Marcello Mascherini

scultore e scenografo italiano (1906-1983)

Marcello Mascherini (Udine, 14 settembre 1906Padova, 19 febbraio 1983) è stato uno scultore e scenografo italiano.

Marcello Mascherini

Biografia

Nacque da Maria Luigia Mascarin e da padre ignoto il quale non lo riconobbe alla nascita. Dopo una permanenza a Fagnigola di Azzano Decimo, nel 1912 si trasferisce a Trieste, importante città dell’Impero Austro-Ungarico, ma nella primavera del 1915 è costretto a fuggire assieme alla madre, in quanto sudditi del Regno d’Italia. Stabilitosi ad Isernia, nel Molise, apprende i primi rudimenti artistici frequentando artigiani locali e si diploma alla Regia Scuola d’arte applicata all’industria. Ritorna a Trieste solamente nel 1919 alla conclusione della Guerra. Qui frequenta la Scuola per capi d'arte dell'Istituto industriale "Alessandro Volta", dove si formò con Alfonso Canciani e poi con Franco Asco, diplomandosi nel 1924. Lavora quindi per un breve periodo nello studio di quest'ultimo poté sviluppando un linguaggio più personale, lontano dalla formazione meramente accademica.

Scrivendo di lui nell'importante monografia del 1969, il poeta e amico Alfonso Gatto riporta:

«questa condizione di autodidatta e di solitario lo costringe ad un più duro lavoro, a smarrimenti e a faticosi recuperi persino a esperienze ormai esaurire da altri; ponendolo in continuo confronto con se stesso e nella necessità di dovere contare soltanto sulle proprie forze, ne è favorito così il definirsi della sua persona.»

L'esordio avviene con una prima mostra nel 1925 esponendo alcuni gessi al Circolo artistico di Trieste. Da qui incomincia un'attività espositiva sempre più intensa a livello nazionale partecipando: dal 1931 a tutte le prime dieci rassegne della Quadriennale romana, con sale personali nelle edizione del 1948 e 1959-1960; alle Triennali di Milano nelle edizioni 1933, 1936, 1951, 1960; a partire dal 1934, ad undici edizioni della Biennale Internazionale di Venezia con sale personali nel 1938, 1942, 1954, 1962 ricevendo nel 1950 il Primo Premio per la Scultura ex-aequo con Luciano Minguzzi; alle Biennali d’Arte Triveneta e Concorsi Internazionali del Bronzetto di Padova (ininterrottamente dal 1951 al 1973)[1]. La I Quadriennale del 1931 gli permette di entrare in contatto con la scultura di Medardo Rosso, ma soprattutto di Arturo Martini, che, come ebbe egli stesso a dire, gli fornì una “scossa”, una profonda emozione (assieme alla scoperta dell’arte etrusca nel Museo di Villa Giulia a Roma), tali da spingerlo ad una libertà e ad una spontaneità della forma, a cui, dentro di sé, già aspirava. Alla V Triennale del 1933, nel salone della Mostra Internazionale dei Trasporti ordinata da Gustavo Pulitzer Finali con disegni di Bruno Munari, espone la grande opera in gesso Icaro, per cui riceve il Diploma di medaglia d’argento. L’anno successivo l’opera verrà riallestita nella “Sala d’Icaro” dall’architetto Giuseppe Pagano con una pittura murale di Bruno Munari per l’Esposizione dell’Aeronautica Italiana al Palazzo dell’Arte della Triennale di Milano.

Nel 1931, su invito di Giò Ponti e Gustavo Pulitzer Finali, esegue i due profili in bronzo Il Duce e Il Re per la Sala delle Feste della motonave Victoria I. Entra in contatto con lo scultore Libero Andreotti, il pittore Augusto Cernigoj e gli architetti Gustavo Pulitzer Finali e Giò Ponti, iniziando così una lunga attività di collaborazione con artisti ed architetti di fama per la realizzazione di opere d’arte collocate in transatlantici e navi da crociera: Calitea (1933), Vulcania (1934), Saturnia (1936), Roma (turbonave, 1938), Roma (corazzata, 1940), Italia (1948), Esperia (1949), Conte Biancamano (1949), Australia (1950-51), Augustus (1951), Homeric (1954), San Giorgio (1956), Ausonia (1957), Federico C. (1958), Franca C. (1959), Leonardo da Vinci (1960), Guglielmo Marconi (1962), Oceanic (1964), Italia (1965), Raffaello (1965), Angelina Lauro (1966), Achille Lauro (1966).

