Traumi infantili

Uno studio svolto presso l'Università di Washington ha esaminato circa 250 bambini di età compresa tra gli otto e i sedici anni per capire che ruolo hanno avuto i traumi sulla loro crescita. Molti bambini sono stati sottoposti, ad esempio, a violenze fisiche, emotive e/o sessuali e ciò ha aggravato la loro condizione; infatti, alcuni di essi hanno mostrato un invecchiamento biologico più rapido (a causa, probabilmente, dell'aumento della depressione), rispetto ai propri coetanei. Altri, al contrario, hanno mostrato un ritardo nello sviluppo puberale in quanto sono stati spesso trascurati dalla propria famiglia. [1]

Per capire meglio la mente dei bambini e l'effetto dei traumi su di essi, lo psicologo statunitense inventò il Test di appercezione tematica o, più comunemente, TAT. Esso è un test proiettivo in cui venivano raffigurate, attraverso una serie di tavole, delle immagini che riportavano scene quotidiane. I soggetti dovevano spiegarle, capire cosa era successo prima, cosa potrebbe essere successo successivamente e le risposte furono preoccupanti. All'interno dell'ambulatorio si trovavano dodici bambini di età tra i sei e gli undici anni e ciò che differenziavano i pazienti era il tipo di abuso subito. Ad esempio, una bambina che aveva subito molestie sessuali dal padre, davanti a una semplice immagine di una donna incinta di profilo, cominciò a parlare degli organi maschili e femminili, agitandosi tanto da interrompere lo studio. I bambini che invece non avevano subito alcun trauma, riuscivano invece a notare l'aspetto benevolo delle tavole cercando anche delle soluzioni per sfuggire alle difficoltà. Si sentivano protetti in quanto erano amati almeno da una figura genitoriale e le loro risposte non furono particolarmente inquietanti.

Un tratto che accomuna i bambini e le bambine che hanno subito un trauma (soprattutto violenze fisiche o sessuali) è quello di ritrovarsi nelle stesse situazioni, inconsciamente, nella fase adulta. Ad esempio, donne che da bambine sono state esposte al maltrattamento da parte del padre, sono indotte a cercare una figura che metta in atto comportamenti simili in quanto, dal loro punto di vista, pare come qualcosa di normale. Alcune donne, invece, perdono la capacità di fidarsi nuovamente di un uomo in quanto imparare a fidarsi è una sfida importante. Esse hanno grosse difficoltà a iniziare una nuova relazione in quanto proiettano la figura dell'abusatore in ogni potenziale partner. Per questo motivo gli uomini vengono spesso visti come approfittatori che, una volta soddisfatti i propri desideri, finiscono per abbandonarle non riuscendo dunque a istaurare un vero legame con le donne. Coloro che ci riescono, però, anche a distanza di anni in una relazione, non sono in grado di fidarsi totalmente dell'altra persona per evitare di rivivere il trauma. [2]



La guerra

La guerra può dare origine a disturbi mentali e alla follia. Ciò può accadere immediatamente, durante il suo svolgimento, oppure successivamente, dopo giorni e anni. Nella prima guerra mondiale si è parlato di "psicosi traumatica da bombardamento", la psichiatria l'ha denominata "nevrosi da combattimento". In età contemporanea si parla di "sindrome da stress post-traumatico" che viene associato non solamente alla guerra, ma anche ad esperienze che possono suscitare traumi (come lo stupro o assistere alla morte improvvisa di una persona). [3]

La guerra causa sofferenza, i problemi sono molteplici (fame, sete, paura) e alcuni soldati arrivavano alla follia. Essi avevano costantemente paura della morte (provavano anche molta ansia) e ciò portava a incubi terrificanti a ripetizione. Tutto ciò durava anni ed era come una sorta di loop mentale, il trauma veniva rivissuto da svegli ma soprattutto da dormienti, non avendo così un momento di pace. Nella prima guerra mondiale, a causa di tutto ciò, iniziò anche il fenomeno dell'automutilazione. I soldati, piuttosto di continuare a vivere l'orrore della guerra, si sparavano in posti non vitali (come ad esempio mani o piedi) per uscire dalle trincee ed essere portati a farsi curare. Divenne una pratica così comune che i generali applicarono la legge marziale: qualora ci fosse stato il sospetto di una persona che si fosse provocata una ferita da sola e non in guerra, veniva fucilata. [4]

