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Cavour ben sapeva come si fosse giunti all'unificazione in soli due anni grazie all'aiuto di circostanze favorevoli interne ed internazionali. Ora, tuttavia, si trattava di sanare quella che alcuni avevano definito una ''forzatura storica'', un ''miracolo italiano''<ref>Luciano Cafagna, ''Cavour, l'artefice del primo miracolo italiano'', Il mulino, 1999, p.29 e quarta di copertina, cit.: «Il primo miracolo italiano è stata l'Italia stessa»</ref>.
La nuova Italia aveva messo assieme popolazioni eterogenee per storia, per lingue parlate, per tradizioni ed usanze religiose (la sensibilità e gli usi legati al cattolicesimo erano differenti nelle varie parti d'Italia).
La nuova Italia aveva messo assieme popolazioni eterogenee per storia, per lingue parlate, per tradizioni ed usanze religiose (la sensibilità e gli usi legati al cattolicesimo erano differenti nelle varie parti d'Italia). Per rimarcare queste differenze e prospettare un sentimento razzista verso il Sud viene spesso citato un commento di [[Luigi Carlo Farini]], che inviato da Cavour a Napoli in qualità di Luogotenente, il 27 ottobre 1860, gli descriveva la situazione in una lettera con queste frasi: «Ma, amico mio, che paesi son mai questi, il [[Molise]] e [[Terra di Lavoro]]!<ref>Vedi Antonino De Francesco, ''La palla al piede'', Feltrinelli, 2012 p. 84</ref> Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica. I beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile. Il Re<ref>Francesco II</ref> dà carta bianca; e la canaglia dà il sacco alle case de'Signori e taglia le teste, le orecchie a' galantuomini, e se ne vanta, e scrive a Gaeta<ref>Dove Francesco II era asserragliato</ref>: "i galantuomini ammazzati son tanti e tanti; a me il premio<ref>Si trattava di un compenso in denaro per ogni liberale filo-unitario ucciso. In un resoconto apparso sulla ''[[Gazzetta di Milano]]'' si descriveva il rinvenimento di una lettera di richiesta di 60 ducati per tre teste tagliate di galantuomini (In De Francesco, ''op. cit.'' (2012) p. 85</ref> da ricevere". Anche le donne caffone ammazzano; e peggio: legano i galantuomini (questo nome danno a'liberali) pe' testicoli, e li tirano così per le strade; poi fanno ziffe zaffe<ref>«Indica il susseguirsi di più tagli e colpi» ([http://dizionari.repubblica.it/Italiano/Z/ziffe.php In ''Dizionario italiano. La Repubblica.it''])</ref>: orrori da non credersi se non fossero accaduti qui dintorno ed in mezzo a noi»<ref>Da Lettera di Farini a Cavour, Teano, 27 ottobre 1860 in ''Carteggi di Camillo Cavour'', Zanichelli, 1949-54, Bologna, citato da S.Lupo (2011),</ref><ref>Ottorino Gurgo, ''Lazzari: una storia napoletana'', Guida Editori, 2005, p.364</ref>. Tuttavia, osserva De Francesco, il commento di Farini era circostanziato alla descrizione della ferocia con cui i seguaci di Ferdinando II uccidevano i patrioti italiani.<ref>Vedi anche De Francesco, ''op.cit.'' , 2012, pp. 84-85</ref>.
==== Il Meridione "africano" ====
Secondo lo storico britannico [[Christopher Duggan]], numerose figure di primo piano dell'epoca, tra cui molti meridionali esiliati dai Borbone, contribuirono a costruire e ad aggravare l'immagine del Meridione come terra barbara e incolta, ripetendo un luogo comune, diffuso da parecchio tempo prima dell'unificazione: che a sud di Roma iniziasse l'Africa.<ref>Christopher Duggan (2011) ''La forza del destino - Storia d'Italia dal 1796 ad oggi'', pag. 257. Laterza editore, Roma-Bari. ISBN 978-88-420-9530-9</ref>. A questo riguardo [[Benedetto Croce|Croce]] osservava che costoro furono tacciati di "essersi disinteressati del Mezzogiorno, e anzi di aver dato verso di esso non dubbi segni di noncuranza e di sprezzo. E nondimeno quegli uomini meritavano qualche scusa, perché, assorti dapprima negli studi e poi gettati negli ergastoli o cacciati in esilio, poco conoscevano delle condizioni effettive di questo paese, anche perché ... troppo vi avevano sofferto, troppe delusioni, troppa incomprensione, troppi abbandoni; e, ora che l'avevano legato all'Italia, godevano nel respirare in più largo aere e ripugnavano a ricacciarsi nella sua molta volgarità e nelle sue travagliose miserie"<ref>vedi pag 247 B. Croce, ''Storia del Regno di Napoli'', Bari, 1972</ref>.
