Storia di Napoli
Storia di Napoli | ||
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Popolo fondatore | Greci, Cumani, Sanniti | |
Anno fondazione | VIII secolo a.C. circa | |
Stati | Polis greca, fino al 326 a.C. (greci) Roma, fino al 476 (romani) | |
Questa voce riguarda la storia della città di Napoli, dagli anni della sua fondazione sino ai giorni nostri.
Le origini
L'epoca preistorica
Se a Capri o a Sorrento scavi archeologici hanno permesso di riportare alla luce importanti reperti risalenti al periodo preistorico, e nella non lontana Cuma vi erano insediamenti di Osci sia nell'età del bronzo (2300-900 a.C.) che nell'età del ferro (900-730 a.C.), nel sottosuolo napoletano invece si sono reperite soltanto scarse tracce e frammenti ceramici che risalgono a quel periodo. Ciò nondimeno nei millenni precedenti l'arrivo dei Greci la zona non è stata sempre spopolata. Recentemente, in occasione della costruzione della stazione Toledo della Linea 1 (Metropolitana di Napoli), in via A. Diaz si sono rinvenuti paleosuoli con tracce incrociate di arature associati a frammenti ceramici riferibili al neolitico finale (IV millennio a.C.), mentre negli anni '50 a Materdei sono state ritrovate alcune tombe di epoca eneolitica, (fine III millennio a.C.) riferibili alla Cultura del Gaudo.
Prima della città
La circostanza che i Greci chiamassero la zona campana οπιχία e οπιχοί i suoi abitanti, termini derivanti da οπη, grotta, e οιχειν, abitare, è poco rilevante, dal momento che essa sembra fare riferimento alla diffusa abitudine delle popolazioni locali più primitive di abitare in grotte. Virgilio (Eneide, L. VII) riferisce il mito dei Teleboi, una popolazione della Tessaglia, che secondo lui si sarebbero stanziati dapprima a Capri e poi nella costa napoletana; in realtà di greco a Capri non c'è pressoché nulla, mentre le colonie greche sono per lo più Calcidesi ed Euboiche e non certo Tessale.
Napoli greca: la fondazione di Partenope
Di sicuro è che l'antica Napoli conobbe due fondazioni: intorno alla prima metà dell' VIII secolo a.C. un primo insediamento commerciale chiamato Partenope (dal nome di una divinità dalle fattezze di una sirena adorata dalle popolazioni locali, probabilmente anch'esse di origini greche) nell'Isolotto di Megaride e sulla collina di Pizzofalcone ad opera dei Rodii .
Partenope fu sprovvista di una vera e propria cinta muraria, poiché si trovava in una zona piuttosto riparata, su di una altura, protetta dalle coste. L'isolotto di Megaride venne ben presto adibito a porto cittadino. Cento anni dopo fu la volta di Phitecusa, l'odierna Ischia, ma a colonizzare l'isola questa volta furono i greci di Calcide e di Eretria. Ad attrarre i nuovi coloni furono probabilmente i racconti dei fenici che parlavano di ridenti possedimenti metallurgici. Poco più tardi i Phitecusani furono costretti a lasciare l'isola, forse per via di un'eruzione vulcanica, e decisero di spostarsi sulla terraferma, fondando la prima vera e propria colonia della Magna Grecia: Cuma.
Come ci è stato spiegato anche dal console romano Lutazio Catulo che si dilettava di storia (e più tardi confermato dalle varie scoperte archeologiche) l'egemonia cumana fece sì che nel 680 a. C., quella cittadina chiamata Partenope diventasse una vera e proprio città costituita che ben presto fu in grado di rivaleggiare in ricchezza con la vicina Cuma, tanto che gli abitanti di quest'ultima decisero di distruggerla, delegandola ad un ruolo di piccolo avamposto: per Partenope ebbe luogo un lungo periodo di declino sociale, culturale, economico.
