Emilio Franceschini è uno pseudonimo con cui fu firmata la traduzione italiana de Il conte di Montecristo pubblicata negli anni 1980.[1][2]

Storia

La traduzione apparsa a firma "Emilio Franceschini" è in realtà una delle prime traduzioni italiane de Il conte di Montecristo, quella del 1869 pubblicata, anonima, da Sonzogno.[1][2] Nel 1984 la casa editrice Mondadori ripubblicò l'opera di Dumas, riproponendola con la traduzione del 1869, a sua volta ripresa dall'editore Salani: allorché si trattò d'inserire il nome del traduttore, i curatori dell'edizione scelsero lo pseudonimo "Emilio Franceschini".[1][2] Le caratteristiche della traduzione "Franceschini" sono la presenza di arcaismi[1] e uno stile ripetitivo e poco scorrevole, ottenuto ricalcando il testo dello stesso Dumas.[3] Inoltre, la traduzione è incompleta e manca di alcune parti presenti invece nel testo originale.[4] La traduzione "Franceschini" è stata riproposta da molti editori italiani, con poche variazioni, fino a tutti gli anni 2000.[1][2] La vicenda dell'invenzione del traduttore Emilio Franceschini è stata scoperta dall'editore Carmine Donzelli, che ha pubblicato nel 2010 una nuova traduzione de Il conte di Montecristo, illustrando nell'introduzione le sue ricerche e la conclusione cui lo avevano portato.[5] A parere dello stesso Donzelli, la traduzione "Franceschini" è stata tanto a lungo ripubblicata, quasi immutata, perché il romanzo di Dumas era considerato poco importante (lo stesso Umberto Eco, nel suo saggio Elogio del Montecristo, sostiene che il libro sia stato a lungo considerato paraletteratura[6]), e che quindi non gli sia stata dedicata molta attenzione al momento di verificare la correttezza della traduzione.[1][2]

Tagli e censure ne “Il conte di Montecristo”

Ecco di seguito alcune delle censure apportate da Emilio Franceschini al testo originale. A sinistra vi è la sua traduzione, a destra quella di Lanfranco Binni dell'edizione Garzanti.

Capitolo XII

(italiano)
«Il re! Volete sapere come sono andate le cose?»
(italiano)
«Il re! Lo credevo abbastanza filosofo da capire che in politica non esistono assassinî. In politica, mio caro, lo sapete quanto me, non ci sono uomini ma idee; non sentimenti ma interessi; in politica non si uccide un uomo: si elimina un ostacolo, ecco tutto. Volete sapere com’è andata?»


Capitolo XVI

(italiano)
«<<Perché ho sognato nel 1807 il progetto che Napoleone ha tentato di realizzare nel 1811.>>

E il vecchio abbassò la testa.

Dantès non capiva come un uomo poteva arrischiare la sua vita per simili interessi. È vero però che, se egli conosceva Napoleone per avergli parlato una volta, non sapeva quali fossero stati i suoi progetti»
(italiano)
«<<Io? Perché ho sognato nel 1807 il progetto che Napoleone ha voluto realizzare nel 1811; perché come Machiavelli in mezzo a tutti quei principucoli che facevano dell'Italia un nido di staterelli tirannici e deboli, ho voluto un grande ed unico impero, unito e forte; perché ho creduto di trovare il mio Cesare Borgia in un inetto coronato che finse di capirmi per meglio tradirmi. Era il progetto di Alessandro VI e di Clemente VII; fallirà sempre perché da loro è stato iniziato malamente e Napoleone non ha potuto completarlo. Decisamente l'Italia è maledetta!>>

E il vecchio chinò la testa. Dantès non capiva come un uomo potesse rischiare la vita per simili interessi; è anche vero che, se conosceva Napoleone per averlo visto e avergli parlato, in compenso non sapeva affatto chi fossero Clemente VII e Alessandro VI»

