Campagna italiana di Suvorov
La campagna italiana di Suvorov si svolse durante cinque mesi di marcia e combattimenti nel Nord Italia tra l'aprile e il settembre del 1799 e vide in lotta l'esercito russo-austriaco guidato dal generale russo Aleksandr Suvorov contro le truppe francesi.
| Campagna italiana di Suvorov (1799) parte della guerra della seconda coalizione e delle guerre napoleoniche | |||
|---|---|---|---|
di Aleksandr Vasil'evič Suvorov. | |||
| Data | 15 aprile - 11 settembre 1799 | ||
| Luogo | Italia Settentrionale | ||
| Esito | Vittoria dell'Impero russo e dell'Impero austriaco | ||
| Schieramenti | |||
| Comandanti | |||
| Effettivi | |||
| Perdite | |||
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La campagna si inserisce nel contesto della guerra della seconda coalizione e fu combattuta tra i territori di Piemonte e Lombardia, portando alla caduta nella penisola italiana delle repubbliche sorelle filo-francesi, prima del ritorno del generale Napoleone Bonaparte dall'Egitto.
La Svizzera all'epoca faceva parte del Sacro Romano Impero con capitale a Vienna e la Russia, alleata degli austriaci, in ossequio ai trattati inviò un esercito per liberare i territori elvetici occupati dai francesi. Gli alleati chiesero pressantemente che le truppe austro-russe venissero guidate dal generale Aleksandr Vasil'evič Suvorov che però in patria era caduto in disgrazia, dopo aver audacemente criticato la politica e le tattiche militari dello zar Paolo I, e viveva ritirato a Kontšanskoje, un villaggio delle campagne a est di Velikij Novgorod, oggi noto in suo onore come Kontšanskoje-Suvorovskoje (in russo Кончанское-Суворовское?). Lo zar decise di riabilitarlo, inviandolo con 20.000 uomini in Italia, dove gli austriaci lo nominarono feldmaresciallo[4][5].
La partecipazione del generale russo fu determinante: i russi uscirono vincitori nelle battaglie decisive, sconfiggendo e costringendo due armate francesi a ritirarsi sui rilievi intorno a Genova[6] e facendo crollare il predominio transalpino in Italia, dove era visto ormai più come una invasione che una liberazione[7].
Suvorov con il suo esercito austro-russo di oltre 70.000 uomini, in netta superiorità numerica di fronte ai circa 27.000 francesi inizialmente disponibili[8] obbligò dapprima il generale Jean Victor Moreau, che aveva sostituito il generale Barthélemy Louis Schérer, ad abbandonare la difesa dell'Adda e ripiegare verso ovest, quindi costrinse alla resa a Verderio la divisione del generale Jean Sérurier[5]. I francesi evacuarono il milanese e concentrarono i resti del loro forze ad Alessandria, gli austro-russi invasero la Repubblica Cisalpina ed entrarono a Milano il 29 aprile[5]. Nel frattempo si stava avvicinando da sud l'armata francese di Napoli guidata dal generale Étienne Macdonald per cercare di ricongiungersi al generale Moreau. Suvorov intuì il pericolo e riuscì a sbarrare il cammino al generale Macdonald nella battaglia della Trebbia (17-19 giugno 1799). Quest'ultimo fu dunque costretto a ritirarsi lungo la costa e raggiunse Genova dove ben presto confluirono anche le forze del generale Moreau che, appresa la sconfitta del generale Macdonald, aveva ripiegato a sua volta[9].
Suvorov rimase ad un certo punto padrone della situazione in Italia settentrionale e sembrava imminente una sconfitta definitiva dei francesi con il russo deciso addirittura a marciare verso la Francia[7], ma le divisioni e le rivalità delle potenze coalizzate avrebbero ben presto favorito la ripresa delle armate rivoluzionarie: per timore che l'influenza della Russia diventasse troppo grande gli alleati, facendo anche leva sulle ambizioni di Paolo I di presentarsi come liberatore della Svizzera[10], riuscirono a ottenere che le truppe russe interrompessero le loro operazioni in Italia e venissero rischierate nella Confederazione, lasciando l'iniziativa nella penisola agli austriaci[11]. A Suvorov fu ordinato di portarsi con il suo esercito verso nord per marciare, attraverso il San Gottardo, incontro all'altro corpo di truppe russe appena condotto sulla Limmat dal generale Aleksandr Korsakov[12], e quindi affrontare l'armata del generale Masséna[13].
Le forze iniziali in campo
All'inizio della campagna nel 1799, l'Austria schierava nel nord-est dell'Italia, tra l'Adige, Verona e Venezia, circa 69.000 fanti, 12.000 cavalieri e 3.000 artiglieri per un totale di 84.000 uomini al comando del generale Paul Kray[14], contro cui il generale francese Barthélemy Schérer poteva opporre sei divisioni per un massimo di circa 46.400 uomini[15]. Il generale Schérer patì diversi rovesci: dopo aver raggiunto il fiume Adige il 26 marzo, fu respinto e sconfitto dagli austriaci a Pastrengo (26 marzo), Verona (30 marzo) e il 5 aprile a Magnano[16]; per difendere le vie di collegamento per Milano, il 15 aprile dovette quindi ritirarsi sulla riva sinistra del fiume Adda[17], dove venne cautamente inseguito dal generale Kray. L'esercito francese lasciò guarnigioni nelle fortezze del Quadrilatero di Peschiera del Garda, Mantova, Legnago e Verona, comprese fra il Mincio, il Po e l'Adige[4]. Pur rimanendo ancora formalmente a Schérer il comando francese, l'iniziativa strategica passò quindi al generale Jean Victor Moreau che organizzò una "difesa a cordone" della linea dell'Adda[1][18].
Le prime fasi della campagna
Solo a seguito delle pressanti richieste dell'imperatore asburgico Francesco II ed agli intrighi dell'ambasciatore moscovita a Vienna Andrey Razumovsky, lo zar Paolo I acconsentì a affidare l'incarico di comandare le truppe alleate in Italia al generale Suvorov che gli era particolarmente inviso[19]. Rimasto fedele alla sua ammirazione per Caterina II il generale russo, noto per la sua mancanza di tatto e timore reverenziale anche verso i regnanti dell'epoca, si era fatto pubblicamente beffe dei progetti e delle innovazioni militari del del nuovo zar che avevano di fatto cancellato le opere della madre, rifiutando di utilizzarle per le sue truppe[20][21]. Esclusivamente la sua grande reputazione militare e l'entità dei servizi da Suvorov resi all'impero russo gli risparmiarono la deportazione in Siberia e gli procurarono solo una sorta di esilio nelle sue tenute a Kontšanskoje. Fu qui che, pur controvoglia, nel febbraio del 1799 Paolo I gli inviò l'ordine di reintegro nell'esercito russo e gli affidò il comando della spedizione in Italia[22].
Il 25 marzo Suvorov giunse a Vienna dove prese il comando delle truppe russe, che contavano circa 22.600 uomini, anche se la forza effettiva non superava i 17.000[23][24]. Il 13 aprile raggiunse Vicenza ed il 15 Verona[25] i cui abitanti, presi dall'entusiasmo, staccarono i cavalli dalla sua carrozza e lo portarono in città a braccia[26] gridando a gran voce: « Evviva il nostro liberatore! »[27]. Il 17 aprile giunse in città anche il generale Peter Bagration che aveva conquistato la stima di Suvorov durante le comuni partecipazioni negli scontri con l'Impero Ottomano, nell'assedio di Očakov e nella campagna polacca del 1794[26]. Fedele alle sue abitudini di partecipazione diretta sul campo di battaglia, l'anziano generale assunse personalmente il comando di due reggimenti di fanteria e due di cosacchi e ordinò a Bagration di attraversare il Mincio e condurre l'offensiva[28].
Come era suo costume, Suvorov procedette a marce forzate, nonostante fiumi in piena e pessime condizioni atmosferiche[29]. È molto difficile fornire delle medie di marcia delle fanterie dell'epoca napoleonica ma all'epoca la maggior parte degli eserciti europei percorreva ragionevolmente dai 20 ai 30 chilometri al giorno[30]; le truppe di Suvorov, col generale settantenne che cavalcava sempre alla testa delle truppe e le guidava in prima fila in battaglia, procedevano quasi sempre a marce forzate coprendo in alcune giornate anche oltre 50 chilometri[29]. La sua fanteria marciava anche con una temperatura di 35 gradi e con un peso complessivo di armi e munizioni che arrivava a 20 chilogrammi; si racconta che i suoi soldati una volta riuscirono a percorrere 90 chilometri in 36 ore[7][31]. Il suo motto era "La testa non aspetta la coda, [attacca] improvvisamente, come un fulmine dal cielo"[28]. Tuttavia molti combattenti restavano indietro e stessa sorte toccò spesso alle truppe austriache scompaginando inevitabilmente la coesione delle truppe alleate[26].
Il 19 aprile la prima colonna, agli ordini del generale Jacob Ivanovich Povalo-Shvejkovsky, attraversò presso Valeggio sul Mincio e, dopo una sosta la giornata del 20, il 21 Suvorov decise di lanciare l'offensiva[32]. Le truppe di Shvejkovsky, forte di 29.000 austriaci ed 11.000 russi, attraversarono quindi il fiume Chiese dividendosi a loro volta in tre colonne e marciando verso Brescia con una manovra a tenaglia[33]. La seconda colonna agli ordini di Ivan Förster seguiva in attesa di raggiungere l'avanguardia. Le forze alleate erano stimate in circa 76.000 uomini[34]. Trovandosi di fronte a forze soverchianti, Schérer aveva precedentemente deciso di ripiegare con 28.000 uomini verso posizioni più difendibili[35], lasciandone circa 1.300 a Peschiera e 10.000 a Mantova, abbandonando altresì 30 cannoni a Crema[36]. Nel frattempo il principe di Hohenzollern attraversava l'Oglio e catturava Cremona[37]. Il grosso dell'esercito invece si diresse su Brescia incontrando una scarsa resistenza ed espugnando il 21 aprile la roccaforte francese al comando del generale Bourget, forte di soli 1.100 uomini, dopo 12 ore di un intenso fuoco di artiglieria[38][37].
