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:Per il resto ci sono questioni su cui non sono troppo d'accordo. Sul fatto che le opere "riesumate" dalla Callas siano entrate in repertorio forse hai dei riscontri statistici che a me mancano. Lasciamo stare Macbeth, che tra l'altro fu diretto niente meno che da De Sabata. Ma davvero si dà così tanto Anna Bolena? Forse hai ragione, ma spero di no! :) O l'Alceste e l'Ifigenia in Tauride di Gluck? all'estero magari.... Se sai di qualche rappresentazione del Pirata invece dimmelo perché ci vado! Tu stesso riconosci che Armida e persino Il turco in Italia ormai non si fanno spesso. Per carità, le ragioni per cui un'opera rientra o no in repertorio possono essere le più svariate, non è certo solo colpa o merito dell'interprete che l'ha riproposta. Ma determinati successi legati alla presenza di un fuoriclasse secondo me restano più nel mito che altro. Altra cosa è riuscire a dare una rilettura organica ad una partitura musicale, ma per questo servono un'edizione fatta come si deve e un direttore che sappia quello che dirige. Chiacchierando di tagli d'epoca, mi è venuta in mente l'eccezione straordinaria di Bernstein che propose alla Scala la Sonnambula pressoché integrale, proprio con la Callas. Mi piacerebbe conoscere i retroscena di quell'evento: se la Callas fu contenta o meno, se piacque l'esecuzione ecc. Certo quella per me è La sonnambula, mentre quella di Votto no (e non solo a causa dei tagli). So che i fautori dei tagli in genere invocano il fattore teatralità, cosa che in parte capisco. Tuttavia persino per fare i tagli bisogna prima conoscere a fondo la partitura per quello che è, lo stile di un autore e le convenzioni di un'epoca, non si può incontrare qualche battuta che non piace e dire "via": perché i pezzi hanno una forma e quella battuta non particolarmente interessante nel contesto è necessaria. Paradossalmente trovo più accettabile l'eliminazione di un'intera scena (tu accennavi a quelle due di Lucia di Lammermoor) che una cabaletta senza ripresa, in genere tenendo la coda alla fine col risultato di avere - per dire - 1 minuto di strofa, 40 secondi di coda e sicuramente acuto sparato alla fine, perché il risultato è goffo, sia in se stesso che nel contesto del numero musicale. Insomma, la musica ha i suoi percorsi e la sua logica. A volte sono stati gli stessi compositori a tagliare, ma nel farlo hanno seguito una logica compositiva. Tu accennavi a Gavazzeni, che a volte è vero ha fatto dei tagli, ma a me è capitato di sentire opere di quel repertorio eseguite da lui in versione quasi integrale. Il suo Pirata è ben altra cosa rispetto a quello con la Callas. Riguardo al Festival di Pesaro, non ti pare che abbia allevato parecchie voci, alcune grandi (non necessariamente italiane e non necessariamente soprani) che hanno cantato quel repertorio in Italia e all'estero? Magari le cose stessero così per altri autori!.... Oggi quando si esegue un'opera di Rossini, anche senza un grande cast, le probabilità che il risultato sia almeno discreto sono elevate, perché si è creato un gusto, nell'ascoltarlo e nell'eseguirlo, grazie allo studio delle sue partiture e all'approccio filologico. Non importa se le singole opere non vanno in scena spesso: è lo stile di un autore che è stato messo a fuoco. Certo, Sigismondo o Torvaldo e Dorliska hanno i loro problemi, ma direi che hai preso due esempi un po'.... particolari ;-) Diverso è il caso degli autori che furono considerati proprio il cavallo di battaglia della Callas, come Donizetti e soprattutto Bellini. Ti faccio un esempio: Abbado è un direttore rigoroso quando esegue Rossini, ma i suoi Capuleti degli anni 60 sono un esempio di tutto ciò che non si deve fare eseguendo Bellini. Evidentemente gli mancava la consapevolezza di cosa sia quella musica e probabilmente gli mancherebbe ancora adesso. Questo non a proposito della Callas ma per dire che senza partire dalla filologia raramente si va lontano. Tornando alla Callas, resto dell'idea che forzò il repertorio belliniano e donizettiano in chiave tardo-ottocentesca: ciò che riusciva ad adattare alla sua visione estetica lo cantava, magari in modo sublime, il resto (o anche i pertichini altrui!) lo ridimensionava o lo eliminava. L'idiosincrasia per le ripetizioni, di cui l'opera del primo Ottocento è piena, mi pare molto indicativa di questa distanza culturale, dato che si trovano tali e quali qualunque fosse stata la prima interprete dell'opera.<br/>
:Queste osservazioni comunque restano su queste pagine, nella voce prometto di aggiustare il passo in questione. Ciao --[[Utente:Francesco Cesari|Al Pereira]] 08:32, 22 nov 2006 (CET)
 
Grazie per questa serie di osservazioni. Cerco di non perdere il filo, puntualizzando alcune cose.
