Giuseppe Garibaldi: differenze tra le versioni

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{{Carica pubblica
|nome = Giuseppe Garibaldi
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Il bastimento sbarcò i francesi a Costantinopoli e procedette per [[Taganrog]], importante porto russo sul [[Mar d'Azov]]. Qui in una locanda, incontrò un uomo detto il ''Credente'',<ref>Non è però del tutto escluso che tale definizione potesse avere a che fare anche con gli ideali della Massoneria che, del resto, Garibaldi abbracciò più tardi con forte convinzione.</ref> che espose a Garibaldi le idee [[Mazzinianesimo|mazziniane]].<ref>Si pensa che il ''Credente'' fosse il giornalista e scrittore [[Giovanni Battista Cuneo]], ma difficilmente poteva esserlo in quanto all'epoca era inquisito e non poteva percorrere certe rotte liberamente, l'incontro fra i due in ogni caso è documentato in seguito al tempo in cui Garibaldi si trovava in America, si veda fra gli altri: {{Cita|Scirocco|p. 20}}</ref> Le tesi di [[Giuseppe Mazzini]] sembrarono a Garibaldi la diretta conseguenza delle idee di Barrault ed egli vide nella lotta per l'Unità d'Italia il momento iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. Quel viaggio cambiò la vita di Garibaldi; nelle sue ''Memorie'' scrisse: «Certo non provò [[Cristoforo Colombo|Colombo]] tanta soddisfazione nella [[scoperta dell'America]], come ne provai io al ritrovare chi s'occupasse della redenzione patria».<ref>Riportato in {{Cita|Scirocco|p. 18}}</ref>
 
=== La vita da ricercato ===
Non si ha certezza storica del primo incontro fra Garibaldi e Mazzini; quello descritto nella sua biografia mostra alcune lacune: si racconta che un certo Covi condusse il primo dal rivoluzionario in un incontro tenutosi a [[Marsiglia]] nel 1833,<ref>{{Cita|Dumas|p. 23}}</ref> ma la datazione non risulta credibile in quanto il marinaio sbarcò il 17 agosto 1833<ref>{{cita libro|Garibaldi|Giuseppe, in collaborazione con Museo di Palazzo Venezia Museo centrale del Risorgimento|Garibaldi, arte e storia: Storia, pag 22|1982 |Centro Di||isbn = 978-88-7038-062-0}}</ref> a [[Villefranche-sur-Mer]] (all'epoca Villafranca marittima) mentre Mazzini si era già trasferito, da giugno, a [[Ginevra]]. Inoltre lo stesso genovese affermò che aveva sentito di Garibaldi solo tempo dopo, nel 1834.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 20}}</ref> A quell'epoca i marinai mercantili dovevano obbligatoriamente prestare servizio per 5 anni nella marina da guerra; venivano agevolati coloro che avessero frequentato rotte che portavano all'estero, essi infatti potevano decidere quando iniziare tale periodo, in ogni caso la scelta doveva cadere prima dei quarant'anni di età. Garibaldi presentò la domanda nel mese di dicembre del 1833 diventando marinaio di terza classe.<ref>{{cita libro|Giuseppe |Guerzoni |Garibaldi, di Giuseppe Guerzoni, pag 40|1882 |G. Barbèra |}}</ref>
 
[[File:Genova-statua Giuseppe Garibaldi.JPG|thumb|Garibaldi è ricordato a [[Genova]] con una statua equestre situata a [[Piazza De Ferrari]]]]
Il 16 dicembre si presentò a Genova e il 26 si imbarcò sull<nowiki>'</nowiki>''Euridice'' dove rimase per 38 giorni<ref>{{Cita|Sacerdote|p. 89}}</ref> La divisa sarda nell'occasione era composta da un frac nero, una tuba, e un paio di pantaloni bianchi.<ref>{{Cita|Possieri|p. 68}}</ref> Come marinaio piemontese Garibaldi assunse il nome di battaglia ''Cleombroto'',<ref>Da Matricola del 183S, vol. I, pag. 392</ref> un re [[sparta]]no che combatté contro [[Tebe (Grecia)|Tebe]] nella [[Battaglia di Leuttra]]. Non era ancora iscritto alla [[Giovine Italia]].<ref>Prova è il suo nome da rivoluzionario, ''Borel'', in quanto si trattava di uno dei partecipanti alla spedizione di Savoia, dipinto come un martire, uno dei patrioti fucilati dall'esercito piemontese dopo la fallita [[invasione della Savoia del 3 febbraio 1834]]. Si veda {{Cita|Scirocco|p. 22}}</ref> In quel periodo tenta, con [[Edoardo Mutru]] arruolatosi anch'esso, e [[Marco Pe]] di fare [[propaganda]] alla causa, e cercando a bordo e a terra di fare proseliti.
 
Frequenta l'osteria della Colomba, la cui proprietaria Caterina Boscovich, insieme alla cameriera Teresina Cassamiglia, gli saranno d'aiuto in seguito. Fa sfoggio della sua attività, offrendo da bere a sconosciuti con l'intento di arruolare nella causa nuovi elementi senza preoccuparsi con chi stesse parlando,<ref>Alcune delle persone che cerca di arruolare sono militari che riferiscono il tutto ai superiori. Si veda {{Cita|Scirocco|pp. 22-23}}</ref> e fu visto in pubblico, al caffè di Londra, usare parole dispregiative verso il Re. Per tale comportamento venne sorvegliato dalla polizia. Il 3 febbraio 1834 fu poi imbarcato, insieme a Mutru, sulla Conte De Geneys, che stava per partire per il [[Brasile]].<ref>I biografi ipotizzano in questa decisione il voler isolare i due uomini, ma valida è anche l'ipotesi più semplice, di una richiesta di uomini con esperienza in vista di un viaggio impegnativo: si veda {{Cita|Scirocco|p. 23}}</ref> Vi restò solo un giorno in quanto il 4 febbraio,<ref name="pos69">{{Cita|Possieri|p. 69}}</ref> fingendosi malato, scese a terra, dopo aver dormito all'Insegna della Marina con Mutru.
 
Nel frattempo si era stabilito che l'11 febbraio [[1834]] ci sarebbe stata un'insurrezione popolare in [[Piemonte]]. Garibaldi scese a terra per mettersi in contatto con i mazziniani; ma il fallimento della [[Invasione della Savoia del 3 febbraio 1834|rivolta in Savoia]] e l'allerta di esercito e polizia fecero fallire tutto. Garibaldi credeva che l'insurrezione si sarebbe comunque avviata; non tornò sulla nave per parteciparvi, venendo siglato il termine A.S.L. (Assentatosi Senza Licenza) sulla sua matricola,<ref name="pos69" /> e divenendo in pratica un [[Diserzione|disertore]]; tale [[latitanza]] venne considerata come ammissione di colpa. Attese un'ora in piazza prima di andarsene,<ref>{{Cita|Dumas|p. 28}}</ref> trovando riparo prima a casa della fruttivendola<ref>{{Cita|Dumas|p. 29}}</ref> Natalina Pozzo e successivamente all'osteria e alla casa della padrona, Caterina Boscovich. Intanto vengono arrestati il quasi omonimo Giuseppe Giribaldi (l'8 febbraio) e poi lo stesso Mutru, il 13 febbraio. Prima di allora, il 9<ref>{{cita libro|Mino | Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 20|1982 |Mursia|}}</ref> o l'11,<ref>Le fonti non trovano accordo sulla data, si veda anche {{Cita|Scirocco|p. 24}}</ref> lascia Genova.
 
Più volte nel corso della fuga sfugge a eventuali catture, dopo aver superato il fiume [[Varo (fiume)|Varo]]: la prima quando al confine venne condotto momentaneamente a [[Draguignan]],<ref>Prima venne portato a [[Grasse]] e poi condotto a Draguignan in attesa di ordini da Parigi Garibaldi fuggì nell'attesa da una finestra, si veda {{cita libro|Giuseppe |Guerzoni |Garibaldi, pag 22|2010|BiblioLife||isbn = 978-1-149-38210-3}}</ref> poi in un'osteria dove canta per sfuggire agli sguardi dell'oste che minacciò di farlo arrestare.<ref>Cantò [[il Dio della gente onesta]] di [[Pierre-Jean de Béranger]] (1780-1857), si veda {{Cita|Dumas|p. 31-32}}</ref> Giunse infine a Marsiglia. Intanto viene indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato ''alla pena di morte ignominiosa'' in [[contumacia]] in quanto nemico della Patria e dello Stato.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 25}}</ref> Garibaldi divenne così un [[ricercato]] e in quel tempo visse per un breve periodo dal suo amico [[Giuseppe Pares]].<ref>{{cita libro|Mino |Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 22|1982 |Mursia|}}</ref> Continua sotto falso nome, assunta l'identità dell'inglese ''Joseph Pane'', a viaggiare: il 25 luglio salperà verso il mar Nero sul brigantino francese ''Union'' raccontando di essere un ventisettenne nato a [[Napoli]].<ref>{{cita libro|Mino|Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 23|1982|Mursia|}}</ref>
 
Dovrebbe svolgere l'attività di marinaio ma sarà secondo in realtà.<ref>Il motivo per cui ufficialmente non poteva farsi assumere come secondo era la documentazione necessaria che non poteva esibire, si veda {{Cita|Scirocco|p. 26}}</ref> Sbarca il 2 marzo 1835, e in maggio fu in [[Tunisia]]. Quando tornò a Marsiglia trovò la città devastata da una grave [[epidemia]] di [[colera]]; offertosi come [[Volontariato|volontario]], lavorò in un ospedale,<ref>{{Cita|Smith|p. 13}}</ref> in qualità di ''benevolo'', e ci rimase per quindici giorni.<ref>{{Cita|Dumas|p. 34}}</ref> In quel periodo conobbe [[Antonio Ghiglione]]<ref>Si ipotizza che fu lui a iniziarlo alla ''[[Giovine Europa]]''; esiste la testimonianza di [[Agostino Ruffini]] della presenza di Ghiglione in un porto di mare francese, probabilmente Marsiglia, intorno al 7 giugno, mentre in una successiva lettera di Garibaldi, scritta in Brasile, indirizzata a Mazzini afferma di conoscere Ghiglione, si veda {{Cita|Scirocco|p. 27}}</ref> e [[Luigi Canessa]]. Poiché le rotte erano chiuse in parte per via del colera, Garibaldi decise di partire alla volta del [[America Meridionale|Sud America]] con l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre [[1835]] partì da Marsiglia sul [[brigantino]] ''Nautonnier'', nave comandata da Beauregard,<ref>{{cita libro|Luigi |Palomba |Vita di Giuseppe Garibaldi, pag 12|1882|E. Perino|}}</ref> assumendo la falsa identità di Giuseppe Pane e affermando di essere nato a [[Livorno]]; data la sua paga di 85 franchi, si presuppone che non svolse in mare gli incarichi di marinaio la cui paga era inferiore.
 
=== L'esilio in Sud America ===
[[File:Poncho e camicia rossa di Garibaldi - Museo del Risorgimento di Milano.JPG|thumb|[[Poncho|Poncio]] e camicia rossa di Garibaldi ([[Museo del Risorgimento (Milano)|Museo del Risorgimento di Milano]])]]
Giunto a [[Rio de Janeiro]] nella fine del 1835 o nel gennaio del 1836, venne accolto dalla piccola comunità di italiani aderenti alla [[Giovine Italia]], avvisati da Canessa poco prima; avviò quindi un piccolo commercio di paste alimentari nei porti vicini. La sua prima lettera venne spedita il 25 gennaio [[1836]].<ref>{{cita libro|Giuseppe |Garibaldi |Edizione nazionale degli scritti di Giuseppe Garibaldi: Epistolario, vol. 1, 1834-1848, pag 6|1932|L. Cappelli|}}</ref> Cercò di instaurare un rapporto con [[Giuseppe Stefano Grondona]], il «genio quasi infernale» come lo definirà lui stesso,<ref>{{Cita|Sacerdote|p. 118}}</ref> senza però riuscirci, anche cedendogli la presidenza dell'associazione locale della Giovine Italia. Fondò una società con l'amico [[Luigi Rossetti]],<ref>Luigi Rossetti, esule che dal 1827 si trovava a Rio divenne amico di Garibaldi al primo sguardo, quasi un fratello. Come lui stesso ricorda citato in {{Cita|Dumas|p. 38}}</ref> chiamato Olgiati. Scrisse direttamente a Mazzini il 27 gennaio, in una lettera mai giunta a destinazione, chiedendo che rilasciasse «lettere di marca», un'autorizzazione ad avviare una guerra corsara contro i nemici austriaci e piemontesi, una richiesta impossibile da esaudire,<ref>Si trattava di una richiesta impossibile in quanto potevano rilasciarla solo gli Stati di diritto, si veda anche {{cita libro|Mino |Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 125|1982 |Mursia|}}</ref> ma senza le quali le sue azioni sarebbero state solo atti di [[pirateria]].<ref>Corsaro era chi al servizio del governo cedeva parte del ''bottino'' conquistato, ufficialmente riconosciuto dalle leggi internazionali, tale figura venne poi abolita dal [[congresso di Parigi]] del 1956, si veda: {{Cita|Possieri|p. 113}}</ref>
 
Parla apertamente contro Carlo Alberto sul [[Paquete du Rio]]<ref>{{cita libro|Domus |mazziniana|Bollettino della Domus mazziniana, Volumi 14-15 , pag 10|1968 |Domus Mazziniana|}}</ref> cura le stampe della lettera mazziniana a Carlo Alberto e gli furono aperte le porte della loggia irregolare Asilo di Vertud.<ref>Asil della Vertud, irregolare in quanto non era riconosciuta da quelle principali, si veda {{cita libro|Lauro |Rossi|Garibaldi: vita, pensiero, interpretazioni: dizionario critico , pag 193|2008 |Gangemi||isbn = 978-88-492-1481-9}}</ref>
 
====Nella Repubblica del Rio Grande del Sud====
{{Vedi anche|Repubblica Riograndense|guerra dei Farrapos}}
Nel febbraio del 1837 parlò con [[Livio Zambeccari]], detenuto nella prigione Santa Cruz in quanto segretario di [[Bento Gonçalves da Silva|Bento Gonçalves]],<ref>Anche lui al momento si trovava in prigione, nella fortezza do Mar a Bahia, i due poi usciranno entrambi di prigione. Si veda {{Cita|Dumas|p. 38-39}}</ref> presidente della [[Repubblica Riograndense]], stato secessionista del Brasile. Sarà l'inizio di una collaborazione ufficiale. Il 4 maggio [[1837]], ottenne una ''[[Lettera di corsa]]'', la numero sei (avevano rilasciato un totale di 12 patenti), documento firmato dal generale Joao Manoel de Lima e Silva apparentemente firmata il 14 novembre 1836.<ref>Appare più probabile che sia stata firmata all'inizio del 1837, quando ferito si trovava a Montevideo per ristabilirsi, si veda {{Cita|Scirocco|p. 45}}</ref> Nell'atto si leggeva la lista dei 14 uomini autorizzati a utilizzare la lancia "Mazzini" di 20 tonnellate, il capitano designato era João Gavazzon (o Gavarron), mentre Garibaldi figurava come il primo tenente. A João risultava intestata anche un'altra nave, la "Farropilha", di 130 tonnellate.<ref>Alcuni biografi assegnano erroneamente la nave all'eroe, si veda {{cita libro|Salvatore|Candido|Giuseppe Garibaldi, vol. 1, 1834-1848, pag 62|1964|Istituto per la storia del Risorgimento italiano|}}</ref> ottenuta dal governo della Repubblica Riograndense (ora [[Rio Grande do Sul]]), ribelle all'autorità dell'[[Impero del Brasile]] guidato da [[Pietro II del Brasile|Pedro II]].
 
La nave comprata tempo prima grazie ai soldi di [[Giacomo Cris]] (vero nome di Giacomo Picasso<ref>A quei tempi sosterrà economicamente più volte Garibaldi. Si veda {{Cita|Sacerdote|pp. 116-117}}</ref> con il quale si fece conoscere), era stata battezzata ''Mazzini'', e con i soldi fruttati da una colletta, 800 lire<ref>{{Cita|Scirocco|p. 46}}</ref> verranno effettuate delle migliorie. Salperanno il 7 maggio, a bordo si contavano 12-13 uomini in tutto,<ref>l'elenco varia a seconda dei resoconti, Le memorie ad esempio riportano 16 uomini, si veda {{Cita|Dumas|p. 40}}</ref> fra cui il nostromo Luigi Carniglia, il timoniere Giacomo Fiorentino e Joao Baptista e Miguel un brasiliano che doveva pensare alle armi. Sul giornale [[Jornal do comercio]] si dava come destinazione del viaggio Campos e come comandante Cipriano Alves (altro nome assunto da Garibaldi)<ref>{{cita libro|Mino|Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 33|1982|Mursia|}}</ref> La prima preda fu una lancia da cui prese lo schiavo nero Antonio e lo affrancò rendendolo libero. L'11 maggio i corsari avvistarono una [[sumaca]] di centoventi [[Tonnellata|tonnellate]] chiamata "Luisa" e la abbordarono. Si contavano quattro uomini e quattro schiavi che verranno resi liberi a cui si aggiunse il primo.
[[File:Garibaldi and his men carrying boats from Los Patos lagoon to Tramandahy lake during the Rio Grande do Sul War..jpg|thumb|Garibaldi e i suoi uomini portano le barche dalla laguna Los Patos al lago Tramandahy durante la guerra del Rio Grande do Sul]]
 
Garibaldi rifiuta ogni bene che il capitano gli aveva offerto e non vuole che i beni personali vengano toccati. Si continuò sulla nuova nave più grande che fu ribattezzata "Farropilha" ("Canaglia"), mentre quella vecchia venne fatta affondare. I prigionieri vennero fatti scendere in seguito, sull'unica lancia che avevano a disposizione,<ref>Testimonianza di Luigi Calia, uno dei marinai maltesi a bordo, si veda {{cita libro|Aroldo|Benini|Pier Carlo Masini|Garibaldi cento anni dopo: atti del Convegno di studi garibaldini : Bergamo, 5-7 marzo 1982, pag 44|1983|F. Le Monnier||isbn = 978-88-420-8408-2}}</ref> con loro il brasiliano che non si era reso conto del pericolo. Successivamente non si hanno notizie di altri abbordaggi e Garibaldi giunse a [[Maldonado]] il 28 maggio. Intanto le sue gesta si diffusero ma non portando dati corretti: a sentire il ministero della guerra e marina a [[Montevideo]] avrebbe liberato 100 schiavi neri.<ref name="sciro49">{{Cita|Scirocco|p. 49}}</ref> Garibaldi lasciò nella notte del 5-6 giugno<ref name="sciro49" /> la città, perché avvertito del pericolo della [[Imperial Pedro]], che era alla ricerca dei corsari per arrestarli.<ref>A causa dei venti contrari la nave ritardò l'arrivo salvando Garibaldi, si veda {{cita libro|Salvatore|Candido|Alberto M. Ghisalberti|Giuseppe Garibaldi: corsário Rio-Grandense : (1837-1838), pag 49|1992|EDIPUCRS|isbn=978-85-7063-113-8}}</ref>
 
