Giuseppe Di Matteo: differenze tra le versioni

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== Biografia ==
=== Le origini e il contesto familiare ===
Giuseppe Di Matteo era il figlio primogenito di [[Santino Di Matteo|Mario Santo Di Matteo]], detto Santino'mezzanasca', e di [[Franca Castellese]]. Il padre, nato in una famiglia [[Mafia|mafiosa]] da diverse generazioni (si pensi che {{Sf|un avo, dedito al contrabbando, era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di un carabiniere}}), aveva assimilato i codici e le mitologie di [[Cosa nostra]] attraverso i racconti dei membri maschi della famiglia e, durante l’infanzia del piccolo Giuseppe, aveva servito l’[[Criminalità organizzata|organizzazione criminale]] come alleato dei [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]], coprendo l’inizio della latitanza di [[Giovanni Brusca]] nelle tenute di famiglia, commettendo numerosi omicidi e fornendo supporto tecnico e logistico per la preparazione dell’[[Strage di Capaci|attentato di Capaci]].<ref>Cfr. al riguardo le dichiarazioni dello stesso Brusca in [[Saverio Lodato]], ''Ho ucciso Giovanni Falcone. La confessione di Giovanni Brusca'', Milano, Mondadori, 2006: “La mia latitanza [c]ominciò il 31 gennaio 1992, quando la Cassazione confermò le condanne del ‘maxi processo’ (...). All’inizio abitavo ad Altofonte, un paese tra San Giuseppe Jato e Palermo, nella casa di Mario Santo di Matteo”. Pochi mesi dopo, Di Matteo parteciperà “alla strage di Capaci sino (…) ai preliminari (…): i telecomandi … li confezionammo, li assemblammo e li provammo da Mario Santo di Matteo, in contrada Rebottone, ad Altofonte, in aperta campagna. Facevamo tutte le prove che volevamo: di telecomandi … e di esplosivi e … anche di velocità (…). Le prove di velocità (…) le avevo fatte [anche] con l’auto di Di Matteo (…). Poi non ci fu più bisogno di lui”.</ref> {{Sf|Ufficialmente allevatore, Santino Di Matteo lavorò per un certo periodo anche come addetto all’abbattimento di capi di bestiame al mattatoio comunale di Altofonte;}} {{Chiarire|oggi|oggi quando?}} {{Sf|vive con la famiglia sotto protezione dello Stato.}}
 
La madre di Giuseppe proveniva, invece, da una famiglia non mafiosa. Di origini contadine, aiutò la famiglia nel lavoro dei campi prima di seguire dei corsi di formazione professionale come infermiera e dattilografa. Vincitrice di concorso dapprima in ospedale, quindi al Tribunale e poi alle Poste, lavorò per dieci anni come infermiera all’ospedale psichiatrico di Palermo prima di passare all’ospedale di [[Altofonte]], dove, pur mantenendo la sua qualifica, svolse funzioni amministrative come addetta alle relazioni con il pubblico.<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|pp=32-34, 74}}</ref>