Utente:Mihawski/Sandbox
Traumi infantili
Uno studio svolto presso l'Università di Washington ha esaminato circa 250 bambini di età compresa tra gli otto e i sedici anni per capire che ruolo hanno avuto i traumi sulla loro crescita. Molti bambini sono stati sottoposti, ad esempio, a violenze fisiche, emotive e/o sessuali e ciò ha aggravato la loro condizione; infatti, alcuni di essi hanno mostrato un invecchiamento biologico più rapido (a causa, probabilmente, dell'aumento della depressione), rispetto ai propri coetanei. Altri, al contrario, hanno mostrato un ritardo nello sviluppo puberale in quanto sono stati spesso trascurati dalla propria famiglia. [1]
Quest'ultima, però, svolge un ruolo fondamentale per la modellazione della mente del bambino. Molto prima di iniziare la vita scolastica, il bambino osserva i comportamenti dei genitori e, ascoltando anche le parole che essi utilizzano, assimila i concetti fondamentali (come ad esempio cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa fa male e cosa fa bene, il senso dell'umorismo). Infatti, i bambini tendono spesso a imitarli, a voler diventare come loro in quanto, essendo persone più grandi, sono una sorta di ispirazione. Una ricerca svoltasi nel 1984 in Danimarca, ha dimostrato che bambini che avevano genitori criminali e in continuo contrasto con la legge, erano più inclini ad avere problemi rispetto ai loro coetanei che avevano dei genitori con un passato lontano dalla criminalità. La famiglia Khan del Pakistan, invece, ha dimostrato che anche le abilità naturali si trasmettono geneticamente. Infatti, sia padre che figlio hanno vinto trofei sportivi di squash e tali abilità sportive non sono state trasmesse solamente a persone che condividono lo stesso sangue, ma addirittura anche ai cognati. [2]
Anche la competitività tra fratelli può essere causa di trauma psicologico in quanto sin dall'antichità il primogenito ha sempre avuto più attenzioni rispetto agli altri figli minori. In Europa è stato comune in età moderna un sistema di diritto chiamato "primogenitura" e grazie a questo sistema, il figlio maschio maggiore ereditava le sostanze paterne.
É stato dimostrato che i figli che nascono prima ricevono molte più attenzioni, sia perché essi sono una novità sia perché i genitori hanno più energie. I primogeniti, a causa forse di troppe attenzioni, tendono ad essere più aggressivi rispetto ai fratelli minori ma allo stesso tempo ottengono più successi a scuola (in un sondaggio sui membri del Congresso degli Stati Uniti del 1972 è stato scoperto che la maggior parte dei politici sono primi figli nella propria famiglia). I primogeniti, inoltre, tendono ad avere più successo ai test d'intelligenza; questo perché essi nascono in un contesto in cui hanno come modello solamente i propri genitori (persone adulte), cominciando ad usare lo stesso linguaggio, le stesse idee e gli stessi comportamenti.
Lo psicologo Michael Lewis, dopo aver analizzato alcune registrazioni di famiglie a tavola, ha notato, appunto, che i padri tendono a fornire più attenzioni al primogenito, specie se maschio, dimenticandosi quasi della presenza dei figli minori che non fanno altro che mangiare in quanto a loro non viene chiesta la partecipazione alla discussione. Nasce così la rivalità tra fratelli che è causata anche da alcuni comportamenti discutibili da parte dei genitori. Essi, ad esempio, paragonano un comportamento scorretto di un figlio con uno giusto dell'altro. Così facendo, il figlio che viene accusato di un errore spesso accumula rabbia che può causare, in alcune situazioni, odio nei confronti del fratello che, invece, apparentemente compie solo gesti giusti. Questo comportamento dei genitori è visto, dal figlio che è stato sgridato, come una sorta di preferenza verso il fratello o la sorella. Proprio per questo motivo, il fratello, che è sempre stato un esempio da seguire, rischia di diventare un modello da evitare e il più giovane si comporterà diversamente solo per il gusto di diversificarsi dal più grande.