La cattiva fama dei meridionali è testimoniata da una frase, riportata dallo storico [[Giordano Bruno Guerri]], pronunciata da [[Klemens von Metternich|Metternich]] dopo la rivolta napoletana del 1820: «Un popolo mezzo barbaro, di una ignoranza assoluta, di una superstizione senza limiti, focoso e passionale come gli africani, un popolo che non sa né leggere né scrivere e che risolve le cose con il pugnale»<ref>Giordano Bruno Guerri, ''Il sangue del sud'', Mondadori, 2010 p.15</ref>.
Nel 1829 il medico, storico e storico della medicina [[Salvatore De Renzi]], nel suo "Osservazioni sulla topografia-medica del Regno di Napoli", sembra voglia confermare l'opinione di Napoli come porta d'ingresso dell'Europa verso l'oriente<ref>Beverly Allen, Mary Russo,'' Revisioning Italy National Identity and Global Culture'', University of Minnesota Press, Minneapolis, 1997, p. 193</ref>, scrivendo a proposito dei napoletani:
{{Citazione|...l'originalità di questo popolo così poco somiglievole a' gravi serii abitatori della parte media settentrionale dell'Europa così vicino a' costumi de' popoli di oriente con molti de' quali ha di comune la temperatura del clima le produzioni del suolo<ref>Salvatore De Renzi, ''Osservazioni sulla topografia-medica del Regno di Napoli'', Vol 2, Tipografia de' flli. Criscuolo. Napoli, 1829 p. 43</ref>.}}
L'italianista Nelson Moe, professore associato di italiano al Barnard College della Columbia University e studioso della storia del Mezzogiorno italiano<ref>Autore che estende il giudizio negativo del Meridione a tempi più recenti nell'opera ''Un paradiso abitato da diavoli: identità nazionale e immagini nel Mezzogiorno'', ed. ''L'Ancora del Mediterraneo'', 2004</ref> ha osservato che questa rappresentazione degradante di Napoli e dell'Italia meridionale fosse una descrizione transeuropea, molto comune fra i viaggiatori e diplomatici inglesi, francesi e tedeschi, durante i secoli XVIII e XIX, e diffusasi attraverso scritti nei circoli diplomatici e nei salotti delle classi elevate, inclusi quelli piemontesi e napoletani<ref>Nelson Moe, ''Altro che Italia!. Il Sud dei piemontesi (1860-61)'', Meridiana, n. 15, 1992 p.73</ref>. Per questi ultimi si trattava di una ''communis opinio'' circolante negli ambienti dell'intellettualità meridionale, per la quale le province fuori da Napoli costituivano una terra sconosciuta, selvaggia ed anche per un napoletano "un viaggio in Calabria equivale[va] a un viaggio in Marocco"<ref>A. Mozzillo, ''Viaggiatori stranieri nel Sud'', Milano, 1964 pp. 10-11 (In N. Moe, ''op.cit.'' (1992) p. 73</ref> ".
Lo stesso re Ferdinando II, replicando ad un diplomatico straniero, criticante i metodi della polizia borbonica definendoli "africani" rispose prontamente «Ma l'Africa comincia qui!»<ref>[http://www.rivistailmulino.it/journal/articlefulltext/index/Article/Journal:RWARTICLE:44131#_ftnref4 [[Paolo Macry]], ''Tra Sud e Nord, i conti da rifare'', "il Mulino" n. 1/13, Società editrice il Mulino, Bologna, 2013]</ref><ref>[[Ernesto Rossi]], ''Nove anni sono molti: lettere dal carcere 1930-39'', Bollati Boringhieri, 2001 p.608</ref>. D'altro canto, la stessa definizione di inizio d'Africa veniva estesa alla Sardegna da [[Honoré de Balzac]] nel suo ''Voyage en Sardaigne'', scritto nel [[1838]] dopo un viaggio nell'isola<ref>[http://www.crlv.org/astrolabe/novembred%C3%A9cembre-2010/l%E2%80%99africa-comincia-qui Alessandra Grillo, ''L'Africa comincia qui Balzac in Sardegna'', Astrolabe N°: 34, Novembre/Décembre, 2010, Centre de Recherche sur la Littérature des Voyages, Clermont Fd cedex]</ref>.
=== Le condizioni del Regno ===
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