Marlene Dietrich

attrice e cantante tedesca naturalizzata statunitense (1901-1992)
«I monologhi sentimentali non s'addicevano al mio registro. Dovetti quindi adottare uno stile diverso, insinuarmi faticosamente nella pelle di un altro tipo di donna. Non era una donna che mi piacesse. Ma imparai dolcemente tutte le sue detestabili battute.»

Marie Magdalene "Marlene" Dietrich (Schöneberg, 27 dicembre 1901Parigi, 6 maggio 1992) fu una attrice e cantante tedesca.

File:Marlene Dietrich in Morocco trailer.JPG
Marocco (1930).

Fra le più belle icone del mondo cinematografico della prima metà del Novecento, la Dietrich fu un vero e proprio mito ed una diva, lasciando un'impronta immortale attraverso le sue immagini, l'interpretazione delle canzoni (arricchite da una ammaliante e sensuale voce) e la sua recitazione. Un mix raramente ripetuto dopo di lei è sufficiente a farla entrare nella leggenda dello show business quale modello di femme fatale per antonomasia.

Il suo mito nacque e si sviluppò in contrapposizione a quello della divina Greta Garbo, quali star di punta di due compagnie di produzione rivali.

Biografia

I primi successi

Nacque a Schöneberg, oggi quartiere di Berlino, il 27 dicembre 1901, da Louis Erich Otto Dietrich (ufficiale militare prussiano) e da Elisabeth Josephine Felsing (figlia di un gioielliere), anche se lei stessa dichiarò più volte di essere nata nel 1904.

Dal 1907 al 1919 frequentò le scuole di Berlino e di Dessau: a quattro anni iniziò a studiare il francese, l'inglese, il violino e il pianoforte. A causa di uno strappo ai legamenti di un dito della mano fu costretta a interrompere lo studio della musica suonata e si diplomò come cantante all'Accademia di Berlino.

Nel 1922 iniziò a calcare i palcoscenici dei teatri di Berlino (Großes Schauspielhaus Berlin) e lavorò con il regista Max Reinhardt, ottenendo piccole parti in alcuni film muti.

Il 17 maggio 1923 sposò Rudolf Sieber, un aiuto regista, e un anno dopo nacque la figlia Maria Elisabeth. Nel 1929 arrivò la sua prima interpretazione da protagonista nel film Die Frau nach der man sich sehnt.

Nell'ottobre dello stesso anno firmò il contratto per interpretare il film che le diede la fama, L'angelo azzurro, con la regia di Josef von Sternberg, tratto da un romanzo di Heinrich Mann, fratello del più famoso Thomas.

In questo film, che è il primo film sonoro del cinema tedesco, la si vede sfoderare un tocco di perversa sensualità ed interpretare la famosa canzone Lola Lola. Le pellicola venne girata in versione multipla, in tedesco e in inglese. I costumi furono disegnati da lei stessa (in seguito saranno disegnati dal sarto Travis Banton). È in questo periodo che il regista Sternberg la convinse a farsi togliere quattro molari e la mise a dieta ferrea per darle un aspetto più "drammatico".

Il giorno dopo la prima de L'angelo azzurro, la stampa berlinese la proclamò una star, capace di mettere in secondo piano anche la prova recitativa del grande attore Emil Jannings, ma l'attrice in quel momento era già sul transatlantico che la portava in America.

La gloria ad Hollywood

 
Marocco

Mentre il regista stava ancora montando la versione definitiva la Paramount, che distribuiva negli Stati Uniti L'angelo azzurro, il 29 gennaio 1930 telefonò alla nuova stella e le offrì un contratto settennale con uno stipendio iniziale di 500 dollari a settimana e aumenti fino a 3.500 al settimo anno[1]. L'attrice accettò, ma riuscì ad inserire nel contratto una clausola accessoria importante, che si rivelerà onerosa per lo studio: quella di poter scegliere il regista dei suoi film, una condizione maturata per paura di perdere la collaborazione di von Sternberg.

Sul viaggio in transatlantico incontrò Travis Banton, il costumista con il quale collaborò sempre, con il quale aveva in comune l'ammirazione per Sternberg e una straordinaria resistenza fisica alla fatica. Fu in questo periodo che venne scattata la famosa foto di Marlene vestita da yachtman, scattata da Sternberg stesso, che venne diffusa dalla Paramount con la frase di lancio dell'immagine divistica di Marlene: "La donna che perfino le donne possono adorare". Il glamour di quella immagine spazzò via tutte le remore della Paramount che invano aveva tentato di proibirle di mostrarsi in pantaloni: a quell'epoca, indossare vestiti di foggia maschile per una donna, quando nessuna donna, in nessun caso indossava pantaloni, a meno di non voler sembrare uno sconvolgente androgino, era un atto ben più sovversivo di oggi.