Capitolo XVII

(italiano)
«La filosofia non s’impara, la filosofia è la riunione delle scienze imparate nel genio che le applica»
(italiano)
«La filosofia non s’impara; la filosofia è l’unione delle conoscenze acquisite e del genio che le applica: la filosofia è la nube splendente sulla quale Cristo posò il piede per risalire in cielo»

Capitolo XX

(italiano)
«Non era meglio morire, anche col rischio di passare per la lugubre porta dei patimenti?»
(italiano)
«Non era meglio, come Faria andare a chiedere a Dio la spiegazione dell'enigma della vita, a rischio di passare per la lugubre porta delle sofferenze?»

Capitolo XXIII

(italiano)
«Il difetto non era di Dantès, ma della nostra natura che crea desideri infiniti»
(italiano)
«La colpa non era di Dantès ma di Dio che, limitando la potenza dell'uomo, ha suscitato in lui desideri infiniti!»

Capitolo XXXI

(italiano)
«Diavolo! Questo cambia tutto: sei giorni! Sarebbe troppo»
(italiano)
«Questo cambia tutto. Sei giorni! Il tempo che è servito a Dio per creare il mondo. È un po' troppo ragazzi miei»
(italiano)
«Accade dei pirati come degli assassini, che quantunque siano creduti sterminati, pure aggrediscono tutt'i giorni i viaggiatori fin sotto le porte della città. È successo presso Velletri, saranno passati sei mesi»
(italiano)
«Per i pirati vale la stessa storia dei banditi che sarebbero stati sterminati dal Papa Leone XII e che tuttavia fermano ogni giorno i viaggiatori fino alle porte di Roma. Non avete sentito dire che solo sei mesi fa l'incaricato d'affari di Francia presso la Santa Sede è stato rapinato a cinquecento passi da Velletri?»
(italiano)
«Senza dubbio, essi sono stati perseguitati non per altro, che per aver fatta la pelle a qualcuno, mossi da spirito di vendetta (del che non li lodo), ma pure accade così»
(italiano)
«Sono sicuramente perseguitati per aver fatto la pelle a qualcuno, non per altro; come se la vendetta non fosse nella natura di un corso!»
(italiano)
«<<Voi avete molto sofferto, signore?>>

<<Da che lo arguite?>> disse. <<Da tutto>> rispose Franz, <<dalla vostra voce, dal vostro sguardo e dalla vita stessa che conducete>>

<<Io conduco la vita più felice che si conosca, una vera vita da pascià: mi piace un luogo, vi resto»
(italiano)
««Avete sofferto molto, signore?» gli disse Franz.

Simbad trasalì e lo guardò fisso. «Da che cosa lo capite?» domandò. «Da tutto – rispose Franz: – dal vostro sguardo, dal vostro pallore, dalla vita stessa che conducete». «Io! Conduco la vita più felice che conosca, una vera vita da pascià; sono il re del creato: se mi piace un luogo, mi fermo»


(italiano)
«L'obbedivano ciecamente»
(italiano)
«Obbedivano ai suoi ordini come a quelli di Dio»
(italiano)
«Allora per Franz che subiva per la prima volta l'effetto dell'hashish, fu una voluttà, come quello che prometteva il Vecchio della Montagna ai suoi seguaci»
(italiano)
«Allora fu una voluttà senza tregua, un amore senza sosta, come quello che il profeta prometteva ai suoi eletti. Allora tutte quelle bocche di pietra divennero vive, tutti quei petti cominciarono a palpitare, al punto che per Franz, che per la prima volta subiva il dominio dell'ascisc, quell'amore era quasi un dolore, quella voluttà quasi una tortura, quando sentiva posarsi sulla bocca riarsa le labbra di quelle statue, morbide e fredde come le spire di un serpente; ma quanto più le sue braccia cercavano di respingere quell'amore sconosciuto, tanto più i suoi sensi subivano il fascino di quel sogno misterioso, al punto che, dopo una lotta in cui profuse ogni energia del suo animo, si abbandonò senza più resistere e finì per soccombere, ansimante, estenuato dalla fatica, esausto di voluttà, sotto i baci delle tre amanti di marmo e l'incantesimo di quel sogno inaudito»

