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== Origini del pensiero fabiano ==
Il Fabianesimo è però il frutto di un’evoluzione storica del pensiero filosofico e politico britannico, che mette radici negli anni della prima rivoluzione del mondo moderno, ossia la Rivoluzione puritana del 1642. In quel periodo, infatti, vennero discussi i fondamenti dell’autorità religiosa e politica e cominciarono ad emergere nuovi ceti sociali e gruppi politici decisi ad ottenere un peso essenziale negli equilibri di potere. Tra questi si distinsero i Livellatori, che costituiscono l’antecedente storico-filosofico del socialismo britannico, nonché del Fabianesimo.<ref name="Pench">{{cita libro | nome=Lucio | cognome=Pench | titolo= Il socialismo fabiano: un collettivismo non marxista | anno=1988 | editore=Edizioni Scientifiche Italiane | città= Napoli }}</ref> <br>
 
Secondo il laburista Tony Benn, in ''Arguments for Socialism'', fonte di ispirazione per il pensiero fabiano furono proprio le tesi di quel partito politico, esposte durante i Dibattiti d Putney del 1647 nel manifesto ''Agreement of the People'', le quali, per la prima volta, proponevano come principi fondamentali di uno Stato la libertà e l’uguaglianza, che dovevano però convivere con la proprietà privata. <ref name="Pench" /> <br>
 
Da tali rivendicazioni prenderà forma nel corso del Settecento il partito radicale, che, nonostante la scarsa rappresentanza ai Comuni, svolse il ruolo di terza forza politica accanto ai Whigs e Tories. La nota dominante di questo atteggiamento politico è d’altra parte l’avversione al privilegio, identificato nel monopolio del re e dell’aristocrazia terriera, nel vasto apparato clientelare della Camera dei Lord, della Chiesa Anglicana e delle compagnie commerciali. Tuttavia, negli anni della Rivoluzione francese, tale partito subì una profonda crisi, dalla quale uscì totalmente rinnovato a livello ideologico grazie all’opera di grandi intellettuali come Jeremy Bentham, Tom Paine e William Godwin. <ref name="Pench" /> <br>
 
Il primo, infatti, sviluppò una filosofia giusnaturalista che faceva dei diritti naturali e inalienabili dell’uomo il presupposto della rivendicazione di una forma democratica di governo, facendo della rivoluzione lo strumento necessario per il perseguimento di tale rivendicazione. <ref name="Pench" /> <br>
 
Il secondo sosteneva la rivoluzione istituzionale, ma in termini decisamente meno agguerriti. Infatti, più che una violenta presa di potere Paine preferiva che il popolo prendesse coscienza di quali fossero i diritti inalienabili dell’essere umano di modo che attraverso una conseguente azione popolare venissero recuperati tali diritti, negati dalla tirannia e, così facendo, tutti i membri della società sarebbero stati messi su un perfetto piede di parità.<ref name="Pench" /><br>
 
Accanto all’opinione di Paine, si affermò l’ideale di una “società senza governo”, promosso da Godwin. Tutte le istituzioni sono infatti per Godwin “i grandi mali morali che ci sono al mondo”, di cui l’umanità potrà fare a meno in futuro. Inoltre, sebbene giustificò la resistenza all’autorità in caso di oppressione, condannò la violenza rivoluzionaria ed identificò le armi della critica come le sole capaci di demolire gli ''arcana imperii''. <ref name="Pench" /> <br>
 
Tuttavia, fu soprattutto la filosofia di Bentham ad influenzare notevolmente il pensiero del partito radicale. Le sue teorie cercarono, d'altronde, di adeguare il sistema legislativo inglese ai nuovi rapporti sociali delineatisi nel corso della Rivoluzione industriale. <ref>{{Cita web|https://www.filosofico.net/bentham.htm#n2}}</ref> Egli, inoltre, mostrava avversione verso qualsiasi tipo di privilegio accordato dalla legge ai ceti o verso interessi particolari, da lui stesso chiamati ''sinister interests''. <ref name="Pench" /> Di qui, ritenne opportuno, dunque, rifondare la legislazione dello Stato secondo tre principi etici fondamentali: l’utilità, il benessere e la libertà individuali. In particolare, vedeva nell’utilità il criterio dell’azione morale, il benessere come il fine ultimo di ogni azione e la libertà il mezzo per perseguire tale fine. In questo modo, pervenne alla giustificazione dell'altruismo partendo da presupposti egoistici: «la maggiore felicità del maggior numero di individui». <ref>{{Cita web|https://www.treccani.it/enciclopedia/jeremy-bentham/}}</ref> A Bentham risale la teoria, infatti, del calcolo sull’utilità immediata e futura delle proprie azioni e della conseguente estensione del piacere cosicché i piaceri ricercati dal singolo possano promuovere la felicità generale. <ref>{{Cita web|https://www.treccani.it/enciclopedia/utilitarismo/}}</ref> La funzione della sua filosofia fu quindi duplice: da un lato critica, dall'altro orientativa per la condotta individuale: cerca di fornire gli strumenti adeguati per aiutare gli uomini a scegliere secondo la loro natura. <ref>{{Cita web|https://www.filosofico.net/bentham.htm#n2}}</ref> <br>
 
