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Peterson segue infatti la [[Archetipo|concezione archetipica]] di [[Carl Jung]] supponendo che i miti abbiano dei substrati archetipici universali praticamente in tutte le culture. Per dimostrarlo Peterson fa esempi a partire dalla tradizione mitica mesopotamica, quella giudaico-cristiana, con numerosi riferimenti anche al [[buddismo]] e alle altre religioni orientali.
 
Il substrato archetipico universale del mito, secondo Peterson, tende a descrivere il mondo come ''forum'' per l'azione di tre elementi costitutivi, che tendono a manifestarsi nei miti delle varie culture umane in tipici schemi di rappresentazione metaforica. Il primo di questi tre elementi è il «territorio inesplorato – la [[Grande Madre]], la natura, il creativo e il distruttivo, la fonte e il luogo di riposo finale di tutte le cose determinate».<ref name="xx" /> Il secondo è il «territorio esplorato – il Grande Padre, la cultura, la saggezza protettrice e tirannica, ancestrale e cumulativa».<ref name="xx" /> Il terzo è il «processo che media tra territorio inesplorato ed esplorato: il Figlio Divino, l'individuo archetipo, la Parola esplorativa creativa e l'avversario vendicativo».<ref name="xx">Jordan B. Peterson, ''Maps of Meaning: The Architecture of Belief'', p. xx</ref>
 
Secondo Peterson questi miti archetipici sono serviti a cementificare, in termini biologico-evolutivi, quella che è lun'innata tendenza morale dellnell'uomo (rintracciabile, in forma abbozzata, anche nei primati, come evidenziato dagli studi di [[Frans de Waal]]), dando alla morale una potente base astratta di significato. Secondo Peterson infatti gli antichi miti contengono inal loro essiinterno, evolutivamente parlando, la base psicologica e filosofica della morale umana.
 
Il [[significato (psicologia)|significato]] infatti, secondo Peterson, ha delle evidenti implicazioni per l'output comportamentale; e logicamente, quindidi conseguenza, il mito – che è la forma archetipica della costruzione del significato – non può che presentare «informazioni rilevanti per il più fondamentale dei problemi morali».<ref name="p13">Jordan B. Peterson, ''Maps of Meaning: The Architecture of Belief'', p. 13</ref>
 
«I miti – arguisce Peterson – sono centrati e correttamente interessati alla natura del successo [evolutivo] dell'esistenza umana. Un'attenta analisi comparativa di questo grande corpo della filosofia religiosa potrebbe consentirci di determinare provvisoriamente la natura essenziale della motivazione e della moralità umane».<ref name="p12" /> Secondo PetrsonPeterson infatti: «una precisa specificazione degli aspetti comuni mitologici sottostanti potrebbe permettere di comprendere il primo stadio di sviluppo nell'evoluzione cosciente di un sistema veramente universale di moralità».<ref name="p12">''Ibid.'', p. 12</ref>
 
Di conseguenza la mitologia religiosa diventa, secondo Peterson, il primo step per approcciare una forma di pensiero e di azione morale: «Il mito ritrae ciò che è noto e svolge una funzione che, se limitata a ciò, potrebbe essere considerata di importanza capitale. Ma il mito presenta anche informazioni molto più profonde - quasi indicibilmente cosìprofonde, una volta che verranno (direioserei dire) correttamente comprese. Tutti produciamo modelli di ciò che è e di ciò che dovrebbe essere, e di come trasformare l'unogli nell'altrouni negli altri. Modifichiamo il nostro comportamento quando le conseguenze di tale comportamento non sono quelle che vorremmo. Ma a volte la mera alterazione del comportamento è insufficiente: dobbiamo cambiare non solo ciò che facciamo, ma ciò che pensiamo sia importante. Ciò significa una riconsiderazione della natura del significato motivazionale del presente e la riconsiderazione della natura ideale del futuro».<ref name="p14">''Ibid.'', p. 14</ref>
 