Capitolo XXXIV

(italiano)
«Farei in modo di parlare ad uno che conosco pregandolo di ottenere che l'esecuzione si differisca a quest'altro anno: quindi nel corso dell'anno tornerei a parlare con commovente eloquenza ad un altro tale che pure conosco, e lo farei evadere di prigione»
(italiano)
«Darò diecimila piastre ad una mia conoscenza, che otterrà il rinvio dell’esecuzione di Peppino al prossimo anno; poi, nel corso dell’anno, darò altre mille piastre a un'altra mia conoscenza, e lo farò evadere dal carcere.»
(italiano)
«Le graziose contesse genovesi, fiorentine e napoletane si erano conservate per i loro mariti, per i loro amanti, ed Alberto aveva acquistata la crudele convinzione che le italiane sanno essere almeno fedeli»
(italiano)
«Le incantevoli contesse genovesi, fiorentine e napoletane, si erano conservate, non per i loro mariti ma per i loro amanti, e Albert aveva maturato la crudele convinzione che le italiane avessero sulle francesi almeno il vantaggio di restare fedeli alla propria infedeltà»

Capitolo XXXV

(italiano)
«Allungò una mano, e tirò il cordone del campanello. Subito entrò un individuo»
(italiano)
«Allungò una mano verso il cordone del campanello, e lo tirò tre volte. «Vi siete mai occupato – disse a Franz, - dell'impiego del tempo e del modo di semplificare gli andirivieni dei domestici? Ho fatto uno studio: suono una volta per chiamare il mio cameriere, due volte per l'albergatore, tre per l'intendente, in questo modo non perdo né un minuto né una parola. Ma ecco il nostro uomo.» Entrò un individuo»
(italiano)
«Non c'è nella vita una preoccupazione più grave di quella della morte... Ebbene non è curioso studiare in quanti differenti modi l'anima può uscir dal corpo, e come, secondo i caratteri, i temperamenti, ed anche i costumi dei paesi, gl'individui sopportino questo supremo passaggio?»
(italiano)
«Nella vita esiste una sola grave preoccupazione, ed è la morte. Ebbene! non è curioso studiare in quali diversi modi l’anima può uscire dal corpo, e come, secondo i caratteri, i temperamenti e gli stessi costumi di ogni paese, gli individui sopportino questo supremo passaggio dall'essere al nulla? Quanto a me di una cosa sono sicuro: più si è visto morire, più diventa facile morire: così, a mio avviso, la morte è forse un supplizio, ma non un'espiazione»
(italiano)
«Senza calcolare che a volte è il reo che riporta il vantaggio nel duello, e viene così scolpato agli occhi del mondo.»
(italiano)
«Senza contare che spesso è lui a uscire trionfante dal duello, ripulito dalle sue colpe agli occhi del mondo e in qualche modo assolto da Dio»
(italiano)
««Voi disapprovate dunque il duello? Dunque non vi battereste in duello?» domandò a sua volta Alberto, meravigliato nel sentire una tale teoria.

«No certamente, non mi batterei» disse il conte.

«Ma – disse Franz al conte, – con questa teoria che vi istituisce giudice e esecutore nella vostra causa, sarebbe difficile contenervi nei limiti e fuggire gli estremi, che sono sempre pericolosi; e converrete senza difficoltà, che l'odio è cieco, la collera sorda, e colui che vi mesce la vendetta, corre il pericolo di bere una bevanda amara»

«Anche questo può essere vero, e qualche volta abbiamo visto avverarsi ciò che ora affermate»»
(italiano)
««Dunque disapprovate il duello? non vi battereste in duello?» chiese a sua volta Albert, stupito di sentire una così strana teoria.