Un altro errore che i genitori fanno è quello di trattare entrambi i figli allo stesso modo. Così facendo, i genitori sperano di ridurre i conflitti tra i figli e dunque danno le stesse regole e concessioni in ugual misura indipendentemente dalla loro età, carattere e sesso. Tuttavia, secondo le psicologhe Adele Faber ed Elaine Mazlish, ricevere lo stesso amore in un certo senso è come essere amati di meno. Ogni figlio è diverso, ognuno ha le proprie esigenze, i propri interessi e i genitori devono essere sensibili alle diverse richieste dei figli. [3]
Per capire meglio la mente dei bambini e l'effetto dei traumi su di essi, lo psicologo statunitense inventò il Test di appercezione tematica o, più comunemente, TAT. Esso è un test proiettivo in cui venivano raffigurate, attraverso una serie di tavole, delle immagini che riportavano scene quotidiane. I soggetti dovevano spiegarle, capire cosa era successo prima, cosa potrebbe essere successo successivamente e le risposte furono preoccupanti. All'interno dell'ambulatorio si trovavano dodici bambini di età tra i sei e gli undici anni e ciò che differenziavano i pazienti era il tipo di abuso subito. Ad esempio, una bambina che aveva subito molestie sessuali dal padre, davanti a una semplice immagine di una donna incinta di profilo, cominciò a parlare degli organi maschili e femminili, agitandosi tanto da interrompere lo studio. I bambini che invece non avevano subito alcun trauma, riuscivano invece a notare l'aspetto benevolo delle tavole cercando anche delle soluzioni per sfuggire alle difficoltà. Si sentivano protetti in quanto erano amati almeno da una figura genitoriale e le loro risposte non furono particolarmente inquietanti.
Un tratto che accomuna i bambini e le bambine che hanno subito un trauma (soprattutto violenze fisiche o sessuali) è quello di ritrovarsi nelle stesse situazioni, inconsciamente, nella fase adulta. Ad esempio, donne che da bambine sono state esposte al maltrattamento da parte del padre, sono indotte a cercare una figura che metta in atto comportamenti simili in quanto, dal loro punto di vista, pare come qualcosa di normale. Alcune donne, invece, perdono la capacità di fidarsi nuovamente di un uomo in quanto imparare a fidarsi è una sfida importante. Esse hanno grosse difficoltà a iniziare una nuova relazione in quanto proiettano la figura dell'abusatore in ogni potenziale partner. Per questo motivo gli uomini vengono spesso visti come approfittatori che, una volta soddisfatti i propri desideri, finiscono per abbandonarle non riuscendo dunque a istaurare un vero legame con le donne. Coloro che ci riescono, però, anche a distanza di anni in una relazione, non sono in grado di fidarsi totalmente dell'altra persona per evitare di rivivere il trauma. [4]
La guerra
La guerra può dare origine a disturbi mentali e alla follia. Ciò può accadere immediatamente, durante il suo svolgimento, oppure successivamente, dopo giorni e anni. Nella prima guerra mondiale si è parlato di "psicosi traumatica da bombardamento", la psichiatria l'ha denominata "nevrosi da combattimento". In età contemporanea si parla di "sindrome da stress post-traumatico" che viene associato non solamente alla guerra, ma anche ad esperienze che possono suscitare traumi (come lo stupro o assistere alla morte improvvisa di una persona). [5]
La guerra causa sofferenza, i problemi sono molteplici (fame, sete, paura) e la maggior parte dei soldati arrivava alla follia. Essi avevano costantemente paura della morte (provavano anche molta ansia) e ciò portava a incubi terrificanti a ripetizione. Tutto ciò durava anni ed era come una sorta di loop mentale, il trauma veniva rivissuto da svegli ma soprattutto da dormienti, non avendo così un momento di pace. Nella prima guerra mondiale, a causa di tutto ciò, iniziò anche il fenomeno dell'automutilazione. I soldati, piuttosto di continuare a vivere l'orrore della guerra, si sparavano in posti non vitali (come ad esempio mani o piedi) per uscire dalle trincee ed essere portati a farsi curare. Divenne una pratica così comune che i generali approvarono la legge marziale: qualora ci fosse stato il sospetto di una persona che si fosse provocata una ferita da sola e non in guerra, veniva immediatamente fucilata. [6]
Una guerra conosciuta soprattutto per essere stata quella con più casi di depressione è la guerra del Vietnam. Nei soldati, aumentò fortemente l'apatia e il senso di inutilità, per non esser stati in grado di aiutare i compagni in difficoltà. Oltre a ciò, si fecero più ricorrenti ricordi e incubi che facevano rivivere le esperienze più traumatiche del passato, influendo gravemente sulla memoria e la concentrazione dei sopravvissuti. I soldati, spesso, a fine guerra, decidevano di abbandonare le proprie famiglie per paura di compiere atti violenti nei loro confronti, concludendo la propria vita in isolamento, con i propri pensieri.
