Plotino: differenze tra le versioni
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Dell'Uno nulla si può dire, a meno di non cadere in [[principio di non contraddizione|contraddizione]]. L'Uno può essere arguito solo per via negativa, dicendo ciò che esso ''non'' è: quella di Plotino è pertanto una [[teologia negativa]] o [[apofatismo|apofatica]], assimilabile alle religioni orientali come l'[[induismo]], il [[buddhismo]] e il [[taoismo]].
«Uno» è anch'esso un termine improprio, usato solo per distinguerlo dai molti. Eppure, come la luce non può essere vista di per sé, ma si rende visibile solo in quanto fa vedere gli oggetti,<ref>L'atto del vedere infatti «non può essere per sé solo distintamente percepito, in quanto l'occhio è rivolto all'oggetto illuminato; ma se l'occhio non vede nulla al di là di esso, allora vede in un'improvvisa intuizione il solo mezzo luminoso; eppure anche allora lo vede in quanto si appoggia su un altro oggetto; ma se invece fosse solo in se stesso e non poggiasse su un altro oggetto, la percezione non potrebbe coglierlo» (''Enn.'' V, 5, 7). Plotino riprende così il paragone platonico del Bene col Sole (''[[Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' 508 d 5), aggiungendo che esso fa conoscere non solo l'oggetto conosciuto, ma insieme anche se stesso ([[Thomas Alexander Szlezák]], [https://books.google.it/books?id=Dz5vXaaGcGgC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q=plotino%20paragone%20sole%20luce%20rep%20conoscere%20conosciuto%20auto-conoscenza&f=false ''Platone e Aristotele nella dottrina del Nous di Plotino'', pag. 201, nota 481], Milano, Vita e Pensiero, 1997).</ref> così esso si rivela come condizione del nostro [[pensare]].<ref>«Perciò si diçe che Egli è causa non soltanto dell'essenza, ma anche del fatto che essa sia vista. Come il Sole, il quale, per le cose sensibili, è causa sia dell'esser viste, sia del loro divenire, nonché della [[vista]], [...] così anche la natura del Bene, essendo causa dell'essenza e dell'Intelligenza, [...] non è né gli esseri né l'Intelligenza, ma è la causa per la quale, ad opera della sua luce che si effonde sugli esseri e sull'Intelligenza, è possibile pensare» (''Enn.'' VI, 7, 16, trad. di [[Giuseppe Faggin|G. Faggin]], cit. in Sant'Agostino, [https://books.google.it/books?id=76TzmJ14RVUC&newbks=1&newbks_redir=0&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q=%22Egli%20%C3%A8%20causa%20non%20soltanto%20dell'essenza%2C%20ma%20anche%20del%20fatto%20che%20essa%20sia%20vista%22&f=false ''I soliloqui'', pag. 78, nota 3], Città Nuova, 1997).</ref> Nel risalire a Lui, Plotino ricorre al principio logico secondo cui il "meno perfetto" deve di necessità ''emanare'' dal "più perfetto". Così tutta la realtà discende dall'Uno in stadi successivi di sempre minore perfezione.
Volendo trovare un perché a questa discesa, si potrebbe immaginare l'Uno come ''[[volontà]]'' che dona all'esterno di sé il risultato della sua natura attributiva (essendo la natura della volontà quella di volere).<ref>''Enn.'' VI, 8, 13. Plotino in proposito parla dell'Uno anche come ''dinamys'': «la potenza di tutte le cose» (''Enn.'' III, 8, 10).</ref> Questo ''donare'' però esula chiaramente da qualunque esigenza [[razionalità|razionale]]; se infatti l'Uno andava ammesso per una necessità della [[logica formale]], poiché non potremmo avere coscienza dei molti senza rapportarli all'uno, una tale necessità viene invece a mancare quando, nel discendere, cerchiamo ragioni che costringano l'Uno a ''uscire da sé'' e generare il [[molteplicità|molteplice]]. Egli infatti è del tutto autosufficiente, essendo "[[causa sui|causa di sé]]".
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