Dal XIII al XIX secolo, Pisa vede operare un gran numero di maestri vasai, capaci di realizzare diversi tipi di ceramica applicando più tecniche di produzione.

Prima dell'avvento della maiolica arcaica, l'unica produzione di ceramica era quella di vasellame privo di qualsiasi tipo di copertura e decoro dipinto (per questo talvolta detto anche “acromo”), destinato alla cottura degli alimenti (da fuoco), o alla loro conservazione nelle dispense e alla portata da mensa[1].

I vasai pisani, dai primi decenni del XIII secolo fino alla seconda metà del XVI secolo, venuti a contatto con ceramiche di importazione prodotte in diversi centri del bacino mediterraneo e, probabilmente, con l’aiuto di maestranze provenienti dall’area islamica, cominciano a realizzare e commerciare un nuovo tipo di ceramica rivestita, poi definita dagli studiosi “maiolica arcaica”[2].

Parallelamente all'ultima maiolica arcaica (metà XV-XVI secolo) e fino almeno alla metà del XIX secolo, i maestri vasai hanno prodotto anche ceramiche rivestite di ingobbio decorate con varie tecniche di graffitura ("a punta", "a stecca" e poi "a fondo ribassato")[3].

Cenni Storici

Già dall'età romana la città di Pisa ha avuto un’importante storia manifatturiera di vasellame ceramico[4]. I vasai pisani potevano disporre di una grande quantità di materia prima che, almeno a partire dal Basso Medioevo, veniva cavata sfruttando i depositi alluvionali del fiume Arno. L’argilla di questo tratto fluviale, una volta cotta, conferisce ai manufatti il caratteristico colore rosso-arancio[5].

L'unica produzione di vasellame fino a tutto il XII secolo era di recipienti privi di coperture vetrose e di decorazioni[6]. Le prime attestazioni scritte riguardanti artigiani che lavoravano l'argilla risalgono alla seconda metà di questo secolo. I documenti parlano infatti dei tegolai che principalmente realizzavano materiale edilizio, ma non può essere escluso che questi non producessero contemporaneamente prodotti destinati alla vita quotidiana[N 1].

Dai primi decenni del XIII secolo la storia manifatturiera della ceramica cambia drasticamente grazie all'introduzione di nuove tecnologie per la produzione di vasellame. Viene adottata in città, infatti, la tecnica della smaltatura e dell'invetriatura, che i vasai pisani poterono apprendere grazie ai contatti avuti con maestranze straniere di area spagnola e vasellame di importazione mediterranea che abbondava in città già dagli anni finali del X secolo fino al XV. La maiolica arcaica, specie nella sua versione più semplice (monocroma), venne prodotta a Pisa fino alla fine circa del XVI secolo[7]. Contemporaneamente alla maiolica arcaica le officine ceramiche pisane sfornarono nella prima metà del XV secolo una nuova categoria di manufatti, le maioliche arcaiche policrome, che subiscono un aggiornamento nella cromia dei decori con l'introduzione del giallo[8]. Questa produzione venne presto abbandonata quando, dalla metà circa del XV secolo, vennero prodotte le ceramiche ingobbiate e graffite principalmente “a punta”, “a stecca” e poi “a fondo ribassato”[9].

Grazie alle fonti documentarie si è potuto tracciare un quadro abbastanza completo sui maestri ceramisti che si sono susseguiti in città dal XIII fino al XVII secolo. Questi documenti sono soprattutto costituiti da notizie riguardanti contratti di lavoro, acquisti, affitti e vendite, censimenti, testamenti, ma vi sono anche carte giudiziarie[N 2].

Tali scritti hanno consentito anzitutto di individuare le “cappelle” di appartenenza dei ceramisti, dove cioè possedevano il domicilio e/o l'esercizio in città[10]. Le principali cappelle interessate sono:

  • San Biagio alle Catene.
  • San Salvatore in Porta Aurea.
  • San Pietro (o San Piero) in Vincoli.
  • Sant’Andrea Fuori Porta.
  • San Pietro ad Ischia.
  • Santa Lucia.
  • San Nicola (o San Niccolò).
  • Sant’Andrea in Kinzica (o Chinzica).
  • San Giovanni al Gatano.
  • San Paolo a Ripa d'Arno.
  • San Vito.

Diverse nomi e qualifiche lavorative sono state individuate nei documenti esaminati: barattolaio, broccaio, coppaio, fornaciaio, orciaio-orciolaio, scodellaio, stovigliaio, vasellaio-vasaio, maestro, apprendista o lavorante. Un individuo può anche essere indicato con più qualifiche contemporaneamente.