Partiti nuovamente, non si accorsero del malfunzionamento della bussola che li portò conseguentemente fuori rotta verso gli scogli all'altezza della punta de Jesús y María.<ref>Per un ordine dato in precedenza dallo stesso Garibaldi si erano ammassate tutte le armi vicino alla bussola alterandone il funzionamento, solo dopo l'eroe comprese l'accaduto. Si veda {{Cita|Dumas|p. 45-47}}</ref> Ottenuti con difficoltà dei viveri, il viaggio riprese; dovendo in qualche modo ovviare alla mancanza di una lancia, comprata poi in seguito, utilizzarono in sostituzione la tavola su cui si mangiava, barili vuoti e vestiti a far da vela.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 50}}</ref> Il 15 giugno affrontarono un lancione, il ''Maria'', salpato con l'intento di catturare il corsaro.<ref>L'imbarcazione era uruguayana, infatti gli stati di Uruguay e Brasile si erano accordati in precedenza contro i rivoluzionari del Rio Grande, si veda {{Cita|Dumas|p. 55}}</ref> Nel combattimento il timoniere incontrò la morte e Garibaldi, sostituitolo, venne ferito quasi mortalmente,<ref>{{Cita|Smith|p. 17}}</ref> perdendo i sensi. La battaglia la continuarono i rimanenti italiani, comandati da Carniglia, fino alla fuga. Altri marinai abbandonarono la nave, mentre l'eroe, ricevute le cure, si riprese.<ref>Ricorda con quanta premura Luigi Carniglia lo assistette per 19 giorni, il proiettile aveva trapassato il collo, vertebre cervicali e faringe solo tempo dopo tornerà a inghiottire - {{Cita|Dumas|p. 59}}, il proiettile era entrato dall'orecchio sinistro fermandosi a quello destro, venne poi estratto dal medico inviato dal governatore Ramon de L'Arca, si veda anche {{Cita|Scirocco|p. 52}}. Per via di questa ferita si era avanzata l'ipotesi che il generale fosse privo dell'orecchio sinistro, tagliato in Sud America come punizione per [[abigeato]] o [[Violenza sessuale|stupro]]. L'ipotesi, avanzata con qualche margine di incertezza da Erminio De Biase, ''L'Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie: vivi e lascia morire'', Napoli: Controcorrente, [2002], p. 70 ("Non è ufficialmente provata la mancanza dell'orecchio sinistro (mutilazione che risalirebbe ai tempi della sua permanenza in Sud America e che si praticava ai ladri di cavalli e agli stupratori), ma se si osserva con attenzione il ritratto più famoso di lui, quello della collezione Alinari, ciò appare possibile. Si nota subito, infatti, come i capelli scendano piatti sul lato sinistro, mentre nella parte destra rigonfiandosi essi seguono il naturale rilievo dell'orecchio...") è stata ripresa come un dato accertato da Bruno Lima, ''Due Sicilie 1860: l'invasione: lineamenti di diritto internazionale: principi canonistici sullo stato di necessità contro la violenza ingiusta'', Verona, Fede & cultura, 2008, ISBN 978-88-89913-70-3, p. 44: "Ladro di cavalli, dopo che in America latina gli venne reciso per questa ragione il lobo dell'orecchio sinistro, portò per tutta la vita i capelli lunghi per nascondere tale vergogna." Si veda anche Gilberto Oneto, ''L'Iperitaliano: Eroe o cialtrone? Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi'', Rimini: Il Cerchio, [2006] ISBN 88-8474-116-5, p. 31. La notizia era inventata e le foto di Garibaldi in età avanzata mostrano come entrambe le orecchie fossero intatte: cfr. {{cita web|url=http://www.repubblica.it/rubriche/camicie-rosse/2010/08/31/news/le_orecchie_ritrovate-6642308/?ref=HREC2-5|titolo=Le orecchie ritrovate|autore=[[Paolo Rumiz]]|editore=[[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]|data=31 agosto 2010|accesso=31 agosto 2010}}</ref>
 
Garibaldi scrive al generale [[Pascual Echagüe]] chiedendo aiuto e ottenendolo in parte: la nave partì per [[Buenos Aires]] giungendovi il 20 ottobre e venne restituita al proprietario, mentre i corsari rimasti non potevano lasciare [[Gualeguay]] ([[Argentina]]), in quanto prigionieri del governatore [[Juan Manuel de Rosas]].<ref name="Possi90">{{Cita|Possieri|p. 90}}</ref> Nel frattempo imparò lo spagnolo. Tentata la fuga, fu catturato e torturato da [[Leonardo Millán]],<ref name="Possi90" /> e rimase due mesi nel carcere di Bajada, dopo i quali lo rilasciarono (febbraio 1838), non avendo nulla da imputargli. Raggiunti a [[Paraná Guazú]] i suoi amici Rossetti e Cuneo, seppe dell'arresto di Joao Gavazzon e di Giacomo Picasso. Nel maggio 1838 giunse a cavallo a [[Piratini]],<ref>Si ritrova nei testi scritto anche Piratinin o Pitanim, nel viaggio si utilizzò la tecnica di escotero, ovvero: si galoppa in poche persone portando molti cavalli, si facevano riposare i cavalli stanchi e si usavano subito quelli freschi, si veda per la data e dettagli: {{Cita|Dumas|p. 66}}</ref> compiendo un viaggio di 480&nbsp;km. Qui conobbe di persona [[Bento Gonçalves da Silva|Bento Gonçalves]], rimanendone affascinato.
 
Si organizzò un cantiere navale lungo il [[fiume Camacuã]]: il capo dei lavori era [[John Griggs]], di origini irlandesi, mentre Garibaldi divenne comandante della flotta. Due lancioni erano pronti al varo: il ''Rio Pardo'' (15-18 tonnellate), dove si imbarcò lo stesso Garibaldi,<ref>{{Cita|Sacerdote|p. 199}}</ref> e l'''Independencia'', il cui equipaggio contava complessivamente circa 70 persone, tra cui Mutru e Carniglia. Partirono il 26 agosto 1838, e riuscirono a superare lo sbarramento posto dalle navi nemiche. Il 4 settembre avvistarono due navi nemiche: una di esse fuggì mentre l'altra, una sumaca chiamata ''La Miniera'', si arrese.<ref>Garibaldi scrisse nel suo resoconto dell'accaduto (22 settembre) che la nave venne distrutta, si veda {{Cita|Scirocco|p. 60}}</ref> Vi era il problema della spartizione della preda: da dividere in tre parti secondo quanto scritto nell'accordo redatto da Rossetti, 8 (di cui una a Garibaldi)<ref>{{cita libro|Ivan |Boris |Gli anni di Garibaldi in Sud America: 1836-1848, pag 65|1970|Longanesi|}}</ref> secondo quanto si decise alla fine, per decisione del ministro delle finanze Almeida. L'ammiraglio Greenfell, allarmato dall'accaduto, fece scortare ogni nave con quelle di guerra, mentre alla piccola flotta di Garibaldi si aggiunsero altre navi e altre erano in costruzione.
 
Il 17 aprile [[1839]],<ref>{{cita libro|Mino |Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), p. 55|1982 |Mursia|}}</ref> avvertiti dal grido «è sbarcato il ''Moringue''»<ref>{{Cita|Montanelli|p. 99 e successive per lo scontro}}</ref> (così era chiamato il [[maggiore]] [[Francesco Pedro de Abreu]], a cui era stato dato l'ordine di eliminare Garibaldi), sventarono un tentativo di imboscata, nonostante i nemici fossero favoriti dalla nebbia. Affrontarono i circa 150 uomini inviati,<ref>{{Cita|Possieri|pp. 91-92}}</ref> ferendo lo stesso Moringue e costringendoli alla ritirata: fu una vittoria che divenne celebre con il nome di ("Battaglia del Galpon de Xarqueada"). L'eco della vittoria venne ufficializzata dal rapporto del ministro della Guerra al parlamento brasiliano<ref>Si tratta del primo riconoscimento ufficiale, dove Garibaldi venne chiamato «comandante delle forze navali repubblicane», il rapporto di Garibaldi venne poi pubblicato su [[O Povo]] il 24 aprile, si veda {{Cita|Scirocco|p. 62}}</ref> Partecipò, quindi, in qualità di capitano tenente, alla campagna che portò alla presa di [[Laguna (Brasile)|Laguna]], il cui comando venne affidato al colonnello [[David Canabarro]], della capitale dell'attigua provincia di [[Santa Catarina|Santa Caterina]].
 
La tattica utilizzata fu singolare: si risalì il fiume [[Capivari]], ingrossato dalle ultime piogge, facendo avanzare le navi per via terra, con l'aiuto di due carri preparati dentro alcune fosse, trainati fino a giungere alla laguna di Thomás José e scendere dal [[Tramandai]]. Per tale progetto vennero scelti i due nuovi lancioni: ''Farroupilha'' (18 tonnellate, su cui dava gli ordini l'eroe) e il ''Seival'' (12 tonnellate, a cui comando si ritrova Griggs).<ref>{{Cita|Dumas|p. 81}}</ref> Il 5 luglio inizia il trasporto via terra evitando al contempo l'attacco nemico che si stava preparando più avanti, terminerà l'11 luglio, tre giorni dopo il 14 luglio riprenderanno il mare.<ref>{{Cita|Scirocco|pp. 63-64}}</ref> La nave di Garibaldi si rivela troppo pesante: il timone si spezza la nave si rovescia, è il 15 luglio 1839.<ref>{{Cita|Possieri|pp. 93-94}}</ref> Durante la tempesta annegheranno fra gli altri Mutru, Carniglia e Procopio (uno schiavo reso libero che aveva ferito il Moringue).<ref>{{Cita|Dumas|p. 78, 84-88}}</ref> L'assalto verrà condotto lo stesso con l'unico Lancione rimasto, il Seival, condotto da Garibaldi;<ref>{{Cita|Dumas|p. 90-91}}</ref> di fronte hanno un brigantino e quattro lancioni. Si dirige verso sud portando le inseguitrici, consistenti in due lancioni, il ''Lagunense'' e l<nowiki>'</nowiki>''Imperial Catarinense'', in una trappola. Dei soldati nascosti nella fitta vegetazione assaltarono le navi e le conquistarono; vennero poi utilizzate per distrarre gli altri due lancioni, ''Santa Ana'' e l<nowiki>'</nowiki>''Itaparica'' si arresero, il brigantino ''Cometà'' fuggì.
 
Il 25 luglio [[1839]] venne conquistata Laguna e con il suo nuovo nome, Juliana, venne proclamata la repubblica catarinense.<ref>Luigi Rossetti venne eletto segretario di Stato, si veda: {{Cita|Possieri|p. 94}}</ref> Gli imperiali inviarono il maresciallo [[Francisco José de Souza Suares de Andrea]] con una flotta di 12 navi e tre lancioni: nei primi scontri venne ucciso [[Zeferino Dutra]], uomo a cui Garibaldi aveva lasciato il comando del resto della flotta. L'eroe prese il comando della ''Libertadora'' rinominata ''Rio Pardo'',<ref>Da non confondere con la in precedenza costruita si veda {{Cita|Dumas|p. 96}}</ref> mentre il Seival fu affidato a [[Lorenzo Valerigini]]. Occorrevano arrembaggi, ma vicino alla laguna vi era un blocco navale creato dagli imperiali, e per superarlo, il 20 ottobre si inviò una sumaca per distrarre le navi che partirono all'inseguimento lasciando il resto della flotta libero di agire.
 
In una di queste azioni si trovarono di fronte alla nave ''Regeneração'' che, con i suoi venti cannoni (le tre navi avevano un solo cannone ciascuno,<ref>La terza nave la ''Imperial Catarinense'' rinominata ''Cassapava'' era comandata da Griggs, si veda {{Cita|Scirocco|p. 66}}</ref>) mise in fuga le navi. Fuggirono per lo stesso motivo anche dalla ''Andorinha'', si attendeva di ritornare alla laguna.<ref>In seguito alla Andorinha (o Androgina) si aggiunsero la ''Bella Americana'' e ''Patagonia'', nel combattimento, respinto a fatica, elogiò la bravura di Manuele Rodriguez. {{Cita|Dumas|p. 97-98}}</ref> Era il 2 novembre, il Rio Pardo tornò pochi giorni dopo. Guidò malvolentieri l'attacco alla cittadina [[Imaruí]] con l'intenzione di punirla del tradimento.<ref>{{Cita|Dumas|p. 100-101}}</ref>
 
Il 4 novembre<ref name="Duma102">{{Cita|Dumas|p. 102}}</ref> l'esercito imperiale forte di 16 navi con 33 cannoni complessivi e 900 uomini,<ref name="Duma102" /> riconquistò la città e i repubblicani, dopo aver incendiato le navi senza che i soccorsi richiesti fossero giunti, ripararono sugli altopiani, Griggs venne ucciso. Sulla terraferma i combattimenti continuarono, e furono i primi per Garibaldi: il 14 dicembre [[1839]] a [[Santa Vitória do Palmar]]<ref>{{Cita|Dumas|p. 106}}</ref> attaccò con i suoi marinai il nemico e costringendolo alla ritirata; successivamente il 12 gennaio [[1840]], nei pressi di [[Forquetinha]], Garibaldi, guidando la fanteria, soccorse con 150 uomini il colonnello Teixeira.<ref>I rapporti di questi scontri furono descritti su O Povo grazie ai resoconti del colonnello Teixeira, si veda {{Cita|Scirocco|pp. 68-69}}</ref> Garibaldi radunò i sopravvissuti, 73 uomini in tutto, salì su un'altura e solo di notte gli inseguitori smisero la caccia. Marciarono per quattro giorni fino nei pressi di [[Vacaria]]<ref>{{cita libro|Ivan |Boris |Gli anni di Garibaldi in Sud America: 1836-1848, pag 134|1970|Longanesi|}}</ref> e poi di nuovo al Rio Grande.
 
{{Citazione|Garibaldi è un uomo capace di trionfare in qualsiasi impresa.|[[Alexandre Florian Joseph Colonna Walewski|Alessandro Walewski]] da J. Duprey, ''Un fils de Napoleón dans les pays de la Plata au temps de Rosas'', Parigi-Montevideo 1937, p. 164.}}
Nell'aprile del 1840 si radunarono i due eserciti nei pressi del fiume [[Taquari]]; 4.300 imperiali, al comando del generale [[Manuel Jorge Rodríguez]] che avrebbero affrontato 3.400 riograndesi,<ref>{{cita libro|Ivan|Boris|Gli anni di Garibaldi in Sud America: 1836-1848, pag 137|1970|Longanesi|}}</ref> ma non ci fu alcuna battaglia. Si decise di attaccare [[San José do Norte]], punto strategico di rifornimento. Dei quattro fortini disposti a difesa tre vennero distrutti in poco tempo, l'azione era guidata da [[Bento Gonçalves da Silva|Gonçalves]] con Teixeira. L'ammiraglio Greenfell inviò i rinforzi, allorché Garibaldi suggerì di bruciare la città ma l'idea non venne accolta; una volta fuggiti, il nizzardo {{chiarire|si fermò su ordini dati a [[San Simón]]|quali?}};<ref>{{cita libro|Jasper Godwin|Ridley |Garibaldi (seconda edizione), pag 101|1976 |Viking Press||isbn = 978-0-670-33548-0}}</ref> poco dopo, il 24 settembre [[1840]], fu ucciso Rossetti. Giunto a [[São Gabriel (Rio Grande do Sul)|São Gabriel]], strinse amicizia con [[Francesco Anzani]]. Gli venne concesso di recarsi a [[Montevideo]] e di portarsi 1.000 buoi come bottino di conquiste; riuscì a farne partire 900, ma negli oltre 600&nbsp;km che percorse perse la maggior parte dei capi, solo 300 infatti giunsero a destinazione nel giugno del 1841 a causa dei ripetuti furti dei [[Mandriano|mandriani]] infedeli.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 73}}</ref>
 
====La guerra civile uruguaiana====
{{vedi anche|Battaglia di San Antonio}}
Soggiornava in casa di amici.<ref>si trattava della casa di Napoleone Castellini, in {{Cita|Dumas|p. 149}}</ref> Non si conosce con esattezza quando Garibaldi entrò nella [[Armada Nacional (Uruguay)|marina uruguayana]],<ref>All'epoca Garibaldi per sostenere la famiglia eseguiva due tipi di lavori, professore di matematica presso un collegio e sensale in commercio, accettò dunque l'offerta della Repubblica Orientale - Repubblica di Montevideo. Si veda {{Cita|Dumas|pp. 149-150}}</ref> comunque quando avvenne gli venne conferito il grado di colonnello e gli venne affidata una missione: una volta partito da Montevideo via mare, doveva penetrare nel Paraná fino alla ''Bajada'' (l'odierna città di [[Paraná (Argentina)|Paraná]]) e poi portare il bottino preso dalle navi incrociate a [[Corrientes]], una missione definita «suicida».<ref>Per tale definizione e dettagli si veda il volume I, intitolato Dal ritorno a Montevideo alla spedizione suicida nel Rio Paraná di: {{cita libro|Salvatore|Candido|Giuseppe Garibaldi nel Rio della Plata, 1841-1848|1972|Valmartina|Firenze}}</ref>
 
Le navi erano tre: ''Constitución'' (di 256 tonnellate e 18 cannoni, comandata direttamente dal nizzardo), il brigantino ''Pereyra'', comandato da [[Manuel Arãna Urioste]], e la goletta mercantile ''Procida'', comandata da Luigi De Agostini. Le tre imbarcazioni partirono il 23 giugno 1842.<ref>{{Cita|Possieri|p. 101}}</ref> Durante il viaggio la Constitución si arenò e fu soccorsa dalla Procida mentre sopraggiunse la flotta argentina; si trattava dell'ammiraglio [[William Brown (ammiraglio)|William Brown]] (1777 - 1857) al comando di sette navi, di cui una, la ''Belgrano,'' si arenò a sua volta.<ref>Il pericolo dello scontro c'è stato realmente ma gli eventi narrati nelle memorie appaiono lacunosi, confusi. Si veda a tal proposito: {{Cita|Scirocco|p. 90}}</ref> Fu grazie alla nebbia che Garibaldi e le altre navi riuscirono a fuggire nonostante il tentativo di inseguimento da parte di Brown che però si immise su una rotta errata.
 