L'attacco sull'Adda e la presa di Milano
La disposizione delle armate
Il 24 aprile la forza principale dell'armata attraversò il fiume Oglio ed il giorno dopo Suvorov concentrò le sue forze sull'Adda con i francesi finalmente disposti a dare battaglia e fermare l'avanzata degli alleati austro-russi[39]. Il generale russo divise le sue forze in tre colonne lungo il fiume: sulla destra Rosenberg con 9.000 uomini e Vukassovich con 7.000, tra Caprino e Brivio[39], questi con l'intento di ripristinarvi il ponte distrutto precedentemente da Sérurier in ritirata[40] ed aprirsi la strada fino al lago di Garlate sulla direttrice per Lecco[41]; al centro Jean Zopf e Ott nei pressi di Vaprio d'Adda in direzione di Trezzo con 5.000 uomini ciascuno[39]; infine il generale Melas con 13.000 uomini[39] sull'ala sinistra verso Treviglio contro la posizione principale dei francesi a Cassano d'Adda[40]. Nel frattempo Seckendorf occupava Crema con 1.500 uomini inseguendo i francesi sino al ponte per Lodi[41], l'Hohenzollern si attestava a Pizzighettone[39] e l'avanguardia di Bagration, con 3.000 uomini suddivisi in 3 battaglioni di fanteria e tre reggimenti di cosacchi, incalzava i francesi presso Lecco[41]. Nel complesso gli alleati austro-russi avevano messo in campo circa 48.500 uomini[39].
I francesi, appostati sulla riva opposta in attesa di rinforzi e già in inferiorità numerica, si sparpagliarono lungo il fiume indebolendosi ulteriormente[42]: Schérer con 8.000 uomini doveva coprire il fronte da Lecco a Trezzo, Grenier e Victor con altrettanti uomini, il primo quello tra Vaprio e Villa Pompeana ed il secondo quello da qui fino a Robecco[39]. Chiudeva il conto François Peter Laboissière, attestato sul Po di fronte a Pizzighettone con 4.000 uomini, portando la forza francese ad un totale di 28.000. Per complicare la situazione alla truppe rivoluzionarie oltre l'evidente disparità numerica, Suvorov concentrò il grosso delle sue forze in un solo settore, disponendosi così tra Lecco e Cassano contro 12.000 francesi con ben 42.000 austro-russi[43]. Il 26 Schérer lasciò provvisoriamente il comando a Moreau che lo avrebbe assunto ufficialmente e definitivamente il giorno dopo[44].
I piani di Suvorov prevedevano di attraversare l'Adda in forze tra Trezzo e Cassano, mentre Seckendorf e l'Hohenzollern avrebbero portato due attacchi diversivi a Lodi e Pizzighettone. Bagration, che era previsto attraversasse a Lecco, avrebbe invece completato una manovra di accerchiamento rapido per sorprendere i francesi alle spalle servendosi di cacciatori e cosacchi a cavallo[43]. Il 26 aprile gli alleati si disposero ad attraversare il fiume in forze.
L'attacco degli alleati e il subentro al comando del generale Moreau
Alle 8 di mattina Bagration attaccò alla periferia di Lecco, difesa dal generale Soyez con 5000 soldati e 12 cannoni ben posizionati e fortificati[43]. Dopo 12 ore di furioso combattimento e pur rimanendo ferito ad una coscia nell'assalto, riuscì a prendere la città mentre i francesi si ritiravano dall'altra parte dell'Adda impedendo però ai russi di attraversare a loro volta[45].
Nel frattempo, dopo il ponte ripristinato da Vukassovich a Brivio, il capo geniere degli austriaci Johann Gabriel Chasteler de Courcelles riusciva a gettare un altro ponte poco distante da Trezzo, in una sezione del fiume non presidiata dai francesi[46], consentendo a Zopf ed Ott di attraversare e sorprendere Grenier e Sérurier presso il villaggio di Pozzo d'Adda, prendere prigioniero il generale Baker e costringerli a dividersi e ritirarsi[41], il primo verso Vaprio il secondo verso Verderio[40]. Suvorov, avendo inteso che per Bagration attraversare a Lecco, dove i repubblicani avevano cantato vittoria intonando la Marsigliese [47], era impossibile, cambiò strategia e il 27 si mosse verso San Gervasio onde disporsi ad attraversare a Trezzo[48]. Nel frattempo, appreso che il comando francese era passato da Schérer a Moreau[48][49], commentò così:
Moreau non perse tempo e cercò di rimediare agli errori del suo predecessore: concentrò le sue truppe e inviò Grenier a Vaprio, Victor a Cassano e fece marciare Laboissière a nord verso Lodi. A Seruriér fu ordinato di abbandonare le posizione a Lecco e Brivio e concentrarsi su Trezzo[50]. Rinforzi furono richiamati da Milano portando i suoi effettivi a 27.000 uomini[2].
La battaglia di Cassano d'Adda
Dal canto suo Melas, sul fronte sinistro, non era però rimasto con le mani in mano: assalì personalmente con tre battaglioni austriaci i francesi, che si erano trincerati dietro un testa di ponte sulla riva sinistra dell'Adda presso il canale Ritorto (sulla strada da Treviglio), respingendoli, e quindi travolse la successiva posizione che questi ancora mantenevano a Cassano[51], non prima che i francesi danneggiassero un arco del ponte sul fiume che tuttavia aveva ripristinato velocemente[52]. Precedentemente Moreau aveva realizzato che l'attacco a Brivio era stato solo un diversivo e che l'attacco principale sarebbe avvenuto a Trezzo dove aveva inviato Seruriér; per scongiurare il rischio che venisse travolto gli fece pervenire quindi l'ordine di arrestarsi a Verderio, mentre per evitare di disperdere ulteriormente le sue forze, ordinò a Victor di accelerare e deviare la marcia verso Vaprio per congiungersi a Grenier[53]. Il comandante francese, che si trovava nei pressi di Cassano, non fece comunque in tempo a riorganizzarsi efficacemente in quanto si ritrovò attaccato contemporaneamente sulla sinistra ed alle spalle dagli austro-russi che, condotti da Suvorov, avevano nel frattempo attraversato col grosso delle truppe a Trezzo da San gervasio. Soverchiato dalle forze del comandante russo Moreau fu quindi costretto a farsi largo a fatica tra le truppe nemiche per non restare prigioniero nella loro morsa[54][55]. Andò peggio a Jean Seruriér che, rimasto inerte e isolato a Verderio, fu circondato da Vukassovich e costretto ad arrendersi[56]. Il francese ottenne la condizione che i soldati restassero prigionieri ma gli ufficiali potessero tornare in Francia[54], dietro solenne promessa del loro comandante che non avrebbero più combattuto contro i russi durante il resto della campagna[55]; in quell'occasione Suvorov, convinto di una sua prossima invasione della Francia, gli disse: « Arrivederci a Parigi! »[7].
In tre giorni di furiosi combattimenti i Francesi avevano lasciato sui campi di battaglia circa 10.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri e almeno 100 cannoni con i loro artiglieri[54]. Moreau subiva in Italia la sua prima sconfitta[57] e fu costretto a ripiegare il 28 aprile prima su Milano dove lasciò un piccolo presidio di 1.300 uomini, quindi su Torino ritirandosi in tre colonne: a destra da Lodi a Piacenza, al centro da Pavia a Voghera e la sinistra da Vigevano per la capitale sabauda[58][54]. Giunto il 30 a Novara, ricevette indignato la notizia della resa di Seruriér[59].
La ritirata ad ovest del Ticino da parte delle ultime truppe francesi sancì la caduta della Repubblica Cisalpina[60] che era stata istituita il 29 giugno 1797[61].
L'ingresso di Suvorov a Milano
Quello di di Milano non fu né il primo, né l'ultimo di una serie di presidi inspiegabilmente lasciati nelle fortezze delle città che i francesi man mano erano costretti ad abbandonare: era ovvio che questi sarebbero stati costretti a capitolare dopo brevi e vane resistenze[62]. Il 29 aprile, infatti, Suvorov faceva il suo trionfale ingresso nella principale città lombarda, solennemente festeggiato dal clero, accolto dall'antico magistrato del Consiglio generale dei 60 decurioni ed applaudito dal popolo, mentre i membri della Repubblica Cisalpina in grado di farlo si davano alla fuga[63]. Il governo provvisorio veniva affidato al generale Melas in nome dell'imperatore Francesco II[64].
Suvorov fu celebrato in tutta l'Europa alleata: in soli dieci giorni, al di là di ogni più ottimistica aspettativa, aveva marciato per quasi 100 kilometri, attraversato cinque fiumi (Chiese, Mella, Oglio, Serio ed Adda), sconfitto ripetutamente i francesi e riconquistato la Lombardia, anche se restavano in mano francese le fortezze di Peschiera e Mantova[64]. Al comandante in capo russo fu quindi ordinato di espugnarle, tuttavia egli non era affatto d'accordo ritenendo che fosse molto più urgente dare il colpo di grazia alle armate francesi in rotta, ormai demoralizzate ed indebolite[64]. Fu in ogni caso costretto a disperdere parte delle sue forze per completare l'occupazione dell'ex Repubblica Cisalpina, continuando nel frattempo a respingere Moreau verso il Piemonte[65]. La sua impazienza di ritornare nella mischia era però esplicita:
La ritirata di Moreau e l'avanzata fino a Torino
L'ingresso in Piemonte
L'impazienza del feldmaresciallo russo fu presto soddisfatta: mentre il generale Moreau si ritirava di fronte a lui, Suvorov ricevette la notizia che il generale Étienne Jacques Macdonald stava risalendo da Napoli con 40.000 uomini per soccorrere le truppe francesi in rotta[3]. Intuendo il pericolo che le forze francesi si congiungessero, decise di muovere subito a colpire Macdonald prima di rivolgersi nuovamente contro Moreau: il suo piano prevedeva di marciare verso il Piemonte attraversando il Po con il grosso delle sue forze, sconfiggere il generale in arrivo e quindi tornare velocemente verso Torino per affrontare Moreau[3].