Nel 1940, su segnalazione di Giò Ponti, viene invitato a collaborare al riallestimento della sede del Rettorato dell’Università di Padova, il Palazzo del Bo, assieme ad altri importanti artisti, tra i quali Arturo Martini, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, Gino Severini, Bruno Saetti e Achille Funi, realizzando i battenti figurati bronzei Minerva e Apollo del portale del Senato Accademico e della Basilica, nonché il Crocefisso per la stanza del Rettore. È l’occasione di conoscere l’artista padovano dello smalto Paolo De Poli, con cui stringerà un lungo sodalizio.

Le sue partecipazioni si spingono oltre i confini nazionali, raggiungendo prestigiosi riconoscimenti dall’estero: nel 1936 riceve il Diploma d’Onore alla Esposizione d’Arte Italiana Contemporanea a Budapest, il Diploma di Medaglia d’Argento all’Esposizione Internazionale di Parigi nel 1937 e la Medaglia d’Oro per la Scultura all’Esposizione Internazionale di Budapest nel 1938, mentre nel 1939 viene invitato all’Esposizione Universale di New York. ricordando la decisiva I Biennale Internazionale di San Paolo del Brasile del 1951 (la seconda biennale più longeva dopo quella veneziana), ritornandovi poi alla II edizione del 1953. Dal 1953 partecipa ad otto rassegne della Biennale di Scultura di Anversa, facendo conoscere la propria opera in vari musei europei. Nel 1957 il critico Bernhard Degenhart promuove con forza una sua mostra personale a Monaco di Baviera, che diventerà itinerante toccando le maggiori città tedesche. Espone in innumerevoli mostre di scultura italiana itineranti all’estero, di è da ricordare il tour in Giappone, tenendo a Tokyo due mostre personali nel 1968 e 1972. Musei giapponesi conservano sue opere, tra cui ad esempio i grandi bronzi Chimera alata (1958) e Primavera (1968), entrambi al The Hakone Open Air Museum a Yokohama. Risulta poi vincitore del Premio Parigi 1951 a Cortina d’Ampezzo e nel 1953 compie il suo primo viaggio nella capitale francese, dove tiene un’importante personale alla Galerie Drouant – David. S’inserisce così nell’ambiente artistico parigino, frequentando ed entrando in amicizia con lo scultore cubista Ossip Zadkine, lo scrittore musicista jazz Boris Vian e il regista-attore Jean Louis Barrault, che lo riavvicinano al teatro d'avanguardia.

Nel 1948 esordisce come scenografo e costumista al Teatro Verdi di Trieste con Cartoni animati, balletto di Mario Bugamelli. L'attività spettacolare procede con la fondazione nel 1957 del gruppo teatrale La Cantina (similmente a quello che accadrà nelle cantine romane degli anni '70) presentando opere d'innovazione, talvolta in prime nazionali come L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett con la regia e recitazione protagonista di Gian Maria Volontè. Fino al 1974, le numerose collaborazioni con il Teatro Verdi e il Teatro Stabile di Trieste si contano oltre venticinque spettacoli nel ruolo di scenografo, costumista e regista. Due produzioni romane da ricordare sono le scene e i costumi per il balletto contemporaneo Tautologos di Aurel Milloss (musiche di Luc Ferrari) e il Don Giovanni di Mozart al Teatro dell’Opera di Roma, rispettivamente nel 1969 e nel 1970.

Conclude la carriera artistica con il periodo dei Fiori, da cui uscirà una preziosa collaborazione con l'editore Vanni Scheiwiller. Nel 1970 riceve a Milano il Premio Nazionale “Umberto Biancamano 1970” per la Scultura (gli altri premiati sono Giorgio De Chirico per le Arti Figurative, Eugenio Montale per la Cultura, Ettore Sottsass per il Design, Arnoldo Mondadori per l’Editoria, Riccardo Morandi per l’Architettura, Aldo Aniasi per la Politica). Nello stesso anno tiene una mostra antologica alla Internationale Sommerakademie fuer Bildende Kunst di Salisburgo, dove è invitato a tenere un corso di scultura, che ripeterà l’anno successivo.

