Anfiosso
Iscritto il 8 mar 2006
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::Grazie delle informazioni riguardo alle riprese del Pirata: il fatto che la Aliberti la canti mi preoccupa parecchio. Ecco una che imita la Callas facendo danni seri a quella musica. Tempo fa Philip Gosset mi aveva detto che aveva scritto le cadenze e le variazioni per il Pirata, sperando che quest'opera - a mio avviso molto ricca di cose belle - riuscisse finalmente a decollare. Ma senza soprano e soprattutto senza tenore è tutto inutile. La prima volta che ho ascoltato Il pirata è stato proprio nell'incisione Callas/Rescigno: impressione: 2-3 cose magnifiche, il resto maldestro. Poi ho sentito Gavazzeni e l'opera mi è piaciuta. Poi ho preso lo spartito e l'ho messo sul pianoforte e ho capito che siamo lontani anni luce da un esecuzione belliniana di quest'opera. Quanto alla Straniera, non sapevo che la Callas volesse cantarla e alla fine mi dispiace che non l'abbia fatto, anche se un'interpretazione abbastanza "callasiana" mi pare quella di Renata Scotto, nell'incisione diretta da Sonzogno. Anche qui però il discorso è lo stesso: una grande interprete che ti risolve in modo sublime 2-3 pezzi e poi? Un'opera variamente massacrata, per me sinceramente inascoltabile in quell'edizione. In scena non l'ho mai vista, ma ho l'impressione che funzionerebbe. I recitativi non sono lunghi, si presta a soluzioni scenografiche più interessanti del Pirata e ha una maggiore continuità drammatica, anche se a mio avviso la musica è meno bella. Poi cosa sia interessante drammaturgicamente è difficile da stabilire. Di Bellini si fanno parecchio i Capuleti, che pure ha un taglio terribilmente convenzionale (sin dalla sinfonia!), senza le trovate che invece ci sono nella Straniera, però ci sono Giulietta e Romeo, e non ci sono grosse difficoltà vocali.<br/>
::Torno ai tuoi esempi di cabalette tagliate e poi ti saluto: le cabalette di Germont, Alfredo e Leonora (la seconda) credo le tagliò lo stesso Verdi per la Francia, e si poteva fare, tanto più nel caso di quest'ultima, dato che l'impressionante espansione del tempo in mezzo (il Miserere) forniva da sé un eccellente finale. Cabalette ne tagliò anche nel nuovo Simon. Altra cosa però è tagliare la ripresa. Certo con Verdi variare diventa ben difficile, ma in fondo lo era già con Bellini e Donizetti, il più delle volte, tanto è vero che le variazioni di tradizione sono rossiniane. E questo è il vero problema: introdurre variazioni più sottili, forse alla Chopin, non d'agilità ma d'espressione e di fraseggio, lavorando sulle appoggiature, le dinamiche, i rubati. Riguardo alla cabaletta del Duca di Mantova, ti riferisci alle esecuzioni anni 1950? non dell'epoca di Verdi, immagino. Anche a me piace molto! Ciao --[[Utente:Francesco Cesari|Al Pereira]] 06:51, 30 nov 2006 (CET)
:::Grazie per l'ultima risposta. Senti, per quanto riguarda il tenore che citi, non solo non lo conosco, ma in sulle prime ho pensato che si trattasse di una voce compilata per scherzo, cioè che si trattasse di un falso. Io, ripeto, non lo conosco; eppure, stesse a me, non lo cancellerei. E' pur sempre informazione. Stesse a me, cancellerei solo la frase "è il più grande intenditore &c.", o in qualunque altro modo sia formulata, per le solite regolette auree di wikipedia. Ma io non sono un oracolo, posso fornire solo opinioni.
