Nicolò Mignogna: differenze tra le versioni

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Dal [[1836]] fece parte della [[Giovine Italia|Giovane Italia]] di cui presiedeva il comitato napoletano. Molto amico di [[Luigi Settembrini]], partecipò a Napoli ai moti del 1848, fu processato e nel 1855 fu condannato all'esilio perpetuo del [[regno delle Due Sicilie]]. Riparato a Genova, nel [[1860]] si arruolò tra i Mille; dove [[Giuseppe Garibaldi]] lo definì "uomo puro", tanto da nominarlo tesoriere della spedizione. A Palermo ricevette da Garibaldi l'ordine di partire per le regioni meridionali col compito di preparare il terreno. Mignogna partecipò alla sollevazione della [[Basilicata]]. Poi accompagnò i Mille fino al [[Battaglia del Volturno|Volturno]] e prese parte ai combattimenti con la 7^ compagnia comandata da [[Benedetto Cairoli]]. Nel [[1860]] fu nominato proto-dittatore della [[Basilicata]] insieme a [[Giacinto Albini]]. Fu tra i [[Puglia|pugliesi]] che contribuirono all'[[Unità d'Italia]] nel periodo risorgimentale.
 
Nel [[1862]] seguì ancora [[Giuseppe Garibaldi]] in [[Aspromonte]]. Fece parte del Consiglio Comunale di [[Napoli]], poi rifiutò la candidatura a deputato per le sue ristrettezze finanziarie. Fu sottoprefetto a [[Gallipoli (Italia)|Gallipoli]] ([[Provincia di Lecce|LE]]) e Sindaco di Taranto dal [[1867]] al [[1869]]. Sotto la sua amministrazione furono abbattute l'antica Porta Lecce insieme alle antiche mura esistenti lungo quella che divenne corso Vittorio Emanuele, e fu completata la costruzione del [[Palazzo di Città (Taranto)|Palazzo di Città]], solennemente inaugurato nella prima [[domenica]] di [[giugno]] del [[1869]], nel giorno della ricorrenza della Festa dello Statuto. In quel periodo inoltre la città conobbe un forte impulso verso le nuove costruzioni del Borgo Nuovo. Si mantenne fino all'ultimo fedele ai suoi principi e, in punto di morte, l'ultima parola da lui pronunciata fu: «A Roma».
 
== Fonti e Bibliografia ==