Il Charpentier C-1 fu un monoplano francese per il trasporto della posta, caratterizzato dalla formula ad ala volante, rimasto allo stato di prototipo.

Charpentier C-1
Descrizione
TipoAereo da trasporto postale
Equipaggio2
CostruttoreFrancia (bandiera) Société des avions Caudron
Data primo vologennaio 1933
Esemplari2
Dimensioni e pesi
Lunghezza15.00
Apertura alare5,30
Superficie alare24
Peso max al decollo2 400 kg[1]
Propulsione
Motoreun in linea Hispano-Suiza 6Pa
Potenza100 hp

i dati sono estratti da Charpentier C-1[1]

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Storia del progetto

Nel 1929 il progettista aeronautico Jean Charpentier brevettò il progetto per un velivolo bimotore caratterizzato dalla formula ad "avion-aile" .[2] All'inizio degli anni trenta del XX secolo il governo francese emise il requisito per un aereo trimotore per il trasporto della posta.[1]

In risposta a questo requisito, all'inizio del 1933 Charpentier firmò con il governo francese un contratto per la costruzione di un prototipo di un aereo da costruirsi secondo il concetto di ala volante.[1] Non disponendo di infrastrutture industriali per la costruzione dell'aereo, che doveva avvenire sotto la sua direzione, Charpentier si rivolse alla Société des Avions Caudron.[1] Il prototipo fu costruito ad Issy-les-Moulineaux tra il febbraio e il 12 ottobre 1933, data in cui uscì dalle officine.[3]

Descrizione tecnica

Designato Charpentier C-1, il velivolo era costruito interamente in legno, e rivestito di metallo e tela.[1] La propulsione era affidata a tre motori in linea Hispano-Suiza 6Pa) a 6 cilindri, raffreddati a liquido, eroganti la potenza di 100 CV, azionanti eliche bipala a passo fisso.[1][2] Uno dei motori era installato al centro davanti all'ala, mentre le gondole allungate degli altri due formavano delle travi a cui erano fissati posteriormente i timoni di coda.[1] I radiatori di raffreddamento erano posti sulla superficie inferiore dell'ala.[1]

Il carrello di atterraggio era triciclo anteriore retrattile.[1] Le gambe principali rientravano nelle gondole motori ripiegandosi all'indietro, mentre il ruotino di coda era fisso.[1] L'equipaggio, formato da due persone, era ospitato in due abitacoli separati, aperti, protetti solo da un parabrezza, sistemati affiancati uno a destra e uno a sinistra del motore centrale.[1][2] Gli ipersostentatori si trovavano tra i due timoni, in posizione centrale, mentre gli alettoni uno per ciascuna semiala.[1]


Impiego operativo

Il 15 ottobre, a Buc, durante prove di rullaggio che avvenivano a velocità sempre più elevate, il pilota Quatremarre non riuscì a controllare la macchina e l'aereo uscì di pista rimanendo gravemente danneggiato.[1] Il pilota uscì indenne dall'abitacolo.[2]

Per mancanza di mezzi finanziari i collaudi non ripresero fino al gennaio 1935.[3] Incaricato delle prove, che si dovevano svolgere a Etampes-Mondésir, fu il pilota collaudatore sergente maggiore Poivre.[1] Una mattina Poivre diede piena potenza alla macchina e decollò, ma sfortunatamente il velivolo non rispose ai comandi e si schiantò al suolo ribaltandosi.[1] Poivre uscì dall'incidente solo con qualche livido ma l'aereo andò completamente distrutto.[1]

Nonostante altri progetti elaborati, tra cui il trimotore C-2 e il caccia pesante 310C1,[2] alcuni dei quali arrivarono fino al modello in galleria del vento, e altri brevetti, non fu costruito nessun velivolo che portasse il nome di Charpentier.[1]

Note

Annotazioni

Fonti

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r Aviafrance. Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "aa" è stato definito più volte con contenuti diversi
  2. ^ a b c d e Nurflugel.
  3. ^ a b Macquette 72.

Bibliografia

  • (EN) Bill Rose, Secret Projects Flying Wings and Tailless Aircraft, Hersham, Midland, 2010.
Periodici
  • (EN) Alain J. Pelletier, Towards the ideal aircraft: The Life and Times of the Flying Wing, Part Two, in Air Enthusiast, n. 64, Key Publishing Ltd., July-August 1996.
  • (FR) Michel Borget, Il ne vola qu'un court instant... le trimoteur Charpentier C1, in Le Fana de l'Aviation, Editions Lariviere, novembre 1977, pp. 8-11.

Collegamenti esterni