Gli psichiatri, successivamente, introdussero il termine "febbre da trincea", gli inglesi iniziarono a parlare di "shellshock", gli italiani parlarono di "vento degli obici" facendo riferimento all'esplosione di ordigni bellici. I soldati venivano colpiti da una misteriosa sindrome caratterizzata da paralisi, palpitazioni o tremori in ogni parte del corpo e spesso rimanevano in silenzio perdendo la capacità di parlare per qualche ora. Altri sembravano quasi "perdere la testa" per sempre, alcuni invece, dopo un periodo di riposo, riuscivano a tornare in sé. I medici cominciarono a pensare che si trattasse di un disturbo organico, causato da traumi cerebrali conseguenti all'esposizione alle esplosioni. Tuttavia, in un tempo molto breve, dimostrarono che non si trattava di ciò e cominciarono a prendere in considerazione ipotesi basate possibilità psicologiche. Prevaleva l'idea che nei soldati affetti dalla sindrome ci fosse una vulnerabilità fondamentale, che l'asprezza della guerra e le condizioni al fronte erano in grado di far slatentizzare. Tuttavia, gli esperti furono presto costretti ad ammettere che l'esperienza del logoramento e la tattica "delle spallate" aveva un effetto dannoso anche su coloro che non registravano particolari predisposizioni o difetti ereditari. La guerra stessa sembrava essere la causa della malattia. Nelle vicinanze del fronte furono istituiti ospedali per accogliere non solo chi aveva subito lesioni fisiche, ma anche chi mostrava segni di disagio psichico (si stima siano 40 mila le persone in Italia). Queste persone venivano talvolta curate e rimandate sul fronte, a volte, invece, venivano trattenute in un ospedale psichiatrico se i sintomi sembravano troppo strani o troppo gravi per essere trattati in un ospedale da campo. [5]

Durante la guerra del Vietnam, invece, nei soldati aumentò fortemente l'apatia e il senso di inutilità, per non esser stati in grado di aiutare i compagni in difficoltà. Oltre a ciò, si fecero più ricorrenti ricordi e incubi che facevano rivivere le esperienze più traumatiche del passato, influendo gravemente sulla memoria e la concentrazione dei sopravvissuti. I soldati, spesso, a fine guerra, decidevano di abbandonare le proprie famiglie per paura di compiere atti violenti nei loro confronti, concludendo la propria vita in isolamento, con i propri pensieri. Molti veterani vietnamiti furono intervistati sulle loro esperienze di guerra in quanto gli psichiatri desideravano sapere perché alcuni furono in grado di superare tale trauma mentre altri si ritrovarono incatenati dai ricordi. Si notò che molti di essi riuscirono a guarire perché durante la loro esperienza furono accumunati dal pericolo condiviso scambiandosi fotografie e lettere, instaurando rapporti di amicizia. Questi legami affettivi, però, venivano spesso stroncati dalla morte immediata sul campo, creando così nei sopravvissuti un senso di inutilità per non essere stati in grado di proteggere i compagni caduti. Infatti, secondo molte esperienze riportate nel testo "The Traumatic Nevrosis of War" di Abram Kardiner, psicanalista statunitense, i veterani rispondevano a tali avvenimenti con atti di vendetta, in quanto accecati dalla frustrazione. Molti di essi si recavano di notte nei villaggi nemici uccidendo così bambini innocenti, stuprando le donne e sfogando la loro rabbia su di essi e questi soggetti, al rientro in patria, avevano grosse difficoltà nelle relazioni interpersonali in quanto sommersi dalla vergogna per gli atti commessi. [6]

Per permettere ai soldati di superare il trauma, un gruppo di esperti inventò una "pillola contro i brutti ricordi" spiegando che dopo un evento traumatico, troppa adrenalina può produrre ricordi troppo forti, eccessivamente emotivi e radicati. Il loro obiettivo non è far dimenticare alle persone, ma trasformare questo ricordo "speciale" in un ricordo "normale". Per ridurre l'adrenalina causata dal trauma, i medici dell'Università di Harvard hanno fornito a 40 pazienti un farmaco contro l'ipertensione chiamato propranololo nei 19 giorni successivi alla lesione, che interferisce con gli effetti degli ormoni dello stress nel cervello. L'ipotesi valida ha funzionato: una settimana dopo il trattamento, le persone che assumevano contraccettivi sono state in grado di segnalare gli eventi traumatici che avevano vissuto senza sintomi di stress e tre mesi dopo, il loro livello di ansia è stato ridotto. Ciò nonostante questo metodo farmacologico ha prodotto gravi reazioni. Il Comitato per la bioetica della Casa Bianca ha avvertito che cambiando le emozioni per cambiare il contenuto della memoria, potrebbe cambiare la nostra identità. Sostiene che cancellare i ricordi di esperienze terribili può renderci insensibili alla sofferenza e all'ingiustizia subite dagli altri. [5]