Attività dei ceramisti fra il XIII e gli inizi del XVII secolo secondo le fonti scritte

XIII secolo

Già agli inizi del XIII secolo sappiamo che i vasai pisani cominciano a commerciare le proprie merci al di fuori dell'ambito cittadino, almeno lungo il tratto fluviale interno e in area tirrenica[N 3]. Alcuni documenti rilevanti sono gli Statuti del 1287, che impongono ai “tegolai” precisi limiti per cavare l'argilla. Essi infatti non potevano prelevarla più in zone del centro cittadino, né di loro proprietà, né di altri, lungo le sponde del tratto fluviale che taglia in due la città. Insieme ai tegolai vengono citati i “barattolai” che, almeno in questo secolo, sono probabilmente produttori di vasellame; più tardi, con questo termine verranno indicati i rivenditori di ceramica[11]. Sempre il “Breve” del 1287 emanato dal Comune di Pisa, fornice chiarimenti su dove veniva raccolta la sterpaglia da ardere e cioè tra le foci del Serchio, dell'Arno e a San Piero a Grado. Questo inoltre indicava ai ceramisti la quantità massima di combustibile da poter tenere nella propria bottega, e cioè non superiore a quella necessaria per una infornata. Sappiamo infatti che questa precauzione nasce con la crescita del lavoro degli artigiani pisani che gradualmente cominciarono ad affittare diversi terreni per la raccolta del combustibile e per prevenire gli incendi[12]. Una testimonianza in tal senso è data anche dai documenti riguardanti Niccolò Piloso che, nel 1283, compera dall’Arcivescovo di Pisa la paglia necessaria alla cottura[13]. Un altro esempio è quello di Lotto di Bartolomeo che, nel 1291, riesce ad ottenere il permesso per tagliare la paglia tra l’Arno e il Serchio per due anni[13].

In questo periodo, un altro termine legato sicuramente alla ceramica è quello di scodellaio. Fornisce un esempio Nino di Lorenzo, della cappella di San Lorenzo in Pelliparia, che nel 1291 possedeva una casa con fornace affittatagli da Giovanni Visella.

Fra i ceramisti del XIII secolo riveste un ruolo molto importante Bondie di Uguccione da Cerreto perché diede il via ad una tradizione famigliare che si imporrà nella scena artigiana pisana fino al secolo successivo. Altre due importanti famiglie di ceramisti sono quella dei Del Broccaio e di Vinacetto da Bacchereto[13][14][15].

Le fonti scritte testimoniano soltanto due fornaci in questo secolo, una per sponda. La prima era nella zona dove oggi sorge la chiesa della Spina, a sud, la seconda invece sorgeva nella cappella di San Lorenzo in Pelleria, a nord[14].

Dalla documentazione scritta risulta che nel XIII secolo sono presenti a Pisa 26 operanti nel settore, di cui 21 barattolai (1 è indicato barattolaio e coppaio), 1 scodellaio, 4 vasai (1 indicato vasaio e broccaio)[N 4][16].

XIV secolo

Già all'inizio del secolo con “barattolai” ci si riferisce solo ai rivenditori di vasellame e non più a produttori diretti. A conferma ci sono alcune fonti scritte. Per esempio, dai documenti si riesce ad evincere che gli oggetti da mensa e da cucina erano presenti nelle case dei cittadini in quantità sufficienti a soddisfare i bisogni della vita quotidiana. Per le occasioni importanti, come matrimoni e banchetti, che richiedevano un maggiore quantitativo di stoviglie per la mensa, gli oggetti da tavola venivano affittati proprio dai barattolai. Ad esempio, nel 1371 Vanni di Senso detto Rosso, dà in prestito alcune stoviglie da mensa all’Opera del Duomo in occasione della festa dell’Assunta[17]. Un documento frammentario dello “Statuto della Curia dei Mercanti” fornisce la conferma che questi siano solo rivenditori. Infatti i barattolai facevano parte di questa corporazione in quanto vengono citati esplicitamente nel documento, dovendo pagare alla Curia o ad un suo rappresentante una certa somma di denari di Pisa per poter svolgere la professione. A riprova di ciò si ha uno Statuto del 1350 dove i barattolai non compaiono tra i facenti parte dell'Ordine del Mare, di cui invece erano membri i vasellai, broccai e scodellai, produttori di ceramica[18]. Come attestano le fonti documentarie, anche le donne praticavano questo mestiere[19]. I barattolai si concentravano nella zona compresa tra le cappelle di San Iacopo al Mercato, San Paolo all'Orto e San Pietro in Vincoli, oltre che nel tratto cittadino che corre dall'odierna Piazza delle Vettovaglie fino a Piazza Dante[20].

Invece, la ceramica destinata all'esportazione veniva venduta direttamente sulle rive del fiume. I ceramisti pisani si affidavano agli "scafaioli" per il trasporto della propria merce, ma non mancano casi in cui lo stesso produttore di vasellame possedeva delle imbarcazioni, come Paolo di Chele[20].

In questo periodo è ancora presente in città un'importante famiglia di ceramisti provenienti da Bacchereto (Pistoia): si tratta di due fratelli, Baccarugio e Fardo di Vinacetto, che esercitavano la loro professione nella cappella di San Vito. Un nipote dei due, Fardino, insieme al cugino Pupo di Fardo, continuarono l’attività familiare nella stessa cappella. La famiglia, nonostante la florida attività consolidata a Pisa, aveva conservato alcune proprietà nel paese di origine dove, nel 1340, fa ritorno Fardino. Proprio Bacchereto, come dimostrato da una vasta ricerca archivistica e archeologica, è un altro grosso centro di produzione ceramica toscano. Pur essendo due centri molto vicini, Pisa e Bacchereto tendono ad avere una forte autonomia e peculiarità produttiva durante questi secoli[21][N 5].