Inviò quindi Vukassovich sul fiume Ticino presso Boffalora mentre lui dirigeva su Melegnano con l'armata principale forte di 44.000 uomini[66] dividendola su due colonne: all'ala destra i russi verso Parpanese, alla sinistra gli austriaci verso Lodi e Piacenza[3], spingendoli ad avanzare fino a Parma e nel Modenese[66]. In mancanza di ponti sul Po a Piacenza e Parpanese, Suvorov decise di attraversare presso Mezzana e Pavia dove inviò i suoi cosacchi agli ordini di Bagration per occupare la città. Questi vi arrivò il 3 maggio e fece riparare rapidamente il ponte sul Ticino che aveva trovato danneggiato[67]. Il 4 maggio il feldmaresciallo arrivò a Pavia e fu informato che i francesi avevano abbandonato Tortona sul fiume Scrivia, quindi vi inviò Bagration per conquistarvi la fortezza e continuare verso Novi e Gavi[68]. Bagration verificò che le informazioni non erano corrette e che i francesi in realtà occupavano ancora la cittadina con almeno 4.000 uomini ma apparentemente non erano in grado di usare i cannoni per mancanza di munizioni. Ricevette quindi l'ordine di attendere il comandante in capo a Voghera[68].
Il 7 maggio Rosenberg attraversava il Ticino e raggiungeva Dorno mentre Suvorov lasciava il grosso delle forze e raggiungeva Bagration a Voghera. Qui il comandante russo riorganizzò le sue forze inviando il principe Peter a interrompere le comunicazioni francesi tra Tortona e Genova, disponendo le sue armate su entrambe le rive del Po con Rosenberg tra Dorno e Lomello, Melas a Castel San Giovanni e Bagration in marcia verso Pozzolo Formigaro[69]. Il giorno precedente Kray aveva espugnato Peschiera e si era mosso verso Mantova. Al generale Ott fu ordinato di disporsi fra Parma e Modena per osservare i movimenti di Macdonald[69].
A questo punto della campagna i soldati alleati cominciarono a soffrire di carenza di provviste e specialmente i russi combattevano spesso affamati: gli approvvigionamenti erano a carico degli austriaci e gli intendenti non sempre riuscivano a organizzarli a dovere[7]. Ciò cagionava attriti con le popolazioni locali e addirittura il 3 maggio Bagration, dopo tre giorni di digiuno per le sue truppe, si impadronì con la forza dei rifornimenti di pane[70].
I francesi nel frattempo si riorganizzavano: Moreau riuscì a concentrare circa 20.000 uomini tra Valenza ed Alessandria alla strategica confluenza tra il Po, il Tanaro e la Bormida che gli forniva anche un chiaro vantaggio tattico. Moreau controllava così la parte meridionale del Piemonte e le vie di accesso alla riviera ligure, era inoltre in grado di agire velocemente su entrambe le rive del Po e bloccava le vie di accesso a Torino. Con l'arrivo di Macdonald sarebbe stato in grado di attaccare gli austro-russi su due fronti. Tatticamente aveva i fianchi coperti dalle fortezze di Valenza ed Alessandria. Inoltre la riva settentrionale del fiume su cui i francesi erano fortificati era in posizione elevata rispetto a quella meridionale dalla quale Moreau si aspettava di essere attaccato, concedendogli una posizione dominante[70].
L'avanzata degli alleati continuava comunque. Il 10 maggio Bagration occupò Marengo e contemporaneamente il generale austriaco Chasteler assaliva la fortezza di Tortona da cui la guarnigione francese bombardò la città. Bagration raggiunse Novi e verificò che la guarnigione francese si era già rititata verso Genova lasciando grandi quantità di vettovaglie e ben 70 carri di munizioni destinate all'armata principale[71].
A complicare la situazione delle truppe francesi si aggiunse il malcontento delle popolazioni locali che, esaurito l'iniziale entusiasmo rivoluzionario, si accorgevano che i transalpini invece di portare la libertà e la gloria nazionale promesse, avevano instaurato per tre anni uno stato di guerra permanente, perpetrato oltraggi alla religione, spogliato di opere d'arte musei, monumenti e chiese e cagionato ogni genere di estorsioni e soverchierie: l'arrivo imminente delle truppe imperiali fu quindi l'occasione per molte città e villaggi di sollevarsi contro le guarnigioni rivoluzionarie[72]. Bagration stesso informò Suvorov di avere ricevuto lettere dalle autorità cittadine di Oneglia, Asti ed Acqui che descrivevano le rivolte contro i francesi ed offrivano appoggio alle armate alleate[73].
La battaglia di Bassignana
Tra l'11 ed il 12 maggio Suvorov fece la sua mossa e, dando credito ad iniziali informazioni errate che davano i francesi in ritirata da Valenza[70], ordinò a Rosenberg di muoversi da Lomello e attraversare il Po a Mugarone per assalire i francesi sul lato sinistro[66][74]. Subito dopo, appresa la falsità della precedente notizia, gli ordinò di tornare indietro. Rosenberg tuttavia attraversò ugualmente e, messosi in marcia verso Bassignana con 10.000 uomini, scelse di dirigersi in un'area tra Valenza e il Tanaro; nel frattempo fece attraversare altri 4.000 uomini al comando del generale Tchouberov, posizionandoli su una grande isola situata nei pressi di Mugarone[75]. Tchouberov, impaziente di attaccare, attraversò con tutte le sue truppe ma incappò nella divisione francese di Grenier forte di 4.000 soldati che proveniente da Valenza, al comando del generale Colli, lo assalì al fianco destro e gli inflisse pesanti perdite costringendolo a ritirarsi disordinatamente sull'isolotto precedentemente occupato, in una situazione estremamente caotica tra uomini sbandati e carri immobilizzati, sotto il fuoco costante della fucileria francese e senza la possibilità di ritirarsi immediatamente oltre il Po in quanto il cavo per raggiungere a braccia la riva sinistra si era spezzato[76]. Ciò nonostante i russi di Bagration al suo comando tennero la posizione per 8 ore resistendo fino a dopo il tramonto. Col favore delle tenebre le truppe di Rosenberg riuscirono a riattraversare il fiume e a marciare per ricongiungersi a Suvorov lasciando sul campo almeno 1.500 uomini, un generale, 58 ufficiali e due cannoni, mentre i francesi lamentarono la perdita di 600 uomini[77][78]. Suvorov, furioso, lo chiamò immediatamente a rapporto per chiedergli conto della disfatta paventandogli la corte marziale e, nel frattempo, decise di spostare il suo quartier generale a Castelnuovo Scrivia[79]. Intanto l'11 maggio si era arresa la fortezza di Pizzighettone dopo una giornata di cannoneggiamenti[80].
Le fonti coeve raccontano che, pur soverchiate, cavalleria e fanteria russe si fececero anche a Bassignana massacrare pur di non arrendersi perché Suvorov aveva l'abitudine di terrorizzare i suoi uomini raccontando loro i macabri ed ovviamente falsi particolari con cui, secondo lui, i repubblicani torturavano i soldati caduti nelle loro mani: i prigionieri sarebbero stati denudati, legati, distesi su una graticola ed arrostiti; oppure sarebbero stati loro tagliati naso, mani ed orecchie. Un cronista dell'armata francese raccontò che 800 russi preferirono gettarsi nel Po piuttosto che farsi catturare[81].
Lo scontro a Marengo
Alla metà di maggio i russo-austriaci erano saldamente attestati sulla riva meridionale del Po: le truppe austriache a Torre, il generale Förster a Sale, Bagration a Novi con le sue truppe russe disposte tra Scrivia e Bormida a supporto del generale Karachay a Marengo.
Suvorov ora disponeva di circa 36.000 effettivi, di cui 17.500 russi, senza contare i 5.000 uomini di Vukassovich a Boffalora, a cui si contrapponevano solo circa 25.000 francesi ma ottimamente disposti in posizione di vantaggio e in più vigorosamente protetti dai fiumi in piena[82]. Il feldmaresciallo russo dovette riconoscere che non era in grado di attaccarli con successo:
In realtà Moreau si trovava a mal partito: il Direttorio non era in grado di inviargli alcun rinforzo, Bagration gli rendeva molto difficoltose le comunicazioni con Genova e le rivolte in Piemonte le vie di rifornimento dalla Francia[83]. Il generale Perignon, che controllava i passi per la riviera ligure, correva il rischio di essere essere facilmente schiacciato, facendogli perdere non solo l'ultima via di comunicazione con la Francia, ma anche con gli Appennini e l'esercito dell'accorrente Macdonald[84]. In più aveva il problema di fare arrivare in patria un gran numero di carri con il frutto delle spoliazioni di preziose opere d'arte trafugate in Italia[80].