Opere

 
Scultura per la sala Icaro Esposizione aeronautica italiana 1934 Milano
 
Sculptura Cantico dei Cantici (1957) sculpturepark Paracelsus-Klinik, Marl in Germania

L'opera, soprattutto scultorea, di Mascherini potrebbe essere riassunta in "periodi", tuttavia deve essere considerato come idee e forme per un artista siano confluenti tra di esse anche a distanza di decenni. In principio egli fa riferimento a forme fortemente muscolari ma dialoganti con dell'art déco degli anni '20. Il giovane artista raccoglie commissioni più "decorative", come è il caso del Cimitero di Sant'Anna e altri cantieri edilizi di Trieste. Questo primo periodo più "architettonico" necessita di ulteriori approfondimenti. Tuttavia si nota già un interesse nel modellato di alcuni rilevanti protagonisti nazionali come Medardo Rosso. Nei tardi anni '20 le forme si fanno più abbondanti e rigide, tipicamente razionaliste. Nei primi anni '30 l'ammirazione per il gusto martiniano è evidente, intuizione che darà il plauso a Mascherini dalla critica dell'epoca. Il 1931 è un anno di svolta, visita infatti il sito romano di Villa Giulia, rimanendo affascinato dalla collezione antica, provocandogli una spinta che si può definire warburghiana - Nachleben der Antike, sopravvivenza dell'antico - che non lo abbandonerà più come si evice sia tematicamente nei numerosi riferimenti ai titoli delle opere (dalla mitologia mediterranea) sia formalmente (sezionando ad esempio gli arti delle sculture per richiamare il danno subìto dalle opere antiche, senza dimenticare la tensione delle forme fanciullesche o abbondanti). Non è da escludere che una certa influenza sull'opera mascheriniana sia dovuta alla scultura nuragica, ma non è chiaro quando questa influenza si debba far iniziare. Altre influenze rilevanti sono quelle date dalla produzione di Aristide Maillol già evidente nei primi anni '40 e più tardi dai volumi geometrici dati dalla scultura cubista di Brancusi. Aprendosi quindi alle avanguardie europee più "nobili" dell'epoca. Testamento scultoreo "mediterraneo" dell'artista è il grandissimo bassorilievo di 12 m di diametro, l'Anello degli Argonauti, oggi in due esemplari al Museo della Scienza di Milano e nell'Aula Magna dell'Università di Trieste (il gesso preparatorio). Le sculture dalle forme abbondanti dei tardi anni '40 incominciano a mutare in una tensione più "acrobatica" come la definisce Alfonso Gatto, concludendosi a singhiozzo all'inizio degli anni '60. Probabilmente questo periodo culmina alla metà degli anni '50, caratterizzato da volumi con articolazioni - soprattutto all'altezza delle mani, piedi e collo - molto affusolate e fragili, ma immerse in un'atmosfera idilliaca e edenica. Le intersezioni degli arti risultano cubiste, ma elettrizzate da un gusto mediterraneo tutto particolare. Le figure sembrano tutte partecipanti a una danza rituale, abbandonate da ogni sforzo o fatica. Con il progetto per il Monumento di Auschwitz, questa epoca bucolica sembra sfiorire. Il progetto internazionale è stata una notevole azione da parte di diversi paesi del blocco occidentale durato dieci anni (1957-1967) e incontrando diversi ostacoli e cambi di direttivo. La prima fase di scrematura delle proposte progettuali - gestita da una giuria internazionale presieduta prima dallo scultore britannico Henry Moore e poi dallo storico dell'arte italiano Lionello Venturi - ha visto 426 gruppi da tutto il mondo, di cui solo 7 passarono la prima selezione. Il gruppo composto rappresentante la città di Trieste, composto da Mascherini e Roberto Costa, era riuscito a inserirsi in quest'ultima rosa di scelte, tuttavia verrà affidato il cantiere a Roma con il team