La navigazione continuò nel Paraná dal 29 giugno e raggiunsero come da programma la ''Bajada'' il 18 luglio.<ref>Precisamente giunsero alla boca del Tiradero come in {{cita libro|Salvatore |Candido|Giuseppe Garibaldi nel Rio della Plata, 1841-1848 (volume I) pag 110|1972|Valmartina|Firenze}}</ref> Continuarono il viaggio superando il porticciolo di Cerrito. Le navi di Brown, a cui si aggiunsero quelle comandate dal maggiore [[Seguì]], raggiunsero le navi del nizzardo vicino alla Costa Brava: da una parte 3 brigantini e 4 golette, con un totale di circa 700 uomini e 53 cannoni, mentre Garibaldi poteva contare su due delle tre navi in quanto la Procida si distaccò precedendoli a Corrientes, 29 cannoni e circa 300 uomini, entrambi avevano anche imbarcazioni minori.<ref>Tali dati insieme alle varie manovre di guerra utilizzate si hanno anche grazie alle dichiarazioni di Gerónimo Quintana {{cita libro|Salvatore |Candido|Giuseppe Garibaldi nel Rio della Plata, 1841-1848 (volume I) pag 158|1972|Valmartina|Firenze}}</ref>
 
Il 16 agosto Brown iniziò a fare fuoco. Risultano inutili i tentativi di resistenza; Urioste cercò di portare lo scontro sulla terra ma venne sconfitto, intanto [[Alberto Villegas]] con il suo gruppo fuggì. Dopo tre giorni di combattimenti,<ref>{{Cita|Dumas|p. 154}}</ref> le navi vennero incendiate, ma alcuni dei corsari saltarono in aria con esse. Garibaldi si trasferì prima a [[Goya (Corrientes)|Goya]] e, dopo vari spostamenti, il 19 novembre si ritrovò a [[Paysandú]]; qui ricevette l'ordine dal generale [[Felix Edmondo Aguyar]] di compiere alcune azioni militari. Venne poi richiamato a Montevideo, ma prima di raggiungerli dovette bruciare nuovamente la flottiglia che comandava. Giunto nel dicembre del 1842 con l'incarico di ricostruire la flotta perduta, con un attacco affondò il 2 febbraio [[1843]] un brigantino che faceva parte della flotta di Brown; pochi giorni dopo venne respinto un primo tentativo del generale [[Manuel Oribe]]; l'assedio iniziò il 16 febbraio 1843.<ref>{{Cita|Possieri|p. 102}}</ref> Il 29 aprile, dopo aver rinforzato l'[[isola dei Topi]], si ritrovò di fronte il giorno dopo nuovamente Brown. L'ammiraglio contava su due brigantini e due golette, Garibaldi due imbarcazioni con un cannone ciascuno; gli inglesi intervennero salvandoli.<ref>L'isolotto venne poi chiamato [[Isola della Libertà]], {{Cita|Scirocco|pp. 104-105}}</ref>
 
Alla fine dell'anno prese il comando della [[Legione italiana di Garibaldi|Legione italiana]]. Il colore scelto per le divise fu il rosso,<ref>Erano delle tuniche di lana rosse, erano state preparate per chi lavorava nei macelli (i saladeros), ma interrotto il traffico fu merce mai giunta a destinazione. Il governo approfittò del prezzo basso.{{Cita|Scirocco|p. 101}}</ref>; la bandiera, un drappo nero rappresentava il [[Vesuvio]] in eruzione.<ref>L'ammiraglio Winnington-Ingram raccontò i vari particolari e vide lo stesso Garibaldi indossarne una durante l'attacco a Montevideo nel testo: {{cita libro|H.F.|Winnington-Ingram |Hearts of Oak|1889|Allen|Londra}} Si veda anche: {{Cita|Possieri|pp. 103-104}}</ref> In seguito venne tradito dal colonnello [[Angelo Mancini]],<ref>Disertò insieme ad altri ufficiali. {{Cita|Smith|p. 27}}</ref> Dopo piccole vittorie conseguite rifiutò in una lettera del 23 marzo [[1845]] la proposta fatta a gennaio dal generale [[Fructuoso Rivera]], capo dei ''Colorados'', che voleva regalare alcune terre alla Legione italiana.<ref>Come aveva fato in precedenza con la legione francese si veda anche {{Cita|Sacerdote|p. 285}}</ref>
 
Si cercò di far finire l'assedio: si opposero senza successo gli ammiragli [[Herbert Ingliefeld]] e [[Pierre Jean Honorat Lainé]] <ref>[http://www2.assemblee-nationale.fr/sycomore/fiche/%28num_dept%29/10897 ''Assemblée nationale'']</ref>, mentre Brown si ritirò, e tempo dopo volle salutare il suo avversario. Nell'agosto 1845 Ingliefeld iniziò insieme a Garibaldi ad aprirsi un varco, con l'intenzione di conquistare porti nemici.<ref>{{Cita|Possieri|p. 105}}</ref> Il nizzardo comandava due brigantini: ''Cagancha'' (64 uomini)<ref>{{cita libro|Ivan |Boris |Gli anni di Garibaldi in Sud America: 1836-1848, pag 248|1970|Longanesi|}}</ref> e il ''28 de marzo'' (36 uomini), e altre navi. Si aggiunsero i validi aiuti di [[Juan de la Cruz]] e [[José Mandell]]. Dopo aver preso l'[[isola del Biscaino]] e [[Gualeguaychú]]<ref>Dove il comandante militare era un certo colonnello Villagra e non il torturatore Millán, equivocando con Gualeguay, città del passato di garibaldi. Si veda {{Cita|Scirocco|p. 112}}</ref> si aggiunse la goletta francese ''Eclair'' al cui comando vi era [[Hippolite Morier]], si giunse davanti a Salto, occupata dagli uomini di [[Manuel Lavalleja]].<ref>Manuel, fratello del più celebre generale [[Juan Antonio Lavalleja]], ignorò il messaggio inviatogli da Garibaldi, era il 6 ottobre. Si veda {{cita libro|Ivan |Boris |Gli anni di Garibaldi in Sud America: 1836-1848, pag 253|1970|Longanesi|}}</ref> Egli, dopo essere stato sconfitto da [[Francesco Anzani]], abbandonò la città che il 3 novembre fu occupata da Garibaldi.
 
[[Justo José de Urquiza]] iniziò l'[[assedio]] alla cittadina il 6 dicembre;<ref>{{Cita|Sacerdote|p. 298}}</ref> dopo diciotto giorni di attacchi lasciò una parte dei suoi uomini, 700 di essi e abbandonò l'impresa. Il 9 gennaio [[1846]] Garibaldi ottiene la sua prima vittoria contro gli assedianti, attaccando di notte.
[[File:Giuseppe Garibaldi at the battle of San Antonio....jpg|thumb|left|Garibaldi nella battaglia di San Antonio]]
Il generale [[Anacleto Medina]] intanto stava giungendo a dar man forte con i suoi cinquecento cavalieri; Garibaldi cercò di affrontarlo con 186 legionari e 100 uomini guidati dal colonnello [[Bernandino Baez]]<ref>{{Cita|Scirocco|p. 114}}</ref> ma vennero colti di sorpresa a loro volta dal generale [[Servando Gómez]] nei pressi di San Antonio.<ref>Il combattimento era iniziato intorno alle 11 del mattino, si veda {{Cita|Dumas|p. 180}}</ref> Gli uomini trovarono riparo nei resti di un saladero, dove si organizzarono, sparando solo a bruciapelo; e, attaccando in seguito con la [[baionetta]], riuscirono a resistere all'attacco; dopo otto ore di combattimento, Garibaldi ordinò la ritirata.<ref>Del resoconto della battaglia esistono numerose versioni particolareggiate, tutte descritte dai testimoni dell'episodio, in particolare 3 sono quelle rilasciate dallo stesso Garibaldi. Si veda per un approfondimento: {{cita libro|Jasper Godwin|Ridley |Garibaldi, pp. 235-242|1975 |Mondadori|}}</ref> Si conteranno 30 morti a cui si aggiungeranno 13 dei feriti mentre Servando ne avrà contati più di 130.<ref>Furono trovate nei giorni seguenti due fosse: una conteneva 86 cadaveri l'altra circa 60, ma il numero dei morti potrebbe essere stato più elevato, si veda {{cita libro|Mino |Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 113|1982 |Mursia|}}</ref>
 
I morti verranno raccolti e seppelliti in una fossa comune su cui verrà piantata una bandiera in loro onore: è l'8 febbraio [[1846]]<ref>Per questa azione il governo decise di aggiungere in lettere d'oro un'iscrizione commemorativa sulla loro bandiera, si veda {{Cita|Scirocco|p. 116}}</ref>. Il nizzardo rimase a Salto per diversi mesi, respingendo ogni attacco. Il 20 maggio attaccò nella notte [[Gregorio Vergara]] e nel ritorno prima di guadare un ruscello decise di attaccare i soldati che li inseguivano comandati da [[Andrés Lamas]].<ref>Si trattavano di due ufficiali di Servando Gómez, si veda {{cita libro|Giuseppe |Guerzoni |Garibaldi, pag 87|2010|BiblioLife||isbn = 978-1-149-38210-3}}</ref> Le gesta oltre oceano di Garibaldi divennero celebri in Italia grazie al patriota [[Angelo Raffaele Lacerenza|Raffaele Lacerenza]], che diffuse a proprie spese in tutto il paese seimila copie del ''Decreto di grazie ed onori'' concessi dal governo di Montevideo ai legionari italiani.<ref>G. De Ninno, ''Biografia di Angelo Raffaele Lacerenza'', Pansini, Bari, 1913</ref>
 
=== Giuseppe e Anita ===
Giuseppe e Anita si erano conosciuti a Laguna nel 1839 si narra che, dopo averla inquadrata con il cannocchiale mentre si trovava a bordo dell'''Itaparica'', una volta raggiunta le disse in [[Lingua italiana|italiano]] «tu devi essere mia»<ref>Della validità di questo resoconto non si può essere certi. Si è certi dell'immediata simpatia fra i due, si veda per la citazione e per i dubbi espressi {{Cita|Scirocco|p. 79}}, Dumas cita «Angelo, tu sarai mio» {{Cita|Dumas|p. 95}}</ref>. Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva (questo il nome completo) si era sposata<ref>Per diverso tempo si era dato credito alla teoria che non fosse sposata, ma fidanzata. Tale malinteso era nato a seguito delle ricerche di [[Giuseppe Guerzoni]] e dalla dichiarazione sostenuta da Anita quale nubile sul certificato di matrimonio del 1842, ipotesi confermata da Ricciotti. Fra gli storici che dettero credito a questa affermazione: [[George Maculay Trevelyan]] in {{cita libro|George |Macaulay Trevelyan |Garibaldi's Defence of the Roman Republic , pag 31|2008|Cosimo, Inc||isbn = 978-1-60520-473-4}} e [[Jessie White]] che aggiunse che Garibaldi chiese in moglie la figlia al padre, in realtà morto tempo prima. Ancora la si vedrà sposa con [[Juan Manuel de Rosas]]. Per le teorie a proposito si veda: {{cita libro|J.|Ridley|Garibaldi, pag 110-119|1975|Mondadori|}}</ref> il 30 agosto [[1835]]<ref>Furono in seguito ritrovati i documenti che attestavano il matrimonio fra i due, si veda {{Cita|Possieri|p. 96}}</ref> con il calzolaio<ref>per altri storici si trattava di un pescatore, si veda a tal proposito: {{Cita|Possieri|p. 114}}</ref> Manuel Duarte de Aguiar, molto più anziano di lei, che, arruolatosi fra gli imperiali, era fuggito da Laguna tempo prima, ma la moglie non lo seguì. Nata nel 1821 a Merinhos<ref>{{Cita|Dumas|p. 95}}</ref>, aveva 18 anni al momento dell'incontro con Garibaldi.
 
Garibaldi e [[Anita Garibaldi|Ana Maria de Jesus Ribeiro]], passata alla storia - e quasi alla leggenda - del [[Risorgimento]] italiano con il diminutivo "Anita", si sposarono il 26 marzo [[1842]], presso la chiesa di San Francisco d'Assisi con rito religioso. È spesso raccontato il fatto che Anita, abile cavallerizza, insegnò a cavalcare al marinaio italiano, fino ad allora del tutto inesperto di equitazione. Giuseppe a sua volta la istruì, per volontà o per necessità, ai rudimenti della vita militare.
 
Cercò di far allontanare Anita e i figli da sua madre, ma il giugno 1846 ottenne un parere contrario del ministro degli esteri di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]].<ref>{{Cita|Scirocco|p. 122}}</ref> I legionari progettano di tornare in patria, e grazie alla raccolta organizzata fra gli altri da [[Stefano Antonini]], Anita, con i tre figli, e altri familiari dei legionari partirono nel gennaio del [[1848]] su di una nave diretta a [[Nizza]], dove furono affidati per qualche tempo alle cure della famiglia di Garibaldi. Scoppiati i moti italiani di indipendenza, fu autorizzato a ritornare negli stati sardi con un gruppo di soldati.
 
=== La prima guerra d'indipendenza ===
{{Vedi anche|prima guerra di indipendenza italiana}}
Garibaldi rientrò in [[Italia]] nel [[1848]], poco dopo lo scoppio della [[Prima guerra di indipendenza italiana|prima guerra di indipendenza]]. Venne noleggiato un brigantino sardo chiamato ''Bifronte'', rinominato ''Speranza'' (o ''Esperanza''); venne nominato come capitano lo stesso Garibaldi, e la partenza avvenne il 15 aprile 1848, alle 2 del mattino; si erano imbarcati 63 uomini.<ref>{{Cita|Dumas|p. 191}}</ref> Giunsero in vista di Nizza il 23 giugno.<ref>Non il 24 giugno come cita in {{Cita|Dumas|p. 192}}</ref> Lo avevano anticipato un suo luogotenente, [[Giacomo Medici]],<ref>{{Cita|Possieri|p. 119}}</ref> e una certa notorietà, grazie al lavoro di Mazzini.<ref>Dal 1842 Mazzini cominciò a interessarsi delle notizie provenienti dal Sud America riguardanti Garibaldi, legge ''El Nacional''grazie a Cuneo, nel giugno 1845 scriverà al nizzardo, nel gennaio 1846 fa pubblicare sul ''Times'' per intero la lettera che rappresentava l'offerta fatta a Rivera che tempo prima Garibaldi rifiutò scrivendo come al contrario i francesi accettarono una simile offerta, si veda {{Cita|Scirocco|pp. 129-130}} Alle notizie enfatiche si contrapporranno quelle provenienti dal Sud America, la stampa che simpatizzava per Rosas parlò male dell'eroe descrivendolo come se fosse un demone. Si veda {{cita libro|Jasper Godwin|Ridley |Garibaldi, pp. 197-198|1975 |Mondadori|}}</ref> Tornato dunque in Europa per partecipare alla [[Prima guerra di indipendenza italiana|prima guerra di indipendenza]] contro gli [[Impero austriaco|austriaci]], il 25 giugno proferisce parole a favore di [[Carlo Alberto di Savoia]]; il 29 giugno si trova a Genova, e per giungere a [[Roverbella]], nei pressi di [[Mantova]], deve chiedere 500 lire a un amico.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 142}}</ref> L'incontro con Alberto avvenne il 5 luglio: venne accolto freddamente, a causa l'antica condanna; non potendogli offrire aiuto, gli consigliò di recarsi a [[Torino]] dal ministro della guerra, che gli suggerì a sua volta di recarsi a [[Venezia]].
 
[[File:Roverbella-Lapide a Garibaldi.jpg|thumb|[[Roverbella]] (MN), lapide in ricordo dell'incontro con Carlo Alberto]]
Nel 1848 incontrò Mazzini a [[Milano]], rimanendone in parte deluso, avendo i due pensieri molto diversi.<ref>Mazzini guarda alla rivoluzione unitaria e repubblicana, mentre Garibaldi cerca solo la liberazione dall'oppressione straniera come in {{Cita|Scirocco|p. 143}}, per dettagli si veda anche: {{cita libro|Giuseppe |Garibaldi|Due parole ai miei concittadini in le Memorie di Garibaldi, pag 617|1932|Cappelli|Bologna}}</ref> Partecipò comunque alla guerra come volontario al servizio del governo provvisorio di [[Milano]], con la carica di [[generale]].<ref>{{Cita|Possieri|p. 120}}</ref> Formò il battaglione Anzani, del quale pose al comando Giacomo Medici, e partì alla volta di Brescia il 29 luglio, avendo ricevuto l'incarico di liberarla. Il numero dei suoi uomini era di circa 3.700 e usarono le vesti abbandonate dagli austriaci. Non giunse però nella città poiché venne richiamato a Milano. Le sue affermazioni contro Carlo Alberto provocarono una sua dura reazione: costui impartì l'ordine di fermarlo e se si fosse ritenuto necessario anche di arrestarlo,<ref>{{Cita|Scirocco|pp.144-145}}</ref> provocando la diserzione di alcuni volontari. Giunse ad [[Arona]], dove chiese contributi alla cittadinanza,<ref>Dei contributi richiesti da Garibaldi si parlerà in una lettera di Carlo Taverna a Marco Minghetti 27 agosto 1848, si veda {{cita libro|Marco |Minghetti |Mieri ricordi, II, Appendice VI pag 375|1889 |Roux |Torino }}</ref> poi a [[Luino]] dove il 15 agosto 1848 ebbe il primo scontro in Italia contro gli austriaci (comandati dal Colonnello Molynary) e verso [[Varese]], poi navigando sul [[Lago Maggiore]], essendosi impadronito dei battelli, penetrò per poco nel territorio austriaco.<ref name="smith39">{{Cita|Smith|p. 39}}</ref>
 
Gli austriaci che si trovò a combattere erano comandati dal generale [[Konstantin d'Aspre]], che ebbe l'ordine di ucciderlo, e il maresciallo [[Josef Radetzky|Radetzky]]. Quindi a [[Morazzone]] venne sorpreso da un attacco nemico, ma riuscì a fuggire nella notte rimanendo con circa 30 uomini. Trovò riparo in [[Svizzera]],<ref>Resoconto dettagliato delle vicende in: {{cita libro|P.|Pieri|Storia militare del risorgimento, pag 314-368|1962|Einaudi|Torino}}</ref> il 27 agosto valicando il confine travestito da contadino.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 145}}</ref> Il 10 settembre ritornò da sua moglie, che viveva a casa di un amico, Giuseppe Deideri. Il 26 settembre ripartì alla volta di Genova, e il 24 ottobre si imbarcò sulla nave francese ''Pharamond''<ref>{{Cita|Sacerdote|p. 398}}</ref> con Anita, poi rimandata a Nizza. All'inizio erano 72 uomini con Garibaldi a cui si aggiunsero i lancieri di [[Angelo Masina]] il 24 novembre e soldati provenienti da Mantova. Si arrivò così a una formazione di 400 uomini<ref>{{cita libro|Mino |Milani |Giuseppe Garibaldi, seconda edizione pag 155|1982|Mursia|}}</ref> alla quale Garibaldi diede il nome di ''Legione Italiana''.
 
