Fotografo di scena

Qui inizio ad integrare la presente sezione della voce Fotografo di scena. Poi creo da zero delle sottosezioni.

Storia

Lo studio del movimento è stato sempre al centro delle arti, in special modo quando parliamo di pittura, scultura e fotografia. Soffermandoci su quest’ultima, ricordiamo alla fine del XIX numerose ricerche ed innovazioni in campo artistico. Due esponenti di maggior spicco furono il fotografo Eadweard Muybridge[1] ed il fisiologo Etienne-Jules Marey.[1] Nel 1872 l’ex Governatore della California, appassionato di cavalli, commissionò a Muybridge lo studio dell’andatura di questi animali per provare che esisteva un istante durante il galoppo in cui le zampe sono tutte alzate. Vennero posizionate alcune macchine fotografiche e collegate tra di loro da fili di lana che il cavallo avrebbe spezzato al suo passaggio. La rottura del filo azionava lo scatto cogliendo così ogni singolo istante. Questo esperimento riuscì a descrivere il movimento dell’animale ed a confermare le teorie dell’ex Governatore. Muybridge negli ultimi anni della sua vita realizzò lo Zoopraxiscopio, strumento per proiettare le immagini. Potremo definirlo un precursore dei fratelli Lumière. Invece Marey nel 1882 inventò il cronofotografo, un fucile fotografico che scomponeva lo scatto in 12 fotogrammi al secondo. Registrava le diverse pose che avrebbero formato lo scatto complessivo finale. Quest’ultimo avrebbe rappresentato la sequenza dell’intero movimento all’interno di una sola lastra.

Riflettendo attentamente possiamo dire che la fotografia di scena è nata anche grazie a questi esperimenti, alle conoscenze ottenute in ambito fotografico, dove il concetto di racconto era l’elemento centrale.

Intorno al 1890 i miglioramenti della tecnica e le dimensioni più ridotte delle fotocamere favorirono il diffondersi di nuove professioni legate alla fotografia: il fotogiornalismo, la streetphography, la fotografia di scena teatrale e cinematografica, le fotografie dei paparazzi e quindi le prime riviste illustrate.

Nel 1888, venne girato ”Roundhay Garden Scene” il primo film muto e nel 1895 i fratelli August e Louis Lumière brevettarono la loro rudimentale macchina da presa. Da allora la fotografia ed il cinema hanno percorso sempre strade parallele. In questi anni anche la fotografia teatrale faceva i primi passi ma non esprimendo la teatralità nel suo complesso. Al centro dell’attenzione c’era la figura della prima attrice [2] , resa dal mezzo fotografico come una vera icona. Si cercava di valorizzare la femminilità come elemento di intraprendenza e cultura al centro della società.

Il fotografo di scena non era considerato un professionista a tutti gli effetti. Nella società dei primi anni del Novecento era visto come un semplice operaio che svolgeva un lavoro di routine, specialmente in ambito teatrale. Per questo un certo numero di fotografi passarono alla realtà cinematografica considerata come la novità ed il futuro tecnologico. Questa scelta comportava tempi di lavoro più serrati, perché le prove e le scene girate si svolgevano il solito giorno. Inoltre le rigide regole stilistiche ed i limiti tecnici dell’epoca costringevano i fotografi a scattare dalla solita angolazione della macchina da presa, riproducendo una copia delle più emblematiche scene del film. Le immagini erano documentariste e prive di qualsiasi creatività, inoltre a volte era proprio il regista a dare indicazioni al fotografo. Questo era un chiaro segnale di una non ancora riconosciuta professionalità. Spesso gli attori venivano anche richiamati sulla scena per posare nella solita maniera. Questo tipo di fotografie vennero dette “posati” e sarebbero servite per manifesti e locandine. Negli anni ’50 questa tendenza diminuì, perché comparirono sui set cinematografici nuove figure di fotografi provenienti dalle agenzie di cronaca. Erano abituati a cogliere l’attimo, perciò non avrebbero avuto più bisogno dei “posati”. Fotografavano a ritmi incalzanti, vendendo i loro servizi ai giornali e fornendo giorno per giorno il loro lavoro al regista che decideva le immagini giuste per la promozione del film.