Dunque i miti permettono di individuare, evolutivamente parlando, in forma archetipica, i [[pattern]] di comportamento che, se seguiti, possono consentire all'essere umano di "vivere" in modo compatibile con il successo evolutivo della propria specie. Secondo Peterson infatti: «la verità mitica è l'informazione, derivata dall'esperienza passata, derivata dall'osservazione passata del comportamento, ed è rilevante dal punto di vista della motivazione fondamentale e dell'effetto».<ref name="p390">''Ibid.'', p. 390</ref>
 
Peterson inoltre motiva la propria indagine sulle «mappe del significato» anche come un tentativo per comprendere che deviare da queste evolute architetture religiose del significato, possa portare a conseguenze pericolose per gli uomini e potenzialmente nefaste e sanguinarie. Confondere il background mitico, o addirittura negarne la valenza etica (in termini evolutivi) può portare infatti secondo Peterson a conseguenze tragiche, e può spiegare anche le orribili atrocità dei regimi totalitari nel [[XX secolo]]. Con la sua riflessione, Peterson cerca di individuare sia le [[Motivazione (psicologia)|motivazioni]] psicologiche che hanno indotto [[Hitler]], [[Stalin]], [[Mao]] e altri tiranni ad uccidere decine di milioni di persone, sia un possibile metodo per prevenire eventuali future atrocità. A queste domande pressanti Peterson ritiene di poter rispondere usando la prospettiva basata sulla concretizzazione mitica della moralità.
 
P. 316: Secondo Peterson infatti è il "diavolo" lo spirito archetipico «alla base dello sviluppo del totalitarismo»,<ref name="p316" /> ovvero «louno spirito che è caratterizzato da una rigida credenza ideologica (espressa con il "predominio della mente razionale"), dal fare dall'affidamento sulla menzogna come modello di adattamento (espressa con il rifiuto di ammettere l'esistenza dell'errore oe di apprezzare la necessità della devianza) e dall'inevitabile sviluppo dell'odio verso sé e verso il mondo».<ref name="p316">''Ibid.'', p. 316</ref> Secondo Peterson infatti «la presunzione della conoscenza assoluta», che è il "peccato cardinale" dello spirito razionale è, di conseguenza, ''prima facie'' «equivalente al rifiuto dell'eroe»<ref name="p321" /> – al rifiuto cioè dell'archetipo di [[Cristo]], della Parola di Dio, dell'intuizione del "processo divino" come mediatore tra ordine e caos. L'arroganza della posizione totalitaria viene quindi inestirabilmente opposta «all'umiltà dell'esplorazione creativa».<ref name="p321">''Ibid.'', p. 321</ref>
 
P. 321: Secondo Peterson infatti «la presunzione della conoscenza assoluta», che è il "peccato cardinale" dello spirito razionale è, di conseguenza, ''prima facie'' «equivalente al rifiuto dell'eroe» – al rifiuto cioè dell'archetipo di [[Cristo]], della Parola di Dio, dell'intuizione del "processo divino" come mediatore tra ordine e caos. L'arroganza della posizione totalitaria viene quindi inestirabilmente opposta «all'umiltà dell'esplorazione creativa».
 
P. 353: «I [[genocidio ruandese|massacri ruandesi]], i campi di sterminio in [[Cambogia]], le decine di milioni di morti (secondo la stima di Solzhenitsyn) come conseguenza della repressione interna nell'[[Unione Sovietica]], le legioni non dette massacrate durante la Rivoluzione culturale cinese [il Grande Balzo in avanti (!), un altro scherzo nero, accompagnato a volte, in particolare, divorando la vittima], l'umiliazione pianificata e lo stupro di centinaia di donne musulmane in Jugoslavia, l'olocausto dei nazisti, la carneficina perpetrata dai giapponesi nella Cina continentale - tali eventi non sono attribuibili alla parentela umana con l'animale, l'animale innocente, né dal desiderio di proteggere il territorio, interpersonale e intrapsichico, ma da una malattia spirituale profondamente radicata. "
 
