Babesiosi: differenze tra le versioni
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La risposta umorale all'infezione da Babesia, rispetto a quella cellulare viene considerata di minore importanza. In effetti, vari esperimenti hanno evidenziato come essa sia responsabile d'un basso grado di protezione e soprattutto durante le fasi extracellulari dei parassiti.<br />
Si ritiene che le specie di Babesia siano in grado di modulare la risposta immune a proprio vantaggio. Si è visto, ad esempio, che gli eritrociti infettati da ''[[Babesia bigemina]]'' esprimono una proteina parassitaria che è in grado di legare le [[IgM]] e che forse questo è un mezzo per favorire la crescita del microorganismo. In effetti, si è notato che dei topi privi di IgM sono resistenti all'infezione da ''Babesia microti'' e ciò sembrerebbe confermare l'[[ipotesi]] precedente.<br />
Un elemento di grande importanza nella difesa dalla Babesiosi è, come accennato già in precedenza, la milza, forse per la massiccia presenza di linfociti T e B, linfociti NK e macrofagi
I linfociti T sembrano essere un elemento critico nella resistenza alla babesiosi, come si è evidenziato da studi condotti su [[Topo nudo|topi atimici]] o trattati con siero antitimociti. Si è anche visto che il trasferimento di linfociti T da un soggetto immune è sufficiente per conferire uno stato di immunità contro ''Babesia microti'' ad un topo non immune. Topi infettati da Babesia microti, inoltre, vanno incontro ad uno stato di [[ipersensibilità]] ritardata, evento mediato principalmente dai linfociti CD4 Th1. Topi privati dei linfociti CD4 dimostrano di essere maggiormente suscettibili all'infezione da Babesia microti. Un simile evento, invece, non si presenta in topi privi dei linfociti CD8, pertanto al momento si ritiene che la protezione conferita dalla popolazione linfocitaria sia mediata dal sottogruppo dei linfociti CD4.<br />
Nonostante queste acquisizioni, al momento non è chiaro quali meccanismi siano coinvolti nell'eliminazione dei microorganismi dall'ospite e, in particolare, nella loro uccisione. Si è visto, infatti, che le babesie morte si trovano ancora all'interno dei globuli rossi. Si ritiene, pertanto, che la loro eliminazione sia dovuta ad un fattore solubile che fa degenerare il parassita piuttosto che alla lisi cellulare meditata dal complemento o dai linfociti CD8. Secondo alcuni studiosi la produzione di INF-γ, ad opera dei linfociti CD4, sembra correlare con una diminuzione della parassitemia e che tale molecola potrebbe essere direttamente tossica per i parassiti, inclusi quelli intraeritrocitari.<br />
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In casi severi, invece, si può manifestare febbre (oltre i 41 °C), anemia, [[astenia]], cessazione della [[ruminazione]], [[tachipnea]] e [[tachicardia]] (nei casi più avanzati il rumore cardiaco può essere molto forte tanto da percepirsi a poca distanza dall'animale). Le mucose possono presentarsi pallide ed anche itteriche. Si ha anche un incremento della motilità intestinale e del rumine e spasmi dello [[sfintere]] anale con comparsa di [[diarrea]].<br />
In caso di parassitemia tra il 30 ed il 45% dei globuli rossi si può verificare una loro lisi importante. Durante i picchi parassitemici si può avere emoglobinuria (spesso la prima manifestazione clinica).<br />
Via via che l'anemia aumenta, lo stato dell'animale peggiora, compare uno stato di [[disidratazione]] e la diarrea cessa in favore d'una situazione di [[costipazione]]. La [[temperatura]] corporea scende e ritorna ai livelli normali,
Una volta raggiunto lo stadio terminale della malattia, l'animale è prostrato ed incapace di rialzarsi, in stato di shock tossico. La temperatura è al di sotto della norma, il polso è debole mentre l'ittero, la disidratazione e la costipazione risultano assai seri. La morte subentra per insufficienza cardiaca o epatica ed insufficienza renale.<br />
La progressione della malattia ed i tassi di mortalità risentono molto della velocità della diagnosi che perciò deve essere celere.<br />
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Si possono notare, in tal caso, delle forme vagamente ad anello, simili a quelle del ''[[Plasmodium falciparum]]'', con nuclei periferici ben colorati ed una sezione centrale che non lo è. Mentre ''Babesia microti'' presenta dei merozoiti di circa 1,5–2 mm, quelli di Babesia divergens sono di dimensioni variabili (1–3 mm) a seconda dell'ospite.<br />
Oltre alle forme ad anello sono riscontrabili configurazioni piriformi (i trofozoiti) che possono essere singole o in coppia. In rari casi si possono trovare quattro merozoiti all'interno d'un globulo rosso uniti dall'apice in senso verticale ed orizzontale (configurazione a croce maltese) ed in questo caso ci si trova di fronte ad un quadro diagnostico. Nei casi più seri si possono trovare dei trofozoiti esternamenti agli eritrociti.<br />
Si possono anche notare forme filamentose
Nei bovini Babesia divergens può dare forme particolari dovute al fatto che i merozoiti tendono a localizzarsi alla periferia causando una lieve protrusione della membrana eritrocitaria.<br />
I parassiti risultano individuabili su sangue periferico per un tempo che va dalle 3 settimane alle 12. In un caso, una persona splenectomizzata, è stata riportata una durata della parassitemia per un periodo di sette mesi.<br />