Altre famiglie di ceramisti provenivano da centri come Cerreto, Lorenzana, Gambassi e Siena[22].

L'ormai defunto Bondie di Uguccione lascia la propria attività a due dei suoi figli: Bindo (1314-1335) e Pupo (1329-1339), anche loro residenti nella cappella di San Vito. Il figlio di quest’ultimo continua nella stessa cappella l’attività di broccaio fino al 1347 e probabilmente il sapere del mestiere viene tramandato ad un altro discendente, come potrebbe far supporre l’esistenza nella seconda metà del XIV secolo di un Piero di Bindo, broccaio nella cappella di San Vito[21].

Nella seconda metà del secolo l'organizzazione del lavoro comincia a cambiare, ad evolversi, in quanto si assiste ad una produzione più massiccia e alla formazione delle prime "compagnie" di artigiani. Questo perché a Pisa, ma anche altrove, la ceramica smaltata aveva ormai consolidato il suo ruolo nella vita quotidiana. Ne è una prova la grande quantità di scarti d'uso ritrovati sia nel circuito cittadino, sia in diverse località toscane, di altre regioni d'Italia ma anche estere. La prima compagnia conosciuta è del 1389, stipulata tra Nino di Giovanni, della cappella di San Paolo a Ripa d'Arno, e Rainaldo di Stefano, di San Vito[20][23]. Dalla documentazione d'archivio si nota come le officine ceramiche site nel quartiere di San Vito tendono progressivamente a chiudere e/o spostarsi in altre zone della città, più lontane dal centro ma sempre a ridosso dell'Arno. A partire dalla metà del XIV secolo infatti sono testimoniate diverse case - botteghe nella zona di San Paolo a Ripa d'Arno e a San Giovanni al Gatano, a sud del fiume, grossomodo in linea d'aria al quartiere di San Vito. Qui era sicuramente più agevole cavare l'argilla rispetto alla zona di San Vito in quanto San Paolo e San Giovanni erano fuori le mura e tale migrazione fu probabilmente stimolata anche da lavori che interessarono gli arsenali[24]. Un esempio è dato da Andrea di Nardo broccaio, che già nel 1386 stava in San Vito, ma dal 1404 prende a livello un pezzo di terra con fornace a San Paolo a Ripa d'Arno.

Un altro broccaio, Rustico figlio di Enrichetto, nonostante abbia un'attività a San Vito, viene registrato nel 1403 come abitante di San Paolo a Ripa d'Arno dove insieme a Cione di Lenzo prende in affitto la casa di Andrea di Chimento anche loro vasai. Assume particolare rilievo il fatto che mentre i vasellai conosciuti di San Vito nella prima metà del XIV secolo sono più del doppio di quelli di San Paolo a Ripa d’Arno mentre nella seconda metà del secolo si registra una situazione opposta e successivamente, nel XV secolo, si conoscono pochissimi vasai in San Vito.

I ceramisti, oltre a dedicarsi alla loro principale occupazione, potevano anche svolgere cariche pubbliche come Lupo di Orlando che nel 1372 è anziano del popolo[25].

Il totale di ceramisti censiti nel XIV secolo è di 114[26].

XV secolo

Nel XV secolo (1406) assistiamo alla caduta della Repubblica di Pisa sotto la dominazione Fiorentina. Ne conseguì una grave crisi economica e sociale che interessò soprattuto commercianti e artigiani, colpiti da una dura tassazione sulle esportazioni delle proprie manifatture. Iniziò così un fenomeno migratorio importante, basti pensare che nel primo quarto del secolo i ceramisti censiti erano 66, mentre nell'ultimo quarto solo 18. Una prima causa di questo decremento può essere attribuita agli scontri iniziali tra pisani e fiorenti: si ha infatti notizia che molti cittadini legati al mondo della ceramica parteciparono attivamente al conflitto come guardie cittadine, capitani di guardia, o guardie del gonfalone bianco[27]. Va detto comunque che almeno in questo periodo, artigiani stranieri arrivarono verso Pisa. Questi (12 in totale) si spostarono da centri quali Lucca, Milano, Montaione, Piombino, Pistoia, Siena, Viterbo, etc. Solo più avanti si assiste ad alcune partenze verso Lucca, Savona e Faenza[28].

Gli artigiani pisani che lavorano l'argilla, per far fronte a questa situazione di crisi, si riorganizzarono nel lavoro. Ci sono documenti, datati rispettivamente al 1419 e al 1421, che possono essere considerati dei veri e propri contratti di lavoro tra diverse persone, con delle clausole ben precise da rispettare, assicurate da sanzioni in caso di infrazione[N 6].