Palepolis e Neapolis
Nel 474 a. C. il mondo greco riportò delle vittorie anche in terra campana. Infatti le colonie della Magna Grecia sconfissero gli Etruschi e fermarono la loro penetrazione al sud. I cumani decisero di dar corpo a nuove città lunga la costa tirrenica, e l'antica città di Partenope, nel frattempo ripopolata, prese il nome di Palepolis (città vecchia), poiché poco distante sorgeva ormai Neapolis (nuova città). I cumani decisero di ampliare Partenope, anzi, di supportarla con la nascita di una vera e propria città.
Monete rinvenute nella necropoli sottostante la zona dell'attuale Porta Capuana - raffiguranti la sirena Partenope in stile siracusano, confermano tanto l'esistenza della città di Neapolis già nel 470 a.C., quanto il fatto che alla fondazione della nuova città avrebbero partecipato oltre ai Cumani, anche Phitecusani - ossia coloni siracusani provenienti dall'isola di Ischia e forse anche da Ateniesi, secondo quanto attestano sia Strabone che il ritrovamento, in scavi archeologici, di monete attiche, raffiguranti Atena. Non è da escludere anche la presenza di una piccola comunità italica.
L'influenza ateniese, che tuttavia cominciò a venir meno già a partire dal 420 a.C., rese il porto della città uno dei più importanti del Mediterraneo, producendo uno sviluppo urbanistico che rimase immutato sino alla metà del I secolo a.C.
I rapporti con Atene
La nuova città diventò ben presto un vero e proprio faro di cultura ateniese della Magna Grecia, ricevendo dalla città attica cultura, tradizioni, magnificenza dei monumenti, ed anche l'inserimento in una fitta rete di relazioni commerciali.
Un'ulteriore prova di ciò ci è data soprattutto dall'impianto urbanistico della città che ha seguito proprio i dettami ateniesi. La struttura urbana, formata da un'articolazione pressoché regolare, era costituita da strade che si congiungevano tra di loro: il tutto secondo le idee urbanistiche scaturite dalla mente di Ippodamo di Mileto che tempo addietro aveva elaborato proprio la pianta di Atene. Diverse fonti mostrano che Neapolis, oltremodo, vide la presenza del più celebre ammiraglio Ateniese Diotimo - che raggiunse la città con la sua flotta. Da non trascurare il fattore che Neapolis vide nei suoi teatri molti filosofi e personaggi di spicco tipici del mondo ellenico.
Atene privilegiò la propria pista di relazioni con Neapolis già a partire dalla metà del V secolo a. C. Infatti, l'allora città più potente del meridione d'Italia, Siracusa, dovette fare i conti con un forte declino, dovuto per la caduta della tirannide dei Diomenidi. Questo dato fece sì che Pericle potesse riprendersi senza molti problemi la sua influenza ateniese sulla Magna Grecia.
Tuttavia Atene, dopo le guerre persiane, dovette prendere decisioni politiche assai mirate, quali l'emigrazione verso altri territori da parte degli ateniesi, per il sempre più crescente flusso demografico e il possesso di ulteriori territori esterni per il mantenimento dei suoi commerci. Il golfo di Napoli e più in generale la Campania mostravano proprio una scelta territoriale più che adeguata. La città attica dunque si servì di Neapolis, ma a trarne vantaggi fu soprattutto quest'ultima; a prova di ciò è anche il suo incremento demografico: la città passò in breve tempo dagli ottomila ai trentamila abitanti. Neapolis non era più classificabile come semplice porto e colonia, ma una vera e propria città autonoma in grado di intrecciare rapporti commerciali e politici.
Tuttavia i fasti della Neapolis ateniese subirono un brusco arresto a causa della rinnovata egemonia di Siracusa e la spedizione contro la città siciliana finì in un vero e proprio disastro. In questa guerra Neapolis offrì ad Atene 800 mercenari. I legami con la città attica vennero ulteriormente compromessi dalla guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta. Neapolis che aveva goduto quindi di grandi benefici cadde anch'essa in una crisi latente, sebbene ormai avesse fatto proprie varie conquiste in campo economico e culturale.