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Un altro punto limitante è dato dal fatto che gli anticorpi si sviluppano solamente in una fase tradiva dell'infezione ed in effetti la metodica ad immunofluorescenza indiretta viene riservata, come controllo, a casi in cui la diagnosi di babesiosi da ''Babesia microti'' sia già stata posta.<br />
Il titolo anticorpale può rimanere elevato da 13 mesi fino a 6 anni ed alcuni autori hanno notato che una diminuzione più lenta del livello delle IgG si può associare ad una persistente presenza del parassita.<br />
È possibile che altre parassitosi
Nel caso delle infezioni da ''Babesia divergens'', il quadro clinico che si sviluppa è troppo serio per permettere una diagnosi sierologica in quanto gli anticorpi iniziano a svilupparsi dopo circa 7-10 giorni dopo la comparsa dell'emoglobinuria. Un'applicazione di contorno della metodica può essere fatta per distinguere tra ''Babesia microti'', ''divergens'' e WA1 in quanto danno delle reazioni crociate limitate.<br />
Il più delle volte la diagnosi di babesiosi viene ottenuta attraverso le metodiche precedentemente descritte ma restano dei casi di persone con parassitemia bassa che potrebbero sfuggire all'individuazione e che, pertanto, necessitano di tecniche più sensibili.<br />
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L'infestazione da ''Babesia microti'' risulta essere, invece, più lieve ed autolimitante ed eventualmente trattabile in modo aspecifico. Nei casi più severi si utilizza una combinazione di [[clindamicina]] e [[chinino]] per bocca per circa una settimana. Questa combinazione terapeutica nacque a seguito d'un trattamento inefficace con clorochina per una persona con erronea diagnosi di malaria e su cui vennero successivamente provati i due farmaci in questione. Studi successivi, condotti su animali, hanno permesso di confermare la validità del trattamento. In studi clinici si vide che il trattamento con i due farmaci permise di diminuire la durata della parassitemia rispetto alle persone non trattate.<br />
Gli effetti avversi del trattamento possono comunque essere molteplici ed includono: [[tinnito|tinniti]], [[Sincope (medicina)|sincope]], [[ipotensione]] e problemi gastrointestinali.<br />
In casi particolarmente gravi la sola terapia antinfettiva potrebbe non risultare sufficiente ed allora una trasfusione di globuli rossi può risultare un trattamento utile
L'infezione da ''Babesia divergens'' può prefigurarsi come un'emergenza medica e pertanto è necessario un trattamento celere con clindamicina per via endovenosa e chinino soprattutto per arrestare l'emolisi massiva e prevenire l'insufficienza renale.<br />
Sono attualmente allo studio nuove molecole per cercare d'ovviare alla tossicità del trattamento e soprattutto per evitare i fenomeni d'inefficacia della terapia che ogni tanto si sono verificati in persone immunodepresse.
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Per vari anni il trattamento della babesiosi in ambito veterinario comprese tre farmaci: il [[quinuronio]] solfato, l'[[amicarbide]] isetionato ed il [[diminazene]] aceturato. Negli [[anni 1970]] entrò in commercio l'[[imidocarb]] diproprionato e divenne in breve tempo il prodotto di prima linea grazie anche alla sua azione profilattica.<br />
Attualmente l'imidocarb è l'unico farmaco rimasto in quanto gli altri sono stati ritirati dal commercio o per ragioni di sicurezza o di ''marketing'' (il diminazene in Europa).<br />
L'imidocarb è assai tossico qualora venga somministrato per via endovenosa per cui si consiglia l'uso per via sottocutanea
Mentre in passato si riteneva che fosse necessario mantenere una bassa parassitemia per garantire una protezione immunitaria a distanza, oggi tale concetto non viene più seguito. L'imidocarb permette d'eliminare tutte le babesie e si è visto che comunque permane uno stato duraturo di resistenza alla reinfezione.<br />
Per l'animale con temperatura inferiore a 38 °C, [[anossia]] o costipazione, è necessaria una trasfusione di sangue che deve essere tempestiva e ben dosata, pena una sua inefficacia.<br />
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Attualmente non sono a disposizione vaccini contro la babesiosi umana anche perché la frequenza della malattia non è così elevata da giustificare campagne di vaccinazione su larga scala.<br />
Dei progressi, invece, si sono registrati nelle ricerche per sviluppare vaccini da utilizzarsi su altri animali.<br />
Molti degli esperimenti in merito si sono concentrati su ''Babesia bovis'', ''Babesia divergens'' e ''Babesia bigemina'' e da esse si sono cercati di ottenere vaccini con organismi attenuati, che usano antigeni solubili ed anche ricombinanti. Da questi studi si sono avute numerose informazioni per comprendere quali possano essere i geni associati a virulenza e vari meccanismi immunologici associati alla malattia. La speranza è che si riesca ad ottenere vaccini effettivamente protettivi da potersi usare anche su persone splenectomizzata
In campo bovino è da notare che, nonostante la terapia, l'animale tende a mantenere uno stato di debilitazione per alcuni mesi il che può comportare dei problemi.<br />
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