Nei due scritti spicca la presenza di un personaggio, tale Ranieri di Antonio Bu, che pur non essendo un artigiano fa da garante in quanto possessore di una fornace e investitore di denaro[29][30]. Il primo accordo, del 14-20 luglio 1419, non venne approvato mentre il secondo, del 20 gennaio 1421, della durata di cinque anni fu registrato nella cappella di Sant’Egidio. I ceramisti coinvolti nell’accordo del 1421 sono:

  • Casuccio di Giovanni, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
  • Leonardo di Andrea, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
  • Antonio di Andrea, broccaio della cappella di Sant’Andrea in Chinzica.
  • Marco di Lorenzo, vasaio della cappella di Sancti Gosme.
  • Tommaso e Piero di Giovanni (fratelli), vasai della cappella di Sancti Gosme.
  • Betto e Michele di Andrea (soci), vasai della cappella di San Vito.
  • Antonio di Giuliano di Paio, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.

Di seguito qualche punto dell’atto[29]:

  • Una clausola consentiva la produzione di qualsiasi tipo di ceramica, mentre vietava l'apertura di nuovi esecizi sia in città che nel contado.
  • I ceramisti potevano vendere la propria merce sia all’ingrosso (sopra i 100 manufatti), che al minuto (meno di 100), ma secondo i prezzi e le quantità prestabilite.

Ad esempio, troviamo definiti i turni (o gite) per le vendite all’ingrosso e i quantitativi massimi. Ad ogni affiliato spettava una gita nella quale poteva vendere dai 2000 ai 2500 pezzi. Solo a Casuccio di Giovanni era permesso vendere 4000 pezzi a turno perché già da prima che il contratto fosse firmato gestiva più di un esercizio con un alto numero di dipendenti.[29]:

Alcuni prezzi concordati per la merce sono riassunti nella seguente tabella[31][29]:

Merce Prezzo (nel 1421) “Rationem” (quantità) Vendita
Vasa et scutellas Fiorini 10 Per 1000 pezzi Ingrosso
Catinellas de medio quarto Soldi 5 Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto
Catinellas de medietate vantagginas[32] Soldi 3 e mezzo Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto
Catinellas de medietate de charovana[33] Soldi 2 e denari 4 Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto
Catinellas de metrata vantagginas Soldi 1 e denari 8 Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto
Catinellas de metrata de charovana Soldi 1 Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto
Scutellas alba Libbre 3 Per 100 pezzi Ingrosso
Gradalettos albos Soldi 29 Per 100 pezzi Ingrosso
Vasa de medio quarto vantaggina Soldi 1 e mezzo Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto
Vasa alba de medio quarto Soldi 3 Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto
Vasa et scutellas de charovana Libbre 2 e soldi 5 Per 100 pezzi Ingrosso
Vasa et scutellas de charovana Denari 6 Per 1 pezzo (pro qualibet) Minuto

Ancora qualche clausola del contratto prevedeva che[29][34]:

  • la merce doveva essere venduta nelle proprie botteghe, ad eccezione degli scarti che potevano essere venduti altrove.
  • Ranieri di Antonio Bu riscuoteva un compenso di due grossi d’argento per ogni 1000 pezzi venduti.
  • ad ogni “gita” doveva essere presente il vasaio al quale spettava la “gita” successiva.
  • chi aveva l'attività fuori le mura, poteva vendere direttamente ai marinai, anche nelle ore notturne. La vendita dei pezzi doveva comunque rispettare le cifre pattuite, e un affiliato dell'Arte o un apposito delegato doveva essere presente durante l'operazione di carico.
  • per l’invenduto venivano stabiliti nuovi prezzi almeno da due artigiani appartenenti all’Arte.

Secondo quarto del XV secolo

La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma altri documenti testimoniano una florida attività anche in questo periodo. Poco dopo infatti, nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti[35]. I tre soci erano:

Socio Interesse Apprendisti - Lavoranti - Garzoni
Casuccio di Giovanni (VA) + Cardo di Piero Un terzo Antonio/Bartolomeo/Giovanni/Menico/Prardino del fu Maso/Pasquino di Piero/Piero di Antonio di Cardo (nipote di Cardo)
Michele Bonaccorso (BR - VA) Un terzo Piero di Niccolò
Leonardo di Andrea (BR) Un terzo /

Casuccio ormai ottantenne, continua ad avere un ruolo fondamentale nel mondo della ceramica, sebbene la figura di Cardo di Piero al suo fianco è stata sicuramente importante. Quest’ultimo entrò nella bottega di Casuccio come apprendista in età giovanissima per rimanervi in seguito con mansioni sempre più importanti fino a diventare l’erede principale di Casuccio dopo la sua morte, avvenuta tra il 1430 e il 1432. Cardo però già nel 1430 fa a sua volta testamento perché probabilmente soffriva di qualche malattia. Morirà infatti nel 1439[36]. Il gran numero di lavoranti alle loro dipendenze indica chiaramente come la loro attività fosse molto florida. Leonardo di Andrea faceva parte dei ceramisti che firmarono il contratto del 1421. Negli anni di società con Casuccio e Leonardo egli abita nella cappella di San Paolo a Ripa d'Arno fuori le mura, in casa del primo, sopra la sua bottega. Di Michele Bonaccorso si sa che prima di questa occupazione, svolse l’attività di “materassaio” e solo nel 1425 viene indicato come broccaio, poi vasaio nella società in questione[37].

