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'''Biografia'''
Carmela Baricelli nacque a Casalbuttano il 25 gennaio 1861, figlia di Stefano, agente di commercio che aveva ereditato dal padre il ruolo di uomo di fiducia della famiglia nobiliare Jacini, in stretti legami con il Cavour, e di Carolina Sartori, filatrice di professione
Nel 1872 si trasferì con la famiglia a Cremona dove rimase fino al 1904. La famiglia cambiò spesso domicilio, sempre nell'ambito di Cremona, e nel frattempo nacquero altri tre figli oltre ai cinque che erano già al mondo al momento del trasferimento, ma tre degli otto morirono entro i primi dieci anni di vita.
Tre anni dopo la laurea, Carmela inizia subito a insegnare presso l'istituto Anguissola di Cremona, dopo aver ottenuto il diploma di abilitazione all'insegnamento di lingua e lettere italiane nelle scuole magistrali. Lì inizierà a collaborare, nel 1885, come giornalista con “La provincia-Corriere di Cremona” firmando spesso con lo pseudonimo Malvina, ricordando la scrittrice veneta e conferenziera proto femminista Malvina Frank.▼
=== '''Impegno politico e sociale''' ===▼
La sua lunga permanenza a Cremona si caratterizzò per la posizione da protagonista che assunse nell'ambito delle lotte sociali caratteristiche di quel periodo<ref
Entrò a far parte anche della commissione esecutiva della camera del lavoro di Cremona che nel 1893 aveva contribuito a fondare, di cui fu figura rappresentativa di spicco con un consenso di 308 dei 314 votanti all'atto dell'istituzione<ref
▲Tre anni dopo la laurea, Carmela inizia subito a insegnare presso l'istituto Anguissola di Cremona, dopo aver ottenuto il diploma di abilitazione all'insegnamento di lingua e lettere italiane nelle scuole magistrali. Lì inizierà a collaborare, nel 1885, come giornalista con “La provincia-Corriere di Cremona” firmando spesso con lo pseudonimo Malvina, ricordando la scrittrice veneta e conferenziera proto femminista Malvina Frank
Fu promotrice della lega per l'emancipazione femminile e sempre in prima linea nell'organizzazione degli scioperi delle filande, pezzo forte dell'industria cremonese<ref
▲le decisioni di Carmlea facilitarono la vita alla sorella Edvige, ebbe un accesso della sorella meno difficoltoso agli studi e brillò come educatrice. Raggiunse la direzione del centro Alfeno Varo, dove collaborò con lo pseudonimo ''William'' al settimanale ''Interessi cremonesi 2'' .
▲'''Impegno politico e sociale'''
▲La sua lunga permanenza a Cremona si caratterizzò per la posizione da protagonista che assunse nell'ambito delle lotte sociali caratteristiche di quel periodo 4. Nel 1892 fu presente a Genova al congresso dal quale nacque il Partito dei lavoratori italiani.
▲Entrò a far parte anche della commissione esecutiva della camera del lavoro di Cremona che nel 1893 aveva contribuito a fondare, di cui fu figura rappresentativa di spicco con un consenso di 308 dei 314 votanti all'atto dell'istituzione 5. Insieme all'allora presidente Garibotti, concretizzò la sua idea di organizzare ed educare gli operai tramite l'avviamento di una scuola serale e di assistenza ai disoccupati tramite l'istituzione di un vero e proprio ufficio di collocamento5.
▲Fu promotrice della lega per l'emancipazione femminile e sempre in prima linea nell'organizzazione degli scioperi delle filande, pezzo forte dell'industria cremonese 2. In collaborazione con Leonida Bissolati, organizzò i primi scioperi delle lavoratrici impiegate nelle filande della realtà cremonese che ebbero luogo a decorrere dal 1893³. In piazza insieme alle filatrici, Baricelli, che esercitava su di loro un notevole ascendente7, chiese l'aumento di mezzo centesimo sulla paga oraria, l'abolizione delle multe e la riduzione a 13 ore, anziché 14, dell'impegno di lavoro giornaliero delle cernitrici7. Gli scioperi erano tesi ad ottenere orari di lavoro più brevi (da 12 a 14 ore in quegli anni) e almeno piccoli incrementi salariali¹.
'''La carriera di insegnante e il trasferimento per motivi politici'''
L'inizio del 1900 segnò il principio di una lunga carriera, svolta in diversi istituti del Nord Italia
Durante l'esperienza padovana, la Baricelli intraprese una sua personale indagine sulle condizioni del proletariato femminile nella provincia di Padova, da lei stessa definita «brevissima e incompiuta», ma in realtà ricca di dati sul numero di operaie impiegate, su paghe e orari, multe, tipo di lavoro20. Le balzò subito agli occhi la specificità della situazione padovana: la donna lavoratrice era «abbandonata allo sfruttamento industriale, e percepisce tuttora salari di fame già sorpassati ovunque il socialismo ha saputo trasformare la coscienza di classe tra le donne portandole ad una più equa valutazione del loro lavoro»20. Nelle sue conclusioni dell'inchiesta sul lavoro femminile nella provincia padovana emergeva un triste panorama: «Di previdenza per malattia o per vecchiaia nessuna traccia, le organizzazioni di resistenza sono lettera morta. I tentativi fatti per riunire in lega le lavoratrici naufragarono tutti per l'opera deleteria delle egoiste e delle fanatiche sobillate dai preti». 27
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