Utente:Ninni99/Sandbox: differenze tra le versioni

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Dopo questa prima introduzione viene fatta risalire l’origine mitica dell’autoritratto proprio a Narciso, come ci suggerisce il titolo stesso dell’opera. Narciso respinge il tu, dall’altro sesso al mondo nella sua interezza, Narciso preferisce il duplicato di se stesso, negandosi la vita; preferisce la solitudine a “quel copioso universo che si agita alle sue spalle”, ma la morte è il prezzo che dovette pagare per poter avere la conoscenza di se stesso.
Secondo l’autore, l’autoritratto, come espressione della modernità, nasce dalle fratture che accompagnano la Cristianità, in quanto è necessario che il legame tra l’uomo e il sacro cominci a lacerarsi in modo da rendere l’uomo indipendente e autonomo.
E così nei primissimi autoritratti <<moderni>> sembra di poter intravedere la psicologia di questo passaggio epocale, come si può vedere nell’autoritratto di Filippo Lippi nella pala monumentale della Incoronazione della Vergine a cui lavorò fra il 1441 e il 1447.
* Insorge la domanda ”Ma"Ma perchè allora il titolo di <<Narciso Infranto>>?", a cui Boatto risponde spiegando come gli ultimi due secoli e l’avvenimento del moderno segnino la profonda disgregazione di Narciso e, con lui, quella dell’autoritratto. Nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento ritorna quel mondo che Narciso aveva rifiutato con noncuranza, fanno ritorno “le potenze inconscie e notturne che rodono in profondità la coscienza dell’uomo e, in compagnia discorde e consonante con esse, sono le potenze cupe e luminose del cosmo”.
* di Filippo Lippi nella pala monumentale della Incoronazione della Vergine a cui lavorò fra il 1441 e il 1447.
* Goya si era chiesto com’è mai possibile affrontare soli la morte quando la speranza che era stata condivisa per secoli dall’Europa cristiana non vi è più, e Warhol, un secolo e mezzo più tardi, si pone lo stesso interrogativo, caricandosi del peso della morte e inquadrandola con il suo obiettivo fotografico, guarda all’epoca della comunicazione di massa.
* Insorge la domanda ”Ma perchè allora il titolo di <<Narciso Infranto>>?”, a cui Boatto risponde spiegando come gli ultimi due secoli e l’avvenimento del moderno segnino la profonda disgregazione di Narciso e, con lui, quella dell’autoritratto. Nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento ritorna quel mondo che Narciso aveva rifiutato con noncuranza, fanno ritorno “le potenze inconscie e notturne che rodono in profondità la coscienza dell’uomo e, in compagnia discorde e consonante con esse, sono le potenze cupe e luminose del cosmo”.
* È a questo punto che Boatto si occupa di confrontare e presentare una grande varietà di autoritratti partendo proprio da Goya e arrivando allo stesso Warhol, sulla soglia del terzo millennio e conclude riallacciandosi all’immagine di Narciso, che però ha ora imparato a volgere lo sguardo in direzione dell’universo.
* Goya si era chiesto com’è mai possibile affrontare soli la morte quando la speranza che era stata condivisa per secoli dall’Europa cristiana non vi è più, e Warhol, un secolo e mezzo più tardi, si pone lo stesso interrogativo, caricandosi del peso della morte e inquadrandola con il suo obiettivo fotografico, guarda all’epoca della comunicazione di massa.
 
* È a questo punto che Boatto si occupa di confrontare e presentare una grande varietà di autoritratti partendo proprio da Goya e arrivando allo stesso Warhol, sulla soglia del terzo millennio e conclude riallacciandosi all’immagine di Narciso, che però ha ora imparato a volgere lo sguardo in direzione dell’universo.
 
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* ===Pop Art===
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* ===Pop Art===
* In Pop Art (1983) Alberto Boatto apre con una premessa, nella quale sottolinea il pieno diritto della Pop Art a far parte del corpo vivo dell’arte del XX secolo.