Julio Lafuente, Pietro Cascella, Andrea Cascella (gli altri erano: Varsavia con: Oskar Hansen, Jerzy Jarnuszkiewicz, Julian Pałka, Lechosław Rosiński, Edmund Kupiecki, Zofia Hansen, Tadeusz Plasota; ancora Varsavia con il team Alina Szapocznikow, Jerzy Chudzik, Roman Cieślewicz, Bolesław Malmurowicz; Roma con il team Maurizio Vitale, Giorgio Simoncini, Tomasso Valle, Percile Fazzini; Berlino Ovest con Helmut Wolff; nuovamente Varsavia con il team Andrzej Jan Wróblewski, Andrzej Latos). All'inizio degli anni '60 si nota un'ulteriore evoluzione del gusto mascheriniano che affida sempre più la "pelle" - come la definisce l'amico Giuseppe Zigaina - al calco della pietra carsica. Lo stesso Mascherini dichiara che con Morte in miniera (1962) questa propensione all'affidarsi totalmente alle forze della natura è ormai dichiarata. Quest'opera è poi dedicata alla tragica vicenda dei minatori italiani di Marcinelle. Le figure umane diventano sempre più "informali", perdendo i dettagli e ritrovando la non-completezza dei bronzetti etruschi. Pareti rocciose, sassi, cortecce e parti di alberi vengono ricomposti in una nuova configurazione e sostituendo abiti e parti del corpo dei soggetti sempre più catturati in istanti tragici. Lacerazioni, grida e contratture parlano di un mondo in pericolo globale. Nei tardi anni '60, ma soprattutto all'inizio degli anni '70, i soggetti vanno incontro a una metamorfosi identica a quella toccata alla Dafne mitologica: volti e corpi che sono inglobati da un arbusto o un albero, che assurdamente trovano finalmente una pace ora che non sono più formalmente umani. Soprattutto dopo il 1968 si nota come la pelle carsica diventi più protagonista del soggetto stesso che diventa un mero pretesto. Se prima i movimenti umani e quelli vegetali trovavano un ritmo comune, l'artista sembra adesso più interessato al movimento del ramo cresciuto in condizioni difficili sopra il Carso, sbilanciato tra stagioni calde a quelle troppo ventose. Dal 1972 si piò far cominciare l'ultimo grande periodo, quello dei Fiori, dove la figura umana è totalmente negata e rifiutata. Sono fiori primordiali mai esistiti, una forma di vita così lontana dall'epoca attuale da diventare quasi fantascientifici. L'operazione può ricordare i readymade di duchampiana memoria o l'arte povera che sta prendendo piede tra i nuovi movimenti giovanili. Difficile affermare dove l'artista triestino abbia trovato ispirazione, probabilmente nelle lunghe passeggiate vicino al suo atelier di Sistiana e che riportano a una "sopravvivenza della natura" più che dell'antico. Sassi, rami (spezzati, trovati, segati) sono ricomposti poeticamente in una sorta di "pacifica" e muta foresta del VII Cerchio dantesco.

Bibliografia

  • Luciano Padovese, Giancarlo Pauletto, Mascherini: cento disegni, Pordenone, Edizioni Concordia 7, 1996, pp. 31.
  • Alfonso Panzetta, Marcello Mascherini. Scultore (1906-1983), catalogo generale dell'opera plastica, Torino, Umberto Allemandi, 1998.
  • Marcello Mascherini, Lettere 1930-1982, a cura di Massimo De Sabbata, Torino, Umberto Allemandi, 2008.
  • Roberto Curci, Civilissimo e barbaro. Marcello Mascherini scultore, Torino, Umberto Allemandi, 2005.
  • Cristina Beltrami, MASCHERINI, Marcello, in Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani. URL consultato il 10 ottobre 2011.
  • Lorenzo Nuovo, Marcello Mascherini e Padova, Milano, Skira, 2017.
  • Paolo Quazzolo e Francesco Bordin (a cura di), Marcello Mascherini. Il teatro, Torino, Umberto Allemandi, 2021.

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  1. ^ Biografia « Marcello Mascherini, su marcellomascherini.it. URL consultato il 10 ottobre 2024.