Molti veterani vietnamiti furono intervistati sulle loro esperienze di guerra in quanto gli psichiatri desideravano sapere perché alcuni furono in grado di superare tale trauma mentre altri si ritrovarono incatenati dai ricordi. Si notò che molti di essi riuscirono a guarire perché durante la loro esperienza furono accumunati dal pericolo condiviso scambiandosi fotografie e lettere, instaurando rapporti di amicizia. Questi legami affettivi, però, venivano spesso stroncati dalla morte immediata sul campo, creando così nei sopravvissuti un senso di inutilità per non essere stati in grado di proteggere i compagni caduti. Infatti, secondo molte esperienze riportate nel testo "The Traumatic Nevrosis of War" di Abram Kardiner, psicanalista statunitense, i veterani rispondevano a tali avvenimenti con atti di vendetta, in quanto accecati dalla frustrazione. Molti di essi si recavano di notte nei villaggi nemici uccidendo così bambini innocenti, stuprando le donne e sfogando la loro rabbia su di essi e questi soggetti, al rientro in patria, avevano grosse difficoltà nelle relazioni interpersonali in quanto sommersi dalla vergogna per gli atti commessi. [7]
Alla fine della guerra gli ambulatori psichiatrici furono invasi dai veterani che desideravano risolvere i propri traumi per poter ritornare alle proprie vite. Ciò però non ebbe gli esiti sperati in quanto i medici, non qualificati, provocavano un vero e proprio flashback senza portare una reale guarigione. Inoltre, i farmaci prescritti funzionavano a malapena e anche per questo motivo furono costretti ad abbandonare il trattamento rifugiandosi nell'alcolismo, in abuso di sostanze, depressione e persino schizofrenia.
Oggi però è stato ipotizzato, secondo uno studio pubblicato su Lancet Neurology, che questi traumi sono in realtà causati da lesioni fisiche al cervello derivate dal rumore incessante delle esplosioni (aumentò di conseguenza l'insonnia; vivere costantemente con i rumori delle mitragliatrici, bombardamenti aerei, bombe esplosive, ha completamente alterato la fase dormiente). Per effettuare la ricerca è stato esaminato il cervello di 8 ex soldati deceduti, dopo qualche anno dalle esplosioni, dimostrando così lesioni, non visibili alla risonanza magnetica e alla TAC, nelle zone del cervello che interessano la memoria, le abilità cognitive e il sonno. [8]
Note
- ^ https://www.stateofmind.it/2018/12/trauma-conseguenze-bambini/, Giovanni Belmonte, L’effetto del trauma sulla crescita dei bambini, 18 dicembre 2018, 28 dicembre 2020
- ^ Giovanni Caruselli, ABC della mente umana, Milano, Selezione Reader's Digest, 1991, p. 206-207.
- ^ Giovanni Caruselli, ABC della mente umana, Milano, Selezione Reader's Digest, 1991, p. 208-211.
- ^ Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p. 125-126.
- ^ Giovanni Caruselli, ABC della mente umana, Milano, Selezione Reader's Digest, 1991, p. 30-31.
- ^ Valerio Castronovo, Nel segno dei tempi, MilleDuemila, Firenze, La Nuova Italia, 2015, p. 102-103.
- ^ Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p. 13-21.
- ^ https://www.focus.it/cultura/storia/i-traumi-di-guerra-nel-cervello-non-nella-mente, Chiara Palmerini, I traumi di guerra nel cervello, non nella mente, 15 giugno 2016, 29 dicembre 2020
Bibliografia
1. https://www.stateofmind.it/2018/12/trauma-conseguenze-bambini/, Giovanni Belmonte, L’effetto del trauma sulla crescita dei bambini, 18 dicembre 2018, 28 dicembre 2020
2. Giovanni Caruselli, traduttore: Rita Baldassarre Parks, ABC della mente umana, Milano, Settimio Paolo Cavalli, 1991
3. Valerio Castronovo, Nel segno dei tempi, MilleDuemila, ISBN:978-88-221-8544-0, La Nuova Italia, Firenze, Elda Bossi, Giuseppe Maranini, 2015
4. https://www.focus.it/cultura/storia/i-traumi-di-guerra-nel-cervello-non-nella-mente, Chiara Palmerini, I traumi di guerra nel cervello, non nella mente, 15 giugno 2016, 29 dicembre 2020
5. Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014