Il comandante francese decise quindi di rafforzare con una parte delle sue truppe il generale Perignon, di proteggersi a sinistra con un'altra parte e di mettersi in marcia sulla strada da Torino per Nizza dal Colle di Tenda, attraversando Cuneo, preparandosi a ritirarsi sugli Appennini per poter, senza troppe difficoltà e al momento opportuno, ricongiungersi con Macdonald che a in quel momento aveva raggiunto il confine con la Toscana[85]. Cionondiméno i rapporti dello spionaggio suggerirono a Moreau che il fallito tentativo di passaggio di Rosenberg a Bassignana e le notizie del successivo bombardamento di Casale da parte di Vukassovich preannunciassero una risalita delle truppe russe di Suvorov lungo il Po. Egli immaginò che gli alleati stessero concentrando le loro forze muovendosi verso nord, lasciando solo poche truppe austriache ad assediare Tortona, e decise quindi di passare all'azione con un contrattacco a sorpresa tra la Bormida e lo Scrivia che gli consentisse di liberare la fortezza e mantenere aperto il Passo della Bocchetta per Genova[86]. Moreau riunì due divisioni vicino a Alessandria e la notte tra il 15 a 16 maggio fece gettare un ponte sulla Bormida tra Marengo e San Giuliano facendovi passare la divisione del generale Victor con 5.000 fanti e 2.000 cavalieri, e lasciando quella di Grenier a mantenere la posizione sul fiume[80][83][87][88]. L'attacco all'inizio ebbe successo e gettò scompiglio tra le truppe di Kaim e Lusignan avanzando fino a San Giuliano. Lì si imbatté nella divisione di Fröhlich, arrivato in tutta fretta per mettersi al comando del generale Lusignan, e nella brigata del generale russo Bagration; i due insieme comandavano undici battaglioni e nove squadroni e resistettero con successo fino a respingere nuovamente Victor al di là del fiume[89][78]. Infine Moreau, avvistate altre truppe nemiche accorrere da Tortona, capì che il suo tentativo era fallito e ordinò il ripiegamento generale. Alle sei del pomeriggio l'ultimo granatiere francese riattraversava la Bormida con i francesi che lamentarono perdite per 596 uomini tra uccisi o feriti, mentre quelle alleate ammontavano a 720: Suvorov, visto l'andamento incerto della giornata, non osò rivendicare la sua quarantaduesima vittoria[90][91].
La presa di Torino
Anche se lo scontro di Marengo non era stato decisivo, il 18 maggio Moreau decise di abbandonare la sua sicura posizione tra Valenza ed Alessandria per ritirarsi verso Torino, inviando invece Victor verso sud in direzione della riviera ligure di ponente, nella speranza di riuscire a congiungersi lì a Macdonald; nel frattempo riuscì ad inviare in Francia attraverso il colle del Moncenisio le opere trafugate[89]. Suvorov, non consapevole di queste manovre, continuò a marciare sulla riva nord del Po in direzione di Torino spostando la base delle operazioni a Candia. Politicamente la speranza era di continuare ad incoraggiare le popolazioni piemontesi ad armarsi e sollevarsi contro le truppe rivoluzionarie ed i giacobini con la promessa del ripristino del Regno e dell'ordine precedente; strategicamente facevano gola agli alleati la posizione della città e la sicura cattura di un gran numero di armi, munizioni e materiali di uso bellico[89][92]. In effetti piemontesi si armarono e attaccarono i rivoluzionari, specialmente nel Canavese e a Carmagnola, e puntualmente si ebbero notizie di eccidi perpetrati per rappresaglia dai francesi ai danni delle popolazioni civili[93].
Mentre i genieri gettavano i ponti sul fiume per un nuovo attraversamento, Suvorov venne raggiunto dalla notizia che le truppe di Moreau avevano lasciato Alessandria e vi spedì una divisione per occuparla ed assediarne la fortezza ancora presidiata[94]. A questo punto Suvorov era perplesso dalle continue "sparizioni" sotto i suoi occhi delle truppe francesi e della sua incapacità di prevedere le loro mosse[95]. Nonostante avesse a sua disposizione un gran numero di cavalieri ed esploratori, infatti, non fu mai in grado di costituire un efficace servizio di spionaggio. Ciò fu dovuto in parte alla scarsa conoscenza del territorio da parte dei cosacchi e dalla loro difficoltà di interagire con le popolazioni locali, in parte alla inettitudine di molti ufficiali russi che non predisponevano adeguate ricognizioni di modo che i francesi riuscivano spesso ad allontanarsi indisturbati, ed infine dall'abitudine dello stesso Suvorov di prendere per affidabile ogni semplice voce sprecando tempo e risorse[95].
Il 22 maggio i ponti furono pronti e, basandosi comunque sulle informazioni disponibili sui francesi, il generale russo continuò il suo avvicinamento alla capitale piemontese, sotto le cui mura giunsero per primi il 26 Bagration e Vukassovich senza incontrare alcuna resistenza perché Moreau aveva ripiegato su Cuneo[94]. La guarnigione francese contava su soli 3.400 uomini al comando del generale Pasquale Antonio Fiorella[96], soverchiata da forze dieci volte superiori e fortemente invisa alla popolazione. Gli alleati ne chiesero la resa incondizionata ma Fiorella rifiutò disponendosi a resistere fino all'ultimo uomo[97]. Si prepararono quindi a predisporre su una altura vicina le batterie per bombardare la città mentre Vukassovich la notte del 27 attaccò con i cannoni la Porta di Po[94]. Fu però risolutivo l'intervento dei cittadini insorti in armi che la stessa notte attaccarono i francesi di guardia al sito ed aprirono festosamente la porta agli alleati. Stessa cosa avvenne alla Porta di Palazzo. Gli alleati si impadronirono di 384 cannoni, 20.000 moschetti e grandi quantità di polvere da sparo. Suvorov fece il suo ingresso nella città alle 3 del pomeriggio ricevendo acclamazioni per se e per gli imperatori Paolo I e Francesco II[98].
Il generale Fiorella per rappresaglia contro la popolazione torinese ordinò di cannoneggiare la città dalla fortezza[99], cessando solo dopo la promessa che questa non sarebbe stata attaccata. Il 18 giugno però gli alleati la presero d'assalto sotto un intenso cannoneggiamento e, fattisi strada attraverso due brecce nella fortificazione, il 19 lo costrinsero alla fine a capitolare[100].
Suvorov fece a Torino un ingresso ancora più solenne e trionfale che a Milano[101] e, come promesso, ricostituì il governo in nome del re di Sardegna, nominando un consiglio con Carlo Thaon di Sant'Andrea come governatore, si adoperò per riordinare i reggimenti reali promettendo una amnistia ai militari che avevano appoggiato i francesi e fece incarcerare qualche centinaio di patrioti che non avevano fatto in tempo a fuggire[102][103]. Poco dopo mandò a chiamare il re Carlo Emanuele IV dal suo esilio in Sardegna[104] ma al suo reinsediamento sul trono si opposero gli austriaci[105][102]: prodromo delle prime frizioni tra la Russia, l'Austria e le altre potenze alleate sulla politica da applicare ed il nuovo assetto da definire nel Nord Italia alla fine della guerra[106].
Se da parte alleata si erano denunciate rappresaglie francesi in Piemonte ai danni delle popolazioni civili[93], da parte francese si stigmatizzò il furore e l'esaltazione antigiacobini di Suvorov che sfioravano la demenza, fino a sconfinare nel fanatismo religioso che gli faceva promettere che si sarebbe guadagnato il paradiso chiunque avesse ucciso un rivoluzionario. I piemontesi finirono per temere il suo potere: fece imprigionare e fustigare anche semplici cittadini abbastanza arditi da denunciare i soprusi e i saccheggi dei cosacchi e dei cavalieri austriaci lasciati senza freno a imperversare come selvaggi per i campi[107].
Nel frattempo l'inattività forzata cominciava a fare serpeggiare malcontento tra le truppe alleate ad accendere pericolose rivalità e innescare recriminazioni da ambo le parti: i russi beffeggiavano gli austriaci per avere dovuto richiedere il loro aiuto senza il quale « sarebbero stati ricacciati dai Repubblicani fino a Vienna, a colpi di piatto di sciabola »; gli austriaci di Melas ricordavano i rovesci da loro subiti a Valenza e San Giuliano ad opera di Moreau. Ai semplici dileggi seguirono gli insulti e quindi i duelli. Solo le sempre più insitenti notizie del pericoloso arrivo di Macdonald diedero l'occasione a Suvorov per riconciliare gli austro-russi e per passare di nuovo all'azione dirigendo le energie per il combattimento contro il comune nemico[108].
L'arrivo del generale Macdonald
Una volta cacciati i francesi da Torino, Suvorov si dispose ad occupare il resto del Piemonte e soprattutto a proteggere i valichi dalla Francia verso la città. Inviò quindi forti contingenti di truppe presso tutte le valli tra il Moncenisio e Pinerolo. Contemporaneamente continuava ad insidiare le posizioni di Moreau in modo da impedirne qualunque velleità di congiungimento a Macdonald: fece occupare quindi Cherasco, Alba e Asti, e fece in modo di inviare da Alessandria a da Tortona distaccamenti fino a Montenotte per chiudergli ogni possibilità di comunicazione con Genova[109]. Continuavano intanto gli attriti con l'alto comando austriaco che, preoccupato dei successi di Suvorov e di una pericolosa ingerenza russa negli affari in Italia, cominciava a premere perché il generale russo lasciasse il campo in Piemonte e tornasse verso Verona ad assediare le fortezze del Quadrilatero, scatenando la furia del feldmaresciallo che, pur inviando rinforzi per assediare la fortezza di Mantova, non si piegò a questi ordini che riteneva assurdi[110].
Dal canto suo Moreau era riuscito a filtrare tra le maglie della rete alleata attaversando l'Ellero, aveva evitato Ceva, era penetrato nella valle del Corsaglia e quindi si era affacciato sulla riviera di ponente[109][111].
Nel frattempo entrambi i contendenti ricevevano rinforzi: Suvarov con quelli ottenuti con l'arrivo dalla Svizzera del generale Bellegarde arrivò ad avere sotto il suo comando circa 100.000 uomini comprese le varie guarnigioni[110][109], contemporaneamente Moreau, ricevute forze fresche tramite la Marina francese e dal confine lungo la costa[31], comandava ora 26.000 uomini in Liguria mentre il generale Montrichard era attestato sugli Appennini fino a Bologna e il generale Gauthier in Toscana in attesa di Macdonald, che il 24 maggio giunse a Firenze. Questi, riunite le sue forze a quelle di Gauthier, si accampò quindi a Pistoia ed inviò una divisione a occupare Pontremoli dove Moreau gli aveva inviato Victor a rinforzo spedendo nel frattempo Lapoype ad occupare Bobbio con una divisione mista di liguri e francesi[112].