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* Presenta l’artista pop come un uomo che si è lasciato appassionare dalla metropoli con i suoi prodotti prefabbricati in serie e i suoi mezzi di comunicazione di massa e tutto questo accade negli anni Sessanta. Ma è nel 1968 che la Pop Art manifesta le sue ultime spinte creative, quando cioè la città va incontro a una violenta contestazione che partiva sia dal suo interno, che dalla periferia geografica, dove cioè si trova quel gruppo marginale che non accetta di sottoporsi alla violenza dispotica propria del mondo metropolitano. Nel 1968 abbiamo perciò la conclusione di un unico centro propulsivo e l’inizio di un evoluzione costante dei singoli artisti.
* In Pop Art (1983) Alberto Boatto apre con una premessa, nella quale sottolinea il pieno diritto della Pop Art a far parte del corpo vivo dell’arte del XX secolo.
* L’avanguardia, che si è sempre proposta di essere una pratica di vita, vede nel fervore del ’68 l’occasione per concretizzarsi e lo fa attraverso quei linguaggi che le sono sempre appartenuti: il gesto e il comportamento; inizia a fare politica, vedendo in essa modo di eversione e insurrezione.
* Presenta l’artista pop come un uomo che si è lasciato appassionare dalla metropoli con i suoi prodotti prefabbricati in serie e i suoi mezzi di comunicazione di massa e tutto questo accade negli anni Sessanta. Ma è nel 1968 che la Pop Art manifesta le sue ultime spinte creative, quando cioè la città va incontro a una violenta contestazione che partiva sia dal suo interno, che dalla periferia geografica, dove cioè si trova quel gruppo marginale che non accetta di sottoporsi alla violenza dispotica propria del mondo metropolitano. Nel 1968 abbiamo perciò la conclusione di un unico centro propulsivo e l’inizio di un evoluzione costante dei singoli artisti.
* Tuttavia la storia parla di sconfitta e con essa venne trascinata anche l’avanguardia, ponendo fine ad essa; così quei concetti intimamente legati all’avanguardia, come l’antipittura, l’antivalore, l’esteticità non erano solo delle parole, ma degli obiettivi da raggiungere.
* L’avanguardia, che si è sempre proposta di essere una pratica di vita, vede nel fervore del ’68 l’occasione per concretizzarsi e lo fa attraverso quei linguaggi che le sono sempre appartenuti: il gesto e il comportamento; inizia a fare politica, vedendo in essa modo di eversione e insurrezione.
* Come sappiamo, anche la Pop Art fa parte dell’avanguardia, ma nell’ultimo periodo di essa, quello chiamato seconda avanguardia o la neo-avanguardia.
* Tuttavia la storia parla di sconfitta e con essa venne trascinata anche l’avanguardia, ponendo fine ad essa; così quei concetti intimamente legati all’avanguardia, come l’antipittura, l’antivalore, l’esteticità non erano solo delle parole, ma degli obiettivi da raggiungere.
* Boatto descrive la Pop Art come “un’avanguardia lucida, spesso cinica e quasi sempre costatativa, coinvolta nel presente”. A differenza dell’artista passato, quello moderno è circondato da immagini fotografiche, televisive, di oggetti tutti uguali fra loro ed egli decide proprio di fare di tutto ciò arte, a differenza anche degli stessi futuristi o dadaisti, che pure già guardavano alle tecniche industriali di produzione dell’immagine. Ma se gli artisti pop non creano effettivamente nulla di nuovo, ma ripresentano immagini già conosciute dalla città imitandole, qual è il senso o l’utilità di ciò?
* Come sappiamo, anche la Pop Art fa parte dell’avanguardia, ma nell’ultimo periodo di essa, quello chiamato seconda avanguardia o la neo-avanguardia.
* Boatto parla di un pensiero che percorre tutta la modernità, che si esprime nella convinzione che l’uomo abbia perso la sua esperienza proprio a causa di quei processi di standardizzazione e massificazione sempre più serrati. La Pop Art ha esteso al massimo due procedimenti di base del moderno: “il raddoppiamento e la dislocazione, come l’elaborazione del <<doppio>> di un fumetto, di un cartellone pubblicitario o di una macchina da scrivere, e la loro esposizione estraniata, insolita, allarmata”. Gli artisti pop colgono il concetto del doppio che è intrinseco alla modernità e lo mostrano al mondo per quello che è.