Marlene Dietrich arrivò così a Hollywood il 2 aprile 1930, dove si rifugeranno presto anche alcuni tra i migliori attori, registi e tecnici del cinema tedesco dell'epoca, in fuga dal nazismo. La Paramount la mise in contrapposizione a Greta Garbo, la star scandinava della MGM. La diva tedesca aveva anche il dono del canto, il che le dava una carta in più nel cinema sonoro.

La Dietrich iniziò quindi a recitare in una serie di film memorabili girati dal suo regista di fiducia, Sternberg, e fotografata solo e soltanto da Rudolph Maté, che le creò quell'immagine di graffiante ma raffinata sensualità che la consegnò alla popolarità mondiale.

Il primo film americano fu Marocco, nello stesso 1930 (ottobre), nel quale cantava due canzoni e che le valse la nomination all'Oscar come migliore attrice. Marocco uscì negli Stati Uniti prima de L'angelo azzurro (dicembre 1930) e nel marzo 1931 arrivava nelle sale già Disonorata: in pochi mesi era già diventata una star cinematografica mondiale.

In Marocco restò famosa la sua performance canora vestita da uomo e il bacio con una donna del pubblico, il primo bacio omosessuale della storia del cinema.

Per Shanghai Express (1932) venne accoratamente studiato il suo look: vestiti neri che la snellissero e piume nere di gallo da combattimento. L'anno dopo Sternberg si rifiutò di dirigerla ne Il Cantico dei Cantici, ma le suggerì comunque di chiedere Rouben Mamoulian, cosa che lei fece puntualmente in virtù della sua libertà contrattuale in merito alla scelta dei registi.

 
La Dietrich canta per un soldato durante la seconda guerra mondiale

I film successivi più celebri sono tutti declinazioni su sfondo fantasiosamente esotico della sua immagine di diva, come era successo in Marocco: la Russia con L'imperatrice Caterina, la Spagna con Capriccio spagnolo (1935), che fu l'ultimo film nel quale collaborò con Sternberg. Per quest'ultimo film essa voleva dare una sfumatura mediterranea al personaggio di Conchita e cercò di scurirsi gli occhi, usando un collirio per dilatare le pupille. Non riuscendo però a muoversi sul set confessò a Sternberg la sua cattiva trovata ed egli la rassicurò: con un pezzo di carta che copriva una parte del riflettore che illuminava il suo primo piano riuscì a darle la sfumatura bruna cercata[2].

La professionalità e la determinazione della Dietrich sul set erano proverbiali. Con la disciplina essa pretendeva da se stessa un'interpretazione perfetta, che andasse a coprire qualche pecca sul profilo dell'interpretazione drammatica. In Capriccio spagnolo, ad esempio, Sternberg aveva ideato la scena di presentazione di un personaggio, con il primo piano di un palloncino che scoppia e mostra il volto della diva. Le venne richiesto di restare impassibile allo scoppio del palloncino, evitando il riflesso naturale di sbattere almeno le palpebre: essa si sottopose a prove estenuanti, ma alla fine riuscì ad eseguire, come sempre, la corretta performance[3].

Dopo sette anni di permanenza negli USA ottenne la cittadinanza. I suoi familiari la seguirono poi nell'avventura americana, anche se ormai viveva separata dal suo unico marito che conviveva con una sua ex-amica; del resto erano innumerevoli le avventure che si concedeva con amanti di ambo i sessi: la sua era una vita che molti definivano scandalosa. Nel 1934 arrivò a guadagnare 350.000 dollari l'anno, una cifra astronomica, che la rendevano una delle persone più ricche degli Stati Uniti[4]. Quello stesso anno fece un viaggio in Europa.

Il rapporto con Sternberg era molto teso: entrambi si sfidavano continuamente e arrivavano ad aggredirsi verbalmente durante le riprese[5]. La rottura definitiva avvenne nel 1935, soprattutto per volontà di lui. La sua immagine comunque restò ancorata a quella creata da Sternberg.

Con gli Stati Uniti collaborò tenendo spettacoli di intrattenimento per le truppe americane e portando la sua arte in Nord Africa e in Europa negli ospedali da campo: cantava - con indosso un'uniforme di sua creazione - la canzone pacifista Lili Marleen, che sarebbe poi diventata il suo inno.