I sanniti
A metà del V secolo a. C. la connotazione politica e sociale di Neapolis venne modificata dalla presenza dei Sanniti: una popolazione protoitalica stanziata nell'entroterra campano che viveva di pastorizia e agricoltura. I Sanniti, in un primo momento si erano accontentati di intessere semplici relazioni di tipo occasionale con la città, ma via via la loro presenza si fece sempre più pesante, acquisendo anche comportamenti selvaggi e bellicosi.
Gli antichi cronisti li chiamarono "rudi montanari", per via della loro indole fortemente irascibile, di conquista, e spesso si offrirono anche come truppe mercenarie. La loro struttura sociale era composta da una democrazia elemantare; in caso di guerra eleggevano un capo supremo denominato "imperatur".
Con il loro incremento demografico, le montagne irpine non furono più in grado di contenerli, e dapprima si stanziarono nelle pianure intorno a Nola e a Capua. Questo episodio storico diede inizio ad un mescolamento di popolazioni osche-etrusche-sannite che crearono una nuova identità antropologica, ovvero il popolo campano. Nel 423 a. C. la loro marcia verso le fertili pianure non si arrestò e ben presto divennero una popolazione alquanto potente, capace di conquistare le città di Capua, Nola, Dicearchia (odierna Pozzuoli) e due anni dopo anche Cuma, Nocera, Pompei, Ercolano. Neapolis nel 400 a. C. riuscì a sottrarsi alla conquista del popolo barbaro, non solo per via delle sue possenti mura, ma anche perché i sanniti, in fondo, dopo così tante conquiste, poterono permettersi il lusso di risparmiarsi un'ulteriore battaglia.
In compensazione, fu così che tra Neapolis e i sanniti si instaurò un vero e proprio rapporto di tipo culturale e commerciale. La prima insegnò al rozzo popolo l'uso della moneta, mentre i secondi riempirono il porto della città greca di varie mercanzie per l'esportazione. A livello politico Neapolis fu però costretta a concedere la cittadinanza, e l'oligarchia venne contrassegnata da una maggiore complessità sociale. L'Agorà, ovvero il luogo dove si svolgevano le questioni cittadine, fu obbligata a minare il ruolo dell'aristocrazia, introducendo maggiori principi democratici, ma anche ulteriori conflittualità etniche. Le dispute di tipo etnico acquisirono anche una connotazione prettamente urbana: ad sempio la comunità sannitica si rifugiò nell'antica zona di Palepolis. Nel 327 a. C scoppiò un conflitto: la parte Osca della città si era infatti alleata con i Sanniti mentre quella greca con i Romani. La città venne assediata dai Sanniti e i Romani accorsi in aiuto degli alleati greco-napoletani sconfissero i Sanniti e stipularono con la città un foedus aequum (trattato di alleanza paritaria).
L'impianto urbanistico greco
Mura in tufo, risalenti al V secolo a.C., che delimitassero la città, furono già erette dai greci e vennero rinforzate nel secolo successivo. È possibile ricostruire il nucleo della Napoli greca, racchiusa da una cinta muraria che si estendeva da nord lungo l'attuale via Foria e piazza Cavour, piegando ad est lungo l'attuale via San Giovanni a Carbonara fino al mare; ad ovest, seguivano l'andamento di piazza Calenda, della collina di Monterone e dell'attuale via Mezzocannone.
Allo stabilirsi in città di numerosi coloni greci, la popolazione crebbe sino a trentamila abitanti e oltre all'acropoli sorse ben presto l'agorà, la piazza principale, centro del governo e della vita pubblica cittadina, che si apriva dove oggi è piazza San Gaetano, secondo quanto è stato rilevato dagli scavi sottostanti la chiesa di San Lorenzo Maggiore. Qui sorgeva anche l'archeion, l'equivalente della basilica romana, ove si esercitava la magistratura e si custodivano i documenti e il tesoro dello Stato.