Anche in questo periodo esistono attività dedite alla sola rivendita oppure al noleggio. Nel 1428 ad esempio Gaspare di Paolo del Rosso dichiara di avere nella sua bottega[38]:

«più masserizie da nozze, cioè da desinari la quale poi prestiamo, cioè caldaie, treppie, schiedoni, altri taglieri e scodelle e altre cose, come richiede il mestiere.»
Il quadro economico dei ceramisti negli anni 1428-1429

Prima dell'amministrazione Fiorentina fino ai primi decenni del XV secolo le imposte venivano ripartite con il sistema dell’estimo. Le valutazioni però non erano del tutto idonee ad un’equa ripartizione fiscale perché interessavano soprattutto i beni immobili favorendo quindi mercanti e banchieri i quali lavoravano maggiormente con beni mobili.

Dal 1429 entra in vigore, un nuovo metodo tassativo disposto da Firenze per tutti i suoi distretti, ovvero il catasto. La base di partenza era una autocertificazione per nucleo familiare in cui figuravano il nome del padre/capofamiglia, la professione, il luogo di abitazione della famiglia, la descrizione dei singoli beni immobili e mobili, la misura, la rendita ed il valore di essi. In base poi a valutazioni fatte dagli ufficiali del catasto, che si basavano su diversi fattori, l'imponibile poteva essere diminuito o aumentato. Le detrazioni si basavano principalmente su ogni persona che stava alle dirette dipendenze del capofamiglia, su affitti di case e botteghe, su livelli, debiti, salari a dipendenti e obblighi testamentari. I forestieri che prendevano domicilio a Pisa erano esenti dalle tasse per venti anni, come pure i medici e, per quindici anni, alcune famiglie aristocratiche pisane che presero accordi con il governo Fiorentino. Su un totale di 1752 famiglie: il 12% risulta esente da tassazioni (considerati “miserabili”) perché senza lavoro oppure inabili e tra questi figurano due operatori nel campo della ceramica. Tra i ceramisti più ricchi troviamo il broccaio Andrea del maestro Andrea e Casuccio di Giovanni, mentre l’imponibile dei suoi giovani soci Michele di Bonaccorso e Leonardo di Andrea è piuttosto basso. Cardo di Piero invece figura nella dichiarazione in comune con il fratello Antonio. Il motivo per il quale gli artigiani pisani cominciarono a costituire compagnie lavorative potrebbe essere legato anche al nuovo sistema esattoriale. Infatti, la dura tassazione del governo occupante colpiva soprattutto le Arti che avrebbero potuto concorrere con quelle fiorentine. Perciò, per reagire a questa pesante penalizzazione i ceramisti pisani ricorsero alla formazione di società, costituite da due o più soci, piuttosto che concorrere tra loro[39].

Commercio di ceramiche all'entrata della Legathia (Degazia) tra il 1441 e il 1443

Il registro della dogana di Porta a Mare, nota in quel periodo come Porta della Degazia o Legathia che si erge ancora oggi ad ovest della città, costituisce una testimonianza fondamentale perché mostra come alcuni ceramisti pisani produssero una mole impressionante di vasellame destinato all'esportazione. Di questo è possibile avere molte informazioni grazie alle gabelle riscosse dalla dogana tra gli anni 1441 e 1443[40].

Nonostante il campo della ceramica contasse in questi anni numerosi artigiani, nelle pagine datate dal 24 febbraio 1441 al 27 giugno 1443, spiccano solo tre “vasai”: Sano di Gherardo, Frediano Mangiacavoli e Antonio di Andrea del Mancino. Dal giugno 1442 quest'ultimo non compare più nei registri della dogana perché aveva costituito una compagnia di cinque anni con Frediano Mangiacavoli. Le annotazioni relative a questi vasai concernono sia ceramiche importate sia esportate (che sono prevalenti). Le cifre da pagare per queste ultime sono valutate secondo quanto stabilito dalla Gabella fiorentina del 1408, per “ciascuna cotta di vagelli … cioè fornace quando quocie”, tassata ciascuna soldi 14. Ogni “cotta” comprendeva circa 2000-2100 pezzi[41].

Sano di Gherardo, mantiene una posizione preminente dal 1441 al 1442, mentre nel 1443 il più attivo risulta Frediano Mangiacavoli che già in questo anno, come detto, è in società con Antonio di Andrea del Mancino. Nel periodo in cui la compagnia fra Antonio di Andrea del Mancino e Frediano Mangiacauli è stata più attiva, si hanno fino a quattro cotte al mese; la stessa capacità di produzione aveva la fornace di Sano di Gherardo. Risulta quindi che tra il 24 febbraio 1441 e il 27 giugno 1443 sono state pagate complessivamente le gabelle per 113 “cotte”, cioè per circa 230.000 pezzi. Contemporaneamente però sono registrati a parte dei pagamenti anche per varie migliaia di pezzi calcolati in base al loro numero o al loro valore. Nei documenti in questione vengono citati anche ceramisti provenienti da aree anche molto lontane da Pisa: genti di Livorno (2-3), Elba (1), località liguri come Noli, Chiavari, Rapallo, Genova, Moneglia, Levanto (8), dalla Corsica (3), da Cremona (1), e forse da altri siti iberici e tedeschi. Sebbene le esportazioni di ceramiche sono quelle maggiormente attestate, sono presenti anche esportazioni di manufatti non pisani. Si tratta soprattutto di ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto[42].