=== La Repubblica Romana ===
{{vedi anche|questione romana|assedio di Roma (1849)}}
Infastidito dai [[Reumatismo|reumatismi]] di cui soffriva, si ritirò a [[Rieti]] il 19 febbraio e, per breve tempo, ebbe la compagnia di Anita. Grazie al suo appello, giunsero molti giovani che portarono il totale a 1.264 uomini,<ref>{{Cita|Sacerdote|p. 418}}</ref> oltre ad aiuti, vestiti e armi seppur in numero insufficiente; stazionarono poi ad [[Anagni]] mentre [[Francesco Daverio]] chiedeva l'invio di altre armi. Il 23 aprile il nizzardo venne nominato [[generale di brigata]] dal ministro della guerra della Repubblica Romana [[Giuseppe Avezzana]]<ref>{{Cita|Scirocco|p. 154}}</ref> mentre Carlo Alberto aveva abdicato in favore di [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]].
 
Garibaldi partecipò ai combattimenti in difesa della [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica Romana]], minacciata dalle truppe [[francesi]] e napoletane che difendevano gli interessi del [[papa Pio IX]]. [[Napoleone III di Francia|Luigi Napoleone]] fece sbarcare a [[Civitavecchia]] un corpo di spedizione [[Seconda Repubblica francese|francese]], guidato dal generale [[Nicolas Charles Victor Oudinot|Nicolas Oudinot]]. Il 25 aprile,<ref>{{Cita|Possieri|p. 123}}</ref> dopo averla occupata, ne fece la sua base. Il 27 aprile giunse a Roma passando per Porta Maggiore. Contava di bloccare il nemico di 2.500 uomini e l'appoggio di altri 1.800 guidati dal colonnello [[Bartolomeo Galletti]].
 
[[File:Images nypl orgCA8SEIID.jpg|thumb|Garibaldi, [[Andrea Aguyar]] (a cavallo) e [[Nino Bixio]] durante l'assedio di Roma. Disegno del 1854 di [[William Luson Thomas]] basato sullo schizzo di [[George Housman Thomas]] realizzato nel 1849]]
Scrutando il territorio decide di far occupare [[Villa Doria Pamphilj]] e [[Palazzo Corsini alla Lungara|Villa Corsini]]; il 30 aprile i francesi attaccarono, ma imprecisioni tattiche<ref>I francesi inizialmente puntarono su Porta Pertusa murata tempo prima, le loro cartine non erano abbastanza aggiornate, i 5000 uomini vennero divisi in due gruppi, quello che Garibaldi attacca era quello che puntava verso Porta Cavallegeri, si veda più ampiamente: {{Cita|Scirocco|p. 156-157}}</ref> portarono lo scontro al colle [[Gianicolo]]: alla fine si ritirarono verso [[Castel di Guido]]; le perdite furono maggiori per i francesi (500<ref>800 furono i morti secondo Jessie White Mario, si veda {{cita libro|Jessie |White Mario |Vita di Giuseppe Garibaldi, seconda edizione pag 72|1882 |Treves|}}</ref> fra morti e feriti contro i 200 dei difensori).<ref>{{Cita|Scirocco|p. 157}}</ref> Fra i feriti vi era Garibaldi, colpito al fianco da una fucilata francese che impattò il manico del pugnale permettendogli di salvarsi miracolosamente<ref>L'episodio è raccontato da [[Pietro Ripari]], medico condotto che coordinava le ambulanze durante l'assedio di Roma in un saggio del 1863 dedicato alla ben più famosa ferita dell'Aspromonte: {{Citazione|Il 30 aprile 1849, fuori porta S. Pancrazio, una palla francese incontrato il manico del pugnale, gli produsse una piaga circolare alla regione dell'ipocondrio destro. [...] Gli integumenti erano stati distrutti; l'adipe sottoposto ammortizzato a gangrena. [...] Pochi seppero di quella ferita, sebbene guarisse tardi - non cicatrizzò che negli ultimi di giugno...|Pietro Ripari, ''Storia Medica della Grave Ferita toccata in Aspromonte dal Generale Garibaldi il giorno 29 agosto 1862'', Milano, 1863}}</ref>.
 
Intanto [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]], re delle [[Regno delle Due Sicilie|Due Sicilie]], inviò i suoi uomini, guidati dal generale [[Ferdinando Lanza]] e dal colonnello Novi, che giunsero verso le 12<ref>{{cita libro|Piero |Pieri |Storia militare del Risorgimento, (seconda edizione, Vol 71) pag 423|1962 |Einaudi|}}</ref> del 9 maggio a [[Battaglia di Palestrina|Palestrina]]; a respingerli furono il nizzardo e [[Luciano Manara]]; dopo un combattimento di tre ore, i borbonici si ritirarono, perdendo 50 dei loro uomini.
 
Il 16 maggio, nei pressi di Velletri, disobbedì agli ordini, in realtà ormai superati dagli eventi, di [[Pietro Roselli]]<ref>Nominato a capo dell'esercito al di sopra di Garibaldi stesso, si veda per approfondimento {{Cita|Smith|pp. 46-47}}</ref>; nell'occasione Garibaldi venne travolto dai cavalieri, cadde a terra dove fu alla mercé di cavalli e nemici, ma venne salvato per intervento del patriota [[Achille Cantoni]]:<ref>"Cantoni pel primo [...] gittossi tra me ed un nemico che mi travagliava da vicino, e contro cui io difficilmente mi difendevo essendo rotto dalle contusioni, e mentre il borbonico mi feriva, forse con un colpo sulla testa, la sciabola liberatrice lo colpiva e bestemmiando si ritirava col braccio penzolone", così riferisce il fatto Giuseppe Garibaldi in ''Cantoni il volontario'', cap. XLI. Velletri.</ref> seguirono aspre critiche sul suo operato.<ref>Come quelle di [[Carlo Pisacane]], si veda: {{Cita|Possieri|pp. 124-125}} I contrasti furono evidenti in seguito, si pensi che pochi giorni dopo, il 26 maggio, quando Mazzini chiese consiglio a Garibaldi su come difendere Roma egli rispose o di dargli poteri di «dittatore illimitatissimo» o di retrocederlo a soldato semplice, per la lettera si veda {{cita libro|Giuseppe |Garibaldi |Epistolario di Giuseppe Garibaldi, Volumi 1-2, pag 37|1885 |A. Brigola e comp|}}</ref> Il 26 maggio [[1849]] Giuseppe Garibaldi giungeva a [[Ceprano]] ordinando a [[Luciano Manara]] di entrare con i suoi bersaglieri nel [[Regno di Napoli]], per combattere i borbonici che si erano attestati nella Rocca d'Arce.
Mazzini voleva però concentrarsi sulla difesa dell'Urbe e, anche perché era giunta notizia dell'arrivo di forze spagnole a Gaeta e di un esercito austriaco, richiamò Garibaldi.<ref>{{cita libro|Garibaldi|pag 47|1993|Denis Mack Smith|}}</ref>
 
Fra la notte del 2 e del 3 giugno 1849 Oudinot guidò i suoi verso Roma, e conquistò dopo continui capovolgimenti i punti chiave Villa Corsini e Villa Valentini; rimase in mano ai difensori Villa Giacometti. Morirono 1.000 persone fra cui [[Francesco Daverio]], [[Enrico Dandolo (patriota)|Enrico Dandolo]], [[Goffredo Mameli]], che, ferito, morirà in seguito per [[cancrena]]; verrà incolpato Garibaldi della sconfitta; i francesi potevano contare su circa 16.000 uomini Garibaldi circa 6.000.<ref>Nell'occasione verrà ricordato da Gustav Hoffstetter come uomo impassibile che non fugge davanti al pericolo, si veda per la testimonianza tratta da Giornale delle cose di Roma nel 1849, Gustav von Hoffstetter, 1850 e i dati numerici {{Cita|Scirocco|p. 163}}</ref> Il 28 giugno [[1849]] i legionari di Garibaldi tornarono a indossare le loro tuniche rosse di lana.<ref>La richiesta fu fatta tempo prima, dopo la battaglia di Palestrina, come in {{cita libro|Ermanno |Loevinson |Giuseppe Garibaldi e la sua legione nello Stato romano 1848-49 (Volume 2 di Giuseppe Garibaldi e la sua legione nello Stato romano 1848-49), pag 126|1904 |Società editrice Dante Alighieri|}}</ref>
 
=== La fuga da Roma e la morte di Anita ===
[[File:Giuseppe e Anita Garibaldi trovano rifugio a San Marino.JPG|thumb|[[1849]], dopo la caduta della [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica Romana]] Giuseppe Garibaldi e [[Anita Garibaldi]] in fuga, trovano rifugio a [[San Marino]]]]
{{vedi anche|marcia di Garibaldi dopo la caduta di Roma}}
L'assemblea che si era costituita diede i poteri a Garibaldi e Roselli: la sera del 2 luglio [[1849]], da piazza San Giovanni, con 4.700 uomini,<ref>{{Cita|Possieri|p. 128}}</ref> partì deciso a continuare la guerra, non più di posizione ma di movimento.<ref>{{cita libro|Mario|Isnanghi|Garibaldi fu ferito il mito, le favole, pag 17|2010|Donzelli editore||isbn = 978-88-6036-503-3}}</ref> Pochi giorni prima si era aggiunta Anita che, incinta, decise di seguirlo per tutta la durata del viaggio.
 
Dopo aver rifiutato l'offerta fatta dall'[[ambasciatore]] degli [[Stati Uniti d'America]],<ref>Il 2 luglio 1849 ricevette l'invito, doveva recarsi al l'Hotel De Russie, si veda {{cita libro|Gustavo |Sacerdote|La vita di Garibaldi: (Volume 1), pag 380|1957|Rizzoli & c. |}}</ref> sulla strada di [[Tivoli]] affidò una parte dei soldati a [[Gaetano Sacchi]] e un reggimento della cavalleria al colonnello [[Ignazio Bueno]] compagno del Sud America, con lui il polacco [[Emilio Müller]]. Fece credere al nemico di dirigersi verso gli Abruzzi mentre andava a nord, divise in piccoli gruppi la cavalleria che mandava in esplorazione facendo pensare che potesse contare su un numero superiore di soldati.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 169}}</ref> Intanto atti criminali commessi dal suo gruppo lo preoccupavano, giunse, il 5 luglio, a minacciare di morte chiunque commettesse furto e uccise un ladro colto in flagrante.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 170}}</ref>
 
A [[Terni]] l'8 luglio si aggiunsero altri 900 volontari guidati dal colonnello [[Hugh Forbes]] e rifornimenti. Fece circolare false voci sul suo itinerario, puntava in realtà su Venezia, la [[Repubblica di San Marco]] di [[Daniele Manin]]. I soldati diedero i primi segni di cedimento, Müller li tradì e Bueno, il 28,<ref>O il 29, l'aiutante di campo portò con sé il denaro raccolto che gli era stato affidato. Si veda {{cita libro|Giuseppe |Garibaldi con Giuseppe Armani |Memorie: con una appendice di scritti politici, pag 163|1982|Biblioteca universale Rizzoli|}}</ref> fuggì con parte dei denari raccolti. Il nizzardo non riusciva a sostenere il gruppo.<ref>Si consideri anche che la cartamoneta ricevuta aveva ottenuto il riconoscimento ufficiale sino al 10 luglio, si veda {{Cita|Scirocco|p. 170}}</ref>
 
Erano rimasti 1.500 uomini, ridotti pochi giorni dopo a qualche centinaio. Lungo la strada pernottarono due notti presso Todi, i soldati alloggiati presso il convento dei Cappuccini; Garibaldi e Anita incinta ospiti invece presso la casa di Antonio Valentini, fervente Garibaldino, a Palazzaccio. Il 30 luglio si ritrovava a [[Montecopiolo]] nella parte più alta del Montefeltro dove passò la notte, proseguì la sua fuga attraverso sentieri impervi e macchie fitte di vegetazione facendo certamente tappa per abbeverarsi presso una sorgente in Località Casalecchio sempre nel comune di Montecopiolo ma già in direzione della [[San Marino|Repubblica di San Marino]], dove Garibaldi arrivò con gli altri superstiti il giorno dopo, il 31 luglio, e qui si rifugiò dopo che la Repubblica di San Marino concesse asilo.<ref>{{Cita|Smith|p. 55}}</ref> Contemporaneamente Garibaldi con un ordine del giorno sciolse il gruppo. I coniugi erano alloggiati presso Lorenzo Simoncini.<ref>{{cita libro|Gustavo |Sacerdote|La vita di Garibaldi (Volume I), pag 394|1957|Rizzoli|}}</ref> Gli austriaci, guidati da [[Konstantin d'Aspre|d'Aspre]], che comandava il corpo di occupazione [[Impero austriaco|austriaco]] in [[Invasione austriaca della Toscana|Toscana]] volevano che Garibaldi fosse imbarcato a forza per gli Stati Uniti, lui rifiutò. Fugge da San Marino di notte con duecento uomini al seguito, alcuni abbandonano come [[Gustav Hoffstetter]].<ref>Dopo aver venduto i cavalli ritornerà a Zurigo e scriverà un libro sulle vicende, si veda {{cita libro|Mino|Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 209|1982 |Mursia|}}</ref>
 
Continuano gli aiuti trovati per strada: vengono guidati dall'[[operaio]] Nicola Zani mentre Anita ha la febbre alta. Giunti a [[Cesenatico]] prendono dai pescatori 13 bragozzi (barche da pesca),<ref>{{cita libro|Mino|Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 210|1982 |Mursia|}}</ref> partono alla volta di Venezia, il 2 agosto. Arsi dalla sete a circa 80&nbsp;km dall'obiettivo, all'altezza della punta di [[Goro]], vengono avvistati e attaccati da un brigantino austriaco, l<nowiki>'</nowiki>''Oreste'', che con rinforzi li insegue catturando l'equipaggio di 8 bragozzi, più di 160 prigionieri che verranno condotti a Pola. Garibaldi con Anita in braccio guada per circa 400 metri<ref>{{Cita|Scirocco|p. 173}}</ref> giungendo infine sulla spiaggia, saluta i rimasti fra cui [[Ugo Bassi]] e [[Giovanni Livraghi]], fucilati a Bologna e [[Angelo Brunetti]] insieme ai due figli, fucilati in seguito anch'essi. Garibaldi era vicino a [[Porto Garibaldi|Magnavacca]] nelle [[Valli di Comacchio]], con lui Anita morente e [[Giovanni Battista Culiolo]] detto ''Leggero''. Aiutati dall'umile Battista Barillari riescono a dissetare la moglie dell'eroe. Il 4 agosto ripartono, in seguito salgono sul biroccino guidato da Battista Manelli, giunti alle [[Mandriole]] si fermarono alla [[fattoria]] Ravaglia, il medico Nannini non fa in tempo a salvarla, muore.
 
Garibaldi, secondo quanto riporta l'uomo di chiesa Falconieri, avrebbe voluto dare degna sepoltura alla moglie e trasportarla alla vicina [[Ravenna]], ma non vi era il tempo e fu scavata frettolosamente una buca nella sabbia. Giorni dopo, il 10 agosto, Pasqua Dal Pozzo, una ragazzina giocando vicino al campo si accorse del cadavere<ref>{{Cita|Possieri|p. 135}}</ref> e chiese aiuto. Fu un caso molto discusso anche negli anni successivi.<ref>il giudice Giuseppe Francesconi e il medico [[Luigi Fuschini]] accorsero; inizialmente si pensò a un [[omicidio]], la donna mostrava segni di [[strangolamento]]. L'ispettore Zeffirino Socci arrestò i fratelli Ravaglia (uno dei due era assente all'epoca dei fatti) con l'accusa di omicidio il 14 agosto [[1849]]. In seguito Fuschini ammise l'errore di valutazione. Non convinti tutti gli storici, alcuni come [[Umberto Beseghi]] sospettarono che Garibaldi avesse partecipato alla fine delle sofferenze della donna, Nel 1856 [[Antonio Bresciani]] eliminò ogni dubbio sull'ipotesi di omicidio. Si veda: {{Cita|Possieri|pp. 135-136}} l'appendice in {{cita libro|Umberto|Beseghi|Il maggiore leggero e il trafugamento di Garibaldi, seconda edizione|1932|Edizioni Stern|Ravenna}} e per approfondimenti {{cita libro|Umberto |Beseghi|Garibaldi rimase solo|1958|Tamari|Bologna}} e {{cita libro|Isidoro|Giuliani|Anita Garibaldi: vita e morte|2001|Parrocchia di Mandriole}}</ref> In seguito Garibaldi stesso giunse il 20 settembre 1859 con i figli Teresita e Menotti<ref>{{cita libro|Mino |Milani|Giuseppe Garibaldi (seconda edizione), pag 267|1982 |Mursia|}}</ref> a [[Ravenna]] mostrando l'intenzione di spostare i resti di Anita a [[Nizza]], seppelliti poi accanto a quelli di Rosa, madre dell'eroe. Il giornale di [[Torino]] ''La Concordia'' intanto il 16 agosto scrisse che Anita e Garibaldi avrebbero raggiunto Venezia, ma la donna era morta 12 giorni prima.<ref>Si veda fra gli altri: {{cita libro|J.|Ridley|Garibaldi, pag 398-399|1975|Mondadori|Milano}}</ref>
 
Garibaldi e Leggero fuggono dapprima a [[Forlì]]; poi, il giorno 16, lasciano Forlì per raggiungere il vicino confine del [[Granducato di Toscana]]: Si tratta della cosiddetta ''[[trafila di Garibaldi]]''. Sono aiutati, tra gli altri, da Ercole Saldini, dal sacerdote [[Giovanni Verità]] e dall'ingegnere Enrico Sequi, a cui Garibaldi lascerà la [[fede nuziale]] di Anita.
 