:::Quanto alla Callas "verista" hai, direi, piuttosto ragione. Giuseppe Pugliese per primo, se non sbaglio, disse che la C. importava anche un certo accento verista nelle parti protoromantiche. Gina Guandalini dice che per entusiasmare chi nel 1950 o '55 aveva vent'anni non ci voleva di meno -- salvo aggiungere che anche ora le sue interpretazioni protoromantiche, da Norma a Puritani a Pirata a Lucia o quello che è rimangono le sole realmente entusiasmanti. Io cito, accanto alla Callas, la Sutherland, la Caballé, la Deutekom (di cui non si ricorda quasi nessuno), la Gencer, la Scotto &c. rendendomi benissimo conto che sono fenomeni quasi altrettanto (in altri casi anche più) discutibili rispetto a lei; ma mi rifiuto di prendere in considerazione come alternative valide, chessò, la Gruberova o altre, che rimangono nettamente al disotto di tutte queste. Le recenti esecuzioni più o meno filologiche hanno tutte le qualità (quando non ne hanno i difetti) del lavoro fatto in équipe. Apprezzo anch'io, infinitamente, da puro pajo d'orecchi quale sono, il lavoro meritorio del Festival di Pesaro, ma sta di fatto che molte opere rossiniane e tutte le opere belliniane e donizettiane con pochissime e scarsamente significative eccezioni sono opere scritte ''pensando a una primadonna'', e che senza primadonna sono monche. Sono opere (questo te lo può dire chi vede le cose davvero dall'esterno, come puro e semplice ascoltatore, eventualmente spettatore, partecipe, non come accademico) che sono pensate in funzione di una cantante, posta al centro del cast, dotata di intelligenza musicale ed interpretativa. La C. ne aveva più di qualunque altra cantante. Mi sembra tutto sommato ozioso muovere rilievi ad interpretazioni che reggono. Scusami, ma sono portato a sorridere quando penso a Gossett che pensa di risollevare le sorti del Pirata (opera anche abbastanza inquietante, un po' antipatica con quel tema ossessivo, claustrofobico, da "sindrome di Stoccolma") scrivendo nuove variazioni. L'opera è una pratica, ed è fatta per essere sostenuta dai cantanti, non dai professori. Non sto dando interpretazioni puramente vitalistiche, tutt'altro: dico che la C., per esempio, fu abbastanza "professore" da insegnarci qualcosa, ancora oggi e sempre, su quelle partiture. Molto spesso le attuali esecuzioni filologiche non lasciano nemmeno intendere in modo chiaro la linea melodica. La filologia è troppo spesso una scusa per varie deficienze interpretative, sia musicali che estetiche. Dev'essere un supporto, non un sostitutivo all'esecuzione. -- E ti prego, SCUSAMI l'enorme presunzione, ma così sento. Credo sia stato Rinaldo Alessandrini che qualche anno fa ha diretto una Norma con la Anderson protagonista. Riapertura di tutti i tagli, esecuzione perfettamente filologica, e quant'altro. Avrei sfidato chiunque a riconoscere Norma in quella confusione! E non credo che gli onesti battisolfa degli anni Cinquanta fossero tutti in errore. Credo che la filologia non insegni sensibilità estetica, nerbo, gusto, intelligenza musicale. Ma qui mi fermo, perché si va oltre quello che posso sapere ed esprimere.
:::Quanto alla cabaletta del Rig., sì, mi riferisco agli anni Cinquanta.
:::Grazie per gli esempii sulle altre cabalette. Quello che mi premeva dire è che esiste effettivamente la tendenza, nel corso dell'Ottocento, a ridurre la durata e anche la presenza delle cabalette all'interno delle opere, primo perché erano considerate volgari (così Verdi e Mercadante), secondo perché l'interesse per il virtuosismo, considerato sempre più un fatto al difuori della musica, se non antimusicale, andava rapidamente scemando. E senza virtuosismo le cabalette, e soprattutto le riprese, non hanno senso. Il virtuosismo non è la vera sostanza del protoromanticismo, ma semmai è una persistenza barocca, mantenuta in vita soprattutto dal prestigio delle opere di Rossini. Così la vedo io. Sono del tutto in errore?
:::Quanto all'aplomb in Bellini, trovo sia metà del vero. Bellini è e rimane un romantico in vesti classiche -- si potrebbe dire, un po' ingenuamente. Di fatto, soprattutto in Norma, è in equilibrio perfetto tra un'idea del tutto astratta di classicità e un romanticismo assolutamente aggiornato al gusto europeo dell'epoca. C'è l'uno e l'altro versante. Bellini è un musicista tutt'altro che compassato. E anche, tu m'insegni, tutt'altro che corretto. Come Gluck, non sapeva bene la musica, era un visionario.
(cia')
d.
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