Adalimumab: differenze tra le versioni
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''Neoplasie maligne e malattie linfoproliferative:'' nei trial clinici in pazienti trattati con inibitori del TNF-alfa, l'incidenza di [[neoplasie]] maligne, soprattutto [[linfoma]], è risultata maggiore rispetto ai gruppi di controllo. Durante la sorveglianza postmarketing è stata osservata una tendenza all'aumento di [[leucemie]] nei pazienti trattati con farmaci anti-TNF. Nei pazienti con [[artrite reumatoide]] attiva di lunga durata è stato osservato un aumento dell'incidenza di linfomi e leucemie: questo fatto complica la valutazione del rischio per gli anti-TNF.
[[Tumori]] anche fatali sono stati riportati nei bambini e nei giovani adulti (età < 23 anni) trattati con farmaci anti-TNF (sorveglianza postmarketing). Circa la metà di questi tumori era rappresentato da [[linfomi]]. Sulla base dei dati di letteratura e delle segnalazioni postmarketing raccolte, nell'aprile 2011 la FDA ha incominciato un'analisi del profilo di sicurezza, relativamente al rischio di tumore, dei farmaci anti-TNF nei pazienti con età uguale o inferiore a 30 anni<ref>{{cita web|titolo=
Come con [[infliximab]], anche con adalimumab sono stati riportati casi di linfoma epatosplenico a [[cellule T]] (sorveglianza postmarketing). Questo linfoma, raro, con decorso rapido e aggressivo è stato segnalato in pazienti in terapia con adalimumab e [[azatioprina]] o 6- [[mercaptopurina]]. Poiché non è stato stabilito il ruolo dell'associazione farmacologica nello sviluppo del linfoma epatosplanico a [[cellule T]], il rischio di questo tipo di tumore non può essere escluso per la monoterapia con adalimumab.
Durante la terapia con adalimumab devono essere monitorati con attenzione segni o sintomi riconducibili a tumori della pelle diversi dal melanoma, soprattutto in pazienti che sono già stati sottoposti a terapia immunosoppressiva intensa o che, a causa della [[psoriasi]], hanno ricevuto trattamenti PUVA ([[psoralene]] più [[raggi UVA]]). Poiché inoltre è stato osservato un aumento del rischio di tumori, soprattutto al polmone e alla testa e collo, in pazienti fumatori con malattia polmonare cronica ostruttiva (COPD) trattati con [[infliximab]], altro inibitore del TNF-alfa, anche per adalimumab è raccomandata cautela in caso di somministrazione a pazienti con COPD e/o fumatori (fattore di rischio tumorale). Sebbene il [[TNF alfa]] intervenga nella sorveglianza immunologica contro i tumori, non è noto il rischio in caso di somministrazione di adalimumab in pazienti con forme maligne recenti.
''Anticorpi anti-adalimumab:'' la terapia con adalimumab può portare a formazione di [[anticorpi]] anti-adalimumab che risultano associati a un aumento della clearance del farmaco e a una sua minor efficacia terapeutica. Non è stata individuata correlazione fra la formazione di questo tipo di anticorpi e l'incidenza di reazioni collaterali del farmaco. Nei pazienti affetti da artrite reumatoide, l'analisi dei dati degli studi clinici (tempo di osservazione: 6-12 mesi) ha evidenziato un'incidenza di anticorpi anti-adalimumab del 5,5% nei pazienti trattati con l'[[anticorpo monoclonale]] rispetto allo 0,5% dei pazienti nel gruppo [[placebo (medicina)|placebo]]. L'uso di [[metotrexato]] ha ridotto l'immunogenicità di adalimumab (incidenza di anticorpi anti-adalimumab: 0,6% vs 12,4% rispettivamente con o senza metotrexato). Analoga tendenza è stata osservata anche nei pazienti pediatrici trattati con adalimumab per [[artrite idiopatica poliarticolare]], con percentuali però maggiori (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 15,8% dei pazienti; 5,9% vs 25,6% dei pazienti rispettivamente trattati con o senza metotrexato); nei pazienti con [[artrite psoriasica]] (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 10% dei pazienti; 7% vs 13,5% dei pazienti rispettivamente trattati con o senza metotrexato); nei pazienti con [[spondilite anchilosante]] (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 8,3% dei pazienti; 5,3% vs 8,6% dei pazienti rispettivamente trattati con o senza metotrexato); nei pazienti con [[malattia di Crohn]] (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 2,6%); nei pazienti con [[psoriasi]] (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 8,4%). In pazienti con artrite reumatoide seguiti per 3 anni e trattati con adalimumab, anticorpi anti-adalimumab sono stati osservati nel 28% dei pazienti e nel 67% di questi pazienti gli anticorpi erano già presenti entro le prime 28 settimane di trattamento. L'assenza di anticorpi è risultata associata a concentrazioni di adalimumab maggiori rispetto a quelle osservate nei pazienti con anticorpi anti-farmaco e a tassi di interruzione del trattamento per mancanza di efficacia, minori (14% vs 38%, HR 3,0). Inoltre, nei pazienti che non hanno sviluppato gli anticorpi anti-adalimumab, la percentuale di pazienti con attività di malattia minima (48% vs 13%) e in remissione (34% vs 4%) è risultata maggiore rispetto ai pazienti che avevano sviluppato gli anticorpi verso l'adalimumab<ref>Bartelds G.M. ''et al.'', JAMA, 2011, 305 (14), 1460.</ref>. Nei pazienti con malattia infiammatoria cronica intestinale, gli anticorpi anti-adalimumab tendono a persistere per lungo tempo (probabilmente oltre l'anno) dopo la fine della terapia farmacologica (nei pazienti trattati con infliximab, gli anticorpi anti-farmaco tendono a scomparire entro l'anno seguente la fine del trattamento)<ref>Ben-Horin S. ''et al.'', Aliment Pharmacol Ther., 2012, 35 (6), 714.</ref>.
''Gravidanza:'' l'esperienza dell'uso di adalimumab in gravidanza è limitata. La somministrazione del farmaco in gravidanza richiede un'attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio<ref>Gisbert J.P. ''et al.'', Inflamm. Bowel Dis., 2010, 16 (5), 881.</ref>. La FDA ha inserito adalimumab (specialità medicinale Humira) in classe B per l'uso in gravidanza. In questa classe sono inseriti i farmaci per i quali gli studi riproduttivi sugli animali non hanno evidenziato un rischio per il feto e non sono disponibili studi analoghi nell'uomo e i farmaci per i quali gli studi preclinici in vivo hanno mostrato tossicità (oltre a decremento della fertilità), ma tali effetti tossici non sono stati confermati in studi controllati in donne nel primo trimestre di gravidanza e non c'è evidenza di danno nelle fasi avanzate della gravidanza.
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