L'impianto urbanistico sembra essere stato costituito secondo lo schema detto ippodameo da Ippodamo di Mileto, un famoso architetto cui si attribuiscono i progetti urbanistici delle città di Atene, di Rodi e di Thurii: una città quadrata con un lato di circa 2.500 piedi (circa 700 metri), strutturata su tre strade principali, larghe circa sei metri, indirizzate da est a ovest e parallele fra di loro, dette plateai, corrispondenti ai decumani romani - individuabili nelle odierne via Anticaglia, via Tribunali e via San Biagio dei Librai - intersecate ortogonalmente da diciotto stenopoi, strade indirizzate da nord a sud, larghe circa tre metri, che corrispondono ai cardi romani. Le strade erano lastricate in pietra vesuviana e nei quadrivi erano scavati pozzi d'acqua a uso delle necessità pubbliche.
I sepolcri sorgevano fuori le mura: sono stati individuati sulla collina di Santa Teresa, a Castel Capuano, ai Santi Apostoli, a San Giovanni a Carbonara, fra Castel Nuovo e via Verdi, sotto via Medina. I vasi portati alla luce durante gli scavi sono di fattura cumana e testimoniano l'assenza, a Napoli, di una scuola artistica originale.
Anche l'ippodromo e lo stadio dovevano situarsi in un'area fuori della cinta muraria: il primo fra San Giovanni a Mare e l'Egiziaca a Forcella, il secondo tra piazza Nicola Amore e Sant'Agostino alla Zecca, mentre è ancora oggetto di dibattito l'esatta collocazione del porto cittadino.
La religione
I culti religiosi in epoca greca si basarono su quelli importati dai fondatori e, certamente uno dei più antichi tra essi fu il culto della sirena Partenope, già noto in Grecia orientale prima della fondazione della città.
Secondo l'antico mito il corpo della sirena fu sepolto a Megaride, ma i racconti leggendari tramandati successivamente collocano il sepolcro di Partenope all'interno delle mura di Neapolis, in particolare, secondo alcuni, sotto il luogo dove sorge la chiesa di San Giovanni Maggiore, secondo altri, all'ingresso del Tempio dei Dioscuri risalente al I secolo d.C.
E proprio i Dioscuri furono divinità molto venerate, così come si è evinto dalle antiche monete del periodo greco ritrovate dagli archeologi; posto nell'area dove sorgeva l'agorà, dell'antichissimo tempio dedicato a queste divinità restano ancora visibili le colonne del pronao, integrate nella facciata della chiesa di San Paolo Maggiore in piazza San Gaetano.
Il culto di Apollo fu importato da Cuma, forse contestualmente alla fondazione della città, e l'originario tempio dedicato al dio si trovava probabilmente nella zona dove ora sorge il Duomo e più precisamente dove è attualmente la piazzetta Riario Sforza.
Studi basati su prove archeologiche hanno mostrato, con una buona dose di certezza, che erano sviluppati in epoca greca anche altri culti, come quello di Zeus, Eracle, Cerere Attica e Mitra, per citare quelli principali.
L'organizzazione sociale e politica
La fratria era un insieme di famiglie che si riconosceva in un capostipite comune. Mutuata dalla Grecia, era un'associazione religiosa e politica: dotata di potere giurisdizionale e amministrativo, aveva anche il diritto e il dovere di perseguire un delitto di sangue commesso contro un suo membro, possedeva santuari e feste comuni. Il capo, il fretrarco, era coadiuvato da tre fratrori e si riuniva nel fretrion. Si ha memoria del nome di almeno dieci fratrie napoletane: Aristei, Artemisi, Ermei, Eubei, Eumelidi, Eunostidi, Theodati, Kretondi, Kumei e Panclidi.
Vi è chi ha voluto vedere nella fratria la remota origine di analoghe associazioni che tanta importanza ebbero nella vita pubblica cittadina a partire dall'epoca medievale, i Sedili.
Il sistema di governo di Neapolis fu presumibilmente di tipo oligarchico con i demarchi e gli arconti a fungere da magistrati, e un consiglio eletto secondo il censo dei cittadini.