In politica tale pensiero tendeva ad identificarsi con una riforma parlamentare, che promuovesse una legislazione e un'amministrazione efficienti e trasparenti. Bentham e i suoi seguaci attribuirono così la massima importanza alla pubblicità degli atti di governo e alla diffusione dell'istruzione, da cui sarebbe derivato un progressivo aumento dell'interesse per la cosa pubblica e quindi un più efficace controllo dei governati sui governanti. Ne consegue che la dottrina utilitaristica di Bentham veniva incontro soprattutto alle aspirazioni dei ceti emergenti, e cioè ai massimi artefici e beneficiari del nuovo assetto industriale e commerciale dell'Inghilterra. <ref name="Pench" /> <br>
 
Gli stessi Fabiani si proclamarono eredi di questa tradizione facente capo a Bentham, ma il pensatore che più di altri fu d’ispirazione primaria per loro fu John Stuart Mill. Questi era allievo dello stesso Bentham, ma presto prese le distanze dai suoi insegnamenti, sviluppando una filosofia del tutto autonoma, ma anche ambigua, specie nelle questioni riguardanti la natura dell’uomo e il suo posto nella società. Mill in effetti è apparso sia come anticipatore del collettivismo sia come difensore della libertà individuale, minacciata, secondo lui, non tanto dagli abusi dei potenti, quanto dagli eccessi della democrazia. Il pensiero di Mill, rispetto a quello del maestro, si fondava sul “libero sviluppo dell’individualità”, in modo da perseguire il “bene più grande costituito dalla libertà umana”. La libertà è proprio il punto di discordia tra Bentham e Mill: mentre il primo la considerava un elemento subordinato e strumentale, l’altro la vedeva come “fine in sé”. Si tratta insomma di conclusioni inconciliabili con l’utilitarismo di Bentham e che però esaltano la libertà individuale: intesa come un mezzo ordinato al conseguimento del benessere, una condizione necessaria al progresso dell’umanità ed un elemento costitutivo di quel benessere e di quel progresso. A livello politico, il socialismo di Mill consisteva in una rigenerazione morale della società più che in una sua riorganizzazione economica. Sulla scia di tutte le altre filosofie socialiste inglesi della prima metà dell’Ottocento, escludeva la componente rivoluzionaria violenta. Inoltre, il pensiero socialista di Mill non è stato intaccato minimamente dal socialismo scientifico di Marx, come si può intuire dall’analisi dei ''Principles'' e dei ''Chapters on Socialism'', dove non risulta un consenso verso il socialismo marxista, in quanto la stessa libertà individuale in un “sistema comunista” appare incerta agli occhi di Mill perché sotto il dominio dell’autorità pubblica. L’alternativa non è dunque tra il socialismo nelle sue varie forme e il caos, ma tra il socialismo e il sistema della società privata riformato in modo da garantire agli individui il frutto del lavoro. La chiave di lettura di molte idee di Mill è anti-interventista con il “Laissez - faire” che fa da regola generale di condotta. Mill appare quindi colui che vorrebbe credere nel socialismo, o almeno, in una versione conciliabile con il valore supremo della libertà individuale, ma non si sente in grado di superare i suoi dubbi, che però scompariranno del tutto con i suoi discepoli degli anni Ottanta dell’Ottocento, i Fabiani, i quali in seguito diverranno indipendenti nella loro ricerca della soluzione della questione sociale. <ref name="Pench" /> <br>
 
== Il Fabianesimo maturo ==