 
1. OPERE ENTRATE IN REPERTORIO DOPO LE RIESUMAZIONI DELLA CALLAS. E' anche una questione relativa.
a. Anna Bolena è stata continuamente ripresa, non solo, immediatamente, con la Gencer, la Sills e la Caballé, ma più di recente dalla Gruberova, più la prova senile della Sutherland. Non solo, ma adesso, grazie alla nuova o seminuova Theodossiu è costantemente nei cartelloni dei più importanti teatri, ormai da qualche annetto. Certo, rimane legata alla presenza autorevole del soprano, o ad un soprano che trova la parte congeniale, e non è diffusa come i capolavori di Rossini, ma questo dipende in grandissima parte dall'opera, che non può essere sostenuta oltremodo, e a cui la Callas ha conferito un prestigio che in sé non avrebbe. Anche comparativamente, opere donizettiane infinitamente più meritevoli, come il Devereux, sono state rappresentate molte meno volte, e riprese molte meno volte: dalle solite Gencer-Sills-Caballé, poi dalla Gruberova, e poi *basta*. Non ha una 'storia contemporanea' come la Bolena.
b. Quanto al *Macbeth*, si tratta di un'opera verdiana, tu m'insegni, "anfibia" (come il Boccanegra, in parte come Stiffelio/Aroldo) tra Verdi grosso modo 'prima maniera' e Verdi della maturità. De Sabata l'ha diretto benissimo, ma in una chiave recisamente tardoromantica (il rifacimento per Parigi è del 1867), una prospettiva che in parte i direttori seguenti, Abbado sopra tutti, hanno drasticamente ridimensionato, perché si tratta pur sempre di un' "opera a intenzione" rifatta sulla scorta fedele di un' "opera a numeri": la struttura rimane quella dell'opera a numeri, e il linguaggio altamente stilizzato. Mentre l'interpretazione della Callas è rimasta manualistica. Il caso è un po' diverso.
c. Il Pirata è stato ripreso parecchie volte, in anni più vicini a noi Lucia Aliberti ne ha fatto un ruolo-feticcio. Non si tratta, nemmeno qui, di un fenomeno su amplissima scala, ma rimane il fatto che è molto più presente di un'opera forse più equilibrata e felice (relativamente, perché soprattutto drammaticamente sono tutte e due, mi pare, piuttosto evanescenti) come la Straniera, per esempio, che la Callas tra l'altro doveva riprendere e non riprese. La Straniera non ha praticamente storia.
d. I titoli gluckiani non sono frequentatissimi perché i grandi teatri, italiani soprattutto, non sono molto propensi a dare, nemmeno oggi, titoli settecenteschi. Ma sicuramente non si tratta di opere dimenticate. E come l'Alceste ebbe un'altra interprete di eccezione, assolutamente (anche lei) non-filologica ma capace delle cose più stupende, come Kirsten Flagstad. Credo che l'incisione Decca sia assolutamente integrale.
