Con l'espressione massacri delle foibe o più comunemente foibe, si intendono gli eccidi perpetrati ai danni di migliaia di cittadini italiani fra il 1943 e il 1945[1] in Venezia Giulia e Dalmazia.

Il nome deriva dagli inghiottitoi di natura carsica nei quali furono gettati i cadaveri di centinaia di vittime - parzialmente recuperati fra il 1943 e il 1945 - che localmente sono chiamati "foibe". Per estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono in seguito diventati sinonimi degli eccidi, che furono in realtà perpetrati con diverse modalità.[2]

La vicenda degli infoibamenti è stata ed è fonte di notevoli polemiche, sia in campo politico che storico che diplomatico.

Inquadramento storico

Con l'ascesa del nazionalismo in Europa, a seguito dell'epoca napoleonica, si sviluppa il concetto di "popolo", inteso come una comunità cementata da una comune razza, religione, lingua e cultura, e avente il diritto a formare il proprio stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando uno nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di furori dei confini del proprio stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la nazione madre. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo di molte nazioni di assimilare od espellere minoranze etniche dal proprio stato, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.

Furono molte le minoranze etniche a essere di conseguenza distrutte: una tragedia che coinvolse decine di milioni di europei, provocando milioni di vittime. Fra gli episodi più noti si ricordano il Genocidio Armeno, l'esodo greco dall'Asia minore (e dei Turchi dalla Grecia), l'esodo dei tedeschi dall'Europa orientale.

La composizione etnica di Venezia Giulia e Dalmazia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Istria e Storia della Dalmazia.
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Suddivisione linguistica dell'Istria e del Quarnero in base al censimento austriaco del 1910.

     italiano (veneto e istrioto)

     serbocroato

     sloveno

     istrorumeno

Prima del XIX secolo, in Venezia Giulia e Dalmazia, avevano convissuto popolazioni di lingua romanza e slava, che non avevano fra di loro tensioni dovute ad ancor inesistenti concetti di nazionalità (le diverse etnie, viceversa, erano in larga misura mischiate).[3] Vi era una differenza di carattere linguistico-culturale fra la società urbana e marittima (prevalentemente romanzo-italica) e quella rurale e montana (per lo più slava o slavizzata). Nell'entroterra montano erano presenti inoltre comunità morlacche di origine illiro-romana che si slavizzarono progressivamente. Le classi elevate (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche se di origine slava.

Gli opposti nazionalismi

Fu solo con l'imporsi del concetto di stato nazionale, a seguito dell'epoca napoleonica, che istriani e dalmati (a partire dalle loro classi borghesi) cominciarono a identificarsi nelle moderne nazionalità: nel presente caso italiana, slovena, serba e croata. Ciascuna delle fazioni cominciò di conseguenza a lottare per riunire le "proprie terre" alle rispettive "madrepatrie".[4]

Si originò così quella contrapposizione etnica che fu la causa remota dei massacri delle foibe. È bene ricordare che simili tensioni sono caratteristiche di diverse zone ad etnia mista e ancor oggi possono sfociare in episodi violenti (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell'ex-Iugoslavia). Il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni [5] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani.[5] Si intendeva così contrastare non solo le ben organizzate comunità cittadine italiane ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud. Di conseguenza in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione e violenza[6]. Nella Venezia Giulia il decremento della componente italiana fu molto più contenuto.

Le tensioni fra le diverse nazionalità, pertanto, non traggono la propria origine dall'avvento delle politiche nazionalistiche e di repressione dell'elemento slavo applicate del fascismo, anche se il fascismo acuì i contrasti fino alla degenerazione della situazione[5][7].

Le tesi del nazionalismo croato

  Lo stesso argomento in dettaglio: Croatizzazione.
 
Antonio Bajamonti in una cartolina propagandistica dei primi del '900
«La nazionalità italiana in Dalmazia è una parola vuota di senso, trovata dall'interesse, dall'impostura. Alcuni superstiti dei vecchi despoti sognano una nazionalità italiana in Dalmazia, e per il colmo dell'assurdo parlano anche di civiltà italiana. Tutto ciò mira all'interesse di pochi individui e all'oppressione di tutti i Dalmati. (...) Il giornalismo italiano badi prima di dichiararsi protettore dei pseudoitaliani della Dalmazia (...). Un italiano non può, non deve alzar la voce per difendere i despoti, poiché prima deve rinunziare alla vera gloria italiana, ch'è la lotta per la libertà; dovrebbe cancellare tutta la sublime epopea dell'italiano risorgimento, per dichiararsi amico degli italiani dalmati.»
«Nessuna gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in Dalmazia. A noi, italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di soffrire.»

Nell'ambito dei succitati conflitti nazionali nacque fra i croati l'idea che Istria, Fiume e Dalmazia fossero parte integrante del loro territorio nazionale fin dall'alto medioevo. Non si riconosceva la presenza di comunità italiane autoctone né in Dalmazia, né a Fiume (e solo parzialmente in Istria). Tali comunità venivano considerate una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria e i russi nelle repubbliche baltiche e in Moldova), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte delle popolazione croata originaria. Gli italiani "veri" dovevano quindi essere espulsi, mentre i "croati italianizzati" dovevano essere riportati alla loro condizione originaria, anche prescindendo dalla loro volontà. Questa retorica nazionalista fornì una giustificazione morale agli avvenimenti.

Grande Guerra e annessione all'Italia

L'Italia accettò di entrare nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa in base ai termini del Patto di Londra, che garantiva all'Italia il possesso dell'intera Istria, di Trieste e della Dalmazia settentrionale - incluse le isole. La città di Fiume, a maggioranza italiana e corpus separatum del Regno d'Ungheria, sarebbe stata attribuita a un'eventuale Croazia indipendente o all'Austria-Ungheria nel caso in cui non si fosse dissolta. In ogni caso, il trattato prevedeva la neutralizzazione di Fiume e di tutte le parti di costa dalmata non attribuite all'Italia. Al termine delle guerra, con i trattati di Saint Germain e di Rapallo, l'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso: le fu infatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole). Rimase aperta la questione di Fiume: la città fu rivendicata dall'Italia sulla base dello stesso principio dell'autodeterminazione che aveva fatto assegnare al Regno iugoslavo le terre dalmate promesse all'Italia con il Patto di Londra. L'annessione all'Italia avvenne nel 1924.

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L'Hotel Balkan sede del Narodni dom dopo l'incendio (1920).

I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slovene e croate, i cui diritti fondamentali furono, pur con alcune limitazioni, rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, scontri organizzati da nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera"). Violenze analoghe avvennero contro gli italiani di Dalmazia rimasti sotto l'amministrazione iugoslava. L'episodio più noto di tali incidenti fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste, compiuto da squadristi fascisti, come ritorsione all' omicidio di due militari italiani avvenuti a Spalato. L'incidente del Narodni Dom assunse a posteriori un forte significato simbolico, in quanto fu presentato come l'inizio delle violenze a danno degli slavi della Venezia Giulia.

L'italianizzazione fascista

  Lo stesso argomento in dettaglio: Italianizzazione (fascismo).

«Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani»

La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che prevedeva l'italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate e il divieto dell'uso della lingua straniera in pubblico. Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, ed erano applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come Francia[10] e Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia, dove si verificarono anche episodi di repressione violenta.[11]

L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia.

Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.

Anche la residua minoranza italiana in Dalmazia subì delle crescenti vessazioni, nonostante la Convenzione di Nettuno del 1925 ne avesse regolato la condizione.

L'invasione della Iugoslavia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione 25.
 
La spartizione della Iugoslavia.

Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Iugoslavia. La Iugoslavia fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi dagli stati invasori. Col trattato di Roma l'Italia annesse una gran parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro. Inoltre occupò tutta la fascia costiera della ex-Iugoslavia, con un ampio entroterra.

In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[12]. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata, spesso ottusa e maldestra.

La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.

Il fronte iugoslavo

La situazione, in tutta la Iugoslavia, degenerò ben presto in una feroce guerriglia, che vide da un lato la resistenza contro gli eserciti invasori e quelli collaborazionisti, e dall'altro la lotta fra le diverse fazioni etniche e politiche in cui si frammentò la resistenza iugoslava. Numerosi crimini di guerra furono commessi da tutte le parti in causa. [13]

Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce ed orrenda pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonchè di zingari ed ebrei. Contro il regime ustascia e contro gli occupanti, presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, e i cetnici, monarchici e a prevalenza serba. [14]

Comunisti e cetnici perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente.