«Oh sì! - rispose il conte – ma intendiamoci: mi batterei in duello per una sciocchezza, per un insulto, per una smentita, per uno schiaffo, e con tanta più noncuranza in quanto, grazie all'abilità che ho acquisito in tutti gli esercizi del corpo ed alla lenta abitudine al pericolo, sarei quasi sicuro di uccidere il mio avversario. Oh sì! Mi batterei in duello per queste cose; ma per un dolore lento, profondo, infinito, eterno, restituirei, se fosse possibile, un dolore pari a quello che mi hanno fatto soffrire: occhio per occhio, dente per dente, come dicono gli orientali, nostri maestri in ogni cosa, quegli eletti della creazione che hanno saputo costruirsi una vita di sogni ed un paradiso di realtà » «Ma – disse Franz al conte, – con questa teoria che vi istituisce giudice e carnefice nella vostra causa, è difficile che vi conteniate nei giusti limiti, in modo da evitare di volta in volta i rigori della legge. L’odio è cieco, la collera stordisce, e colui che si versa la vendetta rischia di bere un’amara pozione». «Sì, se è povero e maldestro, ma non se è abile e milionario»»

(italiano)
«Anzi Alberto faceva onore alla colazione come un uomo condannato da quattro o cinque mesi ad una cucina ben differente dalla sua.»
(italiano)
«Anzi, al contrario, faceva onore alla tavola come un uomo condannato da quattro o cinque mesi alla cucina italiana, cioè una delle peggiori al mondo.»
(italiano)
«Ma l'uomo, a cui Iddio ha imposto per prima, per unica, per suprema legge l'amore del prossimo, l'uomo a cui Iddio ha dato la parola per esprimere il pensiero, ora vedetelo qui con i vostri propri occhi, che va sulle furie perché va a morir solo, perché sa che il compagno è salvo. In verità, non me lo sarei mai aspettato! Ecco là, non più terrore, non più rassegnazione; oh, disgraziata creatura, quanto è lacrimevole la tua sorte!»
(italiano)
«Ma l'uomo, l'uomo che Dio ha fatto a sua immagine, l'uomo al quale Dio ha imposto come prima legge l'amore per il prossimo, l'uomo al quale dio ha dato una voce per esprimere il suo pensiero, quale sarà il suo primo grido quando saprà che il suo compagno è salvo? Una bestemmia. Onore all'uomo, questo capolavoro della natura, questo re della creazione!»
(italiano)
«I due aiutanti avevano portato con grande stento il paziente ai piedi della scala fatale. Il misero si dibatteva, si contorceva e puntava i piedi, gettandosi con tutta la persona all'indietro.

Uno di quei due tentò di acquistare qualche vantaggio col salire alcuni scalini dalla sua parte, e tirarlo a sé mentre l'altro lo avrebbe sospinto all'insù. In quell'attimo il carnefice lo afferrò per la vita e lo sollevò da terra.

Il misero, senza punto d'appoggio e tirato e sospinto, in un attimo fu sotto al laccio»
(italiano)
«I due aiutanti avevano portato il condannato al patibolo, e là, nonostante i suoi sforzi, i suoi morsi, le sue grida, lo avevano costretto a mettersi in ginocchio. Intanto il boia si era piazzato di lato, con la mazza sollevata; a un suo segnale i due aiutanti si scostarono. Il condannato tentò di rialzarsi, ma prima di averne avuto il tempo la mazza si abbatté sulla sua tempia sinistra; su udì allora un rumore sordo e cupo: il condannato cadde come un bue, la faccia a terra, poi per il contraccolpo si rovesciò sulla schiena: allora il boia abbandonò la mazza, prese il coltello dalla cintura, con un solo colpo lo sgozzò e, saltandogli sul ventre, si mise a pestarlo con i piedi. Ad ogni pressione, un fiotto di sangue sprizzava dal collo del condannato»

Capitolo XXXVI

(italiano)
«Avviene del moccoletto ciò che accade alla vita degli uomini. Per quanto è in potere loro, si adoperano a conservarla, e sebbene certi che presto o tardi debba aver fine, tuttavia hanno indagato e scoperto mille modi per reciderla»
(italiano)
«Il moccoletto è un po’ come la vita: per trasmetterla, l'uomo ha trovato un solo modo, che sta nelle mani di Dio. Però ha scoperto mille modi per toglierla.»