Napoli romana
La nuova potenza emergente di Roma, intuendo le potenzialità di Neapolis e del suo porto, manifestò le sue mire espansionistiche per sottrarre la città all'influenza greca, cumana e sannita. Nel 327 a.C. il console romano Quinto Publilio Filone, prima di attaccare le sue possenti mura decise di schierarsi nella parte di campagna tra Neapolis e Palepolis, in modo tale da impedire eventuali vie di comunicazione tra i due nuclei. Neapolis fu costretta a ricapitolare soprattutto per i suoi contrasti interni di natura politica e sociale, come ci viene riportato anche da Tito Livio:
La caduta della città fu imminente e si risolse con la resa di Palepolis. Tuttavia Roma lasciò alla città ampie autonomie e permise che i suoi costumi, la sua lingua e le sue tradizioni di origine greca sopravvivessero, preferendo piuttosto stringere una sorta di patto di solidarietà e creando così quello che fu chiamato foedus Neapolitanum, con particolare attenzione agli aspetti commerciali e di difesa per quanto riguardava la flotta.
Dal 199 a.C., anno dell'istituzione di una dogana, le importazioni della città iniziarono a diminuire a vantaggio in particolare della vicina concorrente Pozzuoli e in seguito, nonostante i tentativi di Annibale di sobillare i suoi abitanti contro Roma, Neapolis fu promossa a municipio romano, perdendo parte delle sue autonomie, sebbene restassero ancora in vigore le fratrìe e le figure di arconti di tradizione greca. Nel 82 a.C., nella lotta fra Mario e Silla, trovandosi a parteggiare per il primo, la città dovette subire le devastazioni e le stragi compiute dal secondo, animato dal desiderio di vendetta per l'affronto subito; ciò privò oltretutto Neapolis della sua flotta e dell'isola d'Ischia e ne compromise il commercio a tutto vantaggio di Pozzuoli, dando l'avvio ad un periodo di decadenza. La città in questo periodo si pose soprattutto come un rilevante centro culturale. Virgilio, una figura oltremodo simbolo della libertà politica e culturale di Napoli, aderì al neopitagorismo, corrente filosofica e magica allora molto diffusa nella Magna Grecia, ed in particolare a Neapolis, una delle poche città del Meridione che dopo la conquista romana aveva conservato la sua vita culturale genuinamente ellenica. Il sommo poeta latino compose proprio a Napoli le Bucoliche, le Georgiche e la prima parte dell'Eneide.
La "città degli otia" e Pausylipon
La città diventò una meta privilegiata dell'aristrocrazia romana desiderosa di passare qui pause di governo o gli ultimi anni della propria esistenza. L'unica vera attività che Neapolis vide nascere fu quella dell'edilizia privata. Risale a questo periodo la celebre villa di Lucio Licinio Lucullo che si estendeva sull'isolotto di Megaride sino alla collina di Pizzofalcone, ove un tempo sorgeva Palepolis.
Altre strutture di rilievo erano locate ad occidente e a oriente della città: a Pausylipon (odierno quartiere Posillipo, il cui nome è di derivazione greca e significa "pausa del dolore"), fu costruita la vasta villa imperiale di Publio Vedio Pollione. A detta degli storici, la Neapolis di questa frangente storica fu una città alquanto contraddittoria, se da un lato fu costituita dalla presenza di una forte componente romana, dall'altro la voglia di vivere alla greca non si spense mai. Uno squilibrio sociale che troverà un certo ordine solo con l'avvento dell'età augustea.
Età imperiale
A Neapolis si formò la congiura per uccidere Cesare (sembra che Cassio partì proprio da uno dei lidi della città per andare a compiere il celebre omicidio), proprio nel periodo in cui Miseno surclassava la città per importanza commerciale del suo porto e l'aristocrazia romana veniva ormai in città quasi solo per organizzare manifestazioni culturali e spettacoli.
L'eruzione pliniana del 79 d. C
Nel 79 d. C. Neapolis fu scossa da una violenta eruzione del Vesuvio. A quei tempi, gli antichi, non conoscendo la vera natura della montagna, furono del tutto colti di sorpresa: oltremodo il Vesuvio non aveva dato molte opportunità di farsi conoscere, poiché per secoli o forse millenni fu un vulcano del tutto inattivo, in profondo stato di quiescenza. Si verificarono degli eventi preculsori, quali i terremoti del 63 e del 64 d. C. che danneggiarono tutte le città della baia. A Neapolis crollò anche una parte del teatro all'aperto. La storiografia vuole che Nerone si stesse esibendo nel suddetto teatro proprio durante uno di quegli eventi sismici.