Nella Provincia di Lubiana tramontò il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido. La repressione italiana fu dura e in molti casi furono commessi crimini di guerra. Furono, fra l'altro, istituiti campi di concentramento, fra i quali si ricordano quelli di Arbe e di Gonars. Anche nella Dalmazia (italiana e croata) si innescò , fin dalla fine del 1941, una spaventosa e crudele guerra civile, che raggiunse livelli di massacro dopo l'estate 1942.

A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regno d'Italia, cominciarono, inoltre, a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d'occupazione italiane. Venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un'alleanza tattica tra le forze italiane e i vari gruppi cetnici. Gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista, provocando fortissime tensioni con il regime ustascia.

Gli eccidi

1943: armistizio e prime esecuzioni

 
4 novembre 1943: accanto alla foiba di Terli vengono ricomposti i corpi di Albina Radecchi (A), Caterina Radecchi (B), Fosca Radecchi (C) e Amalia Ardossi (D)

L'8 settembre 1943 con l'armistizio tra Italia e Alleati, si verifica il collasso del Regio Esercito.

Fin dal 9 settembre le truppe tedesche assunsero il controllo di Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentanemente sguarnito il resto della Venezia Giulia. I partigiani occuparono quindi buona parte della regione, mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Il 13 settembre 1943, a Pisino venne proclamata unilateralmente l'annessione dell'Istria alla Croazia, da parte del Consiglio di liberazione croato per l'Istria.[15] Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di liberazione dell'Istria.

Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare.[16] A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, ma anche di persone estranee al partito ma rappresentanti lo stato italiano, i quali vennero arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altri fascisti italiani e croati. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.[17]

Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 600-800 persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste sono Norma Cossetto, don Angelo Tarticchio, le tre sorelle Radecchi. Norma Cossetto ha ricevuto il riconoscimento della medaglia d'oro al valor civile.

L'armistizio in Dalmazia

Il 10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a Spalato ed in altri centri dalmati entravano i partigiani. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di lotta, fra Spalato e Traù i partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ed alcuni civili.

La Dalmazia fu occupata militarmente dai tedeschi, mediante la famigerata 7ª SS-Gebirgsdivision "Prinz Eugen". La 77a divisione fanteria italiana Bergamo, di stanza a Spalato e precedentemente impegnata per anni proprio nella lotta antipartigiana, in quel frangente appoggiò in massima parte i partigiani e combatté in condizioni psicologiche e materiali difficilissime contro le truppe germaniche, fra le quali la sopra citata divisione Prinz Eugen, nonostante l'atteggiamento aggressivo e poco collaborativo dei partigiani titini. Dopo la capitolazione ordinata dal comandante, generale Becuzzi, molti ufficiali italiani furono passati per le armi, in quello che è noto come il massacro di Trilj. La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di Croazia. Tuttavia Zara, restò - seppur sotto il controllo tedesco - sotto la sovranità della RSI, fino alla occupazione jugoslava dell'ottobre 1944.

L'occupazione tedesca della Venezia Giulia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Nubifragio.

Per assumere il controllo della Venezia Giulia e della provincia di Lubiana, i tedeschi lanciarono l'Operazione Nubifragio.

L'offensiva ebbe inizio nella notte del 2 ottobre 1943 e portò all'annientamento dei reparti partigiani presenti nella regione che furono costretti alla fuga verso l'interno. Nuclei della resistenza cercarono di rallentare i tedeschi con imboscate, colpi di mano e agguati. Questi reagirono colpendo la popolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioni indiscriminate, violenze, incendi di villaggi e saccheggi. L'Operazione Nubifragio si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno.

Dal 1943 al 1945 si susseguirono le repressioni nazifasciste che portarno la provincia di Gorizia ad essere la prima in Italia per numero di morti nei campi di sterminio nazisti, mentre quarta fu Fiume.[18]

I ritrovamenti dell'autunno 1943

 
Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d'Istria negli ultimi mesi del 1943

Con l'espulsione dei partigiani divenne possibile eseguire varie ispezioni nella foibe, dove furono rinvenuti i resti di centinaia di persone. Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse l'indagini da ottobre a dicembre del 1943 in Istria.

La propaganda fascista diede ampio risalto a questi ritrovamenti, che suscitarono una forte impressione. Fu allora che il termine "foibe" cominciò ad essere associato agli eccidi, fino a diventarne sinonimo (anche quando compiuti in maniera diversa). Paradossalmente, l'enfasi data ai ritrovamenti alimentò il mito del "barbaro slavo", contribuendo a creare il clima di terrore che favorì il successivo esodo.

Dalmazia 1944

 
Veduta di Zara distrutta dai bombardamenti (Molo di Riva Nuova)

Ulteriori eccidi si ebbero nel corso dell'occupazione delle città dalmate dove risiedevano comunità italiane.

Terribile fu la sorte di Zara, ridotta in rovine dai bombardamenti, che causarono la morte e la fuga della maggior parte dei suoi abitanti. La città fu infine occupata dagli Iugoslavi il 1° novembre 1944: si stima che il totale delle persone soppresse dai partigiani in pochi mesi sia di circa 180.[19]

Fra gli altri furono uccisi i fratelli Nicolò e Pietro Luxardo (industriali, produttori del celebre liquore maraschino): secondo alcune testimonianze Nicolò fu annegato in mare[20]. Quella dell'annegamento in mare legati a macigni è una pratica di cui sono state date varie testimonianze [21], tanto da divenire nell'immaginario popolare la "tipica" modalità di esecuzione delle vittime zaratine, similmente alle foibe in Venezia Giulia.

Primavera 1945: l'occupazione della Venezia Giulia e la nuova ondata di eccidi

  Lo stesso argomento in dettaglio: Massacro di Bačka.

Nella primavera del 1945 la IV Armata jugoslava, puntò verso Fiume, l'Istria e Trieste. L'obiettivo era di occupare la Venezia Giulia prima dell'arrivo degli alleati e si trascurò allo scopo di occupare le due capitali (Zagabria e Lubiana), lasciandole in mano germanica. Il 20 aprile 1945 le formazioni partigiane raggiunsero i confini della Venezia Giulia. Tra il 30 aprile ed il 1° maggio le formazioni del IX Korpus sloveno occuparono l'Istria, Trieste e Gorizia.

Il nuovo regime si mosse in due direzioni. Le autorità militari avevano il mandato di ristabilire la legittimità della nuova situazione creatasi con operazioni militari di occupazione. L'OZNA, la polizia segreta jugoslava, invece, operava nella più totale autonomia. Il compito della stessa era quello di arrestare i componenti del CLN e delle altre organizzazioni antifasciste italiane nonché tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, rivendicando l'appartenenza della stessa all'Italia.

A partire dal maggio del 1945, quindi, massacri si verificarono in tutta la Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Istria e Fiume). A Gorizia e Trieste (occupate dal 1º maggio), i massacri cessarono con l'arrivo degli alleati il 12 giugno: si riscontrò l'uccisione di diverse migliaia di persone, molte delle quali gettate vive nelle foibe.

Gli eccidi a Trieste ed in Istria

  Lo stesso argomento in dettaglio: Trieste § L'occupazione jugoslava.

I baratri venivano usati per l'occultamento di cadaveri con tre scopi: eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano (o avrebbero potuto opporsi) alle politiche del Partito Comunista Jugoslavo di Tito; dominare e terrorizzare la popolazione italiana delle zone contese ed in qualche caso vendicarsi di nemici personali, magari per ottenere un immediato beneficio patrimoniale.[22]

Gli scritti dell'allora sindaco di Trieste, Gianni Bartoli, nonché alcuni documenti inglesi riportano che molte migliaia di persone sono state gettate nelle foibe locali riferendosi alla sola città di Trieste e alle zone limitrofe, non includendo dunque il resto della Giulia, dell'Istria (dove si è registrata la maggioranza dei casi) e della Dalmazia. In possesso di queste informazioni il Governo De Gasperi nel maggio 1945 chiese ragione a Tito di 2.500 morti e 7.500 scomparsi nella Venezia Giulia. Tito confermò l'esistenza delle foibe come occultamento di cadaveri e i governi iugoslavi successivi mai smentirono.

 
Beato Francesco Bonifacio

Fra le vittime si ricordano i politici Licurgo Olivi del Partito Socialista Italiano e Augusto Sverzutti del Partito d'Azione, che non si sa ancora quando fu ucciso e se il suo cadavere fu infoibato.[23] Di nuovo si verificarono uccisioni efferate, come quella di Don Francesco Bonifacio, torturato e quindi assassinato (il suo corpo non è mai stato ritrovato); ritenuto martire "in odium fidei", dalla Chiesa, è stato beatificato nel 2008.

Gorizia e provincia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Deportazioni di Gorizia.