Il 1º settembre parte sull'imbarcazione di [[Paolo Azzarini]], il 5 settembre Garibaldi si trova a [[Porto Venere]], al sicuro. [[Alfonso La Marmora|La Marmora]] commenterà affermando che era un miracolo il suo salvataggio.<ref>«Come abbia riuscito a salvarsi quest'ultima volta, è veramente un miracolo» Il commento preciso è citato in {{cita libro|Giuseppe |Guerzoni|Garibaldi, di Giuseppe Guerzoni... (Volume I) pag 389 (seconda edizione)|1882|G. Barbèra|Firenze}}</ref>
 
Lo stesso La Marmora, con i poteri di commissario straordinario che godeva all'epoca fece arrestare Garibaldi e lo condusse al Palazzo ducale di Genova, in piazza Matteotti.<ref>{{cita libro|Mino |Milani |Giuseppe Garibaldi, seconda edizione pag 225|1982|Mursia|}}</ref> Sulla decisione da prendere seguì un dibattito, il 10 settembre, al quale intervennero fra gli altri [[Giovanni Lanza]], [[Urbano Rattazzi]] e [[Agostino Depretis]], e al termine del quale Garibaldi venne liberato. Si parlò anche della possibilità dell'[[Immunità (diritto)|immunità parlamentare]] attraverso una sua candidatura a [[Recco]] per le elezioni suppletive della camera, ma egli rifiutò l'idea.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 184}}</ref>
 
Gli fu concessa una visita di un giorno ai familiari, durante la quale salutò la madre per l'ultima volta ed affidò i figli maschi ad Augusto, mentre la figlia continuò a rimanere con i Deideri. Dopo vari spostamenti (prima a Tunisi, dove gli fu rifiutata ospitalità, quindi alla Maddalena) partì sul [[brigantino]] da guerra ''Colombo'' per [[Gibilterra]], giungendovi il 9 novembre, ed il 14 novembre ripartì su una nave spagnola, ''La Nerea''. Accompagnato dagli ufficiali "Leggero" e [[Luigi Cocelli]] si diresse a [[Tangeri]], dove accettò l'ospitalità dell'ambasciatore piemontese in [[Marocco]] [[Giovan Battista Carpenetti]]. Nel mese di giugno partì nuovamente, questa volta in compagnia del [[maggiore]] [[Paolo Bovi Campeggi]]. Il 22 fu a [[Liverpool]], ed il 27 giugno [[1850]] partì per [[New York]] con il ''Waterloo'', giungendovi in 33 giorni di viaggio. Il 30 luglio, per i dolori causati dai reumatismi, ebbe bisogno di aiuto per scendere a terra, a Staten Island.<ref>{{cita libro|Giuseppe |Garibaldi|Memorie di Garibaldi: Nella redazione definitiva del 1872, pag 326|1932|L. Cappelli|}}</ref>
 
Abitò in compagnia di [[Eleuterio Felice Foresti|Felice Foresti]] con Michele Pastacaldi; [[Teodoro Dwight]] lo conobbe e ricevette le sue ''Memorie'', con la richiesta di non pubblicarle; Garibaldi gli diede il consenso di farlo solo anni dopo, nel 1859<ref>Prima di questa già fu pubblicata da Cuneo una sua biografia nel 1850, 94 pagine in totale, si veda: {{Cita|Scirocco|pp. 184-190}}</ref>
Abitò con [[Antonio Meucci]], che lo fece lavorare nella propria fabbrica di candele.<ref>{{cita libro|Giuseppe |Garibaldi |Memorie autobiografiche, 10 edizione pag 265|1888 |G. Barbèra|}}</ref> Dopo nove mesi lasciò New York e si imbarcò sulla ''Georgia'' per i [[Caraibi]]. Continuò a navigare, assumendo il nome di Anzani e l'antico Giuseppe Pane. Arrivò il 5 ottobre a [[Callao]] nel [[Perù]], poi a Lima dove dopo tanto tempo fu nuovamente capitano di una nave, un brigantino di nome ''Carmen''.<ref>Nave comprata tempo prima grazie all'aiuto economico di Pietro Denegri</ref> Il 10 gennaio 1852 parte alla volta della [[Cina]], e navigò ancora dalle [[Filippine]], costeggiò l'[[Australia]], giunse infine a [[Boston]] il 6 settembre [[1853]]. Commerciò diversi generi, Soprattutto seta e guano (un fertilizzante).<ref>In passato si pensava che Garibaldi avesse imbarcato anche dei ''coolies'': lavoratori cinesi utilizzati come schiavi per il [[Perù]], tale traffico, proibito all'epoca, era effettivamente in vigore dal 1847 al 1873 - si veda {{cita libro|Mino |Milani |Giuseppe Garibaldi, seconda edizione pag 233|1982|Mursia|}}, il tutto si basò su una frase riportata dalla biografia pubblicata da Augusto Vittorio Vecchi, che riportando una frase di Denegri dove si leggeva che gli aveva portato i ''chinesi'' - si veda a tal proposito - {{cita libro|Augusto Vittorio |Vecchi|La vita e le gesta di Garibaldi, pag 97|1882|Zanichelli|Bologna}}, l'ipotesi messa in dubbio da Phillip Cowie attribuendo altro valore al termine usato ''chinesi'', si veda {{cita libro|Phillip |Cowie |Contro le tesi di Garibaldi Negriero in rassegna storica del Risorgimento, 3, pp. 389-397|1998|Zanichelli|Bologna}}. Inoltre vennero scoperti i registri di carico dell'epoca dove non vi fu alcuna menzione al riguardo, si veda {{cita libro|Università |di Pavia|Il Politico: rivista italiana di scienze politiche, Volume 47 pag 813|1982|Università degli studi di Pavia|}}</ref>
 
=== Il rientro in Italia e la seconda guerra d'indipendenza ===
{{vedi anche|cacciatori delle Alpi|seconda guerra di indipendenza italiana}}
[[File:Garibaldi divise.jpg|thumb|Stampa popolare raffigurante Garibaldi con le divise delle campagne del 1848, 1859 e 1860]]
Ritornato in Europa,<ref>Partì sul ''Commonwealth'', nave comprata a un italiano, si diresse poi verso l'Inghilterra. Si veda {{Cita|Smith|p. 61}}</ref> l'11 febbraio 1854 a Londra incontrò nuovamente Mazzini, poi viaggiando giunge prima a Genova il 6 maggio, e poi a Nizza. Compra il 29 dicembre 1855 una parte dei terreni di [[Caprera]]<ref>Forte delle 35.000 lire ottenute dall'eredità dei parenti - la madre era morta il 20 marzo 1852 e il fratello Felice nel 1855 - acquistò il terreno, si veda {{Cita|Scirocco|p. 197}}</ref>, isola dell'[[arcipelago]] sardo di [[La Maddalena]]. Partendo dalla casa di un pastore, costruì, insieme a 30 amici, una fattoria; in seguito l'isola divenne interamente di sua proprietà.<ref>Nel 1865 grazie alle donazioni dei suoi ammiratori divenne proprietario di tutta l'isola. {{Cita|Scirocco|p. 199}}</ref> Dopo la Terza Guerra di Indipendenza, venne chiamato a Caprera, per amministrare i beni del Generale, il colonnello e amico [[Giovanni Froscianti]] ([[Collescipoli]], 1811 – [[Collescipoli]], 1885) che fu al fianco di Garibaldi durante la [[Spedizione dei Mille]].
 
Nell'agosto del 1855 gli venne concessa la patente di capitano di prima classe: navigò con il "Salvatore", un piroscafo a elica; in seguito prese un [[cutter]] inglese chiamato ''Anglo French'', a cui diede il nome del suo nuovo amore, ''Emma''. Dopo che la nave si arenò, Garibaldi abbandonò l'attività di marinaio per dedicarsi all'agricoltura, lavorando come [[Agricoltore|contadino]] e [[Allevamento|allevatore]]: possedeva un uliveto con circa 100 alberi d'[[Olea europaea|ulivo]], oltre a un vigneto, con cui produceva [[vino]], e allevava 150 [[Bovinae|bovini]], 400 [[Gallus gallus domesticus|polli]], 200 [[Capra hircus|capre]], 50 [[Sus scrofa domesticus|maiali]] e più di 60 [[Equus asinus|asini]].<ref>''Leggendo qua e là'', «La Settimana Enigmistica», 2007, 3924, ISSN 1125-5226</ref>
 
Il 4 agosto rese pubblico il suo pensiero distanziandosi dalle prese di posizioni Mazziniane.<ref>Lo dimostrò con una lettera ai giornali del tempo, si veda {{Cita|Scirocco|p. 205}}, si veda anche quanto detto a [[Aleksandr Ivanovič Herzen|Aleksandr Herzen]] contenuto in {{cita libro|Mino |Milani |Giuseppe Garibaldi, seconda edizione pag 236|1982|Mursia|}}</ref> Il 20 dicembre 1858 incontrò Cavour. Divenne vicepresidente della [[Società nazionale italiana|Società Nazionale]]<ref>Nata il 1 agosto 1857 alla direzione vi era [[Giorgio Pallavicino Trivulzio]], si veda {{cita libro|Giuseppe |Ricciardi |Vita di G. Garibaldi, pag 25|1860|G. Barbèra|}}</ref> mentre si pensava di metterlo a capo di truppe: il 17 marzo [[1859]] vennero istituiti, grazie a un decreto reale, i [[Cacciatori delle Alpi]], e Garibaldi ebbe il grado di maggiore generale. Si contavano circa 3200 uomini, i quali vestivano l'uniforme dell'esercito sardo. Si formarono 3 gruppi: oltre al nizzardo, al comando vi erano [[Enrico Cosenz]] e [[Giacomo Medici]].<ref>{{Cita|Possieri|p. 148}}</ref>
 
Marciò verso [[Arona]]: i suoi uomini erano convinti di pernottarvi, Garibaldi comunicò a Torino l'intenzione di giungervi,<ref>Avvisò il ministro a Torino tramite telegrafo elettrico, si veda: {{cita libro|Francesco |Carrano |I cacciatori delle alpi comandati dal generale Garibaldi nella guerra del 1859 in Italia: Racconto popolare, pag 235|1860|Unione tipogr.-ed|}}</ref> al che ordinando l'assoluto silenzio,<ref>Neanche la fioca luce di un fiammifero si doveva vedere, si veda {{Cita|Scirocco|p. 214}}</ref> raggiunse [[Castelletto sopra Ticino|Castelletto]], fermò due reggimenti e con il terzo avanzò; il 23 maggio, superato il [[Ticino (fiume)|Ticino]], con le barche attaccò [[Sesto Calende]] riuscendo ad avere la meglio sugli austriaci e entrando in Lombardia.
 
Occupata [[Varese]], venne affrontato il 26 maggio dal barone Karl Urban, noto anche come il ''Garibaldi austriaco''<ref>{{cita libro|Giuseppe |Guerzoni|Garibaldi (Vol 1), pag 463|1882|Barbera|Firenze}}</ref> inviato da [[Ferencz Gyulai]]; nell'occasione il comandante ordinò di sparare soltanto quando il nemico si trovasse alla distanza di 50 passi, lo scontro è noto come [[battaglia di Varese]]. Si conteranno fra i cacciatori la perdita di 22 uomini contro 105 austriaci, a cui si aggiungeranno 30 prigionieri.<ref>{{Cita|Mino|p. 255}}</ref> Il giorno seguente, dopo aver attaccato frontalmente e vinto gli austriaci nella [[battaglia di San Fermo]], nonostante fosse in netta inferiorità numerica, occupò la città di [[Como]].<ref name="Cfr. p. 171 L. Riall ,2007">Cfr. p. 171 L. Riall, 2007</ref> Il 29 ripartì con i suoi uomini dalla città, volendo conquistare il fortino a [[Laveno-Mombello|Laveno]], raggiunto il 31 maggio.<ref>{{Cita|Mino|p. 257}}</ref> Questo attacco non ebbe esito favorevole, e nel frattempo, essendo Urban rientrato a Varese, ritornò a Como per presidiare la città, riprendendo poi Varese in seguito alla vittoria dei francesi a [[Battaglia di Magenta|Magenta]].
 
Il 15 giugno, seguendo l'ordine di [[Enrico Morozzo Della Rocca|Della Rocca]] che l'invia a [[Lonato del Garda|Lonato]] sul [[lago di Garda]], si mosse verso est. A [[Rezzato]], nel bresciano, avrebbe dovuto congiungersi con le truppe di [[Sambuy]], che però non giunsero in quanto l'operazione era stata annullata, ma di ciò non era stato avvertito e continuò ad avvicinarsi al nemico in ritirata. [[Enrico Cosenz]], dopo aver fermato un attacco nemico, si fermò, mentre il colonnello [[Stefano Turr]] continuò l'attacco, raggiunto poi dallo stesso Cosenz; Garibaldi, notando la situazione sfavorevole, inviò Medici a loro sostegno e organizzò le truppe, limitando il danno: 154 fra i cacciatori, contro i 105 degli austriaci.<ref>{{Cita|Mino|p. 262}}</ref> in quella che venne chiamata [[battaglia di Treponti]]. Ricevette quindi l'ordine di spostarsi in un teatro secondario bellico: in [[Valtellina]], per respingere alcune truppe austriache verso il [[passo dello Stelvio]]; l'[[armistizio di Villafranca]] terminò gli scontri. Durante tutta questa campagna il numero di volontari al suo seguito crebbe da circa 3000 a un numero non ben quantificato: 12.000 secondo [[George Macaulay Trevelyan|Trevelyan]], 9500 secondo la Riall che si basa su uno scritto di Garibaldi stesso.<ref name="Cfr. p. 171 L. Riall ,2007" />
 
[[Manfredo Fanti]] ebbe il comando mentre Garibaldi venne retrocesso come comandante in seconda, ricevendo il comando di una delle tre truppe, le altre due saranno agli ordini di [[Pietro Roselli]] e [[Luigi Mezzacapo]], dopo litigi diede le dimissioni.
 
=== Da Quarto al Volturno ===
{{vedi anche|spedizione dei Mille}}
{{Citazione|Qui si fa l'Italia o si muore.|durante la [[battaglia di Calatafimi]]; citato in [[Giuseppe Cesare Abba|G.C. Abba]], ''Storia dei Mille'', cap. ''[[s:Storia dei Mille/Dopo la vittoria|Dopo la vittoria]]''<ref>{{Cita web|url=http://www.treccani.it/vocabolario/qui-si-fa-l-italia-o-si-muore/|titolo=Treccani.it Qui si Fa l'Italia o Si Muore|pubblicazione=[[Enciclopedia Treccani]]|accesso=13 maggio 2012}}</ref>}}
[[File:Scoglio dei Mille.JPG|thumb|La [[stele]] commemorativa dell'impresa dei Mille sullo scoglio da cui partì la spedizione, a [[Genova]]-[[Quarto dei Mille|Quarto]]]]
[[File:Monumento Spedizione dei Mille.jpg|thumb|Monumento in onore a Garibaldi e alla sua spedizione dei Mille presso Quarto dei Mille a Genova]]
Rinunciò alla Società Nazionale (aveva ottenuto il comando a ottobre), diventando poi presidente della ''Nazionale Armata'', una nuova associazione che presto fallì.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 225}}</ref> Intanto Nizza era passata ai francesi, e Garibaldi, eletto deputato, tenne un discorso a tal proposito il 12 aprile [[1860]] senza esiti.<ref>Di fronte al parlamento ebbe la parola due volte, nella prima obiettava che la cessione andava in contrasto con l'articolo 5 dello statuto, si veda {{Cita|Montanelli|p. 346-348}}</ref> Si dimise il 23, dopo il risultato della votazione.
 
Il 27 aprile 1860 dall'isola di Malta [[Nicola Fabrizi]] inviò un telegramma cifrato: l'unico ad avere il codice per decifrare lo scritto<ref>Il telegramma recitava: «Offerta botti 160 rum America, pence 45 venduto botti 66 Inglese 47 anticipo lire 114 botti 147. Brandy senza offerta. Avvista incasso tratta lire 99. Rispondete subito». Come da: {{Cita|Mino|p. 284 e 581}}, si veda anche {{cita libro|Francesco |Crispi|I mille (a cura di Tommaso Palamenghi-Crispi) pag 104, |1912|Fratelli Treves|}}</ref> era [[Francesco Crispi]], che tradusse inizialmente in maniera negativa il messaggio, deludendo Garibaldi che stava preparando il suo ritorno a Caprera.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 239}}</ref> A nulla valsero i consigli di La Masa, Bixio e Crispi che premevano affinché il nizzardo partisse lo stesso. Crispi ritornò due giorni dopo affermando di aver ricevuto in realtà buone notizie,<ref>l'ipotesi più accreditata resta quella della falsificazione del telegramma, si veda fra gli altri {{cita libro|Indro|Montanelli|L'Italia del Risorgimento (1831-1861) (nona edizione) pag. 609|1972 |Rizzoli|}}, infatti soltanto lui poteva decifrare i codici come in {{Cita|Scirocco|p. 239}} per i dubbi si veda {{Cita|Mino|pp. 284-285}}</ref> e la spedizione ebbe inizio.
 
Nel settembre 1859 fu promotore di una raccolta volta all'acquisto di un milione di fucili, dando il compito a [[Enrico Besana]] e [[Giuseppe Finzi]]. Riuscirono a comprare dei fucili Enfield e Colt inviò dei suoi revolver. Per la spedizione non vennero utilizzate le armi raccolte, ma quelle messe a disposizione da [[Giuseppe La Farina]]<ref>Il governatore di Milano, [[Massimo d'Azeglio]] non diede il consenso all'utilizzarle, si veda: {{Cita|Possieri|p. 164}}</ref> che provenivano da quelle utilizzate nella campagna passata, simili a quelli raccolti.<ref>Si veda fra gli altri anche: R. Romeo Cavour e il suo tempo, Roma Bari, La Terza 1984, vol III pag 705</ref>
 
La sera del 5 maggio venne simulato il furto delle due navi ''[[Piemonte (nave)|Piemonte]]'' e il ''[[Lombardo (nave)|Lombardo]]'': si raccolsero una quarantina di persone al cui comando vi era Bixio che prese possesso delle imbarcazioni<ref>In seguito fu dibattuta dagli storici la questione di chi avesse affidato le imbarcazioni alla spedizione: l'armatore [[Raffaele Rubattino]] o il procuratore della società [[Giambattista Fauchè]], e del ruolo di quest'ultimo: mediatore o artefice, altri alimentavano le tesi dei complotti anglopiemontesi. Si veda: {{Cita|Possieri|p. 189}} e {{cita libro|Pietro |Fauchè|GB Fauchè e la spedizione dei mille, pag 35|1905|Albrighi e Segati|Milano}}</ref> Garibaldi salì sul Piemonte capitanato da [[Salvatore Castiglia]], con lui circa 300 persone. Bertani gli consegnò la somma raccolta, circa 90.000 lire.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 240}}</ref> Sull'altra nave rimane Bixio con 800 uomini circa.
 
Garibaldi indossò per la prima volta le camicia rossa e non la solita veste di Montevideo, lo faranno in 150, tante erano le divise messe a disposizione.<ref name="Sciro241">{{Cita|Scirocco|p. 241}}</ref> Si contavano 250 avvocati, 100 medici, 50 ingegneri,<ref name="Sciro241" /> e fra i 1000 vi era una donna, [[Rosalia Montmasson]], moglie di Crispi. Partirono da [[Quarto dei Mille|Quarto]], presso [[Genova]]. Cavour il 7 maggio ordinò con un dispaccio di fermare le due navi solo se avessero ormeggiato in un porto della Sardegna, gli ordini giunsero all'ammiraglio [[Carlo Pellion di Persano]] il 9 maggio e chiedendone chiarimenti e riassicurazioni le ottenne il giorno 10.<ref>{{Cita|Mino|p. 290}}, per le trascrizioni degli ordini si veda: {{cita libro|Carlo |Pellion di Persano |La presa di Ancona: Diario privato politico-militare (1860) pp. 78-79|1990 |Edizioni Studio Tesi|Pordenone|isbn = 88-7692-210-5}}</ref>
 
Il 7 maggio si trovano a Talamone. Inviò [[Stefano Turr]] a [[Orbetello]] per rifornirsi di armi, mentre alcuni decisero di abbandonare la spedizione mentre venne affidata una missione a [[Callimaco Zambianchi]] con 64 uomini. I soldati vennero divisi in 8 compagnie che confluirono in due battaglioni ai comandi di [[Giacinto Carini]] e Bixio.<ref>Gli 8 comandanti erano: Bixio, Orsini, Stocco, La Masa, Anfossi, Carini, Cairoli e Bassini, in seguito si aggiunse [[Giacomo Griziotti]], si veda {{Cita|Mino|p. 289}}</ref> Ripartiti, durante il viaggio evitarono per poco una collisione fra le due navi.<ref>Bixio aveva confuso la nave amica per una nemica e la stava speronando {{Cita|Scirocco|pp. 244-245}}</ref> Garibaldi voleva raggiungere [[Trapani]], [[Sciacca]] o [[Porto Palo]],<ref>{{cita libro|Giuseppe |Guerzoni|Garibaldi (Volume 2, seconda edizione), pag 60|1882|Barbera|Firenze}}</ref> solo verso la fine del viaggio cambiò obiettivo dirigendosi su [[Marsala]], ottenendo informazioni da un peschereccio.
 
