Sgorlon: differenze tra le versioni
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La figura di Sgorlon è diversa da quella di qualsiasi autore italiano: è un narratore vero di storie reali in un mondo fantastico, un narratore di vicende fantastiche in una struttura reale. Il tutto condito da elementi storici e magici che convivono come diversi livelli di una stessa provincia.
Nasce a Cassacco, Udine, nel 1930.
Sgorlon si laurea alla Scuola Normale di Pisa con una tesi su Kafka; viaggia specializzandosi a Monaco di Baviera. Come la sua vita, ricchissima è la sua produzione. Nasce, per primo, il romanzo Il vento nel vigneto (1960), che verrà riscritto in dialetto friulano con il titolo Prime di sere (1971), in cui si racconta il faticoso reinserimento di un ergastolano graziato nel paese natio. La poltrona (1968) in cui si narra di un mondo chiuso, sterile caratterizzato da un continuo disadattamento. La notte del ragno mannaro (1970) in cui si apre il paesaggio, in cui si percepisce l'inquietudine di Walter nella spasmodica ricerca del padre e della donna amata in un sogno ossessivo e reale ambientato in una Udine magica che rivela i segreti di antiche storie. La luna color ametista (1972) in cui Rabal rivitalizza un paesino misterioso e teso tra sogno e grigiore ma solo per il periodo della sua visita; questo è il romanzo riconosciuto come spartiacque della narrativa di Sgorlon, lo scritto che lascia il cupo solipsismo della precedente produzione per raggiungere un patos fantastico-corale nella sua opera successiva.
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«Aveva letto in un libro che la parola era ormai consumata e logora, troppo sfruttata dall'uso, e che non poteva più essere adoperata come untempo. Oggi chi l'avesse fatto avrebbe suscitato una smorfia d'ilarità all'angolo della bocca degli intenditori, o l'infastidito sbadiglio della noia. Adesso la parola andava sofisticata, manipolata, slogata e contorta, per poter essere resa appetibile ai palati, ormai desiderosi dello strano e dell'inusitato. Andava elaborata con ricette artificiali, drogata con spezie esotiche fino a cambiarne l'antico carattere e a renderla incomprensibile», scrive Sgorlon.
«Io mi rivolgo a quei lettori che hanno il gusto di leggere storie ben fatte, e anche fornite di un gruzzolo di ciò che un tempo si chiamava "poesia", di cui oggi si diffida. Io possiedo un forte istinto narrativo, e a quello mi abbandono.
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