Con l'arrivo dei partigiani jugoslavi anche a Gorizia iniziarono le repressioni che toccarono l'apice fra il 2 e il 20 maggio. Migliaia furono gli arresti e gli scomparsi non solo tra gli italiani, ma anche tra gli sloveni che si opponevano al regime comunista di Tito.

Le autorità slovene a marzo del 2006 hanno consegnato al sindaco di Gorizia un elenco di 1.048 deportati dalla provincia di Gorizia, dei quali circa 900 non hanno fatto più ritorno. Secondo il presidente dell'Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, questa lista sarebbe ancora grandemente incompleta.[24]

Fiume

 
Lapide votiva nel cimitero di Cosala, Fiume.

Fiume fu occupata il 3 maggio dagli iugoslavi, che avviarono immediatemente un'intensa campagna di epurazione.

Particolarmente violenta fu la caccia ai superstiti del Partito Autonomista Fiumano, particolarmente forte in città, che era visto come un potenziale ostacolo all'annessione della città alla Jugoslavia. Il quotidiano comunista La Voce del Popolo scatenò in una violentissima campagna di denuncia contro gli autonomisti, che vennero accomunati ai fascisti. I partigiani uccisero nelle prime ore di occupazione della città i vecchi capi del partito, dei quali una buona parte fu schiettamente antifascista. Fra questi Mario Blasich (infermo da anni, venne strangolato nel suo letto), Giuseppe Sincich, Mario Skull, Giovanni Baucer, Mario De Hajnal e Giovanni Rubinich che fu fondatore del Movimento Autonomista Liburnico.

Toccante fu la storia dell'ebreo Angelo Adam. Già deportato a Dachau e miracolosamente salvatosi, al ritorno in città venne eletto nei comitati sindacali aziendali, che fra i mesi di luglio e dicembre 1945 videro impegnate le intere maestranze cittadine, su impulso del Partito Comunista Croato. Inaspettatamente, queste elezioni videro il trionfo delle componenti autonomiste, che ottennero oltre il 70% dei seggi. In procinto di partire per Milano per incontrare i componenti del CLNAI, Angelo Adam venne arrestato, così come in immediata successione la moglie Ernesta Stefancich e il giorno dopo la figlia minorenne Zulema Adam, recatasi presso le autorità per chiedere informazioni sulla sorte dei genitori. Di nessuno dei tre si ebbero più notizie.

Tra i politici furono uccisi i senatori fiumani Icilio Bacci e Riccardo Gigante che non si erano macchiati di crimini. In anni recenti vicino alla località di Castua è stata individuata la fossa dove riposano i resti di Gigante, ma risulta difficile il loro recupero.

La persecuzione colpì anche gli esponenti dei CLN, secondo una linea ampiamente usata anche a Trieste e Gorizia. Numerosi furono nelle tre città gli arresti e le deportazioni di antifascisti, dei quali solo alcuni faranno ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. Ancora nel 1946 - assai dopo le esplosioni di "jacquerie" - risulteranno comminate condanne capitali contro reclusi accusati di aver fatto parte dei CLN.[25]

Il numero di italiani sicuramente uccisi dall'entrata nella città di Fiume delle truppe jugoslave (3 maggio 1945) fino al 31 dicembre 1947 è di 652, a cui va aggiunto un altro numero di vittime non esattamente identificabile per mancanza di riscontri certi.[26]

Cause

«....già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica".»

L'esatta qualificazione del fenomeno delle foibe è assai complessa. Dai fatti storici sopra esaminati emergono, comunque, una serie di cause remote, quali:

  • la contrapposizione nazionale ed etnica fra sloveni e croati da una parte e italiani dall'altra, che datava dagli anni successivi alla caduta della Repubblica di Venezia;
  • gli opposti irredentismi, per cui i territori mistilingui della Dalmazia e dell'allora Litorale austriaco dovevano appartenere, in esclusiva, all'uno o all'altro ambito nazionale, e quindi ad uno o all'altro stato;
  • le conseguenze della prima guerra mondiale , con una fortissima battaglia diplomatica per la definizione dei confini fra il Regno d'Italia e il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni;
  • le contrapposte tensioni etniche, che portarono a disordini locali e compressioni delle rispettive minoranze fin dai primissimi anni '20 del XX° secolo; il ventennio fascista, col tentativo di assimilazione forzata delle popolazioni slave della Venezia Giulia;
  • la seconda guerra mondiale, che conobbe nel teatro jugoslavo-balcanico uno dei fronti più complessi e violenti[28] (si pensi solo al comportamento degli ustascia croati).
  • il connubio fra una visione "nazionale" della guerra di liberazione ad opera delle truppe partigiane jugoslave ed una visione "sociale" della stessa guerra, laddove la componente italiana dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia era vista anche come "classe dominatrice".
  • la natura totalitaria e repressiva del costituendo regime comunista iugoslavo.

Ciò premesso, il fenomeno delle foibe può essere considerato come un evento derivante da una somma di cause occasionali, fra le quali le più rilevanti furono quella:

  • "vendicativa": si volevano colpire ed eliminare quelli considerati compromessi col regime fascista.
  • "etnico/anessionistica": si volevano eliminare quelli (essenzialmente italiani) che si opponevano all'annessione di queste terre alla Iugoslavia.
  • "etnico/politica": si volevano eliminare quelli (prevalentemente italiani), che in qualche modo potevano essere considerati reali o potenziali oppositori del costituendo regime comunista.

Per quanto riguarda l'aspetto "vendicativo", essendo i fascisti e i loro fiancheggiatori in gran parte italiani (sia pure non in numero superiore rispetto ad altre regioni italiane), ed opponendosi essenzialmente gli italiani all'annessione alla Iugoslavia, soprattutto a livello locale fu frequente l'equazione italiano = fascista[29] Il conseguente (riuscito) tentativo di disarticolare in tutti i modi il precedente ordine sociale e religioso, fu interpretato dagli istriani di lingua italiana come un inusitato attacco alla propria etnia. Questo aspetto provocò, localmente, episodi di "jacquerie" (insurrezioni spontanee dei ceti popolari), in cui molti colsero anche l'opportunità di portare avanti vendette personali o compiere rapine eliminando i testimoni. Tale jacquerie si rivolse non solo verso i rappresentanti del regime fascista, ma anche verso gli italiani in quanto tali.[30] Gli episodi di jacquerie si verificarono prevalentemente nel corso degli eccidi del settembre-ottobre del 1943, avvenuti in un contesto in cui vennero a mancare i poteri costituiti.

Tolti questi episodi, gli eccidi furono, in massima parte, il risultato di una "violenza di stato"[31], che fu uno strumento di repressione politica ed etnica[32], in vista dell'annessione alla Iugoslavia di tutta la Venezia Giulia (incluse Trieste e Gorizia) [33] e per eliminare gli oppositori (reali o presunti) del costituendo regime comunista. In vista di questi due obiettivi era infatti necessario reprimere le classi dirigenti italiane (compresi antifascisti e resistenti), per eliminare ogni forma di resistenza organizzata. Questo aspetto era particolarmente importante a Gorizia e Trieste, della cui annessione gli Iugolsavi non erano (a ragione) certi. Tito, pertanto, fece il possibile per occupare le due città prima di ogni altra forza alleata, per assicurarsi una posizione di forza nelle trattative. Neutralizzati i vertici italiani, tentò di far apparire che gli iugoslavi fossero la maggioranza assoluta della popolazione: la composizione etnica sarebbe, infatti, stata un fattore decisivo nelle conferenze che sarebbero seguite nel dopoguerra e, per questo motivo, la riduzione della popolazione italiana sarebbe stata essenziale.[34]

Su questi dibattuto problema, gli storici italiani e sloveni (ma non quelli croati), hanno raggiunto conclusioni concordi, laddove affermano:

«Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l'impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell'avvento del regime comunista, e dell'annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L'impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l'animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani.»

Vittime

Tipologia delle vittime

Tra i caduti figurano non solo personalità legate al Partito nazionale fascista, ma anche ufficiali e funzionari pubblici, parte dell’alta dirigenza italiana contraria sia al comunismo, sia al fascismo, tra cui compaiono esponenti di organizzazioni partigiane o anti-fasciste, sloveni e croati anti-comunisti, collaboratori e nazionalisti radicali e semplici cittadini.

Modalità delle esecuzioni

Nelle foibe sono stati gettati molti dei cadaveri delle persone, sia militari che civili. In alcuni casi, come è stato possibile documentare, furono precipitate nell'abisso persone non colpite o solo ferite [35].

Sebbene quest'ultima modalità di esecuzione fosse, come già detto, solo uno dei modi con cui vennero uccise le vittime dei partigiani di Tito[36], nella cultura popolare divenne il metodo di esecuzione per eccellenza ed un simbolo del massacro.