L'apprendistato

La presenza di uno o più garzoni nelle botteghe ceramiche era molto frequente. Grazie alla documentazione archivista è possibile oggi esporre qualche esempio, soprattutto inerente a come maestro e apprendista instauravano un rapporto che andava oltre il mero aspetto lavorativo. Il padrone dell'attività, oltre a garantire al garzone un salario, dava vitto e alloggio e non di rado forniva anche il vestiario. L'apprendista invece si impegnava a rispettare gli ordini del maestro, ad essere sempre disponibile, se richiesto, in tutte le 24 ore anche nei giorni feriali. Il padrone era obbligato a trattare con rispetto il suo apprendista e ad insegnargli il mestiere. Ad esempio è arrivato fino ai nostri giorni un accordo stipulato nel 1427 tra Piero di Nicolò di Francesco e la compagnia di Cardo di Piero, Leonardo di Andrea e Michele Bonaccorso. Una volta finito il suo apprendistato, che durava normalmente da 1 a 3 anni, il garzone poteva rimanere nella bottega del suo maestro oppure aprirne una propria[43]. In questo periodo comunque era praticata anche la schiavitù. Sappiamo infatti che nel 1441 presso due fornaci in società, lavorava uno schiavo di origine russa il cui stipendio veniva incassato dal suo padrone[44].

Seconda metà del XV secolo

In questo periodo spicca l'attività di un ceramista in particolare, Sano di Gherardo Borghesi. Costui probabilmente già nella metà del XV secolo, aveva introdotto nella propria bottega la produzione di ceramiche ingobbiate e graffite. Tale affermazione è possibile sulla base di alcuni documenti che citano per la prima volta la presenza di “terre bianche” a Pisa. Il primo documento risale al 1441, quando Sano paga alla dogana di Porta a Mare una certa somma per alcuni “sacchi di bianco”. Un altro documento invece concerne il testamento dello stesso, registrato presso un notaio nel 1485. Vengono spartite tra i figli tutte le proprietà del vasaio, comprese le materie prime necessarie alla produzione di vasellame; tra queste vengono citate anche le “terre bianche”. Tale citazione, e la compresenza di stagno nella bottega, permette di ipotizzare la contemporanea di produzione della prima ceramica ingobbiata e dell’ultima maiolica arcaica. La famiglia Borghesi, di origine livornesi, si stanziò a Pisa con Gherardo nel 1382; la moglie Gadduccia rimane vedova nel 1412 con tre figli: Domenico, Sano e Matteo. Sano, fu molto attivo nella sua professione di vasaio, ed il suo lavoro gli permise di mantenere una numerosa famiglia. Suo figlio Gherardo, nato nel 1427, lavora come “fornaciaio”, ma anche “vagellaio”, anche se la sua attività sembra dedita soprattutto alla fabbricazione e vendita di materiali edilizi[45].

Tra la prima e la seconda metà del XV secolo sono attivi a Pisa 115 artigiani: 6 barattolai (1 indicato come barattolaio e vasaio), 20 broccai (3 indicati come broccai e vasai), 1 orciolaio, 1 scodellaio, 4 stovigliai, 68 vasai (2 indicati come vasai e barattolai, 2 vasai e broccai, 1 vasaio e fornaciao), 14 apprendisti (6 indicati come apprendisti vasai) e 1 fornaciaio[N 7].

Come già accennato, l’annessione di Pisa allo stato Fiorentino ha influenzato negativamente la fiorente attività delle botteghe pisane: basti pensare al confino politico imposto dagli occupanti che costrinse sia i ceti dirigenti che quelli più poveri ad allontanarsi dalla città. Fu vietato inoltre l’ingresso agli abitanti del contado pisano[46]. Alcune delle fornaci attive a Pisa tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo furono distrutte dai fiorentini durante i primi periodi della dominazione. Infine, l’innalzamento delle imposte costrinse in ginocchio i cittadini. Spesso case e botteghe rimaste vuote dopo il conflitto venivano distrutte dagli stessi proprietari per non essere tassati[47]. I vasai pisani, nell'ultimo quarto del XV secolo erano solamente 13 a fronte dei 66 del primo quarto[48].

XVI secolo

Una timida ripresa si ha nei primi tre decenni del Cinquecento, quando quattro nuovi ceramisti arrivano a Pisa dal contado pisano e fiorentino: la rinnovata stabilità seguita alla riconquista fiorentina di Pisa (1509) può avere influito anche sulle attività cittadine che, dopo un periodo di crisi, ricominciano a vedere crescere la produzione e il numero di vasai[N 8].