Le strategie dei due comandanti francesi si rivelarono presto diverse se non contraddittorie. Fin dall'inizio l'intento di Moreau era di affrontare i russo-austriaci in un luogo vicino alle fortezze di Alessandria e Tortona facilmente raggiungibile sia per chi arrivasse dalla Liguria tramite il valico di Bocchetta, sia per chi arrivasse dalla Toscana scendendo dalle valli della Trebbia e del Taro, quindi aveva stabilito che il miglior sito dove congiungere le due armate per la battaglia decisiva fosse nei dintorni di Voghera[113]. A tal scopo aveva incaricato Victor di invitare Macdonald a discendere verso la Trebbia per la val di Magra mentre egli avrebbe fermato gli alleati sulla Bormida, avrebbe oltrepassato Tortona e si sarebbero quindi uniti dopo Bobbio[112]. Di diverso avviso Macdonald che avrebbe preferito che lo stesso Moreau si portasse a Pontremoli e discendesse la valle del Taro, mentre egli avrebbe marciato verso Modena ricongiungendo le due armate tra Parma e Piacenza: il suo intento era approfittare della grande dispersione delle forze alleate, con una parte cospicua impegnata nell'assedio di Mantova, una parte con Klenau tra il ferrarese ed il bolognese, un'altra con il principe di Hohenzollern nel modenese, Ott sugli Appennini, Bellegard all'assedio di Tortona ed Alessandria e Suvorov impegnato ancora a Torino a riportare l'ordine[114]. Sarebbero quindi riusciti a tagliare in due le forze di Suvorov, a cui non sarebbe rimasta altra soluzione che ritirarsi verso Pavia scoprendo il suo fianco destro, e puntare con decisione verso est fino a liberare Mantova dall'assedio, recuperando quanto perso in Lombardia[115]. I due comandanti però non riuscirono a concertarsi e agirono indipendentemente[116].
Le manovre dei francesi non sfuggirono comunque a Suvorov che si dispose a reagire radunando 32 battaglioni, 18 squadroni e 4 reggimenti di cosacchi[116] e l'11 giugno marciò verso Asti sotto una pioggia torrenziale; attraversò quindi il Tanaro e il 13 si accampò nei pressi di Alessandria sulle rive della Bormida, dopo aver percorso oltre 90 km in meno di tre giorni. L'avanzata era stata fin troppo rapida: gli austriaci non furono in grado di rifornire i 30.000 uomini che il russo aveva portato con sé e una parte di questi dovette rientrare ad Asti[31].
Il 7 giugno, senza attendere Moreau, Macdonald si era già mosso con 15.000 uomini al comando di Olivier e Watrin da Pistoia verso Modena con alla sua sinistra Dombrowski e Victor da Pontremoli verso Reggio con 3.500 e alla sua destra Montrichard e Rusca verso Bologna con altri 11.000[117]. Il 12 giugno questi attaccarono le truppe di Klenau nei pressi di Bologna respingendolo su Ferrara. Macdonald investì l'Hohenzollern presso Modena costringendolo a ripararsi sulla riva opposta del Po dopo avergli inflitto perdite per oltre 2.200 uomini sui 4.000 che comandava[118]; anche Ott dovette ritirarsi dalle sue posizioni e arretrò verso Suvorov[116]. Macdonald, pur ferito nello scontro da due colpi di sciabola[119][120], minacciava ora le truppe alleate che assediavano Mantova[121]. Il 14 riunì tutte le sue forze a Reggio, il 15 giunse a Parma ed il giorno dopo a Piacenza, spingendo il 17 la sua avanguardia fino al Tidone facendo ulteriormente arretrare Ott che lì si trovava tra questo fiume e la Trebbia[119][122].
Superata l'iniziale sorpresa per le fulminee azioni di Macdonald, Suvorov reagì prontamente: appresa la falsa notizia che Moreau stesse per ricevere un rinforzo di 27.000 soldati[123][124] avrebbe voluto concentrare il maggior numero possibile di truppe per annientare quelle di Moreau e Macdonald diminuendo quello degli uomini impegnati nell'assedio delle fortezze ancora in mano francese; a tal scopo chiese a Ott di dirigersi verso Alessandria per rinforzare Bellegarde e al generale Kray di rinunciare momentaneamente all'assedio di Mantova, lasciandolo solo ad otto squadroni di cavalleria leggera e alle guarnigioni di Legnago, Verona e Peschiera, spostandosi verso Piacenza. Ciò avrebbe garantito un rinforzo di 12.000 uomini ben addestrati alle truppe che erano nella zona di Alessandria e la disponibilità di una massa di circa 65.000 uomini presso Tortona[125]. Ma ancora una volta gli interessi politici particolari degli austriaci ebbero il sopravvento sulle decisioni strategiche di Suvorov: più interessato a garantirsi il possesso delle roccaforti italiane che ad allargare il cerchio delle conquiste del russo, l'imperatore Federico II ordinò al generale Kray di non abbandonare l'assedio di Mantova in nessun caso[126]. A suvorov non restò quindi che marciare egli stesso verso Piacenza, risoluto a affrontare Macdonald con il grosso delle sue forze, ricacciando le sue avanguardie nuovamente oltre il Tidone che la notte del 17 era ormai l'ultima barriera naturale tra i due eserciti[121][119].
La battaglia della Trebbia
Primo giorno
La mattina del 18 giugno vide i due generali avversari fronteggiarsi con circa 33.000 uomini ciascuno[122]. Suvorov dispose la sua armata in quattro colonne: due a sinistra a comando di Melas con l'ordine di dirigersi verso Piacenza, due alla destra, composte dalle divisioni russe sotto il suo comando diretto, in direzione di Rivalta sulla Trebbia e San Giorgio Piacentino sul torrente Nure. Nel frattempo spedì circa 2000 uomini a riprendersi la posizione su Bobbio. Macdonald, ancora sofferente per la ferita rimediata nei combattimenti di Modena, era più vicino alla Trebbia che al Tidone e dispiegò a destra Olivier verso il Po con la cavalleria di Salm, al centro Montrichard e Victor e a sinistra i polacchi di Dombrowski con Watrin alla riserva[122][127]. Secondo alcune fonti le forze di Watrin, Olivier e Montrichard impiegarono quella giornata marciando e non ebbero così modo di partecipare all'azione principale, riducendo così le forze attive di Mcdonald a soli 19.000 effettivi[128]. Guadato il Tidone gli alleati si trovarono così all'inizio in notevole vantaggio numerico e si scagliarono furiosamente sull'ala sinistra del nemico travolgendo i polacchi prima di essere temporaneamente fermati dall'accorrente Victor[127]. Nel frattempo i francesi retrocedevano prima a destra, poi al centro e il contrattacco dei cosacchi di Bagration nuovamente sulla sinistra costrinse infine i francesi a ritirarsi disordinatamente oltre la Trebbia[129]. Poiché il letto della Trebbia era quasi asciutto, lo spargimento di sangue continuò da ambo le parti a lungo anche dopo il tramonto e solo attorno alle 23:00 i comandanti riuscirono a placare quella che era stata un'inutile carneficina[129][130][131]. Il risultato della prima giornata di combattimenti era stato sicuramente svantaggioso per i francesi: la loro ala sinistra aveva sofferto duramente ed era stata respinta dal campo di battaglia venendo ricacciata nuovamente sulla riva destra della Trebbia, ma in realtà non si trattò affatto di una sconfitta decisiva e non non un solo cannone era stato perso[132]. Tuttavia Macdonald, sofferente per le ferite ricevute e febbricitante, cominciava a credere che Moreau l'avesse abbandonato e ciò avrebbe potuto causare l'indomani il disastro dell'armata di Napoli[133].
Secondo giorno
Nonostante il mezzo rovescio sul Tidone del giorno prima e le precarie condizioni di salute, il 19 Macdonald si riorganizzò per attaccare nuovamente portando circa 20/22.000 uomini sostenuti da 28 pezzi di artiglieria sulla riva sinistra della Trebbia, ma ora Suvorov poteva contare su circa 40.000 soldati e 62 pezzi d'artiglieria oltre che su maggiori rifornimenti di munizioni[134]. Tenendo la posizione al centro sotto il fuoco dei cannoni russi, solo alle 10 del mattino Macdonald fece avanzare le ali con l'intento di respingere il nemico sul Po e sui rilievi[135]. Alla sinistra Dombrowski e Rusca ebbero subito la meglio sulle truppe stremate di Bagration e costrinsero i russi ad indietreggiare fino ad impadronirsi di Casaliggio[136][137]. Ma il successo fu solo temporaneo: alle 10 di sera in soccorso dei russi arrivarono gli austriaci agli ordini di Dalheim con un grosso rinforzo, quindi Rosenberg con l'artiglieria leggera. I polacchi resistettero strenuamente finché la loro legione fu fatta a pezzi, ma altissime furono le perdite anche dall'altra parte[136][129]. Lungo il Po lo scontro era altrettanto sanguinoso: nonostante il duro fuoco di artiglieria di Melas, i repubblicani avevano oltrepassato la Trebbia attaccando Ott e incalzando con la cavalleria con successo lungo il Po l'ala sinistra estrema degli imperiali composta da fanteria. Solo l'intervento della cavalleria del principe di Lichtenstein salvò gli alleati dalla rotta sul loro fianco sinistro investendo prima la fanteria francese e quindi fermando la cavalleria[138][139]. Nonostante il contrattacco dell'artiglieria leggera di Olivier, gravemente ferito, riuscisse poco dopo a gettare scompiglio fra i soccorritori[140], la fanteria francese non ne approfittò e, travolti da un nuovo capovolgimento di ruoli, i repubblicani furono costretti a ritirarsi nuovamente al di qua della Trebbia[136]. Al centro le cose per i francesi non andarono meglio: dopo le prime scariche di fucileria i francesi attraversarono il fiume e cominciò la carneficina corpo a corpo con le baionette e le sciabole, senza che una parte riuscisse ad avere la meglio sull'altra; risolvette un battaglione di cavalleria austriaca agli ordini del colonnello Lownehwer che assalì il fianco della cavalleria di Montrichard scompigliandone le fila e ributtandola al di là del fiume[136]. Attorno alle 18:00[141] poté quindi intervenire Suvorov che assalì con impeto Victor che riuscì comunque a ripiegare ordinatamente per quanto lo permettessero le circostanze[129][136]. L'ultima speranza di Macdonald era il generale Lapoype che discendeva da Bobbio: egli aveva ricevuto l'ordine di Macdonald di unirsi ai combattimenti solo alle 11:00 di quella stessa mattina e durante la marcia tardiva di avvicinamento fu assalito dai russi precedentemente inviati lì da Suvorov e costretto a disperdersi sui rilievi vicini per non farsi catturare[129][142]. Al tramonto entrambe le parti contendenti si trovarono nelle identiche posizioni della notte prima ma le perdite erano state terribili: 2000 morti ed almeno 7000 feriti compresi due generali di divisione ed oltre 3000 soldati fatti prigionieri tra le fila francesi, 5/6000 i morti fra gli alleati e pochissimi i prigionieri[141]. La situazione di Macdonald che poteva disporre ora solo di 10.000 uomini abili contro gli oltre 30.000 di Suvorov era critica[141].