* Boatto descrive la Pop Art come “un’avanguardia lucida, spesso cinica e quasi sempre costatativa, coinvolta nel presente”. A differenza dell’artista passato, quello moderno è circondato da immagini fotografiche, televisive, di oggetti tutti uguali fra loro ed egli decide proprio di fare di tutto ciò arte, a differenza anche degli stessi futuristi o dadaisti, che pure già guardavano alle tecniche industriali di produzione dell’immagine. Ma se gli artisti pop non creano effettivamente nulla di nuovo, ma ripresentano immagini già conosciute dalla città imitandole, qual è il senso o l’utilità di ciò?
* Questo libro è la riedizione del volume Pop Art in USA, edito da Lerici nel 1967 e presenta una piccola novità, in quanto nell’appendice sono stati riuniti per la prima volta alcuni testi, scritti e pubblicati in tempi successivi. Questi seguono un percorso dell’arte d’oltreoceano; parlano di New York dalla prospettiva del fotografo William Klein e presentano un profilo di Rauschenberg.
* Boatto parla di un pensiero che percorre tutta la modernità, che si esprime nella convinzione che l’uomo abbia perso la sua esperienza proprio a causa di quei processi di standardizzazione e massificazione sempre più serrati. La Pop Art ha esteso al massimo due procedimenti di base del moderno: “il raddoppiamento e la dislocazione, come l’elaborazione del <<doppio>> di un fumetto, di un cartellone pubblicitario o di una macchina da scrivere, e la loro esposizione estraniata, insolita, allarmata”. Gli artisti pop colgono il concetto del doppio che è intrinseco alla modernità e lo mostrano al mondo per quello che è.
 
* Questo libro è la riedizione del volume Pop Art in USA, edito da Lerici nel 1967 e presenta una piccola novità, in quanto nell’appendice sono stati riuniti per la prima volta alcuni testi, scritti e pubblicati in tempi successivi. Questi seguono un percorso dell’arte d’oltreoceano; parlano di New York dalla prospettiva del fotografo William Klein e presentano un profilo di Rauschenberg.
* ===Ghenos Eros Thanatos===
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* ===Ghenos Eros Thanatos===
* Il libro di Alberto Boatto, Ghenos Eros Thanatos e altri scritti sull’arte (1968-1985), a cura di Stefano Chiodi, è un documento e l’espediente forse più originale e audace con cui la critica, negli anni Settanta, ha reinventato se stessa. Il libro si compone dei testi e delle foto del libro-mostra di Ghenos Eros Thanatos, la mostra organizzata da Boatto il 15 novembre 1974 alla Galleria de’ Foscherari di Bologna.
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* Nutrito di letture filosofiche e letterarie, psicoanalitiche e antropologiche, con una preferenza per i grandi distruttori – Sade, Freud, Nietzsche, e Artaud e Bataille fonti del Foucault della Trasgressione (1963) – Boatto pensa l’immaginario come luogo del doppio. Capisce perciò che l’evento «accade» attraverso l’oggetto e comprende, confrontandole, le poetiche di Pascali e Kounellis. Nel primo, che ha ripreso possesso dell’infanzia, l’immaginario mira a sostituire la realtà con animazioni e contraffazioni; nel secondo reale e immaginario non sono ancora separati dalla ragione e risultano uniti temporalmente, in visioni mitiche o arcaiche (L’immaginario in Pascali e Kounellis, 1973). Le componenti psicologiche, estetiche e culturali che propone Boatto, vanno a comporre lo scenario artistico di Ghenos Eros Thanatos; si nota il desiderio “di evocare in forma tacita i fantasmi spaventosi della vicenda novecentesca, l’ancora indigerita eredità dei fascismi, il culto della morte e la vertigine erotica che li avevano accompagnati: di riconnettere il presente alla parte maledetta della vicenda europea – come in quegli stessi anni facevano, in forme e contesti diversi, Fabio Mauri e Hans-Jürgen Syberberg – vista da dentro la condizione scettica e spettacolare propria della loro contemporaneità”, come suggerisce argutamente il professore Stefano Chiodi. Boatto scrive che Ghenos Eros Thanatos è una “mostra-libro” concepita come un “periplo attorno alle situazioni limite della vita”, che “si configura per gran parte come una circumnavigazione del negativo” e in cui compie il passaggio “dal reale al significativo, come un tempo si andava dal profano al sacro, o dal materiale allo spirituale”. Un capitolo di questa “mostra-libro” contiene già un’anticipazione dei temi che svilupperà più ampiamente nel Cerimoniale di messa a morte interrotta di tre anni dopo.