Il 24 agosto del 79 d.C. cominciò la terribile eruzione vulcanica. Essa fu osservata da Plinio il Vecchio dalla non lontana città di Miseno, ma ad averla tramandata ai posteri fu suo nipote, allora diciassettenne, Plinio il giovane. Dopo aver seppellito di cenere e pomici le città che sorgevano non lontane dal vulcano, i flussi piroclastici fecero la loro comparsa, dando il colpo di grazia: essi ebbero una potenza tale da scagliarsi in un raggio d'azione di 14 km dal cratere (sul lato nord-ovest) e circa 17 sul lato sud-est. Neapolis non venne investita da questi ultimi ma fu piuttosto danneggiata dagli eventi sismici, dalle mareggiate e piogge di cenere. Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabia (qui morirà anche Plinio il Vecchio) e tutti i villaggi più vicini alla montagna furono del tutto distrutti. In seguito lo stesso imperatore Tito volle venir a quantificare i danni della calamità, ma nessun intervento fu possibile.
L'avvento del cristianesimo e la fine dell'impero
Con la successiva trasformazione da municipio romano a colonia, in città andò affermandosi sempre più la lingua latina e si ebbe una graduale ripresa dal periodo di decadenza (narrato anche da Petronio nel suo Satyricon), con un conseguente aumento della popolazione e un incremento dei commerci dovuto alla presenza alessandrina dall'Oriente nel I secolo.
Nel 2 d.C. Neapolis, ritenuta la città più greca d'Italia, fu scelta dall'Imperatore Augusto come "custode della cultura ellenica" e la nominò quale sede dei giochi Isolimpici, sul modello di Olimpia (Grecia).[1]
La religione emergente, il Cristianesimo, fece presa e si radicò subito dopo la metà del I secolo, in quanto era già in atto un processo di progressiva assimilazione della colonia ebraica presente in città, come testimonia San Paolo nelle sue Lettere e alcuni rinvenimenti archeologici nelle Catacombe di San Gennaro e il Calendarium della Chiesa di San Giovanni Maggiore.
Il primo vescovo napoletano fu Aspreno, forse ordinato dallo stesso San Pietro (che una leggenda vuole presente a Napoli a dire messa nella Basilica di San Pietro ad Aram); Aspreno, poi canonizzato, resse la comunità cristiana napoletana per 33 anni e morì nel 69; l'assenza di martiri fra i cristiani di Napoli spinse alla scelta, come santo patrono della città, di San Gennaro, vescovo di Benevento, decapitato nella vicina Pozzuoli nel 305.
L'arrivo a Neapolis dei testi di grandi apologisti latini come Tertulliano, l'azione organizzatrice di papa Vittore I prima e quella più strettamente caritativa di papa Callisto I da un lato e il nuovo corso impresso alla politica romana dalla dinastia dei Severi, diedero impulsi benefici alla comunità cristiana ed alla città più in generale.
Sotto Diocleziano, persecuzioni anti-cristiane avvennero anche a Neapolis, almeno sino al 311, anno in cui un editto imperiale concedeva ai cristiani libertà di riunione e di professione della loro fede.
Numerose sono le leggende legate alla figura di Costantino e molte di esse riguardano la costruzione di chiese, come quella di San Giovanni Maggiore e quella di San Gregorio Armeno, solo per citare le più note, ma gli influssi positivi della politica di questo imperatore furono di durata breve in quanto ebbero avvio, dal 410 in avanti numerose invasioni barbariche. La città fu attaccata, ma non espugnata grazie anche alle sue fortificazioni, dai vandali.
Nel 476 Romolo Augusto, l'ultimo degli imperatori romani d'Occidente, venne deposto ed imprigionato, per mano di Odoacre, presso Castel dell'Ovo, a quel tempo villa romana fortificata. Molti imperatori romani a lui precedenti - Claudio, Tiberio, Nerone - trascorsero a Napoli le loro pause dal governo dell'Impero in eleganti ville di cui ora rimangono i resti.