[[File:Faro del Porto di Marsala.JPG|thumb|L'ingresso del porto di [[Marsala]]]]
Sei navi da guerra borboniche si trovavano nelle acque vicine alle [[Isole Egadi]] presidiavano le coste di [[Marsala]] - sede del Quartiere Militare Borbonico - che proprio in quegli anni intraprendeva scambi commerciali con l'[[Inghilterra]]. Garibaldi, esponendo bandiera inglese, si avvicinò alla costa marsalese facendo finta di essere dei mercanti. Avvenuto lo [[sbarco a Marsala]] giunse una pirocorvetta, la ''Stromboli'' comandata da [[Guglielmo Acton]] dotata di pochi cannoni, non attaccò inizialmente in quanto vi erano nelle vicinanze degli stabilimenti inglesi e due loro navi, la ''Intrepid''<ref>I borbonici dubitavano della nazionalità degli sbarcati, volendo essere certi che non fossero inglesi chiesero lumi all'Intrepid rallentando l'azione, si veda anche {{Cita|Montanelli|p. 358}}</ref> e la ''Argus'' al cui comando vi era Winnington-Ingram, già conosciuto da Garibaldi ai tempi di Montevideo. Alla prima imbarcazione si aggiunse un'altra, la ''Partenope'' con 60 cannoni.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 245}}</ref> Il bombardamento iniziò in ritardo permettendo lo sbarco dei rivoltosi.
 
L'arrivo in Sicilia delle truppe di Garibaldi era stato previsto dallo stesso Francesco II di Borbone che aveva avvertito il principe di Castelcicala, il rappresentante del re nella Sicilia, intorno a Marsala.<ref>{{Cita|Possieri|p. 168}}</ref> Giunti nell'isola, Garibaldi si proclamò dittatore della Sicilia in nome di [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]], da lui appellato ''[[re d'Italia]]''.<ref>L'appellativo di "dittatore" è da riferirsi alla figura del ''[[Dittatore romano|dictator]]'', una magistratura dell'[[Repubblica romana|antica Repubblica Romana]] cui erano assegnati pieni poteri per risolvere emergenze.</ref> Dopo lo sbarco sull'isola, il 12 maggio 1860 lasciarono la città. A [[Salemi]] issò personalmente sulla cima di una delle tre torri del castello Arabo-Normanno la bandiera tricolore proclamando [[Salemi]] ''la prima capitale d'Italia'', titolo che mantenne per un giorno. In quella città proclamò la [[Dittatura di Garibaldi|dittatura]] "in nome di Vittorio Emanuele II re d'Italia".
 
Si uniranno a lui il barone [[Stefano Triolo]] di Sant'Anna con circa sessanta persone e i ''[[Picciotto|picciotti]]'', circa 500, (che vennero poi chiamati da Garibaldi ''i [[Cacciatori dell'Etna]]''<ref>{{cita libro|Marco|Monnier, tradotto da Rocca Escalona|Garibaldi: rivoluzione delle due Sicilie, prima versione dal francese, corredata di rettifiche e giunte, pag 161|1861|A. Detken|}}</ref>). Il generale [[Francesco Landi (generale)|Francesco Landi]], avvertito, con l'aiuto del maggiore [[Michele Sforza]] e del [[VIII battaglione Cacciatori]], inviò delle forze in ricognizione e ingaggiò battaglia con gli invasori.<ref>Le cronache della battaglia elogiano [[Daniele Piccinini]] e [[Augusto Elia]], ferito in battaglia, che difesero Garibaldi, al secondo il nizzardo gli rivolgerà la parola nello scontro:«Coraggio, mio Elia, di queste ferite non si muore» {{cita libro|Augusto |Vittorio Vecchj |La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi, pag 431|1882| N. Zanichelli|}}</ref>
La [[battaglia di Calatafimi]]<ref>Durante lo scontro sono diverse le frasi che si attribuiscono all'eroe: «I Mille non hanno bandiera» quando verrà perso il tricolore e la celebre risposta a Bixio data alla sua richiesta di ritiro «Qui si fa l'Italia o si muore», mentre alcuni rilevano che abbia proferito solamente «Ritirarci, ma dove?» e non entrambe le frasi. Per le frasi si veda: {{Cita|Mino|p. 300}} e {{Cita|Scirocco|p. 249}}</ref> vede la ritirata delle truppe borboniche, terminando con perdite pari, fra quelle del camoglino [[Simone Schiaffino]].<ref>I borbonici lo confonderanno con lo stesso Garibaldi, si veda {{Cita|Scirocco|p. 250}} si contavano 32 morti e 170 feriti nei Mille a cui si aggiunsero una decina di picciotti e dalla parte borbonica 36 le perdite o minori come in {{Cita|Mino|pp. 301-302}}</ref>
 
Finse di recarsi a [[Corleone]] mentre puntava [[Palermo]], ingannando in tal modo il colonnello svizzero [[Giovan Luca Von Mechel]];<ref>A Corleone invece inviò il colonnello [[Vincenzo Giordano Orsini]] con i vari carri {{Cita|Possieri|p. 168}}, nello scontro venne sconfitto ma riuscì a salvarsi.</ref> egli aveva attaccato le truppe di [[Rosolino Pilo]], che perì nello scontro, sconfiggendole. Intanto giunse il generale [[Alessandro Nunziante]] in aiuto del nuovo commissario straordinario Lanza.
 
[[File:CasaGaribaldi.jpg|thumb|La casa della famiglia Fasanelli, che ospitò Garibaldi a [[Rotonda (Italia)|Rotonda]]]]
Il 26 Garibaldi con i suoi uomini, ora circa 750, giunse vicino a Palermo e ricevette i rinforzi di [[Giuseppe La Masa]]; la sera stessa attaccò la città entrando da [[Porta Termini]], raggiungendo alle sei del mattino del 27 maggio piazza della Fieravecchia. Si combatté per diversi giorni, e in aiuto avvenne l'[[insurrezione di Palermo (1860)|insurrezione popolare]]; poi, iniziati gli incontri fra Garibaldi e il generale [[Giuseppe Letizia (generale)|Giuseppe Letizia]],<ref>Fra i due il 6 giugno venne stabilita una convenzione che prevedeva fra l'altro la consegna dei malati e feriti e la liberazione di sette detenuti a Castellamare, si veda: {{cita libro|Giuseppe |Da Forio |Vita di Giuseppe Garibaldi, Volume 2 pag 66|1862 |Perrotti|}}</ref> che rappresentava Landi, dopo vari [[Armistizio|armistizi]] il 6 giugno [[1860]] Landi si arrese lasciando la città ai rivoltosi. Nei giorni trascorsi vari episodi di violenza nella città da parte dei fedeli al nizzardo portarono Garibaldi a decretare la [[pena di morte]] per determinati reati.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 256}}</ref>
 
Il 4 giugno chiamò ''esercito meridionale'' i suoi uomini, mentre il 13 sciolse i gruppi dei picciotti. Era rimasto senza adeguate risorse ma giunsero i vari rinforzi a partire da [[Carmelo Agnetta]] giunto il 1º giugno con i suoi 89 uomini, Salvatore Castiglia, [[Enrico Cosenz]] e [[Clemente Corte]].<ref>Alla fine furono più di 20 le spedizioni. {{Cita|Possieri|p. 173}}. Per un resoconto dettagliato dei rinforzi si veda: {{cita libro|G.|Maculay Trevelyan|Garibaldi e la formazione dell'Italia (appendice B), pp 376-380|1913|Zanichelli|Bologna}}</ref> Le donne palermitane tessono la nuova bandiera dell'esercito: un drappo nero ornato di rosso con l'effigie di un vulcano al centro.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 266}}</ref>
 
Giunge il generale [[Tommaso Clary]] e invia il colonnello Ferdinando Beneventano del Bosco, vice in passato di Von Mechel, a [[Battaglia di Milazzo (1860)|Milazzo]], il 20 luglio ci fu lo scontro. Inizialmente Garibaldi dava ordini dal tetto di una casa, poi scese nella mischia e infine salì sull'unica loro nave a disposizione, la ''Tükory''<ref>Si trattava in origine della corvetta dei napoletani, chiamata ''Veloce'' con 10 cannoni, si veda anche {{Cita|Possieri|p. 174}}</ref> e cannoneggiando la città ottenne il ritiro delle truppe nemiche. La vittoria costò ai soldati di Garibaldi 800 fra morti e feriti.<ref>Le perdite dei borbonici furono molto sostenute, 4 0 5 volte inferiori rispetto a quelle sostenute dall'esercito di Garibaldi, si veda: {{cita libro|Augusto|Vittorio Vecchj |La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi, pag 170 e seg.|1882| N. Zanichelli|}}, {{cita libro|Piero|Pieri|Storia militare del Risorgimento (Seconda edizione), pag 682.|1962|Einaudi|}}, {{Cita|Scirocco|p. 281}}</ref>
 
[[File:Le Gray, Gustave (1820-1884) - Palerme. Portrait de Giuseppe Garibaldi, juillet 1860.jpg|left|thumb|Garibaldi fotografato a Palermo, nel luglio 1860]]
Il 27 luglio Garibaldi giunse a [[Messina]]. Lo stesso giorno ricevette una lettera dal conte [[Giulio Litta-Modignani]] il mittente era Vittorio Emanuele, nella missiva si leggeva una richiesta a desistere nell'impresa di sbarcare sul territorio napoletano,<ref>Della missiva esistono varie versioni, in una di esse si legge: «Per cessare la guerra fra Italiani ed Italiani io la consiglio a rinunziare all'idea di passare colla sua valorosa truppa sul continente Napoletano» stralcio della missiva, contenuto integrale in {{cita libro|Cavour |Camillo Benso |Carteggi: Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, (volume IV), pag 98|1961 |Zanichelli|Bologna}}</ref> a questa prima seguì una seconda, letta a voce o consegnata<ref>Gli storici dubitano della veridicità in quanto la seconda missiva fu resa pubblica soltanto nel [[1909]], si veda {{Cita|Mino|p. 331}} fra le ipotesi avanzate quella di [[Giacomo Emilio Curatolo]], dove suggerì che la missiva fosse stata intercettata da Cavour, si veda anche {{cita libro|Giacomo Emilio |Curatolo|Garibaldi,Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della patria pag 163|2006|Zanichelli|Bologna}}. Inoltre Ridley in {{cita libro|Jasper Godwin|Ridley |Garibaldi, pp. 552|1975 |Mondadori|}} nota come ancora nel 1909 fosse sigillata e quindi ancora non letta, mentre Curatolo suppone fosse stata aperta con un tagliacarte ai margini.</ref> un suggerimento di non seguire l'ordine impartitogli.<ref>La risposta suggerita era: «Dire che il Generale è pieno di devozione e di reverenza pel Re, che vorrebbe poter seguire i suoi consigli, ma che i suoi doveri verso l'Italia non gli permettono di impegnarsi a non soccorrere i napoletani» stralcio della missiva, contenuto integrale in {{Cita|Mino|p. 331}}</ref> in ogni caso Garibaldi rispose, sempre il 27 luglio, negativamente alla richiesta espressa.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 280}}</ref>
 
Il 1º agosto anche [[Siracusa]] e [[Augusta (Italia)|Augusta]] vennero liberate.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 271}}</ref> Tempo prima aveva formato un governo con 6 dicasteri che divennero 8. Il 7 giugno, abolì la [[tassa sul macinato]], pretese che parte del demanio dei comuni venisse diviso fra i combattenti, istituì un istituto militare dove venivano raccolti i ragazzi abbandonati e diede un sussidio alle famiglie in povertà della città di Palermo, cercando nel frattempo l'appoggio dei ceti dominanti. Chiese l'invio di [[Agostino Depretis]] a cui venne affidato l'amministrazione civile, mentre Cavour si preoccupava per le intenzioni del nizzardo.<ref>Cavour e Garibaldi avevano progetti diversi sull'isola: mentre il primo sollecitava l'acquisizione dell'isola al potere di Vittorio Emanuele, il secondo voleva più tempo a disposizione per farne una base per la liberazione del resto del mezzogiorno, si veda {{Cita|Scirocco|p. 274}}</ref>
 
I contadini di [[Bronte]] insorsero contro i possidenti, uccidendone una quindicina nell'attacco; il [[Agente consolare|console]] inglese a [[Catania]] si interessò della questione,<ref>La ducea di Bronte, costituita nel 1798, era stata concessa a Nelson come ringraziamento dei servigi resi, il console inglese temeva per la sorte di tali possedimenti come in {{Cita|Mino|p. 327}}</ref> per cui venne inviato il colonnello [[Giuseppe Poulet]] che risolse il tutto pacificamente.<ref>{{cita libro|Antonino |Radice |Risorgimento perduto: origini antiche del malessere nazionale pag 297|1995 |De Martinis||isbn = 978-88-8014-023-8}}</ref> Il console non gradì il gesto,<ref>{{Cita|Scirocco|p. 278}}</ref> e venne inviato Bixio in quella che definirà in una lettera alla moglie come «missione maledetta»<ref>Lettera del 17 agosto 1860 in {{cita libro|Nino|Bixio, a cura di E. Morelli|Epistolario (volume I) pag 387|1939 |De Martinis|Roma}}</ref> portando l'arresto di 300 persone, una multa imposta alle famiglie, anche le più abbienti, e la fucilazione di 5 persone, il 10 agosto.<ref>Le persone erano: D. Nicolò Lombardo, Nunzio Samperi, Nunzio Spitaleri, Nunzio Longhitano e Nunzio Ciraldo come in {{cita libro|Benedetto |Radice |Nino Bixio a Bronte, pag 167|1963|S. Sciascia|}}</ref>
 
[[File:Napoli Castel Nuovo museo civico - ingresso di Garibaldi a Napoli - Wenzel bis.jpg|thumb|Ingresso di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860 (Napoli, Museo civico di Castel Nuovo)]]
[[File:Garibaldi naples anniversary.jpg|thumb|Manifesto in dialetto napoletano celebrante l'anniversario dell'ingresso di Garibaldi a Napoli]]
Garibaldi tentò i primi attacchi alla penisola senza successo: l'8 agosto [[Benedetto Musolino]] attraversò lo [[Stretto di Messina|Stretto]] a capo di una spedizione di 250 uomini,<ref>{{cita libro|Nicola |Fano |Castrogiovanni, pag 134|2010|Baldini Castoldi Dalai||isbn = 978-88-6073-536-2}}</ref> ma l'assalto al [[forte di Altafiumara]] venne respinto e i garibaldini costretti a rifugiarsi sull'[[Aspromonte]], mentre la Tükoy fallì l'arrembaggio al ''Monarca'' che si trovava ancorato al [[porto di Castellammare di Stabia]] il 13 agosto [[1860]]. A bordo dei due piroscafi, giunti dalla Sardegna, il ''Torino'' e il ''Franklin'' Garibaldi e i suoi uomini sbarcarono a [[Melito di Porto Salvo|Mèlito Porto Salvo]] (vedi: [[Sbarco a Melito]]), vicino Reggio ([[Calabria]]), il 19 agosto [[1860]].<ref>{{Cita|Possieri|p. 177}}, 1200 salirono sulla Franklin con Garibaldi, 3000 sul Torino con Bixio che però si arenò, per i particolari anche del soccorso al Torino si veda {{Cita|Montanelli|p. 393}}</ref>
 
Aggirarono e sconfissero i borbonici, comandati dal generale [[Carlo Gallotti]], nella [[battaglia di Piazza Duomo]] a [[Reggio Calabria]] il 21 agosto.<ref>Le condizioni della resa si leggono in: {{cita libro|Indro|Giuseppe | La Masa e Giuseppe Garibaldi |Alcuni fatti e documenti della rivoluzione dell'Italia meridionale del 1860 riguardanti i Siciliani e La Masa pp. 229-230|1861|S. Franco e figli|}}</ref> I due generali borbonici [[Fileno Briganti]] e [[Nicola Melendez]] forti di quasi 4.000 uomini, senza l'appoggio di [[Giuseppe de Ballesteros Ruiz]], si arresero a Garibaldi il 23 agosto 1860.<ref>{{Cita|Scirocco|pp. 285-286}}, si veda anche {{cita libro|Giuseppe |Ruiz de Ballestreros |Di taluni fatti militari negli ultimi rivolgimenti del reame delle Due Sicilie, pag 454|1868 |Tip. di L. Gargiulo|}}</ref> Briganti venne ucciso dai suoi stessi soldati.<ref>si veda {{Cita|Mino|p. 338}} e {{cita libro|Mario |Montanari |Politica e strategia in cento anni di guerre italiane: Il periodo risorgimentale (Volume 1), pag 454||Stato maggiore dell'esercito, Ufficio storico |}}</ref> Il 30 agosto ebbero la meglio sul generale [[Giuseppe Ghio]].<ref>Raggiunse le truppe che si stavano dirigendo al nord mentre gli insorti gli sbarrarono la strada. Il tutto si svolse nei pressi di [[Soveria]]. Si veda: {{Cita|Mino|p. 338}}</ref> Il 2 settembre l'[[Esercito meridionale]] arrivò in [[Basilicata]] a [[Rotonda (Italia)|Rotonda]] (la prima provincia continentale del regno a insorgere contro i Borboni),<ref>[[Tommaso Pedio]], ''La Basilicata nel Risorgimento politico italiano (1700-1870)'', Potenza, 1962, p. 109</ref> e cominciò una rapida marcia verso nord, che si concluse, il 7 settembre, con l'ingresso in [[Napoli]].<ref>{{Cita|Smith|p. 123}}</ref>
 
La capitale era stata abbandonata dal re [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] il 5 settembre, mentre quasi tutta la sua flotta si era arresa.<ref>Partito sulla nave da guerra il ''Messaggero'', di tutta la sua flotta soltanto la ''Partenope'' restò fedele al re. Si veda: {{Cita|Possieri|p. 178}}, per approfondimenti {{cita libro|Raffaele|De Cesare|La fine di un regno, pag 928|1969|Longanesi|}}</ref> Garibaldi aveva scelto [[Caserta]] per dispiegare le sue forze; nel frattempo, in una sua breve assenza, il 19 settembre 1860 Turr inviò trecento uomini a [[Caiazzo]]; il dittatore, tornando, decise di rinforzare il presidio con altri 600 uomini,<ref>{{cita libro|Piero|Pieri|Storia militare del Risorgimento, seconda edizione, pp 702|1962|Einaudi|Torino}}</ref> contro i 7.000 soldati borbonici che attaccarono il 21 settembre; non saranno sufficienti: le perdite ammonteranno fra morti, feriti e prigionieri a circa 250. Il generale [[Giosuè Ritucci]] prese il comando delle truppe borboniche. Utilizzerà circa 28.000 soldati nell'attacco sferrato il 1º ottobre<ref>Ritardò la data che era fissata in precedenza il 28 settembre, come da {{Cita|Scirocco|p. 295}}</ref> Il nizzardo nella battaglia utilizzò strategicamente la ferrovia, viaggiava in carrozza e quando il veicolo venne attaccato lui continuò a piedi per dare ordini alle truppe. [[Luca Von Mechel]], ora generale, che doveva appoggiare con le sue truppe quelle di Ritucci, venne fermato da Bixio, e si ritirarono, mentre le truppe di Giuseppe Ruiz fermarono la loro avanzata. Garibaldi decise di richiamare circa 3.000 soldati stanziati a Caserta<ref>Lasciando praticamente senza difese la città, si veda {{Cita|Scirocco|p. 296}}</ref> e divise gli uomini inviandone una metà a Sant'Angelo attaccando i borbonici alle spalle comandati da [[Carlo Afan de Rivera]], respingendo l'assalto. La [[battaglia del Volturno]]<ref>A dispetto del nome dato il fiume non divideva mai i due schieramenti, si veda {{Cita|Mino|p. 349}}</ref> vide perdite maggiori fra le file dei garibaldini: quasi 1.900 contro i 1.300,<ref>1.600 fra morti e feriti a cui si aggiunsero 250 prigionieri, per i borbonici si contarono 1220 fra morti e feriti a cui si aggiunsero 74 prigionieri. Si contarono 2.089 prigionieri borbonici il giorno dopo, si veda per resoconti {{cita libro|Piero |Pieri |Storia militare del Risorgimento, seconda edizione, pp 711-726|1962 |Einaudi|Torino}}</ref> ma il giorno dopo vennero catturati poco più di 2.000 soldati borbonici, disorientati, non avendo ricevuto nuove istruzioni.
 