Nel 1950 ricevette la Legion d'onore dal governo francese e, prima donna della storia, riceve la Medal of Freedom, massima onorificenza civile concessa negli Stati Uniti d'America[6].

Dal 1954, quando la carriera cinematografica era ormai declinata, su consiglio del commediografo Noel Coward, che ne fu l'organizzatore, si esibì in spettacoli in cui cantava le canzoni dei suoi film ed intratteneva il pubblico con monologhi estemporanei. Lo show fu portato in giro per tutto il mondo con grande successo e dietro lauti compensi.

Negli anni sessanta inserì nel suo repertorio anche alcuni brani di Bob Dylan, ma Lili Marleen resterà la canzone che fu il suo inno personale e che diede un marchio a tutta la sua carriera.

Il tramonto

 
Judgment at Nuremberg (Titolo italiano: Vincitori e vinti), 1961

La sua ultima esibizione in pubblico ebbe luogo a Sydney, nel 1975, mentre il suo ultimo film fu Gigolò, interpretato accanto a David Bowie.

Nel 1984 l'attore Maximilian Schell le dedicò un film-intervista, Marlene,[7] che l'attrice accettò di fare solo per denaro[senza fonte]. Non camminava già quasi più a causa di una frattura al femore, provocata da una caduta in bagno mentre era, si disse, completamente ubriaca[senza fonte]. Per non far conoscere le sue condizioni si presentò all'intervista su una sedia a rotelle, dichiarando di aver preso una storta ad una caviglia. Inoltre pretese ed ottenne dal regista di non apparire, se non in materiale di repertorio, e di far solamente udire la sua voce. Altre fonti riferiscono che la frattura fu causata da una caduta avvenuta durante l'uscita di scena dell'esibizione di Sydney: Marlene sarebbe caduta inciampando su un cavo[senza fonte]. Fatto è che quell'episodio di fatto mise fine alla sua carriera: Marlene non si riprese mai veramente.

Marlene morì dopo circa dodici anni di immobilizzazione a letto, il 6 maggio 1992. La lunga degenza era stata accompagnata da fasi depressive acute. Il decesso fu attribuito ufficialmente ad un infarto che la colpì nel sonno, ma le cause della morte sono sempre rimaste poco chiare, specialmente dopo le dichiarazioni rilasciate nel 2002 dalla sua segretaria Norma Bousquet, la quale affermò che l'attrice si era suicidata con una forte dose di sonnifero[senza fonte].

La Dietrich venne sepolta il 16 maggio nel cimitero di Berlino, accanto alla madre.

L'immagine della Diva

 
La Dietrich vestita da uomo nel 1933

L'immagine di diva di Marlene Dietrich venne modellata da von Sternberg, che la tratteggiò con efficacia nelle sette regie dei primi anni trenta, e che poi venne replicata all'infinito, anche nelle sue performance canore dal vivo. La sua immagine era essenzialmente quella di donna fatale, trasgressiva, dominatrice, altera e fiera, ma il tratto più originale era il rapporto duplice ed ambiguo che Marlene poteva avere con entrambi i sessi, trattato in maniera molto esplicita e spavalda. Anche la Garbo aveva un'androginia (forse era bisessuale), ma il suo personaggio era più spirituale e psicologico, sempre legato all'enigma bifronte di donna fredda e calcolatrice o eroina romantica. Marlene era invece "La donna che perfino le donne possono adorare".

La figlia della Dietrich riportò come fin dal primo incontro con Sternberg sua madre avesse colpito subito il regista, che prima di farla cantare in inglese le fissò personalmente gli spilli al vestito e le sistemò i capelli. Nei film tedeschi la Dietrich non si riteneva fotogenica, ma Sternberg riuscì a renderla ancora più bella.

In Marocco venne ripresa dall'operatore Lee Garmes[8], che la seguì anche nei tre film successivi. La luce che creò per esaltare la sua immagine era un morbido flou, con luce da nord alla Rembrandt, in maniera da valorizzare i suoi zigomi. Le scene girate di notte inoltre erano illuminate come in pieno giorno. La collaborazione tra Sternberg, Banton, Garmes e la stessa Dietrich crearono la sua immagine che divenne leggendaria. Secondo le lettere che essa scrisse al marito a proposito di Marocco, Sternberg giocò con la luce creando un'aureola con le punte dei capelli illuminati, scavando le sue guance con le ombre, ingrandendole gli occhi. Ma Marlene non era un soggetto passivo nelle mani del regista e dei collaboratori: anch'essa era un soggetto attivo nella creazione della sua immagine, dalla quale traspariva anche un forte autocompiacimento: accanto alla cinepresa essa faceva sempre sistemare un grande specchio semovente dove controllava la sua figura. Sternberg le scrisse: «Hai permesso alla mia macchina da presa di adorarti e a tua volta hai adorato te stessa».[9]