La ritirata di Macdonald
Nella tarda serata del 19 Macdonald, col favore delle tenebre e lasciando qualche schiera di volontari sulla riva della Trebbia ad accendere decine di fuochi per far credere al nemico di essere ancora accampato[143][144], cominciò a ritirarsi verso il Nure, mettendo fine ai due giorni di dura battaglia sulla Trebbia. Diresse una colonna in direzione di Lucca passando per la vale del Taro, un'altra in direzione di Pistoia passando nel modenese[129]. Solo all'alba del 20 giugno Suvorov se ne avvide ed ordinò immediatamente l'inseguimento[143][141][145]:
Il felmaresciallo russo mosse gli austriaci di Melas verso Piacenza ed i russi al comando di Rosenberg verso San Giorgio[141]. Suvorov stesso partecipò all'inseguimento con i cavalleggeri costringendo mezza brigata di Victor alla resa dopo una ulteriore ma inutile resistenza[129][143]. A Piacenza Melas trovò diverse migliaia di soldati francesi feriti e catturò 4 generali e 354 ufficiali[141]. Fonti coeve riportano che Suvorov, preso in città alloggio a Palazzo Scotti, visitò i feriti ed i moribondi di ambo le parti ricoverati in terribili condizioni nella Basilica di S. Agostino trasformata in ospedale, lodando il coraggio dei vinti, e fu in un primo momento accolto dalla popolazione al grido di «Evviva il vincitore!»; infastidito poi pare dalle lamentele dei cittadini riguardo alle molestie ed alle rapine arrecate loro dai cosacchi permise il saccheggio della città tra il 23 ed il 24 giugno[147].
Solo le acque del fiume Arda in piena, che Macdonald era riuscito fortunosamente ad attraversare, fermarono infine l'inseguimento permettendo al francese di radunare le sue esauste forze, dividerle in tre divisioni ai comandi di Dombrovski, Montrichard e Watrin ed attraversare gli Appennini per riparare in Toscana presso Lucca, con l'intento di raggiungere quindi la riviera ligure di levante e ricongiungersi finalmente a Moreau[141][148]. L'8 luglio Macdonald lasciò Lucca con il grosso delle sue forze, inviò l'artiglieria pesante via mare e quella leggera con una carovana di muli verso Genova e, protetto sugli Appennini dalle truppe di Montrichard e Victor, marciò verso la città ligure nella quale giunse il 17 luglio con ben 14.000 uomini ma in pessime condizioni fisiche e morali[149].
Nel frattempo i generali di Suvorov prendevano Parma, Reggio e Modena, mentre Bologna sarebbe caduta il 30 luglio sotto l'attacco di Klenau[150]. La battaglia della Trebbia, che resterà una delle più importanti di tutta la campagna, si era conclusa con la totale disfatta dei repubblicani[151].
Le manovre di Moreau
Mentre Macdonald era impegnato sulla Trebbia, Moreau non era rimasto inattivo e raccolti 14.000 uomini tra Voltaggio e Gavi li aveva divisi in due divisioni, la prima al comando di Grenier a cui affidò circa 9.500 soldati, la seconda a quello di Grouchy con 4.500[152]. Il 17 giugno aveva marciato con Grouchy sulla strada maestra per Novi, mentre Grenier seguiva una strada secondaria lungo la valle di Serravalle Scrivia da dove il 18 giugno aveva cacciato gli austriaci[150]. Il 19 giugno era quindi avanzato verso Tortona e il 20 aveva sconfitto Bellegarde a Marengo facendogli perdere 3.000 uomini e ricacciandolo oltre la Bormida[153], liberando Tortona stessa dall'assedio[148][154]. Contestualmente lo raggiunse un corriere di Lapoype con la notizia della sconfitta di Macdonald e della sua completa ritirata e quindi abbandonò ogni residua speranza di riuscire a ricongiungersi con questi. In ogni caso scelse di rimanere temporaneamente sulle sue posizioni per tentare almeno di distogliere l'attenzione di Suvorov e favorire il ripiegamento di Macdonald[154][155]. Più tardi avrebbe ricordato:
Il generale francese aveva previsto bene: Suvorov infatti lasciò Ott a controllare le mosse di Macdonald e tornò indietro verso Scrivia e la Bormida risoluto a dare una lezione a Moreau[154]:
Raggiunto il suo scopo Moreau si ritirò nuovamente verso il valico della Bocchetta, lasciando presidi trincerati ivi ed a Serravalle[150].
La conquista delle fortezze francesi
A questo punto della campagna i francesi avevano perduto sette battaglie campali, le fortezze di Peschiera e Pizzighettone, Milano, Torino e tutta l'Italia da Napoli a Milano. Conservavano Tortona, Alessandria, Cuneo ma soprattutto la fortezza di Mantova, conquistata due anni prima da Napoleone, forte di un presidio di 10.000 uomini che allo stato era l'unica speranza di riconquista futura del Nord Italia[158]
Il 25 giugno Suvorov giunse sulla Scrivia, il 27 si accampò sull'Orba e occupò Novi e Ovada, ridispose l'assedio su Tortona e ordinò a Bellegarde, al comando di circa 20.000 uomini e con 130 pezzi di artiglieria pesante[158], di cominciare quello su Alessandria, presidiata dal generale Gardanne con 2.200 francesi e 400 cisalpini; sotto intensi cannoneggiamenti durati giorni questi si sarebbe arreso solo il 22 luglio con meno di 1000 uomini superstiti[150][158].
Il 26 giugno il generale russo realizzò che Moreau gli era di nuovo sgusciato tra le mani e si era rifugiato dietro gli Appennini. Sfumata la possibilità di una risolutiva battaglia campale contro il francese, si concentrò sulla fortezza di Mantova e le altre guarnigioni francesi nei territori da lui occupati[159].
In realtà Suvorov avrebbe voluto continuare l'offensiva fino a Genova, convinto che ormai i francesi non fossero più in grado di opporsi efficacemente alla sua armata e che avrebbe potuto cacciarli anche dalla riviera ligure[160] e marciare verso Nizza e la Provenza[161]. Tuttavia i propositi del comandante russo continuavano ad essere contrastati dalle interferenze di Vienna. Già in una lettera del 21 giugno l'imperatore Francesco aveva ammonito il russo di astenersi dal continuare con la sua avanzata e gli ordinava di concentrarsi sulle fortezze lombarde. Nonostante i trionfalistici rapporti di Suvorov a Vienna sulle vittorie ottenute e il suo consiglio di marciare verso sud, sbarazzarsi delle deboli forze rivoluzionarie e rivolgersi verso la Francia, il 10 luglio questi ricevette una sorta di ultimatum con cui gli si impediva di utilizzare ulteriormente le armate austriache per altro compito che non fosse quello di riconquistare le fortezze ancora in mano francese[159]:
Lo scopo dell'imperatore austriaco era chiaro: mettere il morso a Suvorov (e alla Russia) per favorire la propria politica egemonica in Nord Italia[159].
Il feldmaresciallo si piegò e porto le forze assedianti di Kray a Mantova, già forti di 29.000 uomini, a ben 40.000[158]. Il generale austriaco poté inoltre avvalersi di parte dei cannoni sottratti all'arsenale di Torino e di una flotta presa ai francesi sul Lago di Garda e fatta scendere appositamente dal Mincio per contribuire ai bombardamenti[150], per un totale di 600 bocche da fuoco[163]. Il cannoneggiamento sulla guarnigione francese forte di 11.000 uomini[164] iniziò il 10 luglio e fu intensissimo fino al 21 quando Kray intimò di nuovo la resa ai francesi dimostrando loro che ogni resistenza era ormai inutile perché non potevano aspettarsi più alcun aiuto dalle armate di Macdonald ormai riparate oltre l'Appennino. Il 28 luglio il comandante francese Foissac-Latour firmò la capitolazione[165].
La resa di Mantova permetteva a Suvorov di richiamare Kray con 20.000 uomini nuovamente sulla Bormida per dare battaglia ai francesi[166]. Nel frattempo il 5 agosto il generale russo rafforzò l'assedio alla fortezza di Tortona ed il 7 prese quella di Serravalle[165], in strategica posizione sulla Scrivia per portarsi sugli Appennini per il valico della Bocchetta[167].