Dopo le votazioni per il [[Plebisciti risorgimentali|plebiscito]] che si tennero il 21 ottobre,<ref>I si furono 1.302.064 e i no 10.312, nella Sicilia 432.053 i si contro 677. Si veda {{cita libro|Romeo|Rosario |Vita di Cavour, pag 483|1984 |Laterza||isbn = 978-88-420-2523-8}}</ref> Garibaldi approfittò della vittoria di [[Enrico Cialdini]] sul generale borbonico [[Luigi Scotti Douglas|Scotti Douglas]] per superare il [[Volturno]] il 25 ottobre; incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre [[1860]], lungo la strada che portava a [[Teano]],<ref>Al quadrivio di Taverna della Catena presso [[Vairano Patenora|Vairano]], dove si incrociano le strade di Cassino-Calvi e Venfaro-Teano, si veda: {{Cita|Possieri|p. 182}}. Venne definito come l'incontro fra i due re, si veda Punch, Volume 38, pag 199</ref> e gli consegnò la sovranità sul [[Regno delle Due Sicilie]]. Garibaldi accompagnò poi il re a Napoli il 7 novembre e, il 9 novembre si ritirò nell'isola di [[Caprera]], partendo con il piroscafo americano ''Washington'', dopo aver ringraziato l'ammiraglio [[George Mundy]].<ref>Rifiutò un castello e un piroscafo come ricompensa da parte del re. Si veda {{Cita|Mino|p. 362}}</ref>
 
Desideroso di presentare il progetto di istituzione di una guardia nazionale mobile, dove sarebbero confluiti i volontari dai 18 ai 35 anni, si recò nella capitale. Il 18 aprile [[1861]] giunto alla camera, nel suo discorso,<ref>Alle sue parole Fanti e Cavour si risentirono, [[Urbano Rattazzi]] sospese per pochi minuti per il tumulto suscitato si veda {{Cita|Scirocco|p. 309}} e {{Cita|Mino|pp. 370-371}}</ref> affermò che il brigantaggio nel mezzogiorno era dovuto in parte allo scioglimento dell'esercito meridionale, avvenuto poco tempo prima, e ne chiedeva la ricostituzione. Inoltre Garibaldi ravvisava nel brigantaggio «una questione sociale, la quale non si poteva risolvere col ferro e col fuoco»,<ref name="Luigi Palomba">Ricordo di Francesco Crispi in onore di Garibaldi, in ''Nuova Antologia'' del 15 giugno 1882. Luigi Palomba, ''Vita di Giuseppe Garibaldi'', E. Perino, 1882, p.796</ref> individuandone i responsabili nel governo e nella borghesia. Secondo una testimonianza di Crispi, Garibaldi, amareggiato da questa guerra fratricida, quando gli riferirono che i briganti non accennavano ad arrendersi nonostante le misure drastiche del governo, avrebbe esclamato: «quanto eroismo miseramente sciupato! cotesti uomini, traviati dal delitto, sarebbero stati soldati valorosi all'appello della patria!»;<ref name="Luigi Palomba" /> ritornò quindi a Caprera.
 
=== La guerra di secessione americana ===
{{vedi anche|guerra di secessione americana}}
Nella primavera del 1861, mentre le truppe unioniste collezionavano una serie di pesanti insuccessi nei confronti delle truppe confederate, il colonnello [[Candido Augusto Vecchi]] scrisse al giornalista statunitense [[Henry Theodore Tuckerman]]<ref>In seguito al suo articolo apparso nel gennaio sul ''[[North American Review]]'', si veda {{Cita|Scirocco|p. 311}}</ref> ipotizzando una partecipazione del generale alla guerra civile americana. Il 2 maggio era apparsa sul ''[[New York Daily Tribune]]'' una lettera scritta in argomento dal Nizzardo. Il console statunitense ad [[Anversa]], [[James W. Quiggle]],<ref>{{cita libro|Alfredo|de Donno|L'Italia dal 1870 al 1944: cronistoria commentata (Volume 1) pag 127|1945|Libreria politica moderna|}}</ref> l'8 giugno scrisse a Garibaldi, offrendogli un posto di comando nell'esercito nordista. L'[[ambasciatore]] [[Stati Uniti d'America|statunitense]] [[Henry Shelton Sanford]] volle accertarsi delle vere intenzioni del generale, che intanto aveva scritto su tale questione a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]].
 
Le richieste avanzate dal Nizzardo riguardavano un impegno deciso per l'emancipazione degli schiavi e l'essere nominato comandante in capo di tutto l'esercito:<ref>Gli fu offerto il comando di una divisione, si veda {{cita libro|Giuseppe |Guerzoni|Garibaldi (seconda edizione), pag 626|1882|G. Barbèra|Firenze}} in quanto il capo dell'esercito era il presidente stesso. per questo la condizione posta era inaccettabile, si veda {{Cita|Mino|p. 376}}</ref> con queste premesse, la trattativa si arenò. Nell'autunno del [[1862]] Canisius, console americano a [[Vienna]], riprese i contatti; tuttavia Garibaldi, ferito e reduce dall'[[Giornata dell'Aspromonte|Aspromonte]], si trovava detenuto a [[Varignano]] e in caso di accettazione si sarebbe prospettato un delicato caso diplomatico. Seguirono passi da parte di [[William H Seward]], segretario di stato di [[Abraham Lincoln]], per far decadere senza esito la proposta.<ref>Fonte: [[Herbert Mitgang]], storico e editorialista del [[The New York Times]], al quale si deve una ricostruzione dettagliata della vicenda</ref>
 
=== La mancata liberazione di Roma ===
[[File:Images nypl orgCA8SEIID.jpg|thumb|Garibaldi a Roma. Schizzo realizzato da [[George Housman Thomas]] durante l'[[Assedio di Roma (1849)|assedio di Roma]]]]
[[File:Monumento a Giuseppe Garibaldi Roma Gianicolo 77-2.jpg|thumb|Monumento di Roma, piazzale del Gianicolo, dettaglio]]
{{vedi anche|giornata dell'Aspromonte|battaglia di Mentana}}
Per l'intera esistenza Garibaldi colse ogni occasione per liberare [[Roma]] dal [[potere temporale]]; grazie al successo passato, nel [[1862]], organizzò una nuova spedizione, senza considerare che [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]], l'unico alleato del neonato [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]], proteggeva Roma stessa. Il 27 giugno [[1862]] Garibaldi si era imbarcato sul ''Tortoli'' a [[Caprera]] per la [[Sicilia]]. Durante un incontro commemorativo della spedizione dei mille, si convinse a marciare verso Roma<ref>Nel suo discorso, proclamato dal balcone del conte Mario Grignani, disse «Sì, Roma è nostra» al che la folla rispose «Roma o morte», si veda: {{cita libro|Giuseppe |Guerzoni con Campanella Collection|Garibaldi: libro di lettura per il popolo italiano, pag 324|1912|G. Barbèra|}} e {{cita libro|Mino |Milani |Giuseppe Garibaldi, seconda edizione pag 389|1982|Mursia|}}</ref> (vedi anche: [[Roma o morte (frase)]]) e trovò 3.000 uomini nei pressi di [[Palermo]] pronti a seguirlo. Il 19 agosto incontrò la popolazione di Catania a [[Misterbianco]].
 
Prese due navi, il ''Dispaccio'' ed il ''Generale Abbatucci'', partendo di sera, costeggiando gli scogli, eluse le navi di [[Giovanni Battista Albini]]. Il 25 agosto 1862, alle 4 del mattino, sbarcava in Calabria, fra [[Melito di Porto Salvo]] e [[capo dell'Armi]].<ref>{{Cita|Montanelli|p. 456}}</ref> Con duemila uomini, continuò la marcia, non seguendo la costa per via del fuoco di una nave; si inoltrarono quindi per il massiccio dell'[[Aspromonte]]. La sera del 28 agosto si contarono 1.500 uomini; il [[29 agosto|giorno successivo]] si scontrarono con le truppe di [[Emilio Pallavicini]] a cui il governo di [[Torino]] aveva affidato circa 3.500 uomini.
 
I [[bersaglieri]] aprirono il fuoco, ma Garibaldi ordinò di non rispondere: tuttavia alcuni dei suoi uomini gli disubbidirono, al che il nizzardo, per far cessare il fuoco, si alzò e venne ferito due volte:<ref>A ferirlo fu un tenente dei bersaglieri, [[Luigi Ferrari (militare)|Luigi Ferrari]], un trisavolo dello storico [[Arrigo Petacco]]. {{cita web|url=http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/09/VERA_STORIA_LUIGI_FERRARI_BERSAGLIERE_co_0_0002096852.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/09/VERA_STORIA_LUIGI_FERRARI_BERSAGLIERE_co_0_0002096852.shtml|dataarchivio=pre 1/1/2016|titolo = Archivio Corsera|accesso = 25 aprile 2010}}</ref> nella coscia sinistra e al collo del piede destro,<ref>{{Cita|Scirocco|p. 323}}</ref> nel [[malleolo]].<ref>{{Cita|Montanelli|p. 464}}</ref> L'episodio della sua ferita sarà ricordato in una celebre ballata popolare su un ritmo di una marcia dei bersaglieri.<ref>Alcuni versi della celebre ballata in ricordo della [[giornata dell'Aspromonte]]: {{Citazione|''Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda il battagliòn.''}}</ref>
 
Dopo circa quindici minuti, quando Garibaldi cadde, il combattimento cessò: si contarono 7 morti e 14-24 feriti nell'esercito regio e 5 morti e 20 feriti fra i seguaci di Garibaldi.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 323}} e {{Cita|Mino|pp. 397 e 588}}. In una lettera di Cialdini si leggeva un numero superiore di perdite dell'esercito regio mentre Dumas afferma che vi furono dei morti anche a combattimento finito, si veda anche {{cita libro|A.|Dumas |La verità sui fatti dell'Aspromonte per un testimonio oculare, pag 58|1862|Scorza|Milano|isbn=978-88-425-2997-2}}</ref>
 
[[File:Garibaldi blessé à la bataille de l'Aspromonte, Gerolamo Induno.jpg|left|thumb|Garibaldi ferito nell'Aspromonte]]
La cosiddetta [[giornata dell'Aspromonte]] fruttò al generale l'arresto. Venne imbarcato sulla pirofregata ''[[Duca di Genova (pirofregata)|Duca di Genova]]'', raggiungendo prima Scilla e poi il 2 settembre giunse a La Spezia venendo rinchiuso nel carcere del [[Varignano]].<ref>Venne alloggiato in un'ala della palazzina del comandante del carcere, contando altre cinque stanze per parenti e ufficiali che lo accompagnavano, si veda {{Cita|Scirocco|p. 324}}</ref>. Fu curato dai medici [[Di Negro]], [[Ferdinando Palasciano|Palasciano]] e [[Agostino Bertani|Bertani]], ma, in considerazione della sua notorietà, accorsero al suo capezzale [[Richard Partridge]] da [[Londra]], [[Nikolaj Ivanovič Pirogov]] dalla [[Russia]] e [[Auguste Nélaton]] dalla [[Francia]]<ref>M.Pia Spaggiari- Luoghi, Personaggi, Episodi del Risorgimento nella Provincia della Spezia - pag. 73 - Ambrosiana Arti grafiche -</ref>.
 
Vittorio Emanuele, per festeggiare il matrimonio nel 1862 della figlia Maria Pia con Luigi I [[re]] del [[Portogallo]], [[amnistia|amnistiò]] i rivoltosi il 5 ottobre dello stesso anno. Garibaldi il 22 fu trasportato all'Albergo "Città di Milano" e venne visitato da [[Auguste Nélaton]],<ref>{{Cita|Scirocco|p. 326}}</ref> che gli applicò uno specillo di propria invenzione in porcellana, che aveva la proprietà di individuare il piombo. La cosa rese possibile al chirurgo fiorentino [[Ferdinando Zannetti]]<ref>{{Cita|Mino|p.400}}</ref> di operarlo il 23 novembre per estrarre la palla di fucile. Venne trasportato sulla nave Sardegna per Caprera. In seguito partì per l'[[Inghilterra]].<ref>Sul ''Ripon'' partì alla volta di [[Southampton]] arrivandoci il 3 aprile, l'11 a [[Londra]], ritornando a Caprera il 9 maggio si veda {{Cita|Scirocco|pp. 330-333}}</ref>
 
Che il tentativo del [[1862]] fosse velleitario, lo provarono i successivi eventi del [[1867]].
 
Garibaldi conobbe nel 1866 [[Petko Voyvoda|Petko Kiryakov Kaloyanov]], più noto come Capitano Petko Voyvoda, durante una sua visita in Italia. Diventarono ben presto amici e Petko fu ospite di Garibaldi per alcuni mesi. Garibaldi lo aiutò a organizzare il "Battaglione Garibaldi" nella rivolta di [[Creta]] del 1866-1869, costituito da 220 italiani e 67 bulgari, che eroicamente combatterono al comando di Petko Voyvoda nella coraggiosa difesa della causa ellenica.
 
Garibaldi promosse una raccolta che chiamò «Obolo della Libertà» contrapponendolo all'«Obolo di San Pietro», e si interessò al centro insurrezionale romano, formando un Centro dell'emigrazione con sede a Firenze.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 341}}</ref> Partecipò al Congresso internazionale della pace, il 9 settembre 1867 a [[Ginevra]], dove venne eletto presidente onorario.<ref>Presentò una mozione in cui si leggeva: «Lo schiavo solo ha il diritto di far la guerra al tiranno. È il solo caso in cui la guerra sia permessa» {{Cita|Montanelli|p. 513-514}}, testo completo (punto ''H'') in {{cita libro|Istituto per la storia del Risorgimento italiano|Rassegna storica del risorgimento, Volume 69 pag 166|1982|Instituto per la Storia Risorgimento Italiano|}}</ref>
 
Preparò un attacco contando sulla rivolta interna della città; dopo una serie di rimandi, senza l'appoggio dello stato, il 23 settembre partì da Firenze, ma il giorno dopo il 24 settembre [[1867]] venne arrestato a [[Sinalunga]] e portato nella [[Cittadella di Alessandria]]. 25 deputati protestarono per l'accaduto: essendo il nizzardo stato eletto nel Mezzogiorno, veniva a infrangersi l'immunità parlamentare<ref>{{Cita|Scirocco|p. 344}}</ref> e i soldati che dovevano sorvegliarlo ascoltavano i suoi proclami dalla finestra della prigione.<ref>Parlava della presa di Roma: "Andremo a Roma, ma non colle vostre baionette, perché di tanto non sono degni" in {{Cita|Mino|p. 437}}</ref> Venne poi portato il 27 settembre prima a Genova e poi a Caprera, isola in [[quarantena]] per colera,<ref>{{Cita|Smith|p. 193}}</ref> dove era prigioniero, sorvegliato a vista.
 
Organizzò una fuga utilizzando [[Luigi Gusmaroli]] come suo sosia. Mentre l'uomo sostituì Garibaldi, il nizzardo lasciò l'isola il 14 ottobre stendendosi su un vecchio beccaccino comprato anni prima e nascosto. Giunse all'isolotto di Giardinelli, e, dopo aver guadato, arrivò a [[La Maddalena (isola)|La Maddalena]] alloggiando dalla signora Collins. Con [[Pietro Susini]] e [[Giuseppe Cuneo]] giunsero in Sardegna, dopo essersi riposati ripartirono il 16 ottobre e dopo aver viaggiato a cavallo per 15 ore, il 17 si imbarca raggiungendo in seguito Firenze il 20.<ref>I dettagli della fuga si vedono in {{Cita|Scirocco|p. 345}}</ref> Partito da [[Terni]] raggiungendo [[Passo Corese]] il 23, contava fra i suoi uomini circa 8.000 volontari,<ref>{{Cita|Scirocco|p. 346}}</ref> in quella che venne riconosciuta come "Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma". Dopo un primo attacco a [[Monterotondo]] il 25 ottobre prese il 26 ottobre [[1867]] la piazzaforte pontificia bruciando la porta utilizzando un carro infuocato penetrandovi con i suoi uomini.
 
Giunse il 29 a [[Castel Giubileo]] e dopo a [[Casal de' Pazzi]], il 30 sino all'alba del 31 rimase in vista di Roma ma non ci fu la rivolta che attendeva e ritirò le sue truppe.<ref>{{Cita|Mino|p. 444}}</ref> Garibaldi non sapeva del proclama del re che aveva sedato gli animi rivoltosi,<ref>Il proclama iniziava con «Schiere di volontari, eccitati e sedotti dall'opera di un partito, senza autorizzazione mia né del mio Governo, hanno violato le frontiere dello Stato» come in {{cita libro|Pieri |Piero |Storia militare del Risorgimento, seconda edizione pag 778|1962|Einaudi|}}</ref> malgrado il sacrificio dei [[fratelli Cairoli]] ([[Scontro di Villa Glori]]) e il sacrificio a Roma della [[Giuditta Tavani Arquati|Tavani Arquati]] e di [[Giuseppe Monti (rivoluzionario)|Monti]] e [[Gaetano Tognetti|Tognetti]] decapitati nel 1868.
 
