Testaroli
"il Testarolo", "o "Testaieu". . . è quello che si cuoce nei "Testetti", "i Testétti". sono tipo di cibo - a riprova della bontà nella semplicità delle "nostre cose liguri" - tornato oggi così di moda, che dalla Valgraveglia dove da sempre a tutt'oggi, con un particolare tipo di malta di quei posti e in modo artigianale vengono prodotti, son scesi nel tempo giù giù fino al mare ma hanno anche raggiunto le altre parti del Genovesato che oggi, per via di chi ha disegnato le "nuove" carte geografiche otto-novecentesche, si trovano in altra provincia!
Testaroli | |
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Origini | |
Luogo d'origine | ![]() |
Regioni | Toscana Liguria |
Zona di produzione | Pontremoli, Mulazzo, Zeri, Filattiera, Bagnone, Villafranca in Lunigiana[1] |
Dettagli | |
Categoria | primo piatto |
Riconoscimento | P.A.T. |
Settore | paste alimentari |

Sappiamo bene che il cibo, come i funghi, i tartufi, le piante, ecc. non risentono dei confini più prossini disegnati dall'uomo sulla terra che però, per via di una serie di fattori dovuti sopratutto alla mano dell'uomo (nel senso di Menchen/persone/umanità), nel tempo vanno incontro a modificazioni come è avvenuto nella Lunigiana[2].
La loro storia è legata alla zona della Lunigiana e in particolare ai paesi di Pontremoli, Castagnetoli, Fosdinovo, ed in generale tutti i paesini della Lunigiana e dell'estremo levante ligure, da dove provengono.
Nel complesso panorama gastronomico Ligure e Lunigianese, caratterizzato tradizionalmente da cibi poveri, ricavati dalla magra economia locale di stampo prettamente agricolo, il testarolo è venuto alla ribalta nel secondo dopoguerra grazie alla produzione industriale, la quale, per definizione, permette la realizzazione di grandi numeri per la prima volta anche se i "Testaieu" son cibo da cuocere e cibarsene al momento e senza posteriori ribollimenti
Descrizione
Sono fatti con acqua, farina e sale (anticamente farro)[senza fonte] e si preparano mescolando gli ingredienti in una pastella fluida cotta a legna per alcuni minuti a formare una specie di crespella di alcuni millimetri di spessore. La cottura avviene in particolari contenitori chiamati testi, anch'essi di origine antica, un tempo in terracotta o in ghisa[3][4]. Si tratta di grosse teglie costituite ciascuna da due parti: il "soprano", con la semplice funzione del coperchio, e la parte inferiore, nella quale si mettevano a cuocere i cibi più diversi, detta "sottano". Rispetto a molte altre tipiche preparazioni alimentari (come ad esempio le citate crespelle), il testarolo cuoce a contatto con il sottano senza mai essere girato: la parte superiore del disco di pasta cuoce quindi grazie all'irradiazione di calore fornita dal soprano.
L'uso del testo era funzionale alle necessità di un'economia agricola e pastorale che, in lunghi periodi dell'anno, prevedeva il trasferimento degli operatori in aree lontane dall'abitazione abituale, per cui pastori e contadini, nella necessità di cuocere il cibo, trasportavano il testo nelle nuove residenze provvisorie e qui, proprio grazie al prezioso strumento, erano in grado di preparare i cibi più disparati.
Il testarolo s'inserisce in questo contesto come un tentativo di variare la qualità della ristretta proposta gastronomica, possibilità di un uso diverso della farina di grano appetibile soprattutto perché comportava la presenza di condimento.
Preparazione
- Si versa la pastella nei testi di ghisa precedentemente lasciati arroventarsi sulla fiamma viva, si coprono con la parte superiore del testo, detta soprano, e si lasciano cuocere tipo forno per qualche minuto. Quando la cottura ha raggiunto il livello desiderato si toglie il testarolo dalla parte inferiore del testo, detta "sottano".
- L'antica ricetta prevede di tagliarlo a losanghe di circa 5 cm di lato, portando nel mentre ad ebollizione una pentola d'acqua salata; una volta che l'acqua bolle si spegne il fuoco e si inseriscono i testaroli tagliati per farli rinvenire per un minuto circa.
- In epoca moderna si è imposto il pesto alla genovese come condimento principe per il testarolo.
Una delle novelle nel libro Novelle di Valdimagra di Pietro Ferrari ha ad oggetto proprio la ricetta dei testaroli.
Presidio Slow Food
Il testarolo è un presidio Slow Food[1] e ha una precisa ricetta depositata, ma spesso viene ancora confuso con i simili (ma non uguali)[senza fonte] Panigacci. Si possono condire secondo la ricetta Slow Food che prevede un "pesto povero" fatto da parmigiano reggiano invecchiato 24 mesi inverdito da un trito di basilico, si cospargono i testaroli con questo "misto" e solo dopo si aggiunge un buon olio extravergine di olive.
La variante fosdinovese e della Val di Magra
Il testarolo fatto a Fosdinovo e nel suo comune si differenzia da quello lunigianese per le più piccole dimensioni (15-20 cm di diametro contro i 40 cm di quelli pontremolesi), la diversa preparazione (si prepara una pastella abbastanza fluida fatta di acqua, sale e farina che poi si versa su un testo in metallo o in terracotta scaldato; in pochi minuti è cotto e pronto per essere mangiato) e perché non viene tagliato, condito e servito in un piatto, ma viene farcito con olio d'oliva, pesto, pecorino grattugiato, sugo di funghi, salumi, stracchino o altro (anche ingredienti dolci come la Nutella), arrotolato su se stesso e mangiato a mo' di panino. Tipico anche di alcuni comuni della Val di Magra, in particolare Castelnuovo Magra e Sarzana.
Note
- ^ a b Testarolo artigianale pontremolese, su Fondazione Slow Food. URL consultato il 3 giugno 2015.
- ^ Testaroli della Lunigiana, su terredilunigiana.com. URL consultato il 3 giugno 2015.
- ^ Sui testi caldi - Testaroli tipica della Lunigiana dalla cottura particolare, su coopfirenze.it. URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2015).
- ^ Virginia Maxwell, Alex Leviton, Leif Pettersen, Toscana e Umbria, EDT srl, 2010, p. 379, ISBN 88-6040-575-0.
Bibliografia
- Stefania Rossi, I menù della tradizione lunigianese, Pontremoli, Città del Mondo, 1997.
- Massimo Dadà, Guida di Fosdinovo. Cultura, storia e natura di un angolo di Toscana tra alpi Apuane e mare, Edizioni Giacché, 2010, ISBN 88-6382-016-3.
Voci correlate
Altri progetti
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