L'impianto urbanistico romano
Durante l'epoca romana si ebbe un notevole mutamento sull'intero impianto urbanistico del V secolo a.C., con la città che si espanse prettamente lungo due direttrici privilegiate, verso il porto e fuori le mura, e con l'instaurarsi di un primitivo abbozzo di edilizia residenziale che trovò il suo sviluppo nella zona ad ovest dell'attuale via Duomo.
Gli storici e gli archeologi concordano nel definire con quasi assoluta certezza sulla localizzazione del Tempio dei Dioscuri, nel decumanus major, l'attuale via Tribunali, al centro di una zona molto frequentata in quanto prossima al Foro, con le sue caratteristiche tabernae e dotata anche, sembra, di due teatri (il teatro grande e il teatro chiuso), in cui forse si esibì lo stesso Nerone e secondo quanto narrato da Stazio, Svetonio e Tacito.
Non mancavano, nell'antica Neapolis i Ginnasi (luoghi di insegnamento all'aperto) e gli edifici termali, questi ultimi testimoniati dai ruderi in vico Carminiello ai Mannesi (Mannese, in Napoletano, vuol dire idraulico/stagnino).
Dopo una regressione naturale dell'espansione urbanistica dovuta alla crisi del III secolo e al suo decremento demografico, nuove fortificazioni sorsero nel V secolo e, per opera di Narsete, le mura giunsero sino al porto, nel 556.
Medioevo
Periodo bizantino
La provincia bizantina di Campania
La guerra gotica
Nel VI secolo la città venne sottratta ai Goti dall'Impero romano d'Oriente durante il tentativo di Giustiniano I di ricreare l'Impero e la città fu sottomessa dal nuovo conquistatore, il generale Belisario (536) che, dopo un duro assedio, saccheggiò la città per punire i napoletani dell'appoggio dato ai barbari, anche se, secondo Procopio di Cesarea (testimone oculare dei fatti), non compì stragi perché i napoletani erano cristiani come i Bizantini.
Dopo una nuova e breve parentesi gota (riconquista di Totila del 542), Napoli fu saldamente in mano bizantina grazie all'azione militare di Narsete e diventò provincia bizantina, a partire dal 534 e per i successivi sei secoli. La provincia bizantina di Campania era amministrata da uno Iudex Provinciae mentre la massima autorità militare era un dux o un magister militum. Nel 571 i Longobardi si impadronirono di Benevento fondando il ducato di Benevento e sottrassero ai Bizantini il controllo dell'entroterra campano. Qualche anno dopo l'Imperatore Tiberio II (578-582) decise di scindere la provincia di Campania in due: l'Urbicaria e la Campania. L' Urbicaria divenne poi il ducato romano mentre la Campania nel corso del VII secolo divenne anch'esso un ducato, governato da un duca.
L'ordinamento giuridico
La notevole influenza del regno di Giustiniano in ambito culturale, artistico e, ancor più, nel campo della giurisprudenza (basti pensare al Novus Iustinianus Codex che fu la base del nuovo ordinamento giuridico) si fece sentire anche a Napoli.
Nacque così un governo che era da un lato dotato di una struttura militare, necessaria per la difesa del regno in un siffatto periodo di instabilità politica, e dall'altro di una struttura prettamente civile, deputata più che altro al governo delle province conquistate; inoltre, andò aumentando l'importanza conferita al clero, in particolar modo alla figura del vescovo con ampi poteri anche di giurisdizione civile ereditati dalla vecchia figura del magistrato, ormai scomparsa.
Il periodo vescovile
Sotto il nome di periodo vescovile si indica generalmente l'arco di tempo che va dal 578 al 670 e che vede l'affermarsi in città della figura del vescovo come figura di primaria importanza sia religiosa che civile e quindi dotata di potere temporale vero e proprio.
Proprio per le prerogative conferite loro dal nuovo sistema amministrativo e giuridico, spesso vi furono degli aspri contrasti dei vescovi con gli stessi pontefici romani, arrivando in alcuni casi anche a difendere la città dall'ingerenza della Chiesa.