Infatti le immagini non allestivano solamente le sale cinematografiche come pubblicità al film, ma le scene principali e le locandine delle pellicole venivano pubblicizzate all’interno del tessuto sociale. La comunicazione visiva verso il grande pubblico fu un’ottima strategia soprattutto dove erano presenti problemi di analfabetismo. A differenza nel teatro il lavoro del fotografo di scena era più una testimonianza storica che poteva risultare utile per eventuali riallestimenti di rappresentazioni teatrali.

Intorno agli anni ’60 la fotografia di scena aumenta il proprio valore sociale grazie anche all’introduzione del fotoromanzo (con nuove tecniche di stampa delle fotografie), del cineromanzo (con le foto di scena che scorrendo in successione raccontavano la pellicola) e anche grazie alle copertine dei libri. L’utilizzo delle fotografie in questi ambiti determinò un aumento significativo del loro valore, non erano più semplici scatti documentaristici, ma vere opere di creatività supportate da nuove tecnologie. La conseguenza di tutto questo fu un aumento della domanda da parte del cinema e del teatro.

Ai nostri giorni la figura del fotografo di scena è centrale. Non sempre è sul set, ma la sua presenza è garantita per le scene più importanti, instaurando rapporti sociali con gli attori e la troupe. Si confronta con il regista, il quale spesso lascia carta bianca nell’utilizzo del mezzo fotografico per cogliere il messaggio del film o della rappresentazione teatrale. Il fotografo di scena può arrivare a ricoprire anche il ruolo di direttore della fotografia[3] essendo ormai un vero professionista del settore.

In questi ultimi anni il direttore della fotografia[3] è diventato uno storico dell’arte, un tecnico, un confidente per il regista e l’intera troupe, un motivatore, e non per ultimo un artista. Negli ultimi dieci anni registi affermati come: Coppola, Scorsese, Spielberg, ecc, hanno ricercato uno un nuovo stile per i loro film e lo hanno trovato grazie a giovani direttori della fotografia aperti a creare qualcosa di diverso ed a rendere sempre più al centro dell’attenzione questa professione.

Metodologia di scatto

La prima regola che il fotografo di scena deve tenere presente è quella di non interferire con il lavoro della troupe e degli attori, in qualche modo deve diventare trasparente, invisibile. Questo ci fa capire che il suo operato non può ostacolare chi lavora dietro le quinte e sulla scena.

Le angolazioni di scatto vengono stabilite in teatro durante le prove o prima di girare la scena di un film. In questo modo il fotografo ha la possibilità di studiare con calma le inquadrature, valutando le luci e le impostazioni del proprio strumento fotografico con il quale dovrà lavorare senza incertezze.

Altre regole fondamentali sono: lavorare con una fotocamera silenziosa e non utilizzare il flash. Non rispettare questi due punti vorrebbe dire deconcentrare gli attori durante la recitazione.

In teatro o durante le riprese di un film è importante lavorare senza creare fastidio. Fino a diversi anni fa la maggior parte dei fotografi utilizzava fotocamere “blimpate”, cioè rivestite, per evitare che la tendina dell’otturatore, abbassandosi, procurasse il classico rumore di scatto. Oggi la tecnologia ha trovato nuove soluzioni. Esistono infatti strumenti fotografici silenziati, sia nel mondo reflex che mirrorless. Essi danno la possibilità di lavorare in tranquillità e senza alcun rumore.

Durante una rappresentazione teatrale il silenzio è necessario, perché qualsiasi rumore verrebbe avvertito sia sul palco che in platea. Ma anche durante le riprese di un film viene chiesto espressamente il silenzio prima di girare una scena, perché i rumori fuori campo verrebbero registrati.