Le reazioni in Francia
La disfatta in Italia provocò in Francia un vero terremoto politico tra accuse di tradimento, insinuazioni di corruzione dei generali, recriminazioni sulla condotta militare tenuta, sospetti di scarso entusiasmo rivoluzionario anche sulla persona di Moreau; l'opinione pubblica non si capacitava di come alle costanti e numerose vittorie degli anni precedenti, fosse potuta seguire una tale serie di cocenti sconfitte[165][167]. Per contrastare gli alleati che minacciavano le frontiere stesse della Repubblica il Direttorio, in quello che fu ricordato come il Colpo di Stato del 30 Pratile, Anno VII, il 18 giugno del 1799, sostituì tre dei suoi cinque quinqueviri con l'inserimento di Louis Gohier, Pierre Roger-Ducos e Jean-François Moulin, considerati fedeli repubblicani e più legati alla parte giacobina[165][168]; ricorse ad una nuova coscrizione obbligatoria arruolando 500.000 uomini[165]; congedò tutti i vecchi comandanti delle armate sostituendoli con quei generali ritenuti capaci del proseguimento della guerra con maggiore energia: il generale Jean-Baptiste Bernadotte divenne ministro della guerra, il generale Championnet venne prosciolto dalle accuse per il suo non gradito comportamento tenuto precedentemente a Napoli e messo a capo dei 50.000 uomini previsti per l'Armata delle Alpi, il generale Joubert assunse il comando dell'Armata d'Italia e dei 70.000 uomini che sarebbero stati inviati a Genova, sostituendo il generale Moreau che però, su espresso desiderio di Joubert[169], sarebbe rimasto con l'armata come consigliere e vice-comandante, il generale Masséna fu inviato in Svizzera con la promessa di comandare 90.000 soldati[170][165]. In realtà il numero di effettivi assegnato ai generali per le operazioni si paleserà sensibilmente più basso e molti uomini si riveleranno totalmente a digiuno di pratica militare e necessitanti di addestramento[171][169].
La battaglia di Novi
L'arrivo in Italia di Joubert e l'offensiva francese
Il generale Joubert lasciò Parigi il 15 luglio e arrivò a Genova tra il 5 ed il 6 agosto e, nonostante il numero di truppe non fosse quello promesso dal Direttorio e lo stato delle truppe fosse per molti versi disastroso[172], si trovò comunque al comando di una ragguardevole quantità di uomini: trovò infatti i veterani di Moreau e i 13.000 che Macdonald era riuscito a portare dalla Toscana, rinforzi dalla Vandea e da Brest portati dalla flotta francese, per un totale di circa 45.000 soldati[169][165][173]. L'esercito era però carente di approvvigionamenti, cavalli e munizioni; inoltre gli uomini non venivano pagati da mesi e le diserzioni avrebbero man mano ulteriormente indebolito l'armata rivoluzionaria[171]. Gli ordini del Direttorio erano perentori: Joubert doveva liberare Tortona e piegare a sinistra mentre Championnet sarebbe disceso dalle Alpi per insidiare Torino, i due eserciti si sarebbero quindi dovuti riunire a Cuneo[173]. Joubert riconfermò la volontà di mantenere Moreau al suo fianco come consigliere e nominò Louis Gabriel Suchet come capo di stato maggiore[174].
Appresa solo il 12 agosto la notizia della caduta di Mantova ma ritenutala infondata[175][176], il 13 agosto Joubert decise comunque di muoversi immediatamente. Divise le sue forze in tre colonne, superò l'Appennino dal valico della Bocchetta, respinse le prime avanguardie alleate di Bellegarde presso Acqui, occupò Serravalle e, nuovamente riunite le forze, si posizionò saldamente a Novi occupandone militarmente piazze e strade[177]: il suo centro era protetto dalle mura della città stessa, all'ala destra i 17.000 soldati del generale de Saint Cyr erano difesi dai rilievi di Monterotondo, alla sinistra i 18.000 di Perignon dalla rive scoscese del torrente Lemme[173][169]; a queste forze si dovevano aggiungere i circa 3.500 uomini di Miollis attestati sulla parte orientale della riviera ligure[178]. Per contro i viveri scarseggiavano e le truppe cominciarono a patire la fame[179].
Suvorov era inizialmente inconsapevole dell'avanzata francese e ricevette solo scarne informazioni riguardo le loro incursioni sullo Scrivia ma, dopo i primi rapporti di Bellegarde, si convinse che dopo mesi di inattività i transalpini stessero disponendosi per affrontarlo in una nuova battaglia e aveva quindi fatto in modo di attirarli nel campo da lui preferito, facendo artatamente ritirare i cosacchi di Bagration proprio tra Tortona e Novi, senza ingaggiare il nemico[180]. Lui stesso si mise in moto col grosso delle sue forze ed il 14 sera, nella piana tra l'Orba e lo Scriva, presentava al sorpreso Joubert una forza di circa 50.000 umini contro i circa 35.000 francesi pronti al combattimento, ma soprattutto godeva di una grande superiorità di cavalleria: 9000 contro 2000[181]. Il comandante russo dispose Bellegarde e Kray alla destra, le divisioni russe con Bagration e Förster al centro, e Melas alla sinistra.
La stessa notte i francesi tennero un consiglio di guerra per decidere se dare battaglia o ritirarsi a Genova. Appurata la soverchiante forza avversaria, i generali de Saint Cyr e Perignon erano del parere che fosse necessario ritornare sulla riviera e, come da piani iniziali, concertarsi con le truppe di Championnet che sarebbero dovute scendere dalle Alpi[182]. Moreau parlò per ultimo osservando che l'incolmabile inferiorità numerica della cavalleria francese rispetto a quella alleata, specialmente su un campo di battaglia pianeggiante ed esteso come quello su cui si acciungevano ad affrontare il nemico, poteva trasformarsi l'indomani in una disfatta totale[183]. Joubert, che aveva giurato alla moglie che sarebbe tornato solo vittorioso o morto[184], decise di prendere tempo e di posticipare la sua decisione al mattino dopo: il risultato fu che la mattina del 15 le truppe francesi si ritrovarono senza ordini chiari e piani precisi per la battaglia[181].
Suvorov, come da sua indole, non aveva avuto alcun dubbio e durante la notte aveva già disposto le sue truppe per dare battaglia appena fosse spuntata l'alba, incoraggiando i suoi comandanti così:
La controffensiva di Suvorov
Alle 5 del mattino del 15 agosto l'ala destra al comando di Kray con 27.000 uomini divisi in due colonne, con Bellegarde a destra e Ott a sinistra, si mosse verso il nemico[185] venendo inizialmente per due volte respinta da Perignon[181][173]. Joubert stesso aveva nel frattempo raggiunto la zona del combattimento per incitare i suoi uomini ma fu quasi subito colpito al petto ed ucciso da una palla di fucile, sparata secondo fonti coeve da un cacciatore tirolese, mentre a cavallo alla testa delle truppe dava l'ordine di avanzare[186][187]. La notizia della sua morte fu tenuta nascosta all'armata francese ed il comando passò al generale Moreau che immediatamente richiese rinforzi a de Saint Cyr e nonostante un momentaneo successo, per timore di essere accerchiato, impedì che gli austriaci venissero inseguiti[181].
La battaglia si mantenne in equilibrio almeno fino alle 8:00 e quasi in inattività al centro e sull'altra ala[188]. Attorno alle 9:00 Suvorov decise di attaccare con le truppe russe le posizioni francesi al centro presso Novi, in modo anche da alleggerire la pressione a sinistra su Kray, ma dopo tre furiosi assalti i 10 battaglioni di Bagration e Miloradovič vennero altrettante volte respinti dalla tenace resistenza dei repubblicani[173][189]. Nel pomeriggio, dopo sette ore di aspri combattimenti, gli alleati non erano ancora riusciti a sfondare le linee francesi, finché il feldmaresciallo non dette l'ordine a Melas di abbandonare la sua posizione a Rivalta e assaltare il fianco destro dei francesi mentre al centro i cosacchi di Bagration avrebbero rinnovato l'attacco a Novi e Kray avrebbe contrattaccato sul fianco sinistro[190]. Questo fu il momento decisivo della battaglia: dopo una prima fase di grande incertezza, durante la quale lo stesso Suvorov temette di essere in procinto di venire sconfitto[191], Melas giunse sul campo di battaglia con i suoi 14.000 uomini[192] e passò all'azione lasciando una parte delle sue forze al centro, quindi marciò sulla sponda dello Scrivia e riuscì ad aggirare i francesi impadronendosi del campo a Serravalle, infine divise le sue forze in tre colonne e li assalì di fronte, al fianco ed alle spalle sbaragliandoli[186][173]. Nel frattempo Bagration riuscì finalmente a sfondare anch'egli, dilagando verso Novi, catturando molti prigionieri e minacciando di tagliare definivamente fuori l'ala destra francese; tuttavia diverse centinaia di francesi formarono diverse sacche di resistenza combattendo casa per casa fino a tarda notte[193].
Alle 6 del pomeriggio Bagration si era comunque assicurato il controllo della cittadina, mentre i resti dell'armata francese si davano disordinatamente alla fuga abbandonando armi, cannoni e approvigionamenti sotto il fuoco diretto dell'artiglieria[193]. Le fonti riportano come durante questi violenti combattimenti i russi abbattessero barbaramente anche chi si arrendeva e non venissero fatti prigionieri[186]. Più tardi dopo una vana resistenza vennero feriti e catturati i generali di divisione Grouchy, Perignon, quelli di brigata Partouneaux e Colli e almeno 4.000 francesi[194][195]. Le perdite da una parte e dall'altra si stimarono in seguito in circa 25.000 tra morti, feriti e prigionieri e, a testimonianza della strenua resistenza dei francesi, queste furono in maggioranza dalla parte degli austriaci e in numero più elevato tra i russi[186]. L'armata francese aveva comunque subito una disfatta completa: l'ala destra era stata totalmente dispersa, della sinistra non erano rimasti che gruppi sbandati, il comandante in capo era stato ucciso e quattro generali catturati; i francesi lasciarono sul campo 37 cannoni e 28 carri di munizioni e polvere da sparo, almeno 1.500 morti e 8.000 tra feriti e prigionieri, cioè tra un quarto ed un terzo degli effettivi[196].
