Maggio francese: differenze tra le versioni

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Gli [[anni 1960]] sono anche quelli dell'affermazione dei giovani come categoria socio-culturale e politica autonoma. In particolare, i giovani hanno ormai [[cultura|culture]] proprie, una stampa specializzata, trasmissioni radio molto seguite, propri idoli musicali come i [[Beatles]], i [[Rolling Stones]], [[Johnny Halliday]] eccetera. Hanno anche disagi e rivendicazioni propri, particolarmente in materia di libertà sessuale, che il potere e il mondo degli adulti tardano a comprendere.
 
*Sul piano religioso la Francia, ancora molto [[cattolicesimo|cattolica]], ha seguito con passione il [[Concilio Vaticano II]], che ha profondamente rinnovato ma anche lacerato il cattolicesimo tradizionale e soprattutto i movimenti di [[azione cattolica]]. In particolare gli [[Scautismo|Scouts]], che rappresentavano allora una parte non trascurabile della gioventù cristiana, avevano modificato i rapporti gerarchici nelle loro strutture a partire dal [[1964]], mettendo in discussione il tradizionale modello organizzativo di tipo militare e introducendo nei gruppo forme di [[collegialità]] decisionale<ref>L'equivalente italiano è l'[[Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani]].</ref>. Nello stesso anno la gerarchia doveva riprendere il controllo della ''Jeunesse étudiante chrétienne''<ref>Si veda, in Italia, il [[Movimento Studenti Cattolici]], nato negli [[anni 1970]].</ref>, mentre [[Paolo VI]] ridava fiato al movimento dei [[preti operai]], condannato nel [[1959]]. Più in generale, erano molti i cristiani preoccupati di rinnovare le relazioni tra fedeli e autorità religiose, di rivisitare pratiche e [[dogma|dogmi]], e insomma di conciliare fede e rivoluzione.
 
*Sul piano sociologico, durante gli anni '60 le dinamiche di gruppo dilagavano nella formazione dei responsabili di tutte le organizzazioni e delle imprese: il dibattito era di moda. Tuttavia le divisioni sociali erano ancora estremamente rigide: Il 92% degli studenti proveniva ancora dalla [[borghesia]]. Il paternalismo autoritario era onnipresente. Si cominciava ad aprire scuole superiori miste<ref>Il primo liceo misto (a cominciare dal secondo anno) era stato aperto a [[Rambouillet]] nel [[1960]].</ref>, ma molti istituti scolastici erano ancora destinati a ragazzi e ragazze separatamente. Alle ragazze era vietato portare i pantaloni, e nelle università era vietato ai maschi accedere ai collegi femminili, anche se le ragazze, invece, potevano entrare in quelli maschili.
 
*Sul piano filosofico, sono molti gli autori e i testi che hanno avuto un'importante influenza su almeno una parte del movimento: [[Wilhelm Reich]], [[Sigmund Freud|freudiano]] e [[Marxismo|marxista]], il cui manifesto, ''La rivoluzione sessuale'', era uscito nel [[1936]]; [[Herbert Marcuse]], con il suo ''L'uomo a una dimensione'', pubblicato in Francia nel 1964 e in nuova edizione nel 1968; [[Raoul Vaneigem]], con il suo ''Traité de savoir-vivre à l'usage des jeunes générations'' del 1967; [[Guy Debord]] e la sua ''Società dello spettacolo'', ancora del 1967; e più tardi, nel 1972, [[L'Anti-Edipo
]] di [[Gilles Deleuze]] e [[Félix Guattari]].
Altri autori come [[Pierre Bourdieu]] e [[Jean-Claude Passeron]] criticavano la "riproduzione sociale" che permette alle élites di conservare il proprio dominio di generazione in generazione. All'[[École Normale Supérieure]], il filosofo marxista [[Louis Althusser]] formava una generazione di pensatori [[Marxismo-leninismo|marxisti-leninisti]] che formarono l'embrione delle prime organizzazioni [[Maoismo|maoiste]].
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=== Origini immediate ===
Il ''Movimento del 22 marzo''
<ref>Il '''Movimento del 22 marzo''' è un movimento studentesco nato il 22 marzo 1968 alla facoltà di Lettere di [[Nanterre]]. </br>D'ispirazione [[Libertarismo|libertaria]], i suoi principali leaders furono [[Daniel Cohn-Bendit]] e [[Alain Geismar]]. Il suo primo gesto fu l'occupazione degli uffici amministrativi da parte di 142 studenti, per protesta contro l'arresto di Xavier Langlade, della Jeunesse communiste révolutionnaire, a seguito del saccheggio della sede dell'[[American Express]] avvenuto il giorno precedente durante una manifestazione organizzata dal ''Comité Vietnam national''. </br>Le sue premesse erano state poste già l'anno precedente, il 21 marzo 1967, quando gli studenti di Nanterre avevano deciso spontaneamente di occupare l'edificio della città universitaria riservato agli studenti. Ne era seguita l'espulsione violenta da parte delle forze di polizia (va ricordato che all'epoca, e fin dal medioevo, la polizia non aveva il diritto di entrare nell'università), e la circolazione di una lista nera di studenti che i professori erano invitati a respingere dai propri corsi, tra i quali Daniel Cohn-Bendit. Questo movimento si era esteso alla provincia, dove studenti medi "non politicizzati" si erano serviti dell'etichetta "22 marzo" per organizzare scioperi nelle loro scuole. </br>Gli studenti di ciò che sarebbe divenuto il Movimento del 22 marzo passarono un anno a diffondere le loro idee sulla libertà sessuale e sulle nevrosi prodotte dalla mancanza di libertà in questo e in altri campi.</br>Quando si sparse la voce che Dany Cohn-Bendit stava per essere trasferito in un'altra università, tutti gli studenti anarchici e/o di sinistra indissero un grande sciopero. Appena Nanterre fu chiusa dal rettore Pierre Grappin, il venerdì 3 maggio 1968, il movimento si diresse verso la [[Sorbonne]]: fu l'inizio degli eventi del Maggio '68.</br>Con altri undici movimenti di estrema sinistra, il Movimento 22 marzo si sciolse il 12 giugno 1968.</br>La storia del Movimento è stata raccontata da [[Robert Merle]], [[Premio Goncourt]] nel [[1949]] e all'epoca professore di inglese alla facoltà di Lettere, nel suo romanzo ''Derrière la vitre'' (Gallimard, 1970), ambientato appunto nella residenza universitaria di Nanterre. Vi si ritrovano molti dei leaders dell'epoca e una buona nalisi delle cause e dei sogni del movimento.</br>Per l'Italia si veda [[Circolo anarchico 22 Marzo]].</ref>
, raccogliendo la bandiera della contestazione condotta da piccoli gruppi, come gli anarchici e "Gli arrabbiati" di [[René Riesel]], appare quel giorno sulla scena occupando un piano dell'edificio amministrativo della facoltà di Nanterre. La sua principale rivendicazione è la protesta contro gli arresti operati durante delle manifestazioni contro la [[guerra del Vietnam]].
 
Il movimento era portatore di un ideale politico molto liberale nel senso delle libertà individuali e molto critico verso la società dei consumi, l'[[autoritarismo]], l'imperialismo, ma giocava anche su temi che toccavano la vita quotidiana, come il diritto d'accesso dei ragazzi alle residenze universitarie femminili.
 
Di figure carismatiche non si può parlare in senso stretto: il movimento restò "multiforme" e privo di un'organizzazione centralizzata. Alcuni dei suoi personaggi ne divennerò tuttavia, a posteriori, emblematici, anche se i loro discorsi, presi singolarmente, non potrebbero riassumere la diversità di opinioni esistenti tra le masse, e benché alcuni dei protagonisti, nei loro interventi successivi, abbiano - nè più nè meno - riscritto gli avvenimenti. Tra questi, [[Serge July]] e [[Daniel Cohn-Bendit]], ma anche i ''«nouveaux philosophes»'', come ad esempio [[Bernard-Henri Lévy]].
 
Le cause di questo movimento furono diverse. Le analisi storiche oscillano tra l'idea che alla base ci fosse l'esigenza di infrangere la grande rigidità che imprigionava le relazioni umane e i costumi, e la constatazione dell'inizio di un peggioramento delle condizioni materiali a conclusione della ricostruzione del dopoguerra, che gli studenti potevano constatare anche personalmente nel vedere la bidonville di Nanterre accanto alla loro nuova università. Lo scontento nascente nell'ambiente studentesco finì per saldarsi con quello che da diversi anni veniva profilandosi nel mondo operaio.
 
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OriginesForces immédiatesen présence [modifier]
L'éclatement spontané de la crise prit complètement au dépourvu le pouvoir, ainsi que pratiquement toutes les organisations, partis et syndicats organisés. Le camp du pouvoir ne fut pas plus uni que celui de la contestation. Le Parti communiste français et son relais syndical, la CGT, refusèrent dans un premier temps de joindre leur cause à celle des étudiants vus comme « bourgeois » et a fortiori de leurs dirigeants d'inspiration libertaire (tels Daniel Cohn-Bendit) ou issus des divers groupuscules « gauchistes ». Ceux-ci étaient souvent eux-mêmes divisés (« marxistes-léninistes » prochinois, trotskistes, etc.) et incertains quant à l'attitude à avoir face au mouvement. Au sommet de l'État, la crise aggrava les divergences entre le général de Gaulle, peu compréhensif envers ce qu'il qualifie le 19 de « chienlit », et partisan d'une répression immédiate, et son Premier ministre, Georges Pompidou, qui préféra jouer la carte de la modération et de la compréhension pour mieux laisser le mouvement s'essouffler de lui-même. Les forces centristes et les gauches (Pierre Mendès France, François Mitterrand) tentèrent difficilement de canaliser vers la construction d'une alternative politique au régime gaullien, un mouvement largement indifférent à la question de la prise du pouvoir.
Le mouvement du 22-Mars, prenant le relais de la contestation menée par de petits groupes tels les anarchistes et les Les enragés de René Riesel, se fait connaître ce jour-là en occupant un étage de la tour administrative de la faculté de Nanterre. Sa principale revendication est la protestation contre des arrestations opérées quelques jours plus tôt lors des manifestations contre la guerre du Viêt Nam.
 
Le mouvement est porteur d'un idéal politique très libéral au sens des libertés individuelles et très critique vis à vis de la société de consommation, de l'autoritarisme, de l'impérialisme. Le mouvement joue aussi de thèmes touchant à la vie de tous les jours, comme par exemple le droit d'accès pour les garçons aux résidences universitaires des filles.
 
Déroulement d'ensemble [modifier]
Il n'y a pas eu à proprement parler de « figures de proue » du mouvement qui est demeuré « multiforme » et sans organisation centralisée. Certains sont cependant devenus, a posteriori, des emblèmes du mouvement même si leurs discours, singuliers, ne sauraient résumer la diversité d'opinions qui existaient au sein des masses et si, pour certains, ce discours postérieur a parfois consisté à réécrire les événements. Parmi eux, Serge July, Daniel Cohn-Bendit mais également les « nouveaux philosophes » comme par exemple Bernard-Henri Lévy. L'écrivain Robert Merle, prix Goncourt 1949 et professeur d'anglais à la faculté de Nanterre, a consacré un roman entier à la journée du 22 mars et celles qui l'ont précédée. On y retrouve beaucoup de leaders de l'époque, ainsi qu'une bonne analyse des causes et rêves du mouvement[4]. Cet ouvrage, sur les événements, est bien complété par celui de Kristin Ross sur les discours qui ont été tenus sur Mai 68, de 1968 à nos jours[5].
Le 3 mai, la cour de la Sorbonne est occupée par 400 manifestants qui tiennent meeting sans heurt particulier. Devant le risque d'une attaque des étudiants d'extrême droite (Occident, d'inspiration fasciste et violent, annonce une marche sur l'établissement dans le but avoué d'une confrontation brutale), elle est évacuée par une intervention policière musclée : plusieurs centaines d'étudiants sont arrêtés, dont Jacques Sauvageot, le dirigeant du principal syndicat étudiant. Cette intervention des forces de l'ordre à la Sorbonne, sans préavis ni négociations, est très mal vécue par les étudiants, qui se pensaient protégés par le statut universitaire. Les étudiants réagissent aussitôt par des manifestations violentes contre les forces de l'ordre : jets de pavés, puis barricades. Ces manifestations reprennent ensuite à l'annonce de peines de prison pour les manifestants, pendant lesquelles commencent à fleurir les slogans libertaires.
 
Les causes de ce mouvement sont diverses. Les analyses historiques tournent à la fois autour de l'idée qu'une grande rigidité cloisonnait les relations humaines et les mœurs et de la constatation d'un début de dégradation des conditions matérielles après la période de reconstruction suivant la Seconde Guerre mondiale. À l'époque, de nombreux bidonvilles jouxtent la capitale notamment celui de Nanterre. Les étudiants qui se rendaient dans la faculté fraîchement construite découvrirent ce milieu, la pauvreté, la condition ouvrière. Le mécontentement naissant dans le milieu étudiant sera relayé par celui qui se profilait depuis plusieurs années dans le secteur ouvrier.
Le président du SNE-Sup (syndicat des enseignants du supérieur), Alain Geismar, décide de soutenir les manifestants. Les membres du Parti communiste et de certaines organisations d'extrême gauche (maoïstes, AJS) sont d'abord pris de court : pour eux, la révolution est censée venir des ouvriers, et non des étudiants ; de plus, les revendications du mouvement du 22-Mars leur paraissent « puériles » et « petit-bourgeoises » et surtout « gauchistes ». Après un moment de flottement, ils essayent toutefois de gagner les ouvriers à cette « révolte ». La CGT, pour sa part, ne les suit pas et son secrétaire général de l'époque, Georges Séguy, s'en expliquera plus tard devant les médias : « Cohn-Bendit qui est-ce ? Sans doute faites-vous allusion à ce mouvement lancé à grand renfort de publicité qui, à nos yeux, n'a pas d'autre objectif que d'entraîner la classe ouvrière dans des aventures en s'appuyant sur le mouvement des étudiants ». Mais la base de ces organisations traditionnelles de gauche dépasse leurs responsables.
 
Dans la nuit du 10 au 11 mai, les étudiants occupant le Quartier latin dressent plusieurs dizaines de barricades qui sont finalement prises d'assaut dans la nuit par les CRS. On relève des centaines de blessés. Face à la répression policière, la population a tendance depuis les premiers jours à prendre majoritairement fait et cause pour les étudiants. A l'aube, syndicats et partis appellent à une démonstration de solidarité pour le surlendemain.
 
Le 13 mai une immense manifestation traverse Paris. Le syndicat CFDT parle d'un million de manifestants. La préfecture de police n'en concède même pas deux cent mille.
 
Le chef de l'État, le général de Gaulle, en voyage officiel en Roumanie du 14 au 19 mai, n'accorde initialement pas beaucoup d'attention à ces manifestations. Il laisse son Premier ministre Georges Pompidou s'en occuper : on dira de lui plus tard que « rares sont les hommes politiques, tel M. Pompidou, pour encaisser à ce point pendant les insultes ». Celui-ci a interrompu le 12 un autre voyage officiel en Afghanistan pour faire face à la situation. Il exige que les forces de police quittent la Sorbonne, afin de calmer la situation. On croit alors qu'il tergiverse et cède mais en réalité ce mouvement est tactique : il espère que les excès des étudiants déconsidéreront leur mouvement au regard de l'opinion (lettre citée par Raymond Aron dans ses Mémoires, p. 667). Sceptique face à cette ligne de modération tactique, de Gaulle reste pour l'heure à l'écart, en se réservant la possibilité d'intervenir si besoin.
 
Sans mot d'ordre aucun, et à la surprise des responsables de chaque camp, la grève générale symbolique prévue pour le 13 mai ne s'arrête pas à ce jour-là. Le mouvement ne fait au contraire que s'étendre rapidement dans le courant du mois : c'est la première grève générale sauvage de l'Histoire. C'est aussi la première fois qu'une grève générale paralyse un pays parvenu au stade de la société de consommation.
 
Des grèves et occupations d'usine spontanées se multiplient donc jusqu'à mi-mai. La première a lieu à l'usine Sud-Aviation Bouguenais (44) le 14 mai avec 2682 salariés. Le 22 mai, 10 millions de salariés ne travaillent pas (en grève ou empêchés de travailler). Les revendications sont à la fois traditionnelles (augmentation des salaires, meilleures conditions de travail) et nouvelles. Il s'agit en effet de revendications qualitatives (pour plus d'autonomie, responsabilité du salarié, forme de cogestion des entreprises, etc.).
 
Dans tout le pays, les portes s'ouvrent à n'importe quel citoyen, la parole se libère et devient pour quelques semaines la raison d'être des Français. Enthousiasmé ou catastrophé, dubitatif ou méditatif, chacun selon sa sensibilité participe ou observe. Des dialogues intenses se nouent dans les rues, entre inconnus, et à travers les générations.
 
L'un des symboles de ces lieux de débats est le théâtre de l'Odéon à Paris où l'on peut entendre s'affronter, dans des débats pris très au sérieux jour et nuit, quelques syndicalistes délégués de chez Renault, des ménagères du quartier, des étudiants, un groupe de jeunes de droite de Neuilly-sur-Seine venus en touristes, un autre groupe de lycéens d'une banlieue ouvrière, autres touristes, tel ou tel artiste célèbre, des professeurs, un conseiller municipal aux abois, un ou deux cadres d'entreprise catastrophés, pendant que dans les coulisses du théâtre, quelques échevelés de la libération sexuelle se livrent à des ébats spontanés et sans intimité.
 
À tout moment dans tel ou tel lieu de France, un militant de telle ou telle organisation, plus ou moins rompu à la dynamique de groupe en vogue, s'impose pour faire voter une « motion » en « assemblée générale » qui se perd dans un flot de tracts et achève parfois sa course dans un article de presse, si un journal peut paraître, suivant le destin d'une bouteille à la mer lancée à Maubeuge et ouverte dans l'Île de la Cité. On découvrira des attitudes personnelles surprenantes, comme celle du député Valéry Giscard d'Estaing allant seul à l'aube à la rencontre des ouvriers de Billancourt qui occupent leur usine.
 
Les accords de Grenelle négociés entre Georges Pompidou et les syndicats laissent croire un moment à une sortie de crise en échange d'une fournée d'acquis sociaux sans précédent depuis la Libération voire depuis les accords Matignon du 7 juin 1936 : droit syndical dans l'entreprise, augmentation du Smic de 30 %, paiement des jours de grève à 50 %, etc. Cependant, la base boude les accords et aucune reprise du travail ne se manifeste.
 
La crise devient politique. Alors que le général de Gaulle apparaît flottant et dépassé (son intervention télévisée du 24 mai, proposant un référendum, est tombée à plat de son propre aveu, et n'a suscité qu'une nouvelle nuit de barricades parisiennes, plus violente que la précédente), une alternative semble s'esquisser non sans mal à gauche. Certains comme François Mitterrand parlent d'un gouvernement provisoire qui serait dirigé par Pierre Mendès France. C'est aussi vers ce dernier que se tournent beaucoup de regards, jusque de la part des centristes et de certains hommes de droite, et c'est en lui aussi que mettent leurs espoirs les organisateurs du meeting du stade Charléty (CFDT, UNEF et animateurs de Mai), réunis le 27 mai au soir. Quant au PCF, dubitatif mais menacé d'être débordé, il fait défiler ses troupes en bon ordre le 29 pour exiger un « gouvernement populaire » aux contours imprécis mais dont il serait une partie prenante essentielle.
 
C'est ce 29 mai qu'au plus fort de la contestation et du désarroi, de Gaulle disparaît pendant plusieurs heures, à la surprise générale. Cela plonge Pompidou et la majorité dans une certaine angoisse. Sans prévenir personne, de Gaulle va consulter son ancien compagnon de lutte le général Massu en Allemagne, au lieu de se rendre comme annoncé à sa résidence secondaire de Colombey. Veut-il s'assurer symboliquement du soutien de l'armée, dont nul ne souhaite en réalité l'intervention ? Veut-il déconcerter l'adversaire et jouer sur la peur du vide, alors que l'opinion commence à se retourner devant l'absence de perspective du mouvement ? Épuisé et déconcerté, a-t-il eu un authentique moment de passage à vide[6] voire la tentation de se retirer ? Il semble que toutes ces raisons se soient conjuguées.
 
Revenu à Paris le lendemain midi 30 mai, de Gaulle accepte la proposition de Georges Pompidou de dissoudre l'Assemblée nationale pour organiser de nouvelles élections législatives[7]. Le Premier ministre estime avec justesse que le mouvement étudiant, poursuivant la grève en dépit de l'accession à ses revendications, s'est rendu impopulaire. L'après-midi, tandis qu'une marche de soutien au gouvernement, menée par André Malraux[8] et Michel Debré, réunit sur les Champs-Élysées trois cent mille manifestants selon la préfecture de police et un million selon les gaullistes, de Gaulle annonce la dissolution par la radio dans un discours bref qui change brusquement la donne (voir Charles de Gaulle pour quelques extraits).
 
La situation se renverse peu à peu. Après plusieurs épisodes violents début juin — violents affrontements à Renault-Flins les 7 et 10 et à Peugeot-Montbéliard-Sochaux le 11 —, les grèves cessent progressivement. Une troisième « nuit des barricades » au Quartier latin les 11 et 12 juin n'est plus que le fait d'irréductibles. Le 12 juin, plusieurs organisations « gauchistes » sont dissoutes. L'Odéon et la Sorbonne sont évacués sans difficulté par la police quelques jours plus tard. De nombreux journalistes grévistes de l'ORTF sont licenciés , tandis que la répression s'abat sur certains leaders du mouvement, tels Daniel Cohn-Bendit, interdit durablement de séjour[9]. Les élections des 23 et 30 juin s'achèvent sur un raz-de-marée électoral pour les gaullistes, dont le groupe emporte la majorité absolue à l'Assemblée, situation sans précédent. Mais ces jours ont aussi porté en germe un net refroidissement des relations entre Georges Pompidou et le général de Gaulle : aussitôt les élections remportées, ce dernier le remplace par Maurice Couve de Murville à la tête du gouvernement.
 
Néanmoins, les Français ont appris à apprécier en ces jours-là le vrai vainqueur de la crise : de Gaulle n'est plus irremplaçable et, après l'échec du référendum du 28 avril 1969, suivi de sa démission immédiate, c'est sans surprise que Georges Pompidou accédera à l'Élysée. De Gaulle, pour sa part, votera depuis l'Irlande où il prend quelques jours de vacances avec son épouse.
 
L'échec politique du mouvement n'empêche pas un certain succès social et culturel : jamais ratifiés, les accords de Grenelle sont tacitement appliqués, en particulier le passage du salaire minimum à 600 F par mois (le pouvoir d'achat du franc de l'époque est légèrement supérieur à celui de l'euro de 2002, voir INSEE). L'Université napoléonienne est démantelée fin 1968 par la loi Edgar Faure, la décentralisation relancée. Si la tentative du Premier ministre Jacques Chaban-Delmas (1969-1974) de satisfaire certaines aspirations de Mai 68 se heurte au plus grand conservatisme de Pompidou, d'autres demandes seront satisfaites par le président Valéry Giscard d'Estaing en 1974 (dépénalisation de l'IVG, fin de la censure, majorité civile à 18 ans, etc.), puis par la gauche au pouvoir après 1981 (libéralisation de l'audiovisuel, loi Defferre sur la décentralisation, etc.)
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== Note ==
<references/>
 
== Bibliografia ==
*''Mai 68 et ses vies ultérieures'', Le Monde diplomatique – éd. Complexe,2005, 222 p., (ISBN 2804800202).
 
==Voci correlate==