Insieme alla regola del silenzio esiste l’obbligo di fotografare senza l’utilizzo del flash. Se pensiamo al buio del teatro, il bagliore di un flash provocherebbe fastidio e perdita di concentrazione da parte degli attori e del pubblico. Ovviamente questa regola vale anche per la scena di un film, il lampo del flash rovinerebbe sicuramente le riprese.

Dal punto di vista del fotografo, l’utilizzo del flash toglierebbe l’atmosfera, il pathos delle luci di scena e anche il messaggio che il film o la rappresentazione teatrale vuole comunicare. La giusta regolazione dello strumento fotografico deve esaltare la luce ambiente senza rischiare di appiattire la scena con l’utilizzo di luci integrate.

Il fotografo, attraverso il suo lavoro, deve saper comunicare il l'anima di un’opera o di una pellicola cinematografica. Questo è possibile anche grazie alla scelta degli obiettivi. Utilizzare ottiche che hanno maggiore apertura di campo, come i grandangolari, consente di entrare maggiormente nella scena. Al contrario scegliendo di utilizzare ottiche con minor apertura di campo, permette di restare più esterni alla scena e quindi trasmettere un minor coinvolgimento.

Un buon risultato è garantito dal rispetto di queste regole, ma non solo. Vanno a contribuire anche il tipo di inquadratura, la composizione, la profondità di campo e non per ultimo l’occhio attento del fotografo capace di valorizzare la scena. In questi casi la conoscenza della teoria è necessaria, ma sarà la pratica sul campo che costruirà la professionalità del fotografo.


La fotografia cinematografica

Prima cosa meno importante.

La fotografia teatrale

Prima cosa meno importante.

La tecnica

Seconda cosa meno importante.

Critica

Fotografo di scena è un’espressione che probabilmente non rende del tutto merito a colui, che con tanta passione e pazienza, scatta le fotografie durante lo svolgimento di una scena cinematografica o teatrale. Questa espressione fa pensare ad un elemento di un archivio o magazzino rispolverato al momento che si va in scena o si batte un ciak. Per questo è stata proposta la definizione di “fotografo sulla scena” per sottolineare l’abilità sia giornalistica che illustrativa.[1]

Note

  1. ^ a b c Alberto Barbera, Paolo Meneghetti e Stefano Boni, Magnum sul set. Il cinema visto dai grandi fotografi, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2011, ISBN 9788836620012.
  2. ^ Giada Cipollone, Ritrattistica d'attore e fotografia di scena in Italia 1905-1943. Immagini d'attrice dal Fondo Turconi. Ediz. illustrata, Roma, Scalpendi, 2020, ISBN 9788832203301.
  3. ^ a b D. Schaefer e L. Salvato, I maestri della luce. Conversazioni con i più grandi direttori della fotografia, Roma, Minimum Fax, 2019, ISBN 8833890481.

Bibliografia

  • Alberto Barbera, Paolo Meneghetti e Stefano Boni, Magnum sul set. Il cinema visto dai grandi fotografi, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2011, ISBN 9788836620012.
  • Paolo Mereghetti, Alessandra Mauro, Franca De Bartolomeis e Alessia Tagliaventi, Movie: Box. Il grande cinema e la fotografia, Roma, Isabella Dothel, 2012, ISBN 9788869656064.
  • D. Schaefer e L. Salvato, I maestri della luce. Conversazioni con i più grandi direttori della fotografia, Roma, Minimum Fax, 2019, ISBN 8833890481.
  • S. Palombi e M. Mori Rossi, Dal click al ciak. Introduzione alla fotografia cinematografica, Roma, Edup, 2009, ISBN 9788884212214.
  • Giada Cipollone, Ritrattistica d'attore e fotografia di scena in Italia 1905-1943. Immagini d'attrice dal Fondo Turconi. Ediz. illustrata, Roma, Scalpendi, 2020, ISBN 9788832203301.
  • Claudio Capanna, Lampi. La fotografia vista dall'occhio dei grandi del cinema, Roma, Associazione Culturale Il Foglio, 2014, ISBN 9788876065309.