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[[File:Bundesarchiv Bild 146-1981-137-08A, Konstantinopel, Besuch Kaiser Wilhelm II..jpg|thumb|right|Guglielmo II di Germania visita la ''Yavuz'' nell'ottobre 1917.]]
L'ammiraglio Souchon inviò la ''Yavuz'' a Zonguldak l'otto gennaio, per proteggere una carboniera scarica che si avvicinava al porto, ma i Russi affondarono la carboniera prima dell'arrivo della ''Yavuz''. Tornando verso il Bosforo, incontrò la ''Imperatritsa Ekaterina''. Le due navi iniziarono un breve scambio di colpi, iniziato alla distanza di 18.500 m. La ''Yavuz'' virò a sud-ovest, e nei primi quattro minuti dello scontro,
Le forze russe stavano guadagnando ampie fasce del territorio ottomano durante la [[Campagna del Caucaso]]. Nel tentativo di prevenire ulteriori avanzate delle forze russe, la ''Yavuz'' trasportò 429 fra soldati ed ufficiali, una batteria da montagna, mitragliatrici e delle unità aeree, 1.000 fucili e 300 casse di munizioni a Trebisonda il quattro febbraio.<ref>Halpern, p. 241</ref> Il quattro marzo, la Marina Russa sbarcò un distaccamento di circa 2.100 uomini, insieme a cannoni da montagna e cavalli, su entrambi i lati del porto di Atina (oggi Pazar, sull'estremità est della costa turca del Mar Nero). I turchi furono colti di sorpresa e costretti ad evacuare il porto.<ref>Halpern, p. 240</ref> Un altro sbarco avvenne, in giugno, nella baia di Kavata, 5 miglia ad est di Trebisonda.<ref>Halpern, pp. 243–244</ref> Nel tardo giugno, le forze turche contrattaccarono e penetrarono per 20 miglia attraverso le linee russe. La ''Yavuz'' e la ''Midilli'' condussero una serie di azioni di appoggio all'attacco turco. Il 4 luglio la ''Yavuz'' cannoneggiò il porto di [[Tuapse]], dove affondò un vapore e uno ''[[schooner]]''.<ref>Halpern, pp. 244–245</ref> Le navi turche si diressero, poi verso nord per aggirare le navi russe che avevano lasciato Sebastopoli per intercettarle, per poi tornare nel Bosforo.<ref>Halpern, p. 245</ref> La ''Yavuz'' rimase in scalo fino a settembre per le riparazioni agli assi delle eliche.<ref>Langensiepen and Güleryüz, p. 51</ref>
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