Note

Esplicative

  1. ^ Fonti archeologiche mostrano invece che i tegolai sono già attivi all'inizio del XII secolo in un'area chiamata "tegularia" (vedi Clemente 2017, p. 133). Per ulteriori informazioni riguardo la zona di produzione e l'attività dei tegolai si veda Garzella 1990, p. 198 e Berti - Renzi Rizzo - Tangheroni 2004, pp. 3-4.
  2. ^ Tutte queste fonti sono conservate principalmente negli Archivi di Stato di Pisa e di Firenze, in quello Arcivescovile e della Mensa, nel Capitolare ed in quelli di altre comunità religiose pisane (vedi Berti - Renzi Rizzo 1997, pp. 225.
  3. ^ Sono stati ritrovati numerosi reperti riconducibili a ceramiche di produzione pisana in Toscana Settentrionale, in Corsica e Sardegna (si rimanda alla sezione dedicata in Maiolica arcaica di Pisa).
  4. ^ Una zona ad est del quartiere di Chinzica, si chiamava in quel tempo «Baractularia» (area attualmente occupata dal Giardino Scotto) e con ogni probabilità il nome faceva riferimento al gran numero di barattolai presenti nella stessa; si veda Berti - Renzi Rizzo 1997, pp. 226-227. L’unico scodellaio citato nei documenti, Nino di Lorenzo, nel 1291 aveva in affitto, insieme alla moglie Parella, una casa con fornace nella zona detta “Pelliccerie”, nel quartiere di Ponte, a nord dell’Arno. Vedi Tongiorgi 1972, p. 126. I dati possono essere soggetti a cambiamenti e revisioni in quanto la ricerca archivistica è ancora oggi oggetto di studio.
  5. ^ Gli studi sulla produzione ceramica di Bacchereto sono stati illustrati in Cora 1973, I, p. 65. Per le analogie dei motivi decorativi tra le maioliche arcaiche di Pisa e quelle di Bacchereto vedere Cora 1973, II, Tav. 19/b.
  6. ^ Si veda Berti 2005, p. 109-110. I documenti sono stati rinvenuti nei protocolli del notaio pisano Giulio di Colino Scarsi, Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, S399, cc. 43r-44r; S400, cc. 289r-290v. Sono stati pubblicati da Miriam Fanucci Lovitch e da Enzo Virgili nel 1984 (Fanucci Lovitch - Virgili 1984).
  7. ^ (Berti - Renzi Rizzo 1997, pp. 232-235) Insieme ai due broccai della cappella di Sant’Andrea sono indicati con asterisco quattro vasai delle zone limitrofe di San Martino Chinzica e di San Marco Chinzica. Nei riferimenti relativi a San Paolo a Ripadarno sono inclusi tre vasai ed un apprendista vasai di San Giovanni al Gatano. Le “altre” cappelle sono in undici/dodici casi a nord dell’Arno. Fra queste si segnalano San Iacopo del Mercato, cui vengono riferiti cinque operatori, probabilmente tutti solo rivenditori; San Pietro in Vincoli e San Nicola in Ponte. Altre otto cappelle, in parti varie della città sono ricordate per un barattolaio, un broccaio, un vasaio - barattolaio e cinque vasai. A sud dell’Arno troviamo due broccai e tre vasai in San Casciano, cappella subito a est di San Paolo a Ripadarno; tre vasai in quella di San Cosimo (o Santi Cosimo e Damiano), mentre è indicato di Sant’Egidio un apprendista. Per uno schema esauriente vedi Berti 2005, pp. 138-140. I dati possono essere soggetti a cambiamenti e revisioni in quanto la ricerca archivistica è ancora oggi oggetto di studio, ad esempio in Alberti - Giorgio 2013 sono indicati 139 ceramisti in questo periodo e 177 sul sito di Pisa città della ceramica (https://www.pisacittaceramica.it/la-produzione-di-ceramica-a-pisa-ed-aree-limitrofe-dal-mille-allottocento/).
  8. ^ (Alberti - Giorgio 2013, p. 19) Una nuova crescita della popolazione pisana si avrà nei quattro decenni successivi alla riconquista fiorentina, arrivando a quasi 10.000 unità entro la metà del Cinquecento (Fasano Guarini 1991, p. 17). Questo incremento comportò un “miglioramento delle condizioni di vita, un’accelerazione delle attività industriali e mercantili; una moltiplicazione delle possibilità di lavoro e di arricchimento.” tanto da far divenire Pisa nuovamente un centro importante.