In realtà la maggior parte delle vittime, date per infoibate, sono stati inviate nei campi di concentramento jugoslavi dove molte furono uccise o morirono di stenti o malattia.

Quantificazione delle vittime

Nel dopoguerra e nei decenni immediatamente successivi non furono mai effettuate stime scientifiche del numero delle vittime, che venivano usualmente indicate in 15.000[37] (e talvolta aumentate fino a 30.000).[38] Studi rigorosi sono stati effettuati solo a partire dagli anni '90. Una quantificazione precisa è impossibile, vi è infatti una generale mancanza di documenti, che spesso non furono nemmeno emanati dalle autorità jugoslave. Il governo jugoslavo (e successivamente quello croato) non ha inoltre mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il numero di decessi. Gli studi effettuati recentemente valutano il numero totale delle vittime (comprensive quindi di quelle morte durante la prigionia o la deportazione) come compreso tra poco meno di 5.000 e 11.000.[39][40]

Testimonianze

Furono poche le persone che riuscirono a salvarsi risalendo dalle foibe comunque tra questi Graziano Udovisi, Giovanni Radeticchio e Vittorio Corsi hanno raccontato la loro tragica esperienza a storici e/o emittenti televisive.[41]

«dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell'alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri "facciamo presto, perchè si parte subito". Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l'orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c'impose di seguirne l'esempio. Poichè non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anzichè ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicchè, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell'acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole "un'altra volta li butteremo di qua, è più comodo", pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott'acqua schiacciandomi con la pressione dell'aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.»

Questa testimonianza, della primavera del 1945, fu pubblicata la prima volta il 26 gennaio 1946 sul periodico della DC triestina La Prora e poi fu riportata integralmente nell'opuscolo Foibe, la tragedia dell'Istria, edito dal CLN dell'Istria; è stata dopo spesso citata dalla pubblicistica del dopoguerra.

Anche questa testimonianza non è passata indenne di fronte alle polemiche politico-storiografiche: recentemente Pol Vice, un saggista che si richiama espressamente all'ideologia rivoluzionaria di Marx[42], ha pubblicato un saggio critico all'interno del quale sottopone il testo di Udovisi ad una serrata critica, giungendo ad affermare che siamo in presenza di un falso testimone[43].

Vittime di nazionalità slovena e croata

Negli eccidi furono coinvolti cittadini italiani (o ex italiani) di nazionalità slovena e croata. Tali uccisioni ebbero una matrice esclusivamente politica, rimanendo esclusa quella etnica, intendendo il costituendo regime comunista eliminare le forme di opposizione. Questi eccidi, quindi, non sono di solito considerati parte degli eccidi delle foibe[44], termine che si riferisce alle sole vittime di nazionalità italiana.

Tra gli sloveni uccisi vanno ricordati: Ivo Bric di Montespino (Dornberk), antifascista cattolico ucciso con la famiglia il 2 luglio 1943, Vera Lesten di Merna, poetessa e antifascista cattolica, uccisa nel novembre del 1943, la famiglia Brecelj di Aidussina (il padre Anton, le figlie Marica e Angela e il figlio Martin) uccisa nel luglio del 1944. Tra i sacerdoti uccisi (e spesso infoibati) dai comunisti vanno ricordati: don Alojzij Obit del Collio (scomparso nel gennaio 1944), don Lado Piščanc e don Ludvik Sluga di Circhina (uccisi con altri 13 parrocchiani sloveni nel febbraio del 1944), don Anton Pisk di Tolmino (scomparso e probabilmente infoibato nell'ottobre 1944), don Filip Terčelj di Aidussina, sequestrato dalla polizia segreta il 7 gennaio 1946 e successivamente scomparso, e don Izidor Zavadlav di Vertoiba, arrestato e fucilato il 15 settembre 1946. Un caso a parte rappresenta la sorte di Andrej Uršič di Caporetto, giornalista antifascista e anticomunista sloveno, ex membro del TIGR e co-fondatore dell'Unione Democratica Slovena in Italia, sequestrato dalla polizia segreta jugoslava nel 31 agosto del 1947, sottoposto a sevizie, probabilmente ucciso nell'autunno del 1948, e il suo cadavere gettato in una delle foibe della Selva di Tarnova.

La memoria delle foibe fra oblio, strumentalizzazioni e ricerca storica

L'oblio del dopoguerra

«... va ricordato l'imperdonabile orrore contro l'umanità costituito dalle foibe (...) e va ricordata (...) la "congiura del silenzio", "la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell'oblio".

Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell'aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali.»

La vicenda nel dopoguerra è stata a lungo trascurata per i convergenti interessi di governo e opposizione.[45]

Secondo lo storico Gianni Oliva il silenzio fu causato da tre motivi: prima di tutto vi fu un silenzio internazionale, provocato dalla rottura tra Tito e Stalin avvenuta nel 1948, che spinse tutto il blocco occidentale a stabilire rapporti meno tesi con la Jugoslavia, in funzione antisovietica (si era agli inizi della guerra fredda). Vi fu inoltre il silenzio del PCI che non aveva interesse a evidenziare le proprie contraddizioni sulla vicenda e le proprie subordinazioni alla volontà del comunismo internazionale . Vi fu infine un silenzio da parte dello Stato Italiano che voleva sorpassare tutto il capitolo della sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Oltre a questo non si voleva inoltre riaprire il problema dei molti militari che commisero in Jugoslavia reati di guerra per i quali non furono mai perseguiti, nonostante le iniziali richieste del governo jugoslavo[46].

La memoria degli avvenimenti rimase per lo più ristretta nell'ambito degli esuli, di qualche intellettuale anticonformista e di commemorazioni locali. Solo una parte della destra ha sostenuto le ragioni delle vittime, sia pure strumentalizzandole in funzione anticomunista ed esagerando il loro numero.

Ciò non toglie che in opere storiche, l'argomento fosse dibattuto: ad esmempio nel 1980, Arrigo Petacco - noto giornalista e saggista - illustrò la tragica realtà di questo massacro. Il suo racconto, pur all'interno di un'opera più ampia e con molte incertezze, prudenze ed omissioni, offriva un quadro sufficientemente completo, senza sottovalutare entità e ferocia delle stragi.

Il riemergere della vicenda negli anni '90

Tuttavia, fu solo a partire dai primi anni '90, a seguito della fine della guerra fredda, che il tema delle foibe venne pienamente in luce e iniziò ad essere trattato dai media, coinvolgendo cultura, società e politica. Anche su iniziativa degli ex comunisti[senza fonte], si è fatta luce su questi episodi, che hanno cominciato ad essere ufficialmente ricordati.

Dal 2005 la giornata del 10 febbraio è dedicata alla commemorazione dei morti e dei profughi italiani. La data del 10 febbraio ricorda il trattato di Parigi siglato nel 1947 che assegnò alla Jugoslavia il territorio occupato nel corso della guerra dall'armata di Tito.

In tale occasione fu trasmessa da Rai Uno la controversa "fiction" Il cuore nel pozzo prodotta dalla RAI e liberamente ispirata alle stragi delle foibe. La trasmissione ebbe un vasta audience[47] e suscitò numerose polemiche per l'approssimazione con cui veniva trattato il contesto storico della vicenda[48]

Processi a criminali di guerra

I vari governi italiani succedutesi negli anni mai consegnarono i responsabili dei crimini nei Balcani, sia a causa della così detta "amnistia Togliatti"[49] intervenuta il 22 giugno 1946, sia perché il 18 settembre 1953 il governo Pella approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948,[50] a cui si aggiunse quella del 4 giugno 1966.[51] All'epoca la sola città di Belgrado (capitale dell'allora Jugoslavia) chiese di imputare oltre 700 presunti criminali di guerra italiani[52] e i generali Mario Roatta, Vittorio Ambrosio e Mario Robotti, che non furono mai consegnati nonostante gli accordi internazionali prevedessero la loro estradizione.[53]

Nel 1992 è stato istituito un procedimento giudiziario in Italia contro alcuni dei responsabili dei massacri ancora in vita.[54] Tali inchieste furono giustificate dal fatto che all'epoca la Venezia Giulia era ancora ufficialmente sotto sovranità italiana; inoltre i crimini di guerra non sono soggetti a prescrizione. Partite dalla denuncia di Nidia Cernecca[55], figlia di un infoibato, videro come principali imputati i croati Oscar Piskulic e Ivan Motika. L'inchiesta fu istituita dal pubblico ministero Giuseppe Pittitto. Nel 1997 diversi parlamentari sollecitarono il governo affinché avanzasse richiesta di estradizione per alcuni degli imputati.[56] Il procedimento si è concluso con un nulla di fatto: nel 2004 fu infatti negata la competenza territoriale dei magistrati italiani.

