Processo di Bobigny: differenze tra le versioni
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Il '''processo di Bobigny''' venne celebrato a [[Bobigny]] nell'ottobre e novembre del 1972. Si trattò di un [[processo per aborto]], la cui imputata fu la minorenne [[Marie-Claire Chevalier]], la quale venne accusata di aver abortito l'anno precedente. Alla fine di questo evento, l'imputata venne assolta. Questo processo contribuì al raggiungimento della depenalizzazione dell'[[aborto]] in Francia avvenuto per mezzo della [[Loi Veil
== La contraccezione e l'aborto in Francia ==
Già a partire
[[File:Rue Marie-Andrée-Lagroua-Weill-Hallé (Paris) -panneau de rue.jpg|miniatura|Via dedicata a [[Marie-Andrée Lagroua Weill-Hallé]]|sinistra]]
Durante l’occupazione nazista, l’aborto venne punito con la pena di morte, in quanto venne considerato dal [[regime di Vichy]] come «crimine contro lo Stato». Nel dopoguerra, invece, con la caduta del regime nazista, l’aborto tornò a essere vietato dalla [[legge del 1920]], processato dai tribunali<ref name=":3">{{Cita libro|autore=Lorenza Perini|titolo=Il corpo del reato. Parigi 1972 - Padova 1973: storia di due processi per aborto|data=2014|editore=BraDypUs|città=Bologna|p=19}}</ref>.
Nonostante la legge del 1920, cominciarono a presentarsi associazioni per denunciare la proibizione della propaganda a favore del controllo delle nascite. Tra queste vi fu la fondazione di «[[La maternité heureuse
Anche grazie alle iniziative promosse da diverse associazioni e da diversi attivisti, si assistette a una svolta nel 1967 in Francia. In questo anno venne approvata la [[Loi Neuwirth]], la quale concesse l'uso dei contraccettivi, in particolare quelli per via orale. Nonostante ciò il divieto verso la propaganda anti-natalista continuò a permanere<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Bibia Pavard|titolo=The Right to Know? The Politics of Information about Contraception in France (1950s–80s)|rivista=Medical History|volume=vol. 63|numero=n. 2|p=178}}</ref>.
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== Il manifesto delle 343 e ''Choisir'' ==
<s>Il movimento femminista europeo e statunitense, a partire dagli anni Settanta, cominciò a mobilitarsi per dare spazio al disagio vissuto e condiviso in quanto donne, uscendo così dalla sfera privata e dall’ombra a cui erano state costrette per molto tempo.</s>
<s>Esso fece in modo che le donne prendessero coscienza e conoscenza del proprio corpo. Le attiviste posero la seguente domanda a sé stesse, a tutte le donne e alla società: "A chi appartiene il corpo della donna?". Nella risposta apparentemente scontata ma invece rivoluzionaria per l'epoca, in quanto le donne per secoli non furono libere non solo di gestire il proprio corpo ma addirittura di conoscerlo, le femministe trovarono ciò che diede forza e senso alle proprie battaglie a sostegno dell'emancipazione della donna. A partire dal 1971 le attiviste, per il raggiungimento di questo processo, richiesero a gran voce l'aborto libero e gratuito per tutte, evitando così gravidanze non volute.</s>
Oltre al processo di Bobigny, a concorrere al raggiungimento della Loi Veil del 1975, contribuirono iniziative sostenute dai collettivi femministi. Tra queste vi fu quello che accadde nell'aprile del 1971, quando nella rivista di sinistra «[[Le Nouvel Observateur]]» venne pubblicato il [[Manifesto delle 343]], il quale provocò una cesura profonda rispetto a quanto avvenne prima.
[[File:Simone de Beauvoir 1955.jpg|miniatura|Simone De Beauvoir, firmataria del manifesto delle 343 e fondatrice, con Gisèle Halimi, dell'associazione «Choisir».]]
Infatti, per mezzo di questo manifesto, le 343 donne firmatarie dichiararono pubblicamente di aver abortito su uno dei periodici francesi più venduti (tiratura 350.000 copie a settimana), rifiutando in modo deciso l'anonimato con cui questa pratica, in quanto venne vista come uno stigma sociale, normalmente avveniva. Il manifesto delle 343 ebbe tra le firmatarie più conosciute: l’autrice [[Simone de Beauvoir|Simone De Beauvoir]], l’avvocata franco-tunisina [[Gisèle Halimi]] che difenderà Marie Claire Chevalier nel processo di Bobigny, la regista [[Agnès Varda]], l’attrice [[Jeanne Moreau]], la cantante [[Brigitte Fontaine]]. Con questo manifesto si cominciò a mettere in discussione ciò che si riteneva essere il destino di ogni donna: la maternità. Fu un momento cruciale non solo per la depenalizzazione dell’aborto, ma anche per l’emancipazione femminile. L’obiettivo del documento fu quello di rivendicare con forza l’aborto libero e gratuito<ref>{{Cita web|url=https://www.nouvelobs.com/culture/20041126.OBS2461/la-liste-des-343-francaises-qui-ont-le-courage-de-signer-le-manifeste-je-me-suis-fait-avorter.html|titolo=Il testo del manifesto e la lista delle firmatarie|sito=nouvelobs.com|accesso=2 gennaio 2025|urlarchivio=/web/20250102104002/https://www.nouvelobs.com/culture/20041126.OBS2461/la-liste-des-343-francaises-qui-ont-le-courage-de-signer-le-manifeste-je-me-suis-fait-avorter.html}}</ref>.