Un problema di immagine nacque quando, nel 1931, la Dietrich fece portare a Hollywood sua figlia: la Paramount era infatti preoccupata che l'immagine di donna fatale cozzasse con quella di madre. Ma allora venne l'intuizione, poi usata per moltissime star, di mescolare il materiale biografico per diffondere, tramite i periodici, l'immagine della persona-star. La Dietrich, come scrisse poi sua figlia, venne presentata come una "Madonna": «Certo la Metro non sarebbe riuscita a trovare una figlia a Greta Garbo dall'oggi al domani!»[10].

L'immagine venne rafforzata da film basati sul suo personaggio fino a Capriccio spagnolo (1935), quando terminò la collaborazione con Sternberg. La sua immagine venne perpetrata identica anche nei film successivi, ma all'abbandono del maestro essa iniziò a potenziare la propria immagine mediatica. Se prima evitava la mondanità hollywoodiana, dopo il 1935 vi si gettò a capofitto, con il fedele sarto Travis Banton a disegnarle i costumi, oltre che per il set, anche per le esibizioni in pubblico. Mitico è rimasto il party in costume dove si presentò vestita da Leda, disegnando una vera icona camp: si presentò con i riccioli corti, alla greca, ed inguainata da un vestito di chiffon bianco con piume che le ricoprivano la metà del corpo e una testa di cigno appoggiata sul seno; la accompagnava una sua amante-attrice vestita "da Dietrich", cioè con il cappello a cilindro e frac.

Vita privata

 
La tomba di Marlene Dietrich

Grande scrittrice di lettere e diari, ha raccolto nella sua casa di Parigi circa 300.000 testimonianze della sua vita.

Dichiaratamente bisessuale, la Dietrich ebbe molti amanti famosi, sia nel mondo del cinema che tra scrittori famosi, fra i quali Hemingway. Ebbe anche molti amici tra gli omosessuali: le donne erano affascinate da lei (pare avesse avuto una storia pure con Edith Piaf per la sua mascolinità[senza fonte]) e gli uomini ammaliati dal suo fascino. Fu legata per un certo periodo a Burt Bacharach ed a Noel Coward, ma la relazione ebbe molti alti e bassi; l'amicizia finì con la morte di lui[senza fonte].

Fu in seguito legata anche allo scrittore Erich Maria Remarque, il cui amore non era tuttavia ricambiato. Lo scrittore era molto geloso di Jean Gabin, reduce da una lunga relazione con l'attrice; nonostante questo, Remarque e la Dietrich ebbero anche in seguito una lunga corrispondenza (ma le lettere inviate dall'attrice allo scrittore sono state quasi tutte distrutte dall'ultima moglie di Remarque, l'attrice Paulette Goddard).

Grande fumatrice (si dice che fumasse oltre quattro pacchetti di sigarette al giorno), sempre a dieta (appena acquisiva un po' di peso prendeva lassativi e beveva litri di acqua) ma, nonostante questo, ottima cuoca. Biografi e cronisti di gossip hanno scritto che sapesse preparare molto bene alcuni piatti che deliziavano i suoi amanti, incluso Jean Gabin, che pare stravedesse per il brodo preparato da Marlene.[senza fonte]

A breve distanza una dall'altra, fra il 1979 e il 1984, pubblicò due autobiografie, la seconda delle quali intitolata laconicamente Marlene D..

È stata la prima donna a farsi assicurare le gambe, stipulando un contratto con la società londinese Lloyd's.

Rapporti con la Germania

Il rapporto con la sua patria di origine fu quasi sempre negativo. Marlene non perdonava alla Germania il regime nazista e anche se Goebbels e Hitler (che la corteggiò a lungo) avrebbero voluto che diventasse una delle grandi rappresentanti del nazismo, lei rifiutò sempre ogni proposta in tal senso (aveva anche alcuni antenati ebrei). A causa di questo gran rifiuto molti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale verrà accolta con evidente astio dai suoi compatrioti che la ritenevano una "traditrice" della patria. In particolare, l'attrice tornò in Germania durante una grande tournée in giro per il mondo. Dopo una prima accoglienza senza problemi, iniziò ad essere fischiata dal popolo tedesco e tacciata di tradimento. Quella fu l'ultima volta che l'artista si recò, in vita, in Germania. Più volte poi, dopo la morte, la sua tomba fu oggetto di vandalismi, specie da parte di neonazisti.

