del tutto con i suoi discepoli degli anni Ottanta dell’Ottocento, i Fabiani, i quali in seguito diverranno indipendenti nella loro ricerca della soluzione della questione sociale.<br>
 
I primi aderenti alla Società fabiana erano giovani borghesi, di buona formazione e impiegati in vari campi: dal giornalismo all'istruzione fino all'amministrazione statale. Tutti per lo più intellettuali accumunati da un senso di insoddisfazione verso la propria esistenza e la società in generale a tal punto che per descrivere questo stato d'animo di crescente disagio, Beatrice Webb, una delle figure più importanti del Fabianesimo, usò l'espressione ''consciousness of sin'' (in italiano ''coscienza del peccato'') al fine di indicare il progressivo manifestarsi della questione sociale agli occhi non solo delle classi più abbienti, ma soprattutto degli intellettuali dell'Inghilterra vittoriana. D'altra parte fu in quel periodo che la povertà cominciò ad essere considerata non più come una realtà di fatto, e per questo immutabile, ma come un problema vero e proprio da affrontare e risolvere. A pesare furono, oltre le denunce sulle intollerabili condizioni di vita degli ''slums'', l'impossibilità ormai per un giovane della classe media di godere della propria condizione senza provare un senso di colpa. Non deve stupire, pertanto, che lo scopo del neo movimento fosse quello di "concorrere alla ricostruzione della società in armonia con le più elevate possibilità morali" (Pench, ''Il socialismo Fabiano'', p. 77), né il fatto che la parola "socialismo" non circolasse all'interno delle discussioni dei primi membri.<br>
L’orientamento politico autentico dei Fabiani emerge in uno dei loro primi opuscoli, intitolato ''Facts of Socialists'', che consiste in una raccolta di dati statistici e citazioni di economisti autorevoli, tra cui alcune di Mill stesso, tesa a dimostrare le disuguaglianze nella distribuzione del reddito nazionale e le gravi conseguenze che ciò comporta a livello sociale come la povertà e la mortalità infantile. La soluzione proposta non è assolutamente la rivoluzione alla francese. Anzi, si ripone una certa fiducia nelle amministrazioni, in primis locali, che gradualmente devono cercare di promuovere riforme di tendenza socialista a livello nazionale. A ciò si affiancava anche il progetto di una politica nazionale di graduale soppressione della rendita in tutte le sue forme, nonché di un'imposizione fiscale differenziata. Allo stesso tempo, a prescindere dai contenuti, emerge in questo documento anche lo stile della letteratura fabiana, tendente sempre a trasmettere un’apparente neutralità invece che una posizione ideologica vera e propria. Le risoluzioni dei vari problemi, infatti, appaiono sempre come una naturale soluzione ai problemi stessi dal momento che, a monte, è stata presentata una serie di dati ufficiali, che descrivono in maniera oggettiva la realtà. La Società fabiana d’altronde non volle e non fece mai dichiarazioni espressamente politiche proprio perché la neutralità rappresentava quella qualità che l'aveva distinta sin dai suoi esordi all'interno del panorama politico dell'epoca. Tuttavia, l'importanza di questo opuscolo dipende non solo dalle statistiche raccolte, ma anche dal tentativo di propagandare i principi socialisti attraverso citazioni tratte da fonti non socialiste, e di presentare il socialismo non come un movimento rivoluzionario mirante a sovvertire la società esistente, ma piuttosto come uno sviluppo logico e necessario di tendenze già operanti nel capitalismo stesso. <br>
 
Allo stesso tempo, a prescindere dai contenuti, emerge in questo documento anche lo stile della letteratura fabiana, tendente sempre a trasmettere un’apparente neutralità invece che una posizione ideologica vera e propria. Le risoluzioni dei vari problemi, infatti, appaiono sempre come una naturale soluzione ai problemi stessi dal momento che, a monte, è stata presentata una serie di dati ufficiali, che descrivono in maniera oggettiva la realtà. La Società fabiana d’altronde non volle e non fece mai dichiarazioni espressamente politiche proprio perché la neutralità rappresentava quella qualità che l'aveva distinta sin dai suoi esordi all'interno del panorama politico dell'epoca.<br>
 
Tuttavia, i membri della Società avevano opinioni che riflettevano l'epoca in cui vivevano: i fabiani più illustri avevano pregiudizi e opinioni razziste che non erano in linea con l'impegno della Società per l'uguaglianza di tutti. Anche le opinioni sul ruolo dell'Impero variavano tra i membri: alcuni sostenevano una rapida decolonizzazione e altri vedevano l'Impero britannico come una forza potenzialmente progressista nel mondo. Alla fine sarà proprio l’assenza di una linea comune che porterà allo scioglimento della Società stessa nel corso del primo Novecento.