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==Lapidari cartacei==
I lapidari che descrivevano le virtù delle pietre ebbero una prima fioritura nella tarda epoca ellenistica e furono ampiamente diffusi almeno fino al [[Rinascimento]]. Dal punto di vista letterario si trattò di un nuovo genere, sebbene riprendesse teorie e credenze già descritte da autori classici quali [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], [[Plinio il Vecchio]], [[Tacito]], [[Varrone]], [[Strabone]], [[Origene]], ecc.; da autori medievali quali [[Solino]] o [[Isidoro da Siviglia]].
 
Già in epoca classica infatti si consideravano spesso le pietre come esseri viventi, alla stregua dei vegetali, solo che caratterizzati da un metabolismo e un ciclo vitale ancora più lento. Nel ''De lapidibus'' di [[Marbrodo di Rennes]] ([[XI secolo]]) i minerali erano considerati come materia organica e suddivisi in maschi e femmine, domestici e selvaggi; inoltre talvolta si attribuiva loro la secrezione di sostanze organiche, quali il latte di [[galattite]], indicato come sostituto di quello materno. Le proprietà di ciascuna roccia e i loro usi erano quindi del tutti paragonabili a quelli delle erbe.
 
Nei lapidari confluirono conoscenze dotte e popolari (lo stesso linguaggio [[latino]] con il quale erano scritti, all'epoca delle prime compilazioni non era ancora incomprensibile al popolo rurale non essendosi ancora sviluppati i volgari). I lapidari, a differenza di erbari e bestiari, non presentavano ricche illustrazioni, poiché era quasi impossibile rappresentare le differenze tra le varie pietre con la [[miniatura]] o la [[xilografia]]... le poche illustrazioni in genere raffiguravano i procedimenti di raccolta o di lavorazione delle pietre stesse.
 
[[Categoria:Medioevo]]
[[Categoria:MiniaturaManoscritti]]