Decise di recarsi a Tivoli: la partenza era prevista il 3 novembre alle 3 di notte ma venne posticipata alle 11, erano circa in 4.700<ref name="mino448">{{Cita|Mino|p. 448}}</ref> giunti a Mentana incontrano i 3.500 pontifici guidati da [[Hermann Kanzler]]<ref name="mino448" />, ma riuscirono a farli retrocedere; sopraggiunsero quindi i 3.000 francesi guidati da [[Charles De Failly]]<ref name="mino448" />, dotati del fucile [[Chassepot]] a retrocarica in quella che verrà chiamata la [[battaglia di Mentana]]. Di fronte al fuoco Garibaldi continuò l'attacco<ref>«Venite a morire con me! Avete paura di venire a morire con me?» in {{Cita|Montanelli|p. 523}}</ref> ma a una successiva carica annunciata venne fermato da Canzio,<ref>«Per chi vuol farsi ammazzare, generale? Per chi?» disse afferrandogli le redini del cavallo, si veda: {{cita libro|Anton Giulio |Barrili |Con Garibaldi alle porte di Roma pag 523|2007|Gammarò||isbn = 978-88-95010-15-1}}</ref> decise quindi il ritiro delle truppe. Partì con un [[treno]] da Orte alla volta di Livorno, ma presso la [[stazione di Figline Valdarno]] venne nuovamente arrestato e rinchiuso a Varignano il 5 novembre, vi restò sino al 25 novembre, dopodiché tornò a Caprera. Come deputato si dimise nell'agosto del [[1868]].<ref>[http://www.coopfirenze.it/informazioni/informatori/articoli/4964 Itinerari garibaldini in Toscana]</ref>
 
=== La terza guerra d'indipendenza ===
{{vedi anche|Terza guerra d'indipendenza italiana|invasione del Trentino (Garibaldi - 1866)|2º Reggimento Volontari Italiani|Corpo Volontari Italiani|battaglia di Mentana}}
[[File:Telegramma garibaldi Obbedisco.jpg|thumb|Il telegramma di Garibaldi]]
[[File:Stone of Respicio Olmeda in Bilancioni.JPG|thumb|Lapide commemorativa del telegramma inviato da Garibaldi]]
Il 6 maggio [[1866]] si formarono dei [[Corpo Volontari Italiani|Corpi Volontari]]: Garibaldi doveva assumerne il comando, ma invece di 15.000 persone previste si presentarono in 30.000 persone. Sul ''Piemonte'' il 10 giugno Garibaldi partì raggiungendo i suoi uomini. Alla fine si contarono 38.000 uomini e 200 cavalieri, ma di questi utilizzerà inizialmente solo 10.000.<ref>{{Cita|Mino|pp. 412-413}}</ref> Contro di lui il generale [[Kuhn von Kuhnenfeld]] con 17.000 uomini.<ref>{{Cita|Mino|p. 414}}</ref> Doveva agire in una zona di operazioni secondaria, le prealpi tra [[Brescia]] e il [[Provincia autonoma di Trento|Trentino]], a ovest del [[Lago di Garda]], con l'importante obiettivo strategico di tagliare la via fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona.
 
Ciò avrebbe lasciato agli Austriaci la sola via di [[Tarvisio]] per approvvigionare le proprie forze e fortezze fra Mantova e Udine. L'azione strategica principale era, invece, affidata ai due grandi eserciti di pianura, affidati a [[Alfonso La Marmora|La Marmora]] e a [[Enrico Cialdini|Cialdini]]. Garibaldi operò inizialmente a copertura di Brescia, dopo piccole vittorie del 24 giugno e quella del [[Battaglia di Ponte Caffaro|Ponte Caffaro]] il 25 giugno [[1866]]. Il 3 luglio non riuscì a penetrare a [[Battaglia di Monte Suello|Monte Suello]]<ref>In seguito gli austriaci abbandonarono il posto, si contarono 44 morti e più di 200 feriti contro le sessanta perdite complessive austriache, dati in {{Cita|Mino|p. 416}}</ref> dove venne ferito, lasciando il comando a [[Clemente Corte]].<ref>{{cita libro|Giuseppe |Garibaldi|Franco Russo |Memorie.. (Volume 2 di Memorie) pag 464|1968|Avanzini e Torraca|}}</ref>
 
Il 16 luglio respinse una manovra del generale nemico a [[Condino]]<ref>Fra i soldati di Garibaldi si contarono 28 morti e oltre 130 feriti, in {{Cita|Mino|p. 418}}</ref> il 21 luglio gli austriaci presero [[Battaglia di Bezzecca|Bezzecca]] Garibaldi notando i suoi uomini ritirarsi diede nuove disposizioni riuscendo a respingere l'avanzata e a far ritirare il nemico. Si apriva la strada verso [[Riva del Garda]] e quindi l'imminente occupazione della città di Trento. Salvo essere fermato dalla firma dell'[[armistizio di Cormons]]. Il 3 agosto ricevette con telegramma di abbandonare il territorio occupato<ref>Il telegramma iniziava con «Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell'armistizio per il quale si richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo, d'ordine del Re», si veda {{cita libro|Giuseppe|Guerzoni|Garibaldi, (seconda edizione) pag 462|1882|G. Barbèra|}}</ref> rispose telegraficamente: «Ho ricevuto il dispaccio nº 1073. Obbedisco»<ref>Come in {{Cita|Mino|p. 421}}, per questa sua risposta venne poi definito «rivoluzionario disciplinato», si veda: {{Cita|Possieri|p. 210}}</ref> ''"[[Obbedisco]]"'', parola che successivamente divenne motto del Risorgimento italiano e simbolo della disciplina e dedizione di Garibaldi.
 
Il telegramma fu inviato dal garibaldino [[San Giovanni in Marignano|marignanese]] [[Respicio Olmeda in Bilancioni]] il 9 agosto [[1866]] da [[Bezzecca]], evento ricordato su una lapide collocata sulla facciata della sua casa natale in ''via Roma n. 79'' a [[San Giovanni in Marignano]] ([[Provincia di Rimini|RN]]). Il corpo dei volontari venne sciolto il 1º settembre; in seguito ci fu l'episodio di Verona.<ref>A Verona un uomo chiese a Garibaldi di battezzare il proprio figlio, secondo quanto racconta Guerzoni pronunciò le parole: «Io ti battezzo in nome di Dio e del legislatore Gesù. Possa tu divenire un apostolo del vero» in {{cita libro|Giuseppe |Guerzoni|Garibaldi, (seconda edizione) pag 470|1882|G. Barbèra|}}, mentre secondo Felice Cavallotti si limitò a dargli un nome {{cita libro|Felice |Cavallotti |Collana dei martiri italiani: storia della insurrezione di Roma nel 1867, pag 23|1869 |Libreria Dante Alighieri|}}, cosa che ripeté ad Alessandria dando il nome di caduti ai bambini, in {{Cita|Mino|p. 424}}</ref>
 
=== Le campagne in Francia ===
{{vedi anche|battaglia di Digione}}
Durante la [[guerra franco-prussiana]] del [[1870]]-[[1871]], Garibaldi offrì i suoi servigi alla neonata [[Terza Repubblica francese]].<ref>«Quanto resta di me è al vostro servizio. Disponete» disse inizialmente, inascoltato, si veda: {{Cita|Scirocco|p. 351}}</ref> [[Joseph-Philippe Bordone]], con il battello ''Ville de Paris'', raggiunse la Corsica e, per ingannare la sorveglianza della marina italiana, continuò il viaggio su una piccola barca. Indi prese a bordo Garibaldi, che sbarcò a Marsiglia il 7 ottobre [[1870]],<ref>{{cita libro|Giuseppe |Garibaldi e Franco Russo |Memorie... (Vol. 2 di Memorie), pag 502|1968 |Avanzini e Torraca|}}</ref> recandosi poi nella capitale provvisoria francese, [[Tours]]. I primi ordini di [[Léon Gambetta]] furono quelli di occuparsi di qualche centinaio di volontari; il nizzardo rifiutò di eseguire l'ordine,<ref>{{Cita|Scirocco|p. 351}}</ref> ottenendo il comando delle truppe della cosiddetta «Armata dei Vosgi»,<ref>Decise di dividere gli uomini in 4 brigate: 1.500 uomini al comando di [[Joseph Bossack-Hauke]], 2.000 di Menotti, altre due, costituite in seguito, al comando di Ricciotti e [[Cristiano Lobbia]]. Gli effettivi combattenti sono stati circa 8.000, in {{Cita|Mino|p. 463}}</ref> gli uomini furono inizialmente 4.500.<ref>4.500 a ottobre, 10.000 il mese successivo, 18.000 alla fine del 1870 e poi circa 19.500. Si veda {{Cita|Scirocco|p. 352}}</ref> Stabilì dunque il quartier generale a [[Dôle]] e poi l'11 novembre a [[Autun]].<ref>{{Cita|Mino|p. 464}}</ref>
 
Nello stesso mese predispose una spedizione vittoriosa, compiuta da Ricciotti.<ref>Spedì il figlio con 800 uomini attaccando di sorpresa il nemico nella notte del 18 novembre sino al 19 novembre a [[Châtillon-Sur-Saône]] con gravi danni inflitti ai tedeschi, si veda per dettagli delle perdite nemiche: {{cita libro|Charles|de Saint-Cyr|Garibaldi. pag 245|1907 |F. Juven|}}</ref> [[Digione]] intanto era caduta in mani tedesche, comandate da [[Augusto Werder]], e poi era stata abbandonata per l'avanzata delle truppe francesi. Sentenziò la pena di morte al colonnello Chenet perché abbandonò la sua postazione durante il combattimento, ma graziato dagli stessi francesi, la condanna non venne eseguita.<ref>Avrà parole dure per Garibaldi, si veda {{Cita|Mino|p. 467}}</ref>
 
[[File:Garibaldi in Dijon.jpg|thumb|Garibaldi a Digione]]
Garibaldi occupò la città e la difese dall'attacco del 21 gennaio. Dopo tre giorni di combattimenti i tedeschi si ritirarono e in quei giorni fu presa l'unica bandiera dei tedeschi persa nella guerra.<ref>Quella del 61º reggimento di Pomerania, evento ricordato dalla [[Neue Freie Presse]] al momento della sua morte. Si veda {{Cita|Scirocco|p. 358}}. Venne trovata sotto una massa di cadaveri, in {{Cita|Guerzoni1|p. 575}}</ref> Fra i 4.000-6.000 uomini prussiani le perdite furono circa 700.<ref>In seguito ci furono contrasti sugli effettivi di Garibaldi in quei giorni: durante tutta la battaglia non ebbe l'appoggio dei 17.000 uomini di [[Jean-Jacques A. Pellissier]] e gli effettivi furono circa 6.000 uomini. Werder affermò che se fosse stato Garibaldi a dirigere le truppe francesi non si sarebbe persa soltanto una bandiera. In {{Cita|Mino|pp. 471-473}}</ref>
 
Il 29 gennaio venne stipulato un armistizio di alcune settimane, che non tenne conto della zona del sud-est e quindi dei soldati dell'Armata del Vosgi. Il 31 gennaio le truppe di Garibaldi vennero attaccate, il generale sottraendosi allo scontro diresse i suoi uomini in una zona compresa nell'armistizio. Quando terminò la guerra la sua armata fu l'unica che rimase sostanzialmente intatta, con minime perdite.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 354}} e {{Cita|Mino|p. 473}}</ref>
 
[[Victor Hugo]] affermò che soltanto Garibaldi era intervenuto in difesa della Francia, al contrario di nazioni o re,<ref>«Un solo uomo ha fatto eccezione: Garibaldi», originale: «Un seul homme a fait exception: Garibaldi» in {{Cita|Scirocco|p. 357}} e per l'originale {{cita libro|von Fischer Poturzyn Krück|Maria Josepha |Garibaldi pag 323|||}}</ref> affermazione che suscitò aspre polemiche.<ref>Hugo viste le vive proteste successive alle dichiarazioni rese, si dimise dalle cariche parlamentari. In {{Cita|Possieri|p. 222}}</ref>
 
Nel 1871, dopo la proclamazione della [[Terza Repubblica francese]], nelle elezioni politiche tenutesi l'8 febbraio, Garibaldi venne eletto all'Assemblea Nazionale di Bordeaux, nella speranza di far abrogare il [[Trattato di Torino (1860)|Trattato di Torino del 1860]] con cui la [[Contea di Nizza]] era stata ceduta a [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]], la richiesta di ritorno all'Italia sfociò nei [[Vespri nizzardi]] avvenuti tra 8 e 10 febbraio, militarmente repressi. Il 13 febbraio a Garibaldi fu impedito di parlare all'Assemblea Nazionale e, per protesta, si dimise.<ref>[http://cdlm.revues.org/index2693.html ''Les troubles de fevrier 1871 à Nice'' (in ][[Lingua francese|francese]])</ref>
 
=== La società protettrice degli animali ===
{{Approfondimento|allineamento=destra|larghezza=300px|titolo=Il cane di Garibaldi|contenuto=Durante la [[battaglia di San Antonio]] dell'8 febbraio [[1846]], sbucò dalle linee argentine, per raggiungere quelle della [[Legione Italiana]], un cane chiamato poi Guerrillo (a volte citato nei testi come Guerillo o Guerello), finendo con una zampa spezzata da un colpo di fucile. Garibaldi lo soccorse e lo adottò, portandolo con sé anche nel viaggio di rientro in Italia del [[1848]]. Divenne celebre nelle cronache dei tempi come il cane a tre zampe che seguiva Garibaldi e il suo attendente [[Andrea Aguyar]], tenendosi costantemente all'ombra sotto l'uno o l'altro cavallo. Non è dato sapere come e quando sia morto. Scomparve dalle cronache dopo l'[[Assedio di Roma (1849)|Assedio di Roma del 1849]] e si ipotizza che sia perito in tale circostanza.<ref>Giuseppe Garibaldi, ''Le Memorie'', Sonzogno, Milano, 1860.</ref>}}
Garibaldi fu anche un difensore dei [[diritti degli animali]]. A seguito dell'acquisto da parte sua di metà dell'isola di [[Caprera]], avvenuto nel [[1856]] e finalizzato a fare del luogo la propria residenza,<ref>Il privato degli ultimi vent'anni del Generale, il suo intimo legato alla residenza a Caprera, viene raccontato dalla figlia [[Clelia Garibaldi|Clelia]] nel libro ''[[Mio padre (Garibaldi)|Mio padre]]'' pubblicato nel 1948.</ref> Garibaldi – come scrive lo storico [[Denis Mack Smith]] – «più tardi si fece sempre più [[Vegetarianismo|vegetariano]]; lo stretto contatto con la solitaria natura gli diede l'eccentrica credenza che gli animali e perfino le piante avessero un'anima cui non si doveva nuocere. Divenuto mezzo vegetariano, rinunciò quasi interamente anche a bere; ma ritenne il consueto gusto per i sigari».<ref name="smith5">[[Denis Mack Smith]], ''Garibaldi'' (''Garibaldi. A Great Life in Brief'', 1956), trad. di G.E. Valdi, Ed. suppl. a ''[[Famiglia Cristiana]]'', 2001, cap. VI, p. 53.</ref>
 
Nel [[1871]] fu promossa da Garibaldi la prima società in Italia per la protezione degli animali: la Regia società torinese protettrice degli animali<ref>Barbara De Mori, ''Che cos'è la bioetica animale'', Carocci editore, Roma 2007, p. 75.</ref> (oggi [[Ente Nazionale Protezione Animali|ENPA]]), contro i maltrattamenti che gli animali subivano sia in campagna sia in città, specie da parte dei guardiani e dei conducenti.<ref name="mannucci">Erica Joy Mannucci, ''[[La cena di Pitagora]]'', Carocci editore, Roma 2008, p. 103.</ref> Affermava Garibaldi: «Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati da fatica o malattia, questa è la più bella virtù del forte verso il debole».<ref name="manco">Citato in Franco Libero Manco, ''Biocentrismo. L'alba della nuova civiltà'', Nuova Impronta Edizioni, Roma 1999, pp. 202-203.</ref>
 
=== Gli ultimi anni ===
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Garibaldi, pur ritenendo lecita l'uccisione di nemici in battaglia e traditori in [[Legge marziale|tempo di guerra]], a partire dal [[1861]] si batté per l'abolizione della [[pena di morte]], proponendo varie volte una legge che la abolisse del Codice penale vigente.<ref>[http://www.garibaldi200.it/index.asp?ideventi=352 ''Gli ideali di Garibaldi'']</ref>
 
Come detto, il generale fu un grande amante della natura<ref>[http://www.winetaste.it/giuseppe-garibaldi-il-rivoluzionario-ambientalista/ ''Giuseppe Garibaldi, il rivoluzionario ambientalista'']</ref> e degli animali, dei quali si volle circondare anche nella sua residenza di Caprera; questo grande amore si palesò quando nel 1871, anno nel quale Giuseppe Garibaldi, su esplicito invito di una nobildonna inglese, lady Anna Winter, contessa di Southerland, incaricò il suo medico personale, il dottor [[Timoteo Riboli]], con studio in Torino, al n.2 dell'attuale via Lagrange, di costituire una Società per la Protezione degli Animali, annoverando la signora Winter e Garibaldi come soci fondatori e presidenti onorari; oggi la società è nota come [[Ente Nazionale Protezione Animali]] (ENPA). Attualmente l'ENPA è il più antico e importante ente di protezione e salvaguardia animale in Italia. In seguito a queste riflessioni e azioni [[Animalismo|animaliste]], Garibaldi divenne quasi vegetariano in tarda età e rinunciò alla [[caccia]], che era stata una sua grande passione fin da giovane, in nome del rispetto della vita degli animali.<ref name="smith5">[[Denis Mack Smith]], ''Garibaldi'' (''Garibaldi. A Great Life in Brief'', 1956), trad. di G.E. Valdi, Ed. suppl. a ''[[Famiglia Cristiana]]'', 2001, cap. VI, p. 53.</ref><ref name="mannucci">Erica Joy Mannucci, ''[[La cena di Pitagora]]'', Carocci editore, Roma 2008, p. 103.</ref><ref name="manco">Citato in Franco Libero Manco, ''Biocentrismo. L'alba della nuova civiltà'', Nuova Impronta Edizioni, Roma 1999, pp. 202-203.</ref>
 
Un altro grande impegno dell'eroe dei due mondi, come accennato, fu quello per la pace tra i popoli: nonostante le numerose guerre, egli riteneva lecito usare la forza militare solo per liberare le nazioni e difendersi dai nemici, manifestando altrimenti una forte convinzione [[Pacifismo|pacifista]] e [[Umanitarismo|umanitaria]].<ref>Nunzio Dell'Erba, ''L'eco della storia: Saggi di critica storica: massoneria, anarchia, fascismo e comunismo'', Universitas Studiorum, 2013, pag. 20</ref>