Fu questo un periodo di continue guerre con i Longobardi che dominavano gran parte dell'Italia meridionale e che più volte assediarono la città (come nel 592 e nel 599) senza, tuttavia, riuscire ad assoggettarla, grazie anche al costante apporto del papato, in particolare nella persona di papa Gregorio Magno.
Ducato bizantino
La data di fondazione del ducato napoletano è incerta: secondo Eliodoro Savino (cfr. Campania tardoantica (284-604), p. 138) il territorio campano venne «smembrato pochi anni prima del 600 tra i due ducati bizantini di Roma e di Napoli e quello longobardo di Benevento». La mancanza di riferimenti alla provincia Campania nell'epistolario gregoriano, anche se non ne implica l'abrogazione (che viene smentita da numerose fonti che attestano la presenza di Iudices Campaniae nel corso del VII secolo), è significativa perché indica un crescente potere dei duchi che alla fine diventeranno la massima autorità civile e militare nel 638, portando nello stesso anno all'abolizione della carica di Iudex Provinciae.
Sulla scia della rivolta del 615 che a Ravenna portò all'assassinio dell'esarca, a Napoli Giovanni Consino si pose a capo del malcontento popolare che iniziava a suscitare il dominio di Bisanzio e che, testimoniava un sempre maggior desiderio di autonomia dei napoletani. Giovanni si rese quindi indipendente da Bisanzio ma la sua rivolta venne sedata energicamente e in poco tempo dall'esarca Eleuterio. Nel 638 il dux divenne la massima autorità civile e militare del ducato.
La tradizione dice che il primo duca locale di Napoli fu Basilio nel 661, ma questa tesi viene ora respinta dagli studiosi moderni (Cfr. The New Cambridge Medieval History: c. 500-700, p. 341). I duchi che si susseguirono e che furono, in ordine cronologico, Teofilatto I (666-70), Cosma (670-72), Andrea I (672-77), Cesario I (677-84), Stefano I (684-87), Bonello (687-96), Teodosio (696-706) e Cesario II (706-11), dovettero fronteggiare con una serie di guerre i Longobardi, l'altra potenza dell'Italia meridionale, che premevano dai vicini ducati di Capua e Benevento.
Nel 711 i napoletani, guidati dal saggio governo del duca Giovanni I e spalleggiati dall'apporto del Papa Gregorio II, riuscirono a riconquistare la città di Cuma, caduta inaspettatamente in mano longobarda.
La controversia iconoclasta scatenatasi nel 726 pose il nuovo duca, Teodoro I in una difficile condizione di incertezza fra la fedeltà all'Imperatore di Bisanzio e la devozione al Papa, dalla quale il duca seppe uscire a testa alta conservando una posizione di equidistanza che non compromise i rapporti di Napoli né con l'Impero né con il Papato.
Durante il periodo vescovile in città sorsero numerosi monasteri, oltre a svariate chiese; i monasteri erano per lo più cenobi di origine greca (retti da monaci basiliani) che trovavano allocazione sulle alture dell'interno o sulle isole ma anche in città come quello che sorgeva nell'antico Oppidum Lucullianum, sulla collina del Monte Echia o sull'isoletta di Megaride, sebbene non mancassero conventi in città come il monastero greco di San Sebastiano.
Anche a Napoli, come a Roma, i monaci furono i principali divulgatori della cultura in una lingua ormai diversa dal latino classico e che aveva ormai assorbito influssi greci di derivazione bizantina ma che produsse, oltre a trascrizioni e traduzioni dei classici anche la produzione cristiana, cosiddetta, agiografica.
Dal punto di vista artistico va ricordato che a Napoli l'influsso longobardo fu pressoché nullo, e la tradizione artistica romana e paleocristiana si perpetuò a lungo nel tempo ma, anche dell'arte bizantina da cui la città mutuava molti influssi, è rimasto molto poco a causa sia di eventi come calamità o distruzioni belliche sia di una capacità di trasformazione e di adattamento operata dagli artisti.
In quest'epoca Napoli, che era divenuta la principale città della Campania, fu rafforzata nelle sue mura, anche per una migