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Dalla fine degli [[Anni 1770|anni settanta]], e per diversi anni, Federici si trovò a frequentare [[Genova]] con assiduità per una questione di eredità paterna che gli veniva contesa dai fratelli e dallo zio<ref>Ducci Luigi e Daniella, ''op.cit.'', pagg.30-31.</ref>, i quali ebbero buon gioco nel vincere la causa facendo leva sulla sua fama di liberale. Il contatto con la magistratura genovese<ref>Lettera a Giovan Maria Saporiti del 17 agosto 1791: "Capisco che tutto l'affare non può essere derivato che dalla Cabala, la quale abbia guadagnato il Giudice, o col mezzo dell'avarizia, o di qualche potente Aristocratico, giacché questi sono i due canali per i quali a disonore della Città, e per disgrazia di chi v'ha a che fare, tutto si possa.", Ducci L., ''op.cit.'', p.31.</ref>, e con il sistema di potere della [[Repubblica di Genova|Repubblica di San Giorgio]] lo spinsero a parteggiare sempre più per le idee [[Rivoluzione Francese|rivoluzionarie]] che agitavano la vicina [[Francia]].
 
Egli non abbracciò, a differenza della maggior parte dei cospiratori e democratici genovesi<ref>Il Prof.Augusto Franchetti scrive: "Secondavanli inoltre (i novatori) le famiglie Patrizie dei Serra, dei Sauli, dei Gentile, dei Carrega, non tanto per simpatie alle nuove dottrine venute di Francia, quanto per desiderio di private vendette contro gli Spinola ed i Pallavicini la quale inimicizia aveva origine non solo dall'invidia dei Nobili poveri verso quelli ricchi nelle cui mani era il goveno dello Stato [...]", AA.VV., ''"Storia politica d'Italia"'', Vallardi Editore, Milano 1897.</ref>, le idee democratiche per interessi personali, ma per la sua sincera avversione nei confronti del sistema [[oligarchia|oligarchico]] e del [[Clero]]. Oligarchia che governava la Repubblica con leggi ormai antiquate<ref>L'ordinamento giuridico di stampo feudale su cui si reggeva la Repubblica risaliva al [[1576]] e limitava il potere ad una ristretta cerchia di nobili "forniti di congruo patrimonio" e, secondariamente, di ricchi borghesi.</ref> che assicuravano tutto il potere nelle mani dei [[Serenissimi Collegi]], un organo composto da venti senatori e un capo, il [[Doge]], con carica biennale e da tutti gli ex Dogi con carica a vita<ref>Nurra P., ''"Genova durante la Rivoluzione Francese - La Cospirazione Antioligarchica"'', in Giornale Storico Letterario della Liguria, 1927, fasc.IV, pag.336 n.1</ref>. Federici vedeva in questa gestione privatistica dello Stato, che si traduceva in concessioni di privilegi, soprattutto fiscali, ai più potenti, la prima causa della sua debolezza. Ma non reclamava, a differenza di molti "nobili poveri"<ref>I "nobili poveri" erano così detti per distinguerli dall'alta Aristocrazia che gestiva ''de facto'' il potere dello Stato. Essi si radunavano nel Maggior Consiglio, di cui comunque il Federici non fece mai parte.</ref>, il proprio diritto a partecipare ai suddetti privilegi, quanto piuttosto la necessità di una riforma del sistema esattoriale che stabilisse una contribuzione alle spese dello Stato proporzionale ai beni posseduti.
 
{{quote|Non è possibile promuovere l'utile Agricoltura, se non si hanno molte e attive braccia, e non è possibile avere un'abbondante ed industriosa popolazione, ove non regni una discreta libertà di Commercio, almeno per l'esito dei prodotti che avanzano, e per l'introito dei necessari che mancano, né è possibile che questa popolazione abbia la necessaria attività se non vede constantemente puniti i delitti, premiata la virtù, e sbandita la superstizione, madre ben feconda più di ogni altra dell'indolenza.