Bernabò Visconti: differenze tra le versioni

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Le milizie tedesche al soldo dei Visconti si rifiutarono di combattere i conterranei. Per loro fortuna, il Conte Lando si attardò nei saccheggi invece di seguire gli ordini di Giovanni da Oleggio che gli aveva comandato di attaccare i borghi di Milano. A questo punto il marchese decise con le sue 200-1.000 [[barbuta|barbute]]<ref>cavalieri così chiamati per il loro caratteristico elmo che lasciava scoperta la barba, ciascuno era seguito da almeno un sergente per cui l'esercito del Lando era di almeno 6.000 uomini</ref> di congiungersi alle 3.000 del Lando pretendendo il comando dell'esercito ma non l'ottenne, pertanto si ritirò dal campo riuscendo a catturare [[Novara]] che offrì una strenua resistenza.<ref>{{Cita|G. Giulini, ''op. cit.''|vol. V, pp. 419-421}}.</ref> Bernabò e Galeazzo II sfruttarono i dissidi tra i nemici per riorganizzarsi: realizzarono i ''redefossi''<ref>Fossati provvisti di bastioni</ref> attorno ai borghi fuori dalle mura di Milano e reclutarono uomini in tutta la Lombardia mettendovi a capo [[Lodrisio Visconti]], [[Pandolfo II Malatesta]] e [[Francesco d'Este (1325-1384)|Francesco d'Este]]; ad essi presto si aggiunsero [[Valeriano Castracani]] e Pietro [[Mandelli (famiglia)|Mandelli]] che erano intenti ad assediare Pavia.
 
Il Conte Lando, dopo aver saccheggiato e compiuto ogni genere di violenze a danno di [[Castano Primo|Castano]], stava rapinando [[Rosate]], posta sulla strada che avrebbe dovuto condurlo ai quartieri invernali presso Pavia. Il 13 novembre, constatando che i nemici non avevano intenzione di assediare la città, l'esercito visconteo uscì da Milano e si accampò nei pressi di [[Casorate Primo|Casorate]], tre miglia a sud di Rosate, tagliando la strada al nemico. I generali disposero i 4.200{{formatnum:4200}} cavalieri sulla strada per Pavia e i 2.000{{formatnum:2000}} fanti su ciascun lato della strada dietro folte vigne, tali da rendere impossibile una carica di cavalleria nemica. Il 14 novembre inviarono piccole squadre di una ventina di cavalieri ciascuna alla guida del Castracani contro la retroguardia del Lando intenta a guadare il Ticino. Dopo aver incontrato ed ingaggiato il nemico in brevi scaramucce, la cavalleria milanese subito fuggì con l'intento di attirarlo nella trappola.
 
Il Lando abboccò e giunto nel tratto di strada presso le vigne caricò la cavalleria milanese che sbarrava la strada, confidando nella superiorità numerica dei suoi uomini. Questa cedette facendo finta di ritirarsi ma subito il Lando fu attaccato ai fianchi dai fanti viscontei che ne uccisero i cavalli con archi e balestre per poi scagliarsi contro i cavalieri appiedati facendoli prigionieri. Dopo aver disfatto il primo corpo d'armata i viscontei attaccarono il secondo riuscendo facilmente a costringerlo alla fuga. La lega anti-viscontea perse 1.500 uomini tra morti e feriti, vennero catturati il Conte Lando, Marquardo di Randeck, Raimondino Lupi di Soragna, Dondaccio Malvicini e il [[Malcalzato]], generale dei monferrini, insieme a quasi tutti i capitani e a duecento cavalieri. Pare che il Conte Lando riuscisse poi a fuggire a Novara corrompendo due carcerieri tedeschi.<ref>{{Cita|G. Giulini, ''op. cit.''|vol. V, pp. 421-423}}.</ref> Il 17 novembre, approfittando della situazione, [[Genova]] e le cittadine della [[riviera ligure]] cacciarono il podestà [[Biagio Capelli]] e il governatore Maffeo [[Mandelli (famiglia)|Mandelli]], che aveva violato le condizioni della dedizione ai Visconti, aderendo alla lega. I Visconti vi inviarono [[Simone Boccanegra]] per cercare di riportare la calma ma questi colse l'occasione per unirsi alle truppe pisane che lo stavano aspettando e farsi proclamare doge. I genovesi riuscirono in breve tempo ad ottenere il controllo su tutta la costa da [[Principato di Monaco|Monaco]] a [[Sarzana]].<ref>{{Cita|B. Corio, ''op. cit.''|vol. II, pp. 199-200}}.</ref><ref>{{Cita|G. Campiglio, ''op. cit.''|vol. III, pp. 11-15}}.</ref>