Peterson ritiene che la soluzione agli orrori totalitari e alla "malattia spirituale" radicata nel totalitarismo sia – in puro rispetto del significato evolutivo della tradizione mitica umana – l'individuo eroico che media tra ordine e caos, affermando che: «una società fondata sulla credenza nella divinità suprema dell'individuo permette all'interesse personale di prosperare e di servire come il potere che si oppone alla tirannia della cultura e al terrore della natura».<ref name="p483">''Ibid.'', p. 483</ref> Inoltre, secondo Peterson: «l'eroe rifiuta l'identificazione con il gruppo come ideale di vita, preferendo seguire i dettami della sua coscienza e del suo cuore. La sua identificazione con il [[significato (psicologia)|significato]] - e il suo rifiuto di sacrificare il significato per la sicurezza - rende accettabile l'esistenza, nonostante la dimensione tragica della vita».<ref name="p313">''Ibid.'', p. 313</ref>
 
P. 313: "L'eroe rifiuta l'identificazione con il gruppo come ideale di vita, preferendo seguire i dettami della sua coscienza e del suo cuore. La sua identificazione con il [[significato (psicologia)|significato]] - e il suo rifiuto di sacrificare il significato per la sicurezza - rende accettabile l'esistenza, nonostante la dimensione tragica della vita».
 
P. 483: "Una società fondata sulla credenza nella divinità suprema dell'individuo permette all'interesse personale di prosperare e di servire come il potere che si oppone alla tirannia della cultura e al terrore della natura."
 
Peterson evidenza, in definitiva, due conseguenze centrali. La prima è che il totalitarismo è – in fondo – un «problema spirituale» intendendo, in altre parole, il risultato dell'aver trascurato la tradizione morale evolutivamente radicata nella mitologia umana. Il secondo è che il modo migliore per risolvere questo problema è a sua volta in qualche modo "spirituale", ovvero basato sulla «divinità dell'individuo» – che è poi anche il cardine del [[liberalismo classico]] occidentale, che per Peterson è una positiva secolarizzazione [[laicismo|laica]] (o [[ateismo|atea]]) chi si fonda, più o meno inconsciamente, sul significato etico evoluto degli antichi sistemi di credenze umani. Peterson asserisce infatti che: «la morale e il comportamento occidentali, ad esempio, sono predicati sull'assunto che ogni individuo è sacro»,(<ref name="p264">''Ibid.'', p. 264)</ref> e che «tutte le etiche occidentali, incluse quelle formalizzate esplicitamente nei sistemi di legge occidentali, sono predicate su una visione del mondo mitologica, che attribuisce specificamente lo status divino all'individuo».(480)<ref name="p480">''Ibid.'', p. 480</ref>
 
Per Peterson dunque, la soluzione al totalitarismo risiede in una combinazione tra un [[individualismo]] pragmatico e la consapevolezza del valore etico-morale, in termini evolutivi, della tradizione delle religioni e degli antichi sistemi di credenza.
 
Peterson adotta quindi una [[pragmatismo|visione pragmatica]] secondo cui, almeno parzialmente, la verità è ciò che funziona, in modo tale che se il mito funziona nel fornire alle persone un senso del significato, allora in un certo senso si può dire che è vero. Per Peterson infatti: «Le interpretazioni mitologiche della storia, come quelle della Bibbia, sono altrettanto "vere" rispetto alle consuete interpretazioni empiriche occidentali, letteralmente vere, anche se modo in cui sono vere è diverso. Gli storici occidentali descrivono (o ritengono di descrivere) "cosa" è accaduto. Le tradizioni della mitologia e della religione descrivono al contrario il significato di ciò che è accaduto».Pp<ref name="p472">''Ibid.'', pp. 472-3473</ref> Secondo Peterson dunque, interpretare in senso psicologico i testi antichi, permette di individuare l'evoluzione del significato nella ambito dell'[[evoluzione umana|antropogenesi]] e, in quest'ottica, porta necessariamente a considerare l'etica universale degli archetipi antichi come un [[adattamento|adattamento evolutivo]] frutto della [[selezione naturale]].