Utente:Franz van Lanzee/Sandbox 2

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Rinascita e fine di Napoleone

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cento giorni e Settima coalizione.

Dopo aver trascorso dieci mesi nell'esilio sull'isola d'Elba, Napoleone pianificò il suo rientro in francia per il febbraio del 1815; il momento era propizio ad una similie impresa: il re Luigi XVIII si era ben presto reso impopolare, permettendo il ritorno in massa dei nobili fuoriusciti durante la rivoluzione, dilapidando in poco tempo le scarne finanze francesi, e negando i dovuti sussidi ai veterani della Grande Armée[1]. Anche la coalizione anti-francese era in crisi, in quanto i vari monarchi, impegnati nel congresso di Vienna nel tentativo di dare un nuovo assetto all'Europa post-rivoluzione, si ostacolavano a vicenda al fine di accaparrarsi migliori vantaggi per la propria nazione[1]. Il 1° marzo, Napoleone sbarcò con un pugno di seguaci nel sud della Francia, iniziando la marcia verso nord; i reparti inviati a contrastarlo si ammutinarono uno dopo l'altro, passando in massa dalla sua parte. Il 20 marzo, al termine di una vera e propria marcia trionfale, Napoleone fece il suo ingresso a Parigi senza sparare un colpo, mentre il re Luigi si rifugiava a Bruxelles. Il ritorno di Napoleone aveva però avuto l'effetto di ricompattare il fronte degli alleati, che iniziarono ad ammassare truppe ai confini francesi; per la fine di maggio cinque armate alleate erano in via di organizzazione per complessivi 700.000 uomini mobilitati, a cui i francesi potevano opporne solo 270.000[2].

 
Mappa della campagna di Waterloo

Napoleone aveva bisogno di un chiaro successo militare per ricompattare il fronte interno francese, dove sussistevano ancora sacche di resistenza monarchica; una rapida vittoria avrebbe inoltre potuto mandare in crisi la coalizione, riaccendendo le rivalità non ancora sopite tra gli alleati[1]. Ai primi di giugno, il neo-rinominato imperatore lasciò Parigi alla testa di un esercito di 128.000 diretto in Belgio, dove si trovavano due armate alleate: l'armata anglo-olandese del duca di Wellington e l'armata prussiana del generale Blücher; il piano di Napoleone consisteva nell'incunearsi tra le due armate alleate, per poi batterle separatamente. Il 16 giugno Napoleone sconfisse i prussiani nella battaglia di Ligny, anche se Blücher riuscì ad organizzare una ritirata coordinata; contemporaneamente, l'ala sinistra francese sotto il maresciallo Ney aveva affrontato gli anglo-olandesi nella battaglia di Quatre-Bras, senza ottenere un chiaro successo ma obbligandoli alla ritirata. Napoleone distaccò un contingente sotto il maresciallo Grouchy con il compito di mantenere la pressione sui prussiani, mentre lui stesso conduceva il resto dell'armata contro Wellington. Il 18 giugno i due eserciti si affrontarono nella celebre battaglia di Waterloo: le truppe anglo-olandesi, arroccate su una serie di colline, resistettero disperatamente agli assalti francesi, fino a che nel pomeriggio non sopraggiunse parte dell'armata prussiana di Blücher, che era riuscito ad eludere l'iniseguimento da parte di Grouchy; le due forze alleate congiunte furono quindi in grado di infliggere una severa sconfitta all'armata di Napoleone.

Sebbene esistessero i presupposti per continuare la guerra (nei dintorni di Parigi c'erano ancora 150.000 uomini in fase di addestramento), Napoleone si vide ben presto privare del supporto politico da parte dell'Assemblea Generale francese[3]; il 22 giugno Napoleone abdicò per la seconda volta, consegnadosi poi ai britannici il 15 luglio seguente. I monarchi alleati decisero di esiliarlo il più lontano possibile dall'Europa, nella remota isoletta di Sant'Elena; quì Napoleone troverà infine la morte il 5 maggio 1821.









  • Philip Haythornthwaite, Le grandi battaglie napoleoniche, Osprey Publishing, 2005, ISBN 84-9798-181-2
  1. ^ a b c HWootten 1998, pp. 7 - 9
  2. ^ Gerosa 1995, p. 489
  3. ^ HWootten 1998, p. 88