Omaggi

A Berlino le è stata dedicata una piazza; pare che Bob Dylan si sia ispirato a lei nello scrivere la canzone Forever Young[senza fonte]. La raffinata immagine di Freddie Mercury nella copertina dell'album Queen II del 1974 è ispirata ad una famosa foto di Marlene Dietrich.

Innumerevoli, dopo la sua scomparsa, sono stati e continuano ad essere, i lavori cinematografici, televisivi, radiofonici e teatrali a lei ispirati. Il più noto è Bugsy di Barry Levinson con Warren Beatty, Elliott Gould, Harvey Keitel, Ben Kingsley e Joe Mantegna, che uscì pochi mesi prima della scomparsa della diva. Il suo ruolo - e sarà la prima volta che Hollywood porta sullo schermo il personaggio Marlene Dietrich - era interpretato dall'attrice/cantante croato-americana Ksenija Prohaska. Da notare che la stessa Prohaska tornò a interpretare Marlene, ma a teatro, nel 1999, con un monodramma musicale, grazie al quale otterrà al Mittelfest di Moni Ovadia il Premio Adelaide Ristori che tutt'ora porta sui palcoscenici di tutto il mondo in varie lingue.

Nel 2000 la vita di Marlene Dietrich fu portata sullo schermo in una co-produzione italo-tedesca dal regista tedesco Joseph Vilsmaier (1939 – vivente) con il titolo Marlene, nel quale la parte della protagonista è interpretata dall'attrice tedesca Katja Flint (1959 – vivente).

Filmografia

Doppiatrici italiane

La prima voce di Marlene Dietrich è stata quella della regina del birignao Tina Lattanzi che ha cominciato a doppiarla negli anni '30 fino alla prima metà degli anni '50 (questo lasso temporale si riferisce ovviamente agli anni in cui i film arrivarono in Italia e non a quelli di produzione delle pellicole stesse). L'unica parte anni '30 che non fu affidata a Tina Lattanzi è quella in Venere bionda, film che però fu ridoppiato nel '52 proprio con la Lattanzi (e poi nuovamente ridoppiato nel '75 con Vittoria Febbi!). La prima voce in Venere bionda apparteneva ad Andreina Pagnani: quest'ultima si alternerà a Tina Lattanzi nella seconda metà degli anni '40 e a Lydia Simoneschi soprattutto nei tardi anni '50. Nel film Il giardino di Allah, i dialoghi sono affidati proprio alla Pagnani, mentre le canzoni vengono interpretate in italiano da Olga Stancick. Moltissimi i ridoppiaggi moderni (anni '70, '80 e '90) dei film di Marlene, ma c'è da segnalare una peculiarità: ad essere stati ridoppiati sono solo i film con la voce di Tina Lattanzi (ovviamente alcuni, non tutti), mentre quelli con la Pagnani e la Simoneschi conservano tutti l'audio italiano d'epoca. Le uniche eccezioni sono il già citato Venere bionda e in più Partita d'azzardo, ridoppiato per l'edizione in DVD eliminando così l'interpretazione di Lydia Simoneschi. Fra le ridoppiatrici moderne, si segnalano Vittoria Febbi (4 pellicole), Paola Bocci (3 pellicole), Pinella Dragani e Maria Fiore. Ignote le doppiatrici italiane in Gigolo e nel ridoppiaggio de La signora acconsente (originariamente, Tina Lattanzi).[12]

Note

  1. ^ Jandelli, op. cit., pag. 70.
  2. ^ Riva, op. cit., pag. 312-313.
  3. ^ Riva, op. cit., pag. 313-315.
  4. ^ Idem
  5. ^ Jandelli, op. cit., pag. 73.
  6. ^ (EN) http://www.medaloffreedom.com/MarleneDietrich.htm
  7. ^ Vedi scheda su Internet Movie Data-base
  8. ^ Lee Garmes: Oscar per la miglior fotografia nel 1960.
  9. ^ Riva, op. cit., pag. 73.
  10. ^ Riva, op. cit., pag. 100.
  11. ^ La Dietrich ottenne dal regista Maximilian Schell di far solo udire la sua voce, senza apparire fisicamente.
  12. ^ Fonte: doppiocinema.net

Bibliografia

Altri progetti

Collegamenti esterni

Il portale Donne nella storia non esiste

Template:Link AdQ

Template:Link AdQ