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Tuttavia, fu soprattutto la filosofia di Bentham ad influenzare notevolmente il pensiero del partito radicale. Le sue teorie cercano di adeguare il sistema legislativo inglese ai nuovi rapporti sociali delineatisi nel corso della rivoluzione industriale. Egli, d’altra parte, mostrava avversione verso qualsiasi tipo di privilegio accordato dalla legge ai ceti o verso interessi particolari, da lui stesso chiamati sinister interests. Di qui ritenne opportuno rifondare la legislazione dello stato secondo tre principi etici fondamentali: l’utilità, il benessere e la libertà individuali. In particolare, vedeva nell’utilità il criterio dell’azione morale, il benessere come il fine ultimo di ogni azione e la libertà il mezzo per perseguire tale fine. In questo modo, pervenne alla giustificazione dell'altruismo partendo da presupposti egoistici: «la maggiore felicità del maggior numero di individui». A Bentham risale la teoria, infatti, del calcolo sull’utilità immediata e futura delle proprie azioni e della conseguente estensione del piacere così che i piaceri ricercati dal singolo possano promuovere la felicità generale. La funzione della sua filosofia è dunque duplice: da un lato critica, dall'altro orientativa per la condotta individuale: cerca di fornire gli strumenti adeguati per aiutare gli uomini a scegliere secondo la loro natura. <br>
Punto di partenza della riflessione di Bentham è il problema della felicità umana. La felicità equivale al piacere, che può essere solo duraturo o passeggero e non nobile o immorale. Di qui ognuno è libero di perseguire ciò che più gli dà piacere, sotto la guida dell'etica che tenta di dirigere l’individuo verso un piacere duraturo e puro. Tuttavia, l'individuo deve tener conto anche delle ricadute che le sue azioni potranno avere su sé stesso e sugli altri, senza però al contempo rinunciare alla propria felicità
In politica tale pensiero tendeva ad identificarsi con una riforma parlamentare, che promuovesse una legislazione e un'amministrazione efficienti e trasparenti. Bentham e i suoi seguaci attribuirono così la massima importanza alla pubblicità degli atti di governo e alla diffusione dell'istruzione, da cui sarebbe derivato un progressivo aumento dell'interesse per la cosa pubblica e quindi un più efficace controllo dei governati sui governanti. Ne consegue che la dottrina utilitaristica di Bentham veniva incontro soprattutto alle aspirazioni dei ceti emergenti, e cioè ai massimi artefici e beneficiari del nuovo assetto industriale e commerciale dell'Inghilterra. <br>
Gli stessi fabiani si proclamarono eredi di questa tradizione facente capo a Bentham, ma il pensatore che più di altri fu d’ispirazione primaria per loro fu John Stuart Mill. Questi era allievo dello stesso Bentham, ma presto prese le distanze dai suoi insegnamenti, sviluppando una filosofia del tutto autonoma, ma anche ambigua, specie nelle questioni riguardanti la natura dell’uomo e il suo posto nella società. Mill in effetti è apparso sia come anticipatore del collettivismo sia come difensore della libertà individuale, minacciata, secondo lui, non tanto dagli abusi dei potenti, quanto dagli eccessi della democrazia. Il pensiero di Mill, rispetto a quello del maestro, si fondava sul “libero sviluppo dell’individualità”, in modo da perseguire il “bene più grande costituito dalla libertà umana”. La libertà è proprio il punto di discordia tra Bentham e Mill: mentre il primo la considerava un elemento subordinato e strumentale, l’altro la vedeva come “fine in sé”. Si tratta insomma di conclusioni inconciliabili con l’utilitarismo di Bentham e che però esaltano la libertà individuale: intesa come un mezzo ordinato al conseguimento del benessere, una condizione necessaria al progresso dell’umanità ed un elemento costitutivo di quel benessere e di quel progresso. A livello politico, il socialismo di Mill consisteva in una rigenerazione morale della società più che in una sua riorganizzazione economica. Sulla scia di tutte le altre filosofie socialiste inglesi, della prima metà dell’Ottocento, escludeva la componente rivoluzionaria violenta. Inoltre, il pensiero socialista di Mill non è stato intaccato minimamente dal socialismo scientifico di Marx, come si può intuire dall’analisi dei ''Principles'' e dei ''Chapters on Socialism'', dove non risulta un consenso verso il socialismo marxiano, in quanto la stessa libertà individuale in un “sistema comunista” appare incerta agli occhi di Mill perché sotto il dominio dell’autorità pubblica. L’alternativa non è dunque tra il socialismo nelle sue varie forme e il caos, ma semmai tra il socialismo e il sistema della società privata riformato in modo da garantire agli individui il frutto del lavoro. La chiave di lettura di molte idee di Mill è anti-interventista: il “Laissez - faire” dovrebbe essere la regola generale di condotta ed ogni allontanamento da essa è male certo. Mill appare insomma colui che vorrebbe credere nel socialismo, in una versione conciliabile con il valore supremo della libertà individuale, ma non si sente in grado di superare i suoi dubbi. Dubbi che scompariranno del tutto nei suoi discepoli degli anni Ottanta dell’Ottocento, i fabiani, che poi diverranno indipendenti nella loro ricerca della soluzione della questione sociale.<br>
L’orientamento politico autentico dei fabiani emerge in uno dei loro primi opuscoli, intitolato ''Facts of Socialists'', che consiste in una raccolta di dati statistici e citazioni di economisti autorevoli, tra cui alcune di Mill stesso, tesa a dimostrare le disuguaglianze nella distribuzione del reddito nazionale e le gravi conseguenze che ciò comporta a livello sociale come la povertà e la mortalità infantile. La soluzione proposta non è assolutamente la rivoluzione alla francese. Anzi, si ripone una certa fiducia nelle amministrazioni, in primis locali, che gradualmente devono cercare di promuovere riforme di tendenza socialista a livello nazionale. Allo stesso tempo, a prescindere dai contenuti, emerge in questo documento anche lo stile della letteratura fabiana, tendente sempre a trasmettere un’apparente neutralità invece che una posizione ideologica vera e propria. Le risoluzioni dei vari problemi, infatti, appaiono sempre come una naturale soluzione ai problemi stessi dal momento che, a monte, è stata presentata una serie di dati ufficiali, che descrivono in maniera oggettiva la realtà. La Società fabiana d’altronde non volle e non fece mai dichiarazioni espressamente politiche proprio perché il suo obiettivo principale era quello di farsi portavoce della situazione e della mentalità britanniche.<br>
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