Anche in questa occasione fiorirono le polemiche: fra le altre cose Pittitto fu accusato di volere imbastire un "processo alla resistenza".[57]

I dibattiti politici

La ricerca storica ha ormai pubblicato molteplici studi sugli avvenimenti, molte opere divulgative sono, inoltre, state pubblicate. Nell'opinione pubblica, tuttavia, persiste una forte enfasi, di origine ideologica, sulle responsabilità che comunismo e fascismo hanno avuto nelle foibe.

Comunismo e fascismo: il dibattito sulle responsabilità

In particolare, in alcuni ambienti della destra si afferma che le foibe sono state semplicemente un crimine del comunismo (spregiativamente chiamato "barbarie slavocomunista"), un genocidio di cittadini inermi che avevano la "sola colpa di essere italiani"[58], in preparazione alla successiva pulizia etnica. Il numero delle vittime viene talvolta esagerato.

D'altra parte, in alcuni ambienti della sinistra, è diffuso un atteggiamento "giustificazionista" e si presentano gli eccidi come una "reazione" alla brutalià fascista.[59][60][61] È diffuso, inoltre, un atteggiamento "riduzionista" [62] che contesta il numero delle vittime delle foibe correggendolo al ribasso e che sostiene che gli eccidi abbiano coinvolto essenzialmente esponenti fascisti, sia militari che civili, responsabili di repressioni e di crimini di guerra.[63]

Si è visto sopra come le cause degli eccidi siano, in realtà, molto più complesse rispetto a queste semplificazioni.

Responsabilità del regime comunista iugoslavo

File:Marsal Tito.jpg
Josip Broz Tito

«... le "foibe" (...) sono state una variante locale di un processo generale che ha coinvolto tutti i territori i cui si realizzò la presa del potere da parte del movimento partigiano comunista jugoslavo ...»

Gli eccidi, come detto, avevano anche l'obiettivo di eliminare i possibili oppositori del costituendo regime comunista iugoslavo[64] e furono uno dei tanti eccidi che caratterizzarono la sua ascesa al potere[65], fra questi è rimasto tristemente celebre il massacro di Bleiburg. Repressioni di tale portata furono consentite dalle caratteristiche dittatoriali del regime comunista di Tito. Simili repressioni furono, inoltre, caratteristiche dell'ascesa al potere di gran parte dei regimi comunisti del periodo (che all'epoca conicidevano con lo stalinisimo), fatto che ha spesso portato a presentare le foibe 'tour court' come un "crimine del comunismo".

La posizione del Partito Comunista Italiano

  Lo stesso argomento in dettaglio: Treno della vergogna.
 
Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano. Le sue posizioni sulla questione giuliano-dalmata sono controverse.

«Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi.[66]»

Il P.C.I. non ebbe responsabilità dirette sul massacro; tuttavia acconsentì a lasciare la Venezia Giulia e il Friuli orientale sotto il controllo dei partigiani di Tito, avallando implicitamente l'espansionismo jugoslavo. Fu per questo motivo che ordinò ai propri combattenti partigiani nella regione di porsi sotto comando jugoslavo (fu in questo contesto che maturò il celebre eccidio di Porzûs).[67]

Terminato il conflitto molti militanti comunisti italiani collaborarono con i comunisti jugoslavi e molti si resero complici dei massacri. Va detto che le scelte dei comunisti italiani (spesso tacciati di "tradimento") furono coerenti al loro internazionalismo, secondo il quale l'affermarsi del comunismo era un valore superiore a quello di patria e di nazione. Coerenti a questo ideale giunsero anche ad auspicare la formazione di una settima repubblica federativa jugoslava, di carattere italiano, comprendente Trieste, Monfalcone e il Friuli orientale. Negli anni successivi furono tuttavia molti gli ex partigiani e i militanti a prendere la via dell'esodo, dopo aver sperimentato il volto nazionalista e repressivo del comunismo jugoslavo.[68][69]

Negli anni successivi il P.C.I. contribuì a dare una visione alterata degli avvenimenti, volta a minimizzare e a giustificare le azioni dei comunisti jugoslavi.[70] Di questo atteggiamento ne fecero le spese i profughi, ai quali fu ingiustamente cucita addosso l'odiosa nomea di "fascisti in fuga"[71]).

A tutt'oggi, come si dice avanti, persiste in taluni ambienti comunisti e post-comunisti un atteggiamento che tende a minimizzare e a giustificare gli eccidi.

Negazionismo sulle foibe

  Lo stesso argomento in dettaglio: Negazionismo.

Forte scalpore hanno suscitato in particolare le teorie della giornalista triestina Claudia Cernigoi, che nega, di fatto, l'esistenza stessa degli eccidi[72]. Alla Cernigoi, in particolare, è stata rivolta l'esplicita accusa di negazionismo.[73]

Tesi sul primo utilizzo delle foibe

 
La Foiba di Pisino, dove si inabissa l'omonimo torrente[74], citata dal gerarca Giuseppe Cobolli Gigli

Secondo il giornalista e scrittore Giacomo Scotti - poi ripreso da altri autori e dai media - i primi ad impiegare le foibe quale strumento per eliminare avversari sarebbero stati i fascisti, che le avrebbero utilizzate per occultare i cadaveri di civili sloveni e croati[75].

Tale tesi cita le affermazioni del gerarca fascista Giuseppe Cobolli Gigli. Costui già nel 1919 riportava la seguente filastrocca in una guida turistica: "A Pola xé l'Arena/ la Foiba xé a Pisin:/ che i buta zo in quel fondo/ chi ga' un certo morbin". Otto anni dopo Cobolli Gigli riprese la tematica scrivendo un articolo[76]: "La musa istriana ha chiamato Foiba[77][78] degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria". A tali elementi si aggiunge l'unica testimonianza presentata da Scotti su un effettivo uso delle foibe da parte dei fascisti, una lettera pubblicata sul quotidiano triestino Il Piccolo del 5 novembre 2001, che riferisce di massacri compiuti dai fascisti e dell'occultamento dei cadaveri delle vittime in alcune foibe. In base a questi elementi, Scotti ha definito le foibe un'"invenzione fascista". Le affermazioni contenute nella lettera non hanno, tuttavia, trovato altri riscontri specifici ed hanno suscitato critiche e forte scetticismo[79].

Lo storico Raoul Pupo non esclude a priori l'uso delle foibe anche da parte dei fascisti, ma non lo ritiene validamente documentato, e osserva che il regime fascista non aveva alcun motivo per nascondere le proprie condanne a morte, e che, viceversa, fece di tutto pubblicizzare le esecuzioni promulgate dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.[80][81]

La teoria di Scotti è stata in seguito ripresa anche da intellettuali come lo scrittore Predrag Matvejević[82] e da enti istituzionali quali l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia,[83] acquisendo notorietà e venendo spesso citata.
Una ipotesi simile, che attribuisce al comandante di polizia Gaetano Collotti l'utilizzo di foibe per eliminare i cadaveri di perseguitati politici [84], è stata presentata dalla giornalista Claudia Cernigoi.

Il punto di vista sloveno e croato

La Slovenia ha ufficialmente adottato la relazione di una commissione congiunta italo-slovena che descrive i rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1956.

 
Il presidente della Repubblica di Croazia Stipe Mesic; pur condannandole ha definito le foibe una "vendetta"

Le autorità italiane, pur avendo sostenuto l'operato della commissione, non hanno adottato la relazione, ritenendo inopportuno conferire ad essa uno status di ufficialità che non è compatibile con il principio della libera ricerca[senza fonte].

Il Governo italiano nel 2007, rispondendo ad una interrogazione parlamentare del deputato Cardano, ha precisato che, godendo già la relazione della Commissione bilaterale dello Status di ufficialità, ed essendo passati ormai ben 7 anni dalla sua prima pubblicazione sulla stampa e dal riconoscimento ufficiale del Governo sloveno, non ritiene di pubblicarla perché gode già dello Status di ufficialità.[85] In Croazia sono diffuse opinioni di carattere riduzionista e si ritiene che i massacri siano stati solo una limitata reazione alle angherie del regime fascista, tanto nel '43 quanto nel '45.[senza fonte]

Elenco di foibe

In questo elenco sono segnalate foibe e cave nelle quali son stati trovati resti umani o che secondo le testimonianze conterrebbero dei resti umani, dei quali solo una minima parte è stata recuperata[86].

