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Il Federici vedeva in questa gestione privatistica dello Stato, che si traduceva in concessioni di privilegi, soprattutto fiscali, ai più potenti, la prima causa della sua debolezza. Ma non reclamava, a differenza di molti "nobili poveri"<ref>I "nobili poveri" erano così detti per distinguerli dall'alta Aristocrazia che gestiva ''de facto'' il potere dello Stato. Essi si radunavano nel Maggior Consiglio, di cui comunque il Federici non fece mai parte.</ref>, il proprio diritto a partecipare ai suddetti privilegi, quanto piuttosto la necessità di una riforma del sistema esattoriale che creasse una contribuzione alle spese dello Stato proporzionale ai beni posseduti.
 
 
{{quote|Non è possibile promuovere l'utile Agricoltura, se non si hanno molte e attive braccia, e non è possibile avere un'abbondante ed industriosa popolazione, ove non regni una discreta libertà di Commercio, almeno per l'esito dei prodotti che avanzano, e per l'introito dei necessari che mancano, né è possibile che questa popolazione abbia la necessaria attività se non vede constantemente puniti i delitti, premiata la virtù, e sbandita la superstizione, madre ben feconda più di ogni altra dell'indolenza.
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Vi potrebbe forse anche essere una strada con cui rendere più ricca la cosa pubblica, e meno aggravati i popoli.|Lettera di Marco Federici a Luigi D'Isengard del 6 novembre 1791}}
 
 
 
Era una posizione ovviamente scandalosa che lo aveva fatto entrare nelle mire del conservatore Giacomo Giustiniani, Governatore della Spezia, e del [[Clero]], nonché dei temutissimi Inquisitori di Stato<ref>Una polizia di Palazzo, divenuto uno strumento attraverso cui ''"si sfogavano gli odi particolari, si colpivano gli avversari politici, si tenevano in pugno la libertà, le sostanze, le vite dei cittadini.[...] teneva sotto controllo non solo i nemici del regime, ma gli stessi patrizi invisi alla ristretta cerchia dei potenti"'', Ronco A., ''op.cit.'', pag.36.</ref>. A tutto ciò si assommava la tradizionale richiesta di essere elevato al rango di [[Porto Franco (economia)|porto franco]] da parte della città della [[Spezia]], di cui si fece sempre promotore<ref>Il 9 giugno 1797 a casa sua si era tenuta ''"un'adunanza di più persone compresi i primari di questa città, ove si era stabilito di mandar lettera al generale Bonaparte instando che [...] si avesse riguardo a questo golfo e adiacenze, con farle godere i diritti di cittadinanza, franchiggie e libero commercio"'', Arch. di Stato di Genova, Rep. Ligure, 494</ref>. Questo atteggiamento fu spesso interpretato come un'istanza separatista dallo [[Repubblica di Genova|Stato Genovese]], ma al contrario fu