* Il libro di Alberto Boatto, Ghenos Eros Thanatos e altri scritti sull’arte (1968-1985), a cura di Stefano Chiodi, è un documento e l’espediente forse più originale e audace con cui la critica, negli anni Settanta, ha reinventato se stessa. Il libro si compone dei testi e delle foto del libro-mostra di Ghenos Eros Thanatos, la mostra organizzata da Boatto il 15 novembre 1974 alla Galleria de’ Foscherari di Bologna.
* Nutrito di letture filosofiche e letterarie, psicoanalitiche e antropologiche, con una preferenza per i grandi distruttori – Sade, Freud, Nietzsche, e Artaud e Bataille fonti del Foucault della Trasgressione (1963) – Boatto pensa l’immaginario come luogo del doppio. Capisce perciò che l’evento «accade» attraverso l’oggetto e comprende, confrontandole, le poetiche di Pascali e Kounellis. Nel primo, che ha ripreso possesso dell’infanzia, l’immaginario mira a sostituire la realtà con animazioni e contraffazioni; nel secondo reale e immaginario non sono ancora separati dalla ragione e risultano uniti temporalmente, in visioni mitiche o arcaiche (L’immaginario in Pascali e Kounellis, 1973). Le componenti psicologiche, estetiche e culturali che propone Boatto, vanno a comporre lo scenario artistico di Ghenos Eros Thanatos; si nota il desiderio “di evocare in forma tacita i fantasmi spaventosi della vicenda novecentesca, l’ancora indigerita eredità dei fascismi, il culto della morte e la vertigine erotica che li avevano accompagnati: di riconnettere il presente alla parte maledetta della vicenda europea – come in quegli stessi anni facevano, in forme e contesti diversi, Fabio Mauri e Hans-Jürgen Syberberg – vista da dentro la condizione scettica e spettacolare propria della loro contemporaneità”, come suggerisce argutamente il professore Stefano Chiodi. Boatto scrive che Ghenos Eros Thanatos è una “mostra-libro” concepita come un “periplo attorno alle situazioni limite della vita”, che “si configura per gran parte come una circumnavigazione del negativo” e in cui compie il passaggio “dal reale al significativo, come un tempo si andava dal profano al sacro, o dal materiale allo spirituale”. Un capitolo di questa “mostra-libro” contiene già un’anticipazione dei temi che svilupperà più ampiamente nel Cerimoniale di messa a morte interrotta di tre anni dopo.
Boatto stesso dice di aver fatto ricorso alla mitologia, che gli erano familiari i nomi e le vicende di Narciso, di Anteo, d’Icaro, di Dioniso. Egli parla della mitologia come qualcosa ricondotta nell’oscurità dell’inconscio, da cui alcuni spezzoni vengono tratti fuori da Freud e da Jung, afferma: “Nella sfera pubblica, al posto della mitologia classica col suo componente di luce, sono succedute pessime ideologie fatte solo d’ombra, che poi sono risultate delle mitologie degradate.
Ma la piena adesione ad una Terra ruotante, al pari di un velivolo, nello spazio, questo sì alla terra che segue l’esempio di Nietzsche, è veramente un sì inaudito nel nostro mondo votato alla distrazione televisiva e consumistica. Un sì di questa portata ha bisogno, per essere pronunciato ed esercitato, del sostegno della figura di Dioniso. Del resto, l’esperienza dionisiaca, in una delle sue innumerevoli manifestazioni, resta un’esperienza accessibile a ciascun uomo.”