Bibliografiche

  1. ^ Per studi più recenti si rimanda a Alberti - Giorgio 2018, ma queste ceramiche sono già citate anche in pubblicazioni più lontane: Berti - Tongiorgi 1977a; Busi 1984.
  2. ^ Informazioni al riguardo si possono trovare in Berti - Tongiorgi 1977a; Berti - Tongiorgi 1981a; Berti - Gabrielli - Parenti 1993; Gelichi - Berti - Nepoti 1996; Berti - Renzi Rizzo 1997; Berti - Giorgio 2011; Giorgio 2013; Giorgio 2018a.
  3. ^ Per la produzione di ceramica ingobbiata e graffita si veda: Berti - Tongiorgi 1982; Berti 2005; Giorgio - Trombetta 2011; Alberti - Giorgio 2013; Giorgio 2015; Giorgio 2018b.
  4. ^ Si veda Menchelli 1995 per la produzione di sigillata a Pisa in epoca romana.
  5. ^ Per l'approvvigionamento dell'argilla vedi Giorgio 2018c, pp. 35-44; Alberti - Giorgio 2013, pp. 27-46 (studi condotti da Giuseppe Clemente- "Vasai e produzione ceramica a Pisa nel XVI secolo attraverso le fonti documentarie").
  6. ^ Berti - Giorgio 2011, p. 13; Berti - Gelichi 1995a; Berti - Menchelli 1998; Giorgio - Trombetta 2008
  7. ^ Alberti - Giorgio 2013, si vedano scavi di Villa Quercioli e via della Sapienza.
  8. ^ Per ulteriori dettagli sulla maiolica arcaica policroma vedi Berti - Renzi Rizzo 1997
  9. ^ Berti 2005 e Alberti - Giorgio 2013.
  10. ^ Tongiorgi 1964; Tongiorgi 1972; Tongiorgi 1979; Renzi Rizzo 1994. Berti - Tongiorgi 1977a, pp. 139-153; Redi 1984; Stiaffini 2002.
  11. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 139; Bonaini 1854 - 1857, I, pp. 304-305. Un quadro esaustivo delle attività e delle vicende relative ai vasai dal XIII al XV secolo è desunto dai documenti di archivio analizzati in Tongiorgi 1964 e Tongiorgi 1972.
  12. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 140; Bonaini 1854 - 1857, I, pp. 437 - 438.
  13. ^ a b c Berti - Tongiorgi 1977a, p. 140.
  14. ^ a b Clemente 2017, p. 134
  15. ^ Tongiorgi 1979, pp. 56-58
  16. ^ Alberti - Giorgio 2013, p. 29 (studi condoti da Giuseppe Clemente); Clemente 2017, p. 134.
  17. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, pp. 147-153.
  18. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, pp. 142-143.
  19. ^ Clemente 2017, p. 136 e Tongiorgi 1964, p. 8.
  20. ^ a b c Clemente 2017, p. 138
  21. ^ a b Berti - Tongiorgi 1977a, p. 144.
  22. ^ {{cita|Clemente 2017|p. 136
  23. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 148.
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  27. ^ Clemente 2017, p. 139; Tongiorgi 1979, pp. 25, 26, 32, 55, 56, 91, 93-95, 98, 102, 130.
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  31. ^ Berti 2005, pp. 113-114
  32. ^ Per il significato del termine "vantagginas" si veda Fornaciari 2016, pp. 165-166 con riferimento alla bibliografia precedente
  33. ^ Per considerazioni sul termine "de charovana" si rimanda a Berti 2005, pp. 113-114.
  34. ^ Fanucci Lovitch - Virgili 1984, pp. 296-300.
  35. ^ Berti 2005, p. 114; Berti - Renzi Rizzo 2000, pp. 135-136.
  36. ^ Berti 2005, p. 134.
  37. ^ Berti 2005, p. 115, 125-140; vedi per un estratto della dichiarazione di Casuccio di fronte ad un notaio Tongiorgi 1979, p. 52.
  38. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 149.
  39. ^ Berti 2005, pp. 115-119. Il catasto del 1428-29 è stato pubblicato da Bruno Casini (Casini 1964 e Casini 1965, pp. 6,7,9, 20-25).
  40. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 152. Il documento doganale è possibile trovarlo in Casini 1969, p. 140. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.
  41. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 152; Pagnini 1765-1766, Tomo IV, p. 65.
  42. ^ L’argomento viene trattato dettagliatamente in Berti 2005, pp. 119-124
  43. ^ Clemente 2017, p. 138
  44. ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 153.
  45. ^ Berti 2005, p. 124; notizie sulla famiglia Borghesi si trovano anche in Tongiorgi 1979, pp. 30-31, 96.
  46. ^ Alberti - Giorgio 2013, p. 19; Petralia 1991, p. 180.
  47. ^ Tongiorgi 1964. Per ulteriori dettagli sulla distruzione delle proprietà da parte dei proprietari pisani vedi Casini 1965, p. 79.
  48. ^ Tongiorgi 1964. Per ulteriori dettagli sulla distruzione delle proprietà da parte dei proprietari pisani vedi Casini 1965, p. 79.

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TONGIORGI 1967 - L. Tongiorgi, Ceramiche pisane, in Mostra del restauro - Museo Nazionale di San Matteo, 1967 (Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Pisa), Pisa, pp. 8-11.

TONGIORGI 1972 - L. Tolaini, Pisa nella storia della ceramica, II, in “Faenza”, LVIII, pp. 125-139, 1972.

TONGIORGI 1979 - L. Tolaini, Pisa nella storia della ceramica, III, in “Faenza”, LXV, pp. 17-32, 51-65, 91-103, 129-136, 1979.

VIRGILI 1967 - 1969 - E. Virgili, Per la storia del Visconte di Montevaso, in “Bollettino Storico Pisano”, XXXVI - XXXVIII, pp. 37-49, 1967-1969.

VOLPE 1970 - G. Volpe, Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Firenze, 1970.