Altri invece si affidavano agli ambulatori psichiatrici che furono invasi dai veterani che desideravano risolvere i propri traumi per poter ritornare alle proprie vite. Ciò però non ebbe gli esiti sperati in quanto i medici, non qualificati, provocavano un vero e proprio flashback senza portare una reale guarigione. Inoltre, i farmaci prescritti funzionavano a malapena e anche per questo motivo furono costretti ad abbandonare il trattamento rifugiandosi nell'alcolismo, in abuso di sostanze, depressione e persino schizofrenia.

Oggi però è stato ipotizzato, secondo uno studio pubblicato su Lancet Neurology, che questi traumi sono in realtà causati da lesioni fisiche al cervello derivate dal rumore incessante delle esplosioni (aumentò di conseguenza l'insonnia; vivere costantemente con i rumori delle mitragliatrici, bombardamenti aerei, bombe esplosive, ha completamente alterato la fase dormiente). Per effettuare la ricerca è stato esaminato il cervello di 8 ex soldati deceduti, dopo qualche anno dalle esplosioni, dimostrando così lesioni, non visibili alla risonanza magnetica e alla TAC, nelle zone del cervello che interessano la memoria, le abilità cognitive e il sonno. [5] Inoltre. il Dr. Michele Giannantonio spiega che esiste una vasta letteratura che conferma che ci possono essere alterazioni neurologiche e biochimiche in alcune situazioni traumatiche (soprattutto quelle con un effetto duraturo nel tempo). Ad esempio, alcuni testi mostrano alterazioni nel volume dell'ippocampo destro per quanto riguarda gli ex-veterani ma anche nelle donne che hanno subito abusi sessuali (infatti alcuni psicologi sostengono che i reduci del Vietnam hanno subito traumi simili alle vittime di uno stupro).


Note

  1. ^ https://www.stateofmind.it/2018/12/trauma-conseguenze-bambini/, Giovanni Belmonte, L’effetto del trauma sulla crescita dei bambini, 18 dicembre 2018, 28 dicembre 2020
  2. ^ Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p. 125-126.
  3. ^ Giovanni Caruselli, ABC della mente umana, Milano, Selezione Reader's Digest, 1991, p. 30-31.
  4. ^ Valerio Castronovo, Nel segno dei tempi, MilleDuemila, Firenze, La Nuova Italia, 2015, p. 102-103.
  5. ^ a b c https://www.reportdifesa.it/disturbo-post-traumatico-da-stress-dalla-grande-guerra-ad-oggi-quello-che-sapevamo-e-quello-che-abbiamo-imparato/, Sara Palermo, Disturbo post-traumatico da stress: dalla Grande Guerra ad oggi quello che sapevamo e quello che abbiamo imparato, 18 novembre 2020, 10 febbraio 2021 Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome ":8" è stato definito più volte con contenuti diversi
  6. ^ Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p. 13-21.

Bibliografia

1. https://www.stateofmind.it/2018/12/trauma-conseguenze-bambini/, Giovanni Belmonte, L’effetto del trauma sulla crescita dei bambini, 18 dicembre 2018, 28 dicembre 2020

2. Giovanni Caruselli, traduttore: Rita Baldassarre Parks, ABC della mente umana, Milano, Settimio Paolo Cavalli, 1991

3. Valerio Castronovo, Nel segno dei tempi, MilleDuemila, ISBN:978-88-221-8544-0, La Nuova Italia, Firenze, Elda Bossi, Giuseppe Maranini, 2015

4. https://www.focus.it/cultura/storia/i-traumi-di-guerra-nel-cervello-non-nella-mente, Chiara Palmerini, I traumi di guerra nel cervello, non nella mente, 15 giugno 2016, 29 dicembre 2020

5. Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014