Capitolo XXXVIII

(italiano)
«Ventiquattro mila lire nella nostra moneta, somma per la quale non mi avrebbero tanto stimato in Francia»
(italiano)
«equivalgono a ventiquattromila franchi, molto più di quanto mi avrebbero valutato in Francia; questo prova – aggiunse Albert ridendo - che nessuno è profeta in patria»

Capitolo XL

(italiano)
««Davvero» disse, «gli uomini non sono tutti eguali.»»
(italiano)
««Decisamente – disse, – gli uomini non sono tutti eguali; dovrò pregare mio padre di sviluppare questo teorema alla Camera alta».»

Capitolo XLII

(italiano)
««Tutto ciò non può essere opera del caso.» «Ebbene vediamo, signor corso, io suppongo sempre tutto...»»
(italiano)
««Tutto questo non può essere opera del caso: somiglierebbe troppo alla Provvidenza».

«Ebbene, vediamo, signor còrso, supponiamo che si tratti della Provvidenza; per quanto mi riguarda, sono sempre aperto a qualunque supposizione».»

Capitolo XLIII

(italiano)
««Ciò mostrava che tu avevi fede...» disse Montecristo»
(italiano)
««Questo – disse Montecristo – è meno rigoroso della vostra filosofia; si tratta solo di fede».»

Capitolo XLIV

(italiano)
««Non lo sperate, Bertuccio» disse il conte. «I cattivi non muoiono così, sembra che Dio li prenda per farne gli strumenti della sua giustizia»»
(italiano)
««Non lo sperate, Bertuccio – disse il conte; – i malvagi non muoiono così: sembra che Dio li prenda sotto la sua protezione per farne gli strumenti delle sue vendette».»
(italiano)
«Voi sapete tutto, signor conte, siete il mio giudice quaggiù»
(italiano)
«Ora – continuò l’intendente chinando la testa, – sapete tutto, signor conte; siete il mio giudice quaggiù come Dio lo sarà lassù»
(italiano)
«Rientrate dunque, Bertuccio, e andate a dormire in pace»
(italiano)
«Rientrate dunque, Bertuccio, e andate a dormire in pace. Se il vostro confessore, nel momento supremo, sarà meno indulgente dell'abate Busoni, fatemi venire se sarò ancora in questo mondo, e troverò delle parole che culleranno dolcemente la vostra anima nel momento in cui sarà pronta a mettersi in strada per quell'arduo viaggio che si chiama eternità»


Note

  1. ^ a b c d e f Mario Baudino, Il fantasma di Montecristo, in La Stampa, 24 giugno 2010. URL consultato l'8 marzo 2012.
  2. ^ a b c d e Luca Crovi, La vera storia del Conte di Montecristo, in Il Giornale, 9 luglio 2010. URL consultato l'8 marzo 2012.
  3. ^ Eco, p. VII-IX.
  4. ^ Miccinelli; Animato, p. 18.
  5. ^ Dumas, p. VI.
  6. ^ Eco, p. VII.

Bibliografia

  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, Milano, Rizzoli, 1998, ISBN 9788817009676.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, a cura di Gaia Panfili, Roma, Donzelli, 2010, ISBN 8860364035.
  • Clara Miccinelli; Carlo Animato, Il Conte di Montecristo. Favola alchemica e massonica vendetta, Roma, Edizioni Mediterranee, 1991.
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