  • Foiba di Basovizza (Trieste) monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti)
  • Foiba di Monrupino (Trieste) monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti)
 
Mappa delle principali foibe
  • Foiba di Barbana
  • Foiba di Beca
  • Foiba Bertarelli (Pinguente)
  • Foiba di Brestovizza
  • Foiba di Campagna (Trieste) (assieme alle foibe di Opicina e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foibe di Capodistria (una commissione slovena fece ispezionare le ottantun cavità con entrata verticale che circondano la città: in diciannove di esse sono stati trovati resti umani. Recuperati cinquantacinque corpi, secondo le testimonianze nella zona furono eliminati centoventi italiani e sloveni di San Dorligo della Valle)
  • Foiba di Casserova (vicino a Fiume: tedeschi, sloveni e italiani gettati dentro. Estremamente difficile il recupero)
  • Foibe di Castelnuovo d'Istria
  • Foiba di Cernizza (due salme recuperate nel 1943)
  • Foiba di Cernovizza (Pisino) (testimonianze di circa cento uccisioni)
  • Foiba di Cocevie
  • Foiba di Corgnale (assieme alle foibe di Campagna e Opicina, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foiba di Cregli (otto corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Drenchia (presenza di cadaveri della divisione partigiana Osoppo, secondo Diego De Castro)
  • Cava di Bauxite di Gallignana (ventitré corpi recuperati nel mese di ottobre del 1943)
  • Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) (circa ottanta morti, secondo le testimonianze)
  • Foiba di Gimino
  • Foiba di Gropada (trentaquattro persone eliminate con colpo alla nuca il 12 maggio 1945. Corpi non recuperati)
  • Foiba di Iadruichi
  • Foiba di Jurani
  • Cava di bauxite di Lindaro
  • Foiba di Obrovo (Fiume)
  • Foiba di Odolina
  • Foiba di Opicina (assieme alle foibe di Campagna e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foiba di Orle (un numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946)
  • Foiba di Podubbo (cinque corpi individuati e non recuperati)
  • Foiba di Pucicchi (undici corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Raspo
  • Foiba di Rozzo
  • Foiba di San Lorenzo di Basovizza
  • Foiba di San Salvaro
  • Foiba di Scadaicina
  • Abisso di Semez (individuati i resti di ottanta/cento persone. Corpi non recuperati)
  • Foiba di Semi (Istria)
  • Abisso di Semich (un centinaio di corpi individuati ma non recuperati)
  • Foiba di Sepec (Rozzo)
  • Foiba di Sesana (un numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946)
  • Foiba di Surani (ventisei corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Terli (ventisei corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Treghelizza (due corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Vescovado (sei corpi recuperati)
  • Foiba di Vifia Orizi (testimonianze di circa duecento persone eliminate)
  • Foiba di Vines (cinquantaquattro corpi recuperati nel mese di ottobre 1943)
  • Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) (secondo le testimonianze, vi sono stati gettati i corpi dei Carabinieri di Gorizia, oltre che di centinaia di sloveni oppositori di Tito)