 
2. BERNSTEIN. E' certo che la C. avesse grandissimo concetto di Bernstein. Non so se solo per radio o a Spoleto la C. l'aveva sentito dirigere, e le era piaciuto il suo modo di concepire il classicismo viennese. E' proprio a quel tipo di suono e di dinamiche che pensava per portare Medea alla Scala (per l'inaugurazione, una cosa che all'epoca era pressoché inconcepibile), evidentemente perché voleva evitare letture troppo melodrammatiche. Fu lei (testimonia Meneghini) a chiedere a De Sabata di farlo venire alla Scala, gli parlò per telefono, etc. Fecero Medea nel '53, per l'apertura, e si sa come andò. Bernstein agiva molto liberamente; sembra che avesse proposto alla C. di tagliare (ma questa è una notizia che trovo su un'altra biografaccia, quella della Stassinopoulou) "Dei tuoi figli la madre". La C. non ha mai espresso pentimento, che io abbia letto, circa questa scelta. Purtroppo anche in questo caso le biografie seguono l'indirizzo della stampa scandalistica (molto spesso non c'è altro), e il flirt (l'ennesimo) che qualcuno ebbe l'idea di attribuire alla C. e a B. ha contribuito, come sempre, ad affossare qualunque interesse non banale per quest'operazione. Penso che la C. fosse contenta di B. anche perché era estremamente consapevole, date le critiche che cominciarono a piovere sin dall'annuncio della collaborazione C.-B.-Visconti, che parve un'esagerazione inutile per un'opera non meritevole di tanta attenzione. A questo proposito voglio assolutamente dire che la C. non fu QUASI MAI libera di fare quello che voleva. Molte stranezze (come il suo eccezionale Barbiere) derivano anche dai compromessi ai quali era stata costretta a scendere: non aveva potuto fare Rosina come contralto, e aveva fuso la scrittura sopranile con quella contraltina, aprendo tagli e fiorendo a volontà; aveva addirittura pensato di riprendere la consuetudine dell'aria del baule (un pezzo dal Fetonte di Jommelli) per l'aria della lezione... Tutte cose che erano lette come capricci e stravaganze, e creavano una sorda irritazione, con manifestazioni anche a furor di popolo del tutto inconcepibili oggi. Questo anche perché oggi i cantanti d'opera non hanno la rilevanza sociale e il significato a cui la Callas era riuscita a riportare, per un attimo, questa figura; in una fase storica in cui il melodramma non era lavoro d'équipe, ma qualcosa che viveva grazie e per i cantanti.
 
3. TAGLI. Per quanto riguarda i tagli, mi affretto a precisare che anche a me non piacciono. Ma ricordo anche che una raffinata ripresa come la Semiramide di Meyerbeer, opera rossinizzante diretta da Bonynge (2005), con diversi specialisti rossiniani all'interno di un festival rossiniano in Germania, è stata eseguita e incisa in stile anni Cinquanta, col taglio degli a capo &c., "adeguando", come informa una nota del libretto d'accompagnamento, la partitura alle qualità vocali dei cantanti. Per quanto riguarda l'opera dell'Ottocento, attenzione: tu stesso m'insegni che la cabaletta col da capo è onnipresente fino al protoromanticismo. Ma Verdi, a partire dal 1845 grosso modo, comincia a scrivere anche cabalette senza ripresa (per Ronconi, se non sbaglio, nella Battaglia di Legnano, &c.), a partire da quelle affidate alle voci maschili per poi passare all'opera a intenzione che ha un gioco molto più sfumato, e tende a trovare altri elementi di continuità e ripresa, come per esempio la tonalità, i motivi &c., e non le strutture dei pezzi. Ed è proprio dal Verdi di mezzo, trilogia popolare soprattutto, in poi che il pubblico di allora si basava: il gusto era quello. Quanto alle tracce, anche consistenti, rimaste nella trilogia popolare, sono state ovviamente il primo oggetto di tagli: Rigoletto contiene una cabaletta del Duca all'epoca mai e poi mai eseguita, benché sia splendida ("Possente amor mi chiama", con la tromba); le cabalette dei due Germont (più opinabili, sembra) erano regolarmente falciate via; a Leonora rimaneva solo una delle due cabalette. Il fatto è che venendo meno il virtuosismo il da capo perdeva di senso. La C. era perfettamente in grado di variare, lo sappiamo, ma il pubblico non era assuefatto. Uscendo dal suo cono d'ombra di cantante "di nicchia", eccettuando i suoi esordii (in Italia) wagnerian-pucciniani e in riferimento al suo avvicinamento al Maggio, la C. ha cominciato ad occupare una posizione curiosa, che vedeva una tensione dialettica, e un equilibrio che a distanza sembra perfetto, tra opere del grande repertorio e opere decisamente desuete e meritevoli di entrarci. All'epoca, anche senza voler fare del folclore, non era affatto educato come quello di adesso, che in una serata all'opera viene con atteggiamento molto più disponibile e riflessivo, all'epoca i loggioni avevano preconcetti incrollabili. La C. ha avuto, nella sua volontà di creare sempre qualcosa di "speciale", di nuovo, anche un'importante funzione di rottura. La distanza culturale non era tra la C. e quel repertorio (protoromantico), ma semmai tra *il suo pubblico* e quel repertorio.