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== L'imputata Marie-Claire Chevalier ==
[[File:Tombe de Marie-Claire Chevalier à Meung-sur-Loire.jpg|sinistra|miniatura|Tomba di Marie-Claire Chevalier a Meung-sur-Loire]]
{{Bio
|Nome = Marie-Claire
|Cognome = Chevalier
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La madre Michèle decise così di rivolgersi alle proprie colleghe, due delle quali la aiutarono nella ricerca, per cercare un [[abortion provider]] (espressione utilizzata dalla storiografia anglofona, per indicare le persone, con formazione medica e non, che eseguono aborti. La formula scelta evita il ricorso a espressioni stigmatizzanti come “mammana”, “praticona”, “medicona” ecc), in quanto, a causa della propria condizione economica, non potevano permettersi un aborto sicuro in cliniche private dove l'interruzione di gravidanza era permessa dalla legge, in Francia, infatti, l'aborto, fino al 1975, era considerata una pratica illegale.
A procurarle l'aborto fu [[Madame Bambuck]], la quale utilizzò la tecnica della sonda.
Marie-Claire tornò a casa «guarita e libera»<ref name=":1" />. A denunciarla ci pensò Daniel P., il ragazzo che l'aveva violentata, poiché volle distogliere l'attenzione dal suo caso, in quanto venne accusato di aver rubato un'auto.
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Durante questo processo vennero giudicate Marie-Claire Chevalier per aver interrotto la gravidanza, come complici la madre Michèle, le due colleghe della metro della medesima e Madame Bambuck per aver procurato l'aborto alla giovane ragazza<ref name=":1" />. Questo caso viene così descritto dallo storico Giambattista Scirè: «era uno dei tanti in cui l'indigenza e l'ignoranza avevano portato una ragazza a una gravidanza indesiderata e poi all'aborto»<ref>{{Cita libro|autore=Giambattista Scirè|titolo=L’aborto in Italia. Storia di una legge|anno=2008|editore=Mondadori|città=Milano|p=36}}</ref>.
[[File:Gisele Halimi Front de Gauche 2009-03-08.jpg|miniatura|L'avvocata femminista franco-tunisina Gisèle Halimi]]
Il processo avvenne in due
Questo processo mostrò alla Francia e al mondo una grave tragedia che migliaia di donne dovettero subire per interrompere la propria gravidanza: quella dell'aborto clandestino. Esso da eccezione drammatica si scoprì essere, invece, una piaga diffusa, un ''vulnus'' sperimentato in maniera violenta e disumana da molte gestanti.
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L'evento oltralpe, venne reso noto in Italia grazie ai giornali e grazie al periodico «[[Noi donne|Noi Donne]]». In quest'ultimo, infatti, vi furono, nel numero 49 del 1972, due inchieste dedicate al processo di Bobigny: la prima, dal titolo ''Tutta Parigi con lei'', fu scritta da Pinuccia Bonetti, la seconda, di notevole importanza, fu scritta da Gabriella Lapasini e intitolata ''Quante Marie Claire in Italia?.''
Questa seconda inchiesta permise di utilizzare il caso Chevalier
Il caso Chevalier divenne il modello preso dalle militanti del gruppo padovano «[[Lotta femminista]]» nel giugno 1973 per gestire nel migliore dei modi un processo simile, poiché il reato compiuto era sempre l'aborto, ma allo stesso dissimile per l'esito, che coinvolse la padovana [[Gigliola Pierobon]], la quale nella propria autobiografia scrisse: «Bisogna assolutamente che ci teniamo in contatto da un paese all'altro anche per poterci comunicare le informazioni e le esperienze che ci permetteranno di evitare gli scogli del riformismo»<ref>{{Cita libro|autore=Gigliola Pierobon|titolo=Il processo degli angeli (Storia di un aborto)|data=1974|editore=Tattilo|città=Roma|p=69}}</ref>.
In conclusione, il processo che portò alla depenalizzazione dell'aborto, in Occidente, è un fenomeno politico-culturale transnazionale. Grazie alla condivisione e alla diffusione delle iniziative, si è superato, in molti paesi occidentali, la legislazione che difendeva la criminalizzazione dell'interruzione di gravidanza.
== Note ==
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* Carlo Cavicchioli, ''Cortei e scontri a Parigi per un'imputata d'aborto'', in «La Stampa», a. 106, n. 224, 12 ottobre 1972, p. 13.
* Gabriella Lapasini, ''Quante Marie Claire in Italia?'', in «Noi Donne», a. XXVII, n. 49, 10 dicembre 1972, p. 20.
* Gigliola Pierobon, ''Il processo degli angeli (Storia di un aborto)'', Roma, Tattilo, 1974.
* L. Bo, ''Assolta una giovane che aveva abortito'', in «Il Corriere della Sera», a. 97, n. 226, 12 ottobre 1972, p. 19.
* Pinuccia Bonetti, ''Tutta Parigi con lei'', in «Noi Donne», a. XXVII, n. 49, 10 dicembre 1972, pp. 22-23-24.
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* [[Roe contro Wade|Roe vs Wade]]
*[[Simone Veil]]
*[[Gigliola Pierobon]]
== Collegamenti esterni ==
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