Note

  1. ^ Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2003, ISBN 88-0448978-2, pag. 4
  2. ^ Raoul Pupo Le foibe giuliane 1943-45; "L'impegno"; a.XVI; n. 1; aprile 1996, su storia900bivc.it, Consultato il 13 gennaio 2009. «È noto infatti che la maggior parte delle vittime non finì i suoi giorni sul fondo delle cavità carsiche, ma incontrò la morte lungo la strada verso la deportazione, ovvero nelle carceri o nei campi di concentramento jugoslavi.»
  3. ^ "L'Adriatico orientale e la sterile ricerca delle nazionalità delle persone" di Kristijan Knez; [[La Voce del Popolo (quotidiano di Fiume)]] del 2/10/2002, su xoomer.alice.it, Consultato il 10 luglio 2009. Wikilink compreso nell'URL del titolo (aiuto) «... è privo di significato parlare di sloveni, croati e italiani lungo l'Adriatico orientale almeno sino al XIX secolo. Poiché il termine nazionalità è improponibile per un lungo periodo, è più corretto parlare di aree culturali e linguistiche, perciò possiamo parlare di dalmati romanzi, dalmati slavi, di istriani romanzi e slavi.»
  4. ^ Monzali Luciano Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla grande guerra; Editore Le Lettere; 2004
  5. ^ a b c Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Capitolo 1980-1918", Capodistria, 2000
  6. ^ Raimondo Deranez, Particolari del martirio della Dalmazia, Stab.Tipografico dell'ORDINE, Ancona, 1919
  7. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Capitolo 1914-1941", Capodistria, 2000
  8. ^ Cartoline storiche di Istria, Quarnaro e Dalmazia (contiene un commento critico del testo citato), su istriadalmaziacards.com, Consultato il 10 luglio 2009.
  9. ^ Storia d'Italia nel periodo fascista Di Luigi Salvatorelli, Giovanni Mira; Pubblicato da G. Einaudi, 1956
  10. ^ Fabio Ratto Trabucco, Il regime linguistico e la tutela delle minoranze in Francia, su "Il politico (Rivista italiana di scienze politiche)", Anno 2005, Volume 70)
  11. ^ Sito sui tedeschi del Gottschee, dove si parla delle repressioni subite dalla locale minoranza tedesca.
  12. ^ Regio decreto-legge del 3 maggio 1941, n. 291 (istituzione della Provincia di Lubiana: "ART. 2- Con decreti reali (...) saranno stabiliti gli ordinamenti della provincia di Lubiana, la quale, avendo una popolazione compattamente slovena, avrà un ordinamento autonomo con riguardo alle caratteristiche etniche della popolazione, alla posizione geografica del territorio e alle speciali esigenze locali"
  13. ^ Diari di guerra: Il diario di Renzo Pagliani, bersagliere nel battaglione "Zara", su digilander.libero.it. URL consultato il 10 novembre 2009.
  14. ^ L’Italia in guerra e il Governatorato di Dalmazia, su arcipelagoadriatico.it, Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata, 2007. URL consultato il 10 novembre 2009.
  15. ^ Galliano Fogar. Le foibe: Istria, settembre-ottobre 1943, «Patria indipendente», 27 febbraio 2005.
  16. ^ Cfr. G. La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia
  17. ^ M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino, 2007, p. 244
  18. ^ I dati si riferiscono all'insieme dei detenuti politici ed ebrei. Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, Il libro dei deportati, vol 1, tomo 3, p. 2533. ISBN 9788842542285
  19. ^ Sul tema, ed in particolare sulla morte di Niccolò e Pietro Luxardo, si veda Nicolò Luxardo De Franchi, Dietro gli scogli di Zara, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1999, ISBN 8886928246.
  20. ^ La Luxardo e la Romagna, su xoomer.alice.it, La Voce di Rimini, 14-06-2004. URL consultato il 16-10-2009.
  21. ^ Padre Flaminio Rocchi, Zara, un sestiere veneziano, in L'esodo dei 350 mila giuliani, fiumani e dalmati. URL consultato il 16-09-2009.
  22. ^ Le ragioni della vendetta etnica, relazione di Lucio Toth, presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
  23. ^ Articolo de Il Piccolo
  24. ^ La Repubblica, 09 marzo 2006 Quei 1048 nomi riemersi dalle foibe di Paolo Rumiz;I 1.048 deportati da Gorizia (raccolta di articoli sui deportati goriziani), Altri articoli sul tema:[1][2][3]
  25. ^ Raoul Pupo Le foibe giuliane 1943-45; "L'impegno"; a.XVI; n. 1; aprile 1996, su storia900bivc.it, Consultato il 5 marzo 2009.
  26. ^ Società di Studi Fiumani-Roma, Hrvatski Institut za Povijest-Zagreb Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947)[4], Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione Generale per gli Archivi, Roma 2002. ISBN 88-7125-239-X.
    Nello studio per ogni vittima individuata nominativamente, sono stati indicati tutti i dati personali conosciuti (nome, cognome, data di nascita, ultimo indirizzo conosciuto ecc.), la data e la causa di morte. Lo studio è ritenuto non esaustivo dagli stessi autori che affermano che lo stesso è da considerarsi "una buona base di partenza per quanti in futuro vorranno cimentarsi in questa difficile problematica", dato che "nessuna ricerca storica di carattere complesso come questa ha mai dato finora una risposta chiara e definitiva" (p. 149). Le tabelle riassuntive sono alla pag. 206.
  27. ^ Presidenza della Repubblica, Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del "Giorno del ricorso" Quirinale, 10 febbraio 2007[5]
  28. ^ Raoul Pupo "Le stragi del secondo dopoguerra nei territori amministrati dall'esercito partigiano jugoslavo" (PDF), su italia-liberazione.it, consultato il 11 gennaio 2009. «Quella combattuta sui campi di battaglia della Jugoslavia non è stata soltanto una guerra di liberazione, ma anche una terribile guerra civile, in cui – dalle prime stragi ustaša del 1941 in poi – determinazione e orrore hanno sostituito la pietà. Per i prigionieri slavi quindi non c’è scampo: quelli caduti nelle mani dei partigiani vengono fucilati, ma anche quelli che sono riusciti a consegnarsi agli alleati, non per questo hanno trovato la salvezza.»
  29. ^ "La nostra è la cronaca di una storia negata annunciata: l’identificazione tout court con il nemico secondo la tragica equazione italiano uguale fascista...".[6] Dal discorso del presidente della Giunta esecutiva dell'Unione Italiana Maurizio Tremul, alla presentazione del manuale “Istria nel tempo. Storia regionale dell’Istria con riferimenti alla città di Fiume”, Collana degli Atti N° 26 del CRS di Rovigno.
  30. ^ http://www.controstoria.it/foibe.htm Cadono nella rete della ghepeù slava, come ora la chiamano, centinaia di cittadini del gruppo etnico italiano: gerarchi locali, podestà, segretari, ma anche messi comunali, guardie civiche, levatrici, ufficiali di posta, insegnanti, bidelli, proprietari terrieri, impiegati, sorveglianti, carabinieri e guardie forestali. Nella maggioranza dei casi, se a costoro possono essere mosse delle accuse queste derivano dall'appartenenza a una classe sociale che definiremmo borghese o di avere nutrito idee politiche diverse da quelle degli occupanti. Da notare che, in epoca fascista l'ottenimento di un posto di lavoro di qualunque livello nel pubblico impiego implicava l'iscrizione al PNF, almeno formalmente ed indipendentemente dal loro pensiero, i dipendenti pubblici potevano tutti essere classificati come "fascisti". Su tutti comunque pesava la grave colpa di essere italiani. (da "L'esodo - La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia", pag. 57-58)
  31. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Periodo 1941-1945", Capodistria, 2000
  32. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena; Periodo 1941 - 1945, su kozina.com, consultato il 11 gennaio 2009. «Influì anche negativamente l'eco degli eccidi di italiani dell'autunno del 1943 (le cosiddette "foibe istriane") nei territori istriani ove era attivo il movimento di liberazione croato, eccidi perpetrati non solo per motivi etnici e sociali, ma anche per colpire in primo luogo la locale classe dirigente, e che spinsero gran parte degli italiani della regione a temere per la loro sopravvivenza nazionale e per la loro stessa incolumità.»
  33. ^ Le rivendicazioni di Tito, tuttavia, includevano anche la maggior parte del Friuli, volendo portare il confine al Tagliamento.
  34. ^ Paolo Sardos Albertini (2002-05-08). "Terrore" comunista e le foibe - Il Piccolo
  35. ^ Cosa vuol dire "infoibare", su foibadibasovizza.it, consultato il 11 gennaio 2009. «In taluni casi le vittime furono allineate in fila lungo l'orlo della foiba, legati l'un con l'altro con filo di ferro: dopo essere stato ucciso con un colpo alla nuca il capofila precipitava trascinando il resto del gruppo.»
  36. ^ Gaetano La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia, nonché La via dell'Esilio, supplemento a Storia illustrata n° 10, 1997
  37. ^ Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti: quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile. sedicesima edizione. p.371, Sperling & Kupfer, 2003, ISBN 9788820035662.
  38. ^ Il dato corretto fu poi raccolto grazie al Centro Studi Adriatici fissandole a 10.137. Vedi anche Giuseppe Dicuonzo, Nato in rifugio p. 56, UNI Service, 2008, ISBN 9788861782396.
  39. ^ Lo storico Mario Pacor afferma che nelle foibe istriane finirono dopo l'armistizio 400-500 persone, nonché 4.000 italiani furono deportati, dei quali molti furono uccisi dopo procedimenti sommari quindi forse infoibati successivamente. Questi dati fanno riferimento ai documenti dei vigili del fuoco di Pola. La Commissione storica italo-slovena, instaurata dai ministeri degli esteri dei due rispettivi paesi e composta sia da storici sloveni che italiani, ha esaminato i rapporti tra i due Paesi tra il 1880 e il 1956. Il rapporto non approfondisce l'argomento delle foibe, ma indica il numero delle sole esecuzioni sommarie in "centinaia". Questo rapporto non tratta però delle foibe in territorio croato. Lo storico Raoul Pupo indica in circa 5.000 il numero dei morti. Lo storico Guido Rumici stima invece il numero delle vittime in minimo 6.000, cifra che salirebbe però ad oltre 11.000 se si considerano anche tutti coloro che sono scomparsi nei campi di concentramento jugoslavi.
  40. ^ Guido Rumici, Infoibati (1943-1945). I Nomi, I Luoghi, I Testimoni, I Documenti, Mursia, 2002, ISBN 9788842529996..
  41. ^ Guido Rumici riporta le testimonianze dei tre citati alle pagine 250 e 251 nel suo libro Infoibati
  42. ^ Si veda in tal senso il suo articolo L'ideologia del mercato caritatevole in Sottolebandieredelmarxismo, 9 settembre 2009[7].
  43. ^ Pol Vice, Scampati o no. I racconti di chi "uscì vivo" dalla foiba, Edizioni Kappa Vu, Udine 2005. Il libro è stato scritto in collaborazione con Claudia Cernigoi, accusata dallo storico Raoul Pupo di far parte del gruppo di autori "riduzionisti o negazionisti" delle foibe.
  44. ^ Raoul Pupo, op. cit.
  45. ^ Articolo su un sito dell'A.N.P.I.
  46. ^ Cfr. 10 febbraio 2008: Giornata del ricordo: italiani in Jugoslavia a cura del Ministero della Pubblica Istruzione italiana, p. 4, "In effetti il governo jugoslavo richiese già nel febbraio del 1945, a guerra ancora in corso, la consegna di 40 criminali di guerra italiani (tra i quali Ambrosio, Roatta e Robotti), che divennero 302 dopo le investigazioni dalla commissione jugoslava per i crimini di guerra.".
  47. ^ Fiction foibe, record d'ascolti La Repubblica, 8 febbraio 2005
  48. ^ La tragedia delle foibe diventa piccola Corriere della Sera, 6 febbraio 2005.
  49. ^ Tale amnistia promulgata con il D.P.R. 22 giugno 1946, n. 4, il cui testo è disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1946/lexs_139245.html, comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio, pene allora punibili fino ad un massimo di cinque anni. I reati commessi al Sud dopo l'8 settembre 1943 e l'inizio dell'occupazione militare alleata al Centro e al Nord.[8] [9]
  50. ^ D.P.R 19 dicembre 1953, n. 922, testo disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1953/lexs_33552.html
  51. ^ D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, testo disponibile dal sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1966/lexs_39092.html
  52. ^ A tal proposito sono stati scritti libri di denuncia, come "Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)" a cura di C. Di Sante.
  53. ^ Art. 45 del Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate - Parigi, 10 febbraio 1947
  54. ^ Il processo agli infoibatori
  55. ^ http://www.nidiacernecca.it/ Nidia Cernecca: sito ufficiale.
  56. ^ Interrogazione parlamentare e Atto depositato in senato
  57. ^ Intermax (rivista virtuale di analisi e critica materialista) Processo alle Foibe, processo alla Resistenza di Claudia Cernigoi
  58. ^ Articolo dal Corriere della sera
  59. ^ La Nuova Albarda, In merito al film "Il cuore nel pozzo” ...
  60. ^ il Manifesto del 10 febbraio 2009, Articolo di Gabriele Poli
  61. ^ Il Manifesto del 11 febbraio 2005, "Alle radici dell'odio tragedie incomparabili sull'orlo di una foiba Alle radici dell'odio tragedie incomparabili sull'orlo di una foiba" di Enzo Collotti
  62. ^ Fabio Andriola La Casta e la Storia, in Storia in rete n° 30 dell'aprile 2008 e www.lefoibe.it
  63. ^ Si veda per esempio il manifesto di Rifondazione Comunista sulla "Memoria delle Foibe" in cui si afferma che le foibe furono solo "l'eliminazione di decine di fascisti e collaborazionisti" assieme ad alcuni "eccessi e vendette personali". Secondo la storica Alessandra Kersevan (cfr. intervista sul periodico TrentaGiorni, febbraio 2007) "Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del '43, e con l'occupatore tedesco per quanto riguarda il '45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al movimento di liberazione. Va detto inoltre che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni: è ormai assodato che in Istria nel '43 le persone uccise nel corso dell'insurrezione successiva all'8 settembre sono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel '45 le persone scomparse, sono meno di 500 a Trieste e meno di 1000 a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia. Uso il termine "scomparsi", ma purtroppo è invalso l'uso di definire infoibati tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel '45 le persone "infoibate" furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. Insomma se si va ad analizzare la documentazione esistente si vede che si tratta di una casistica varia che non può corrispondere ad un progetto di "pulizia etnica" da parte degli jugoslavi come si è detto molto spesso in questi anni".
  64. ^ Vedere il sopra citato "Rapporto della commissione mista italo slovena"; paragrafo 11.
  65. ^ Raoul Pupo; "Le stragi del secondo dopoguerra nei territori amministrati dall'esercito partigiano jugoslavo"
  66. ^ Lega Nazionale. Rassegna di articoli apparsi sulla stampa nazionale nell'immediato dopoguerra
  67. ^ Pier Paolo Pasolini sull'Eccidio di Porzûs
  68. ^ Guido Rumici, Fratelli d'Istria. 1945-2000: italiani divisi, Mursia, 2001.
  69. ^ Arrigo Petacco; "L'esodo. La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia"; Mondadori, Milano, 1999
  70. ^ Dossier Foibe ed Esodo, curato da Silvia Ferretto Clementi, Consigliere Regionale della Lombardia.
  71. ^ Documento video sul "Treno della Vergogna"
  72. ^ Claudia Cernigoi, Operazione foibe a Trieste: come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo pp 123-124, Kappa vu, 1997.
  73. ^ "Foibe" di Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Bruno Mondadori Editore, ISBN:8842490156
  74. ^ http://www.travel-tourist.com/pazin_it.htm
  75. ^ Articolo di Giacomo Scotti su Il Manifesto di venerdì 4 febbraio 2005
  76. ^ Su "Gerarchia", IX, 1927)
  77. ^ Da osservare che Cobolli Gigli si riferisce esclusivamente all'abisso noto come "Foiba di Pisino" e non alle "foibe" in generale, come rilevato dallo stesso Giacomo Scotti.
  78. ^ Sergio Fumich, Il Pozzo E Le Parole p 148, Ambrosiana, 2007, ISBN 9781847992222.
  79. ^ "Nuove illazioni sulle foibe", di Liliana Martissa, membro del consiglio direttivo di Coordinamento Adriatico
  80. ^ Articolo di Raoul Pupo
  81. ^ [10] Articolo sul processo a Vladimir Gortan, celebratosi a Pola nel 1929
  82. ^ Articolo di Predrag Matvejevic dal quotidiano croato Novi List, che riporta la citazione
  83. ^ "Quando si cominciò a parlare di Foibe?" di Federico Vincenti(Articolo della rivista dell'ANPI, che rilancia l'ipotesi di Scotti)
  84. ^ Fisicamente.net - 16-02-2005 L’ispettorato speciale di pubblica sicurezza;Le foibe tra mito e realtà. Intervista ad Alessandra Kersevan.
  85. ^ Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Seduta del' 8/2/2007 (PDF), su camera.it, consultato il 17 gennaio 2009. «Il Deputato Cardano presenta una interrogazione al Ministro degli affari esteri, al Ministro della pubblica istruzione, al Ministro dell'università, chiedendo nell'interrogazione scritta "... se i Ministri interrogati non ritengano di dover adoperarsi affinché la suddetta relazione italo-slovena e tutti i materiali preparatori della stessa vengano resi pubblici e, per questa via, diffusi nel mondo della cultura e della scuola". Nella risposta scritta il rappresentante del Governo italiano afferma che non si riteneva necessaria una sua pubblicazione ufficiale in quanto il "testo" di tale Relazione è già stato "riconosciuto" dai membri della Commissione congiunta che lo hanno elaborato e inoltre già pubblicato ufficialmente dalla parte slovena nell'agosto 2001. Il rappresentante del Governo italiano, nella risposta scritta, specifica testualmente che "...Tenuto quindi conto anche del lungo tempo trascorso, non appare opportuna una nuova pubblicazione ufficiale della relazione, mentre potrebbe essere utile una sua diffusione nel mondo della cultura e della scuola". Ossia, per le autorità italiane, non si ritiene di dover procedere a una sua "ulteriore" pubblicazione in quanto il testo è già noto ed è già garantita la sua "veridicità". Inoltre se ne consiglia la sua diffusione nel mondo della cultura e della scuola.»
  86. ^ Documento riassuntivo dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD

Bibliografia

Nota alla bibliografia

S'indicano di seguito dei testi utili per approfondire l'argomento. Si tenga presente che questo argomento è molto discusso e spesso soggetto a condizionamenti politici quindi non tutti i testi seguono un metodo storico canonico o, se lo fanno, comunque hanno come obiettivo la dimostrazione di una tesi. Molti autori non nascondono di essere schierati per una fazione politica piuttosto che per un'altra quindi la neutralità dell'analisi appare fortemente condizionata.

In molti testi, notano alcuni, spesso si discute di argomenti storici secondari come i soli numeri dell'eccidio o delle foibe, mentre si tralasciano argomenti più importanti come le cause e le conseguenze.

Per questo motivo si consiglia un approccio critico a ogni tipo di testo quindi s'invita a operare un confronto prima di giungere a conclusioni personali. Vengono qui indicati, infatti, testi rappresentativi di tutte le visioni e di tutti i punti di vista.

Saggi storici

  • Claudia Cernigoi, Operazione Foibe - Tra storia e mito, Edizioni Kappa Vu, Udine, 2005
  • Mafalda Codan, Diario di Mafalda Codan in : Mario Dassovich, Sopravvissuti alle deportazioni in Jugoslavia, Istituto Regionale per la Cultura Istriana – Unione degli Istriani - Bruno Fachin Editore – Trieste 1997 ISBN 8885289541
  • Paolo De Franceschi Foibe, prefazione di Umberto Nani, Centro Studi Adriatici, Udine 1949
  • Federico Goglio: "Foibe : inferno a nord-est", Editore Baranzate di Bollate Cidal, 2001
  • Jožko Kragelj, Pobitim v spomin: žrtve komunističnega nasilja na Goriškem 1943-1948, Goriška Mohorjeva, Gorizia 2005
  • Giancarlo Marinaldi, La morte è nelle foibe, Cappelli, Bologna 1949
  • Adamo Mastrangelo, Foibe, ciò che non si dice, Calendario del Popolo, Luglio 2008, Nicola Teti Editore
  • Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano 2003, ISBN 88-0448978-2
  • Luigi Papo, L'Istria e le sue foibe, Settimo sigillo, Roma, 1999
  • Luigi Papo, L'ultima bandiera. Storia del reggimento Istria, L'Arena di Pola, Gorizia 1986
  • Eno Pascoli, Foibe: cinquant'anni di silenzio. La frontiera orientale, Aretusa, Gorizia 1993
  • Arrigo Petacco, L'esodo. La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, Mondadori, Milano 1999
  • Raoul Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l'esilio, Rizzoli, Milano 2005
  • Leonardo Raito, Il PCI e la resistenza ai confini orientali d'Italia, Temi, Trento, 2006
  • Franco Razzi, Lager e foibe in Slovenia, E.VI, Vicenza 1992
  • Guido Rumici, Infoibati. I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Mursia, Milano 2002
  • Giorgio Rustia, Contro operazione foibe a Trieste a cura dell'Associazione famiglie e congiunti dei deportati italiani in Jugoslavia e infoibati, 2000
  • Fulvio Salimbeni, Le foibe, un problema storico, Unione degli istriani, Trieste 1998
  • Giacomo Scotti, Dossier Foibe, Manni, San Cesario (Le), 2005
  • Frediano Sessi, Foibe rosse. Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel '43, Marsilio, Venezia 2007.
  • Giovanna Solari, Il dramma delle foibe, 1943-1945: studi, interpretazioni e tendenze, Stella, Trieste 2002
  • Roberto Spazzali, Foibe: un dibattito ancora aperto. Tesi politica e storiografica giuliana tra scontro e confronto, Lega Nazionale, Trieste 1990
  • Roberto Spazzali-Raoul Pupo, Foibe, Bruno Mondadori, Milano 2003
  • Roberto Spazzali, Tragedia delle foibe: contributo alla verità, Grafica goriziana, Gorizia 1993
  • Giampaolo Valdevit (cur.), Foibe, il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1997
  • Frank Perme e altri, Slovenia, 1941, 1948, 1952: Anche noi siamo morti per la patria, Milano 2000.
  • Pierluigi Pallante, La tragedia delle foibe, Editori Riuniti, Roma 2006

Romanzi

  • Carlo Sgorlon, La foiba grande, Arnoldo Mondadori, Milano 1992

Voci correlate

Personalità legate alle foibe

Collegamenti esterni

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