La ritirata di Moreau
A Moreau non restò dunque che ordinare la ritirata generale ma nel frattempo Lichstenstein aveva tagliato le vie di fuga da Novi verso Gavi e solo de Saint Cyr riuscì a riparare in buon ordine[193] verso gli impervi sentieri di Pasturana e Tassarolo[173].
Suvorov scrisse:
Il giorno seguente Moreau riuscì a riordinare le file superstiti della sua armata e si dispose tra Millesimo e la Bocchetta[194].
Suvorov avrebbe voluto riprendere l'inseguimento dei francesi ma non poté far altro che prendere atto del fatto che le sue truppe fossero totalmente esauste e non in grado di muoversi, inoltre era preoccupato dall'arrivo dalle Alpi del generale Championnet che minacciava ora la sua retroguardia[197]; Moreau ne poté quindi approfittare e riuscì ad attraversare indisturbato il passo sugli Appennini ritornando sulla riviera ligure con gli uomini rimastigli[193]. Il comandante russo si concentrò quindi sulla presa della fortezza di Tortona che, nonostante un timido tentativo di soccorso portato da Moreau il 7 settembre, cadrà il 10 dello stesso mese[194].
Conseguenze politiche e strategiche delle vittorie di Suvorov
La campagna d'Italia, culminata nel netto successo nella battaglia di Novi, diede agli alleati una vittoria apparentemente decisiva: l'armata francese fu pressocché distrutta, perse oltre 11.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri tra i quali ben quattro generali, ottantaquattro ufficiali, quattro bandiere di guerra e grandi quantità di artiglieria, munizioni e scorte[193][186]. Altissime furono però anche le perdite per gli stessi austro-russi tanto che Suvorov non fu immediatamente capace di portare le ostilità in Liguria consentendo che la Francia ne conservasse quasi l'intero possesso[198].
Ben maggiori si dimostrarono però le conseguenze politiche che portarono al deterioramento della cooperazione tra gli alleati. Era solo questione di tempo perché Suvorov, che dopo le sue vittorie aveva ottenuto dallo zar il titolo di "Principe d'Italia" (Knjaz Italijski - in russo Князь Италийский?)[199] e veniva ormai chiamato Italiski (l’Italico)[13], scacciasse i francesi dal Piemonte e riprendesse la sua marcia per invadere la riviera ligure. Ciò innescò da un lato la preoccupazione dei britannici che la Russia si affacciasse pericolosamente sui porti del Mediterraneo[201] ma soprattutto quella degli austriaci che vedevano nei successi dei russi e nella ingerenza dello zar Paolo I una concreta minaccia alla loro influenza futura nel Nord Italia[11]. Essi preferivano perdere il supporto militare russo in Piemonte piuttosto che il vantaggio politico che sarebbe loro venuto al tavolo della pace quando si sarebbero presentati come gli unici occupanti dello stato sabaudo dal quale, inoltre, sarebbero potuti entrare facilmente da soli in Francia con le loro truppe[202][203].
Ulteriore interesse a distogliere la Russia dall'Italia e a spostare altrove il baricentro delle operazioni militari avevano gli inglesi, per le loro motivate preoccupazioni che la Francia repubblicana potesse utilizzare la notevole flotta olandese per minacciare direttamente la loro isola; per impedirlo caldeggiavano quindi la necessità di aprire un nuovo fronte bellico nella Repubblica Batava[203].
La moderna storiografia non nega tuttavia che, al di là delle decisioni di quella che von Clausewitz definì una "politica dalle vedute limitate" da parte di britannici ed austriaci, mirante semplicemente ad evitare una scomoda presenza russa in Italia e nel Mediterraneo e a soddisfare esigenze particolari, ci fossero in questi piani degli evidenti vantaggi militari[204]. Gli inglesi ritenevano realmente la Svizzera il territorio ideale per un piano di invasione della Francia e gli austriaci erano più preoccupati delle truppe francesi concentrate lungo il Reno che di quelle superstiti in Italia; passando ad una più prudente tattica difensiva nel nord della penisola, gli austriaci se ne assicuravano comunque il dominio e potevano liberare forze da impiegare in Germania. Anche per i francesi il territorio elvetico era di vitale importanza infatti il controllo dell'altopiano svizzero consentiva loro due sbocchi strategici: uno permetteva di aggirare la Foresta Nera e dilagare facilmente nell'alto Danubio, l'altro attraverso i passi alpini del Canton Vallese portava direttamente nel nord Italia[205].
Lo spostamento dell'armata russa in Svizzera
Nonostante in teoria Suvorov rispondesse direttamente allo zar, il Consiglio Aulico austriaco ed il cancelliere Thugut ordinarono al generale russo di cedere il comando al generale Melas, abbandonare l'Italia e muovere per la Svizzera dove la sua armata si sarebbe dovuta congiungere alle nuove forze russe al comando del generale Korsakov in arrivo dalla Galizia[202][206]. Le manovre in Svizzera si sarebbero dovute svolgere di concerto con l'imminente invasione anglo-russa dell'Olanda: mentre gli inglesi del duca di York ed i russi al comando del generale von Fersen si preparavano a sbarcare in Olanda, per sostenere questa spedizione l’arciduca Carlo avrebbe dovuto spostarsi dalla confederazione elvetica verso Magonza marciando lungo il Reno; l’esercito austriaco del Melas avrebbe presidiato il Piemonte e si sarebbe impadronito di Cuneo[206][207].
Le ultime resistenze di Suvorov, che aveva definito "fuori di testa" Thugut per la strategia proposta, furono spazzate via il 25 agosto da una lettera dell'imperatore austriaco che gli ordinava perentoriamente di abbandonare i suoi propositi di attaccare i francesi a Genova, di attraversare invece immediatamente le Alpi e lanciare una offensiva in Francia dalla Svizzera[208] [202].
Il 4 settembre Suvorov informò lo zar che stava per muoversi verso la Svizzera, non mancando di lamentare come fin dall'inizio della campagna gli austriaci fossero costantemente stati riluttanti a supportarlo, lenti a rispondere ai suoi ordini e assolutamente inefficienti a soddisfare le sue richieste di approvvigionamenti e munizioni[209]. L'11 settembre, subito dopo la presa di Tortona, si mise in marcia spedendo bagagli, equipaggiamenti ed artiglieria pesante via Como e Verona affinché arrivassero in Svizzera presso Chur nei Grigioni e dal Tirolo verso Feldkirch[13], mentre egli con circa 27.000 uomini, inclusi quasi 16.000 fanti e oltre 3.500 cosacchi[209], prese la via di Varese per Bellinzona[206]. Cominciava la campagna svizzera di Suvorov.
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- ^ Gachot 1903, p. 388
- ^ Paolo I ambiva a garantirsi una presenza militare nel Regno di Napoli per sorvegliare Malta, disporre di una base alternativa a quelle sul Mar Nero per una futura spedizione contro Costantinopoli e sostenere ed armare contro Selim III i greci, che reclamavano all'impero ottomano libertà ed autonomia[200]
- ^ a b c Mikaberidze 2003, pp. 131-2.
- ^ a b Coppi 1824, pp. 277-8.
- ^ Francesco Vicari 1999, p. 20
- ^ Francesco Vicari 1999, p. 20
- ^ a b c Coppi 1824, pp. 279-280.
- ^ Botta 1834, p. 364.
- ^ Imperatore Francesco II a Suvorov - 17 agosto 1799, in Mikhailovsky-Danilevsky, Miliutin 1852, Vol. III, 199-200, 415-6.
- ^ a b Mikaberidze 2003, pp. 133-4.
Bibliografia
- AA.VV., Rettificazioni istoriche dedicate alla Gazzetta Ufficiale di Milano, Firenze, G. Favale e C., 1857.
- Carlo Botta, Storia d'Italia dal 1789 al 1814 (in ventisette libri), Lugano, Giuseppe Ruggia e C., 1834 [1824].
- David G. Chandler (a cura di), I marescialli di Napoleone, Milano, Rizzoli, 1988, ISBN 88-17-33251-8.
- (DE) Carl von Clausewitz, Die Feldzüge von 1799 in Italien und der Schweiz, Volume 1, Losanna, F. Dümmler, 1833.
- Antonio Coppi, Annali d'Italia dal 1750, Volume 2, Stamperia de Romanis, 1824.
- (FR) Édouard Gachot, Les campagnes de 1799: Souvarow en Italie, Perrin et cie., 1903, ISBN non esistente.
- Albert Mathiez e Georges Lefebvre, La rivoluzione francese, Einaudi, 1992.
- (EN) Alexander Mikaberidze, "The lion of the russian army": Life and Military Career of General Prince Peter Bagration, tesi di laurea, Florida State University, 2003.
- (RU) Alexander Mikhailovsky-Danilevsky e Dmitri Miliutin, Istoriia voini Rossii s Frantsiei v 1799 godu, St. Petersburg, Tip. Shtaba voenno-uchebnykh zavedenii, 1852.
- (RU) Nikolaj Aleksandrovič Orlov, Suvorov: Razbor voennych dějstvij Suvorova v Italii v 1799 godu, St. Petersburg, Trenke i Fjusno, 1892.
- (EN) Spencer C. Tucker (a cura di), A Global Chronology of Conflict: From the Ancient World to the Modern Middle East, ABC-CLIO, 2009, ISBN 978-1-85109-672-5.
Pubblicazioni
- Francesco Vicari, La campagna di Suvorov attraverso le Alpi svizzere nel 1799 (PDF), in Rivista militare della Svizzera italiana, n. 4, luglio/agosto 1999. URL consultato il 18 ottobre 2014.
Voci correlate
- Guerre rivoluzionarie francesi
- Guerre napoleoniche
- Prima coalizione
- Seconda coalizione
- Campagna d'Italia (1800)
- Campagna svizzera di Suvorov
- Terza coalizione
- Quarta coalizione
- Quinta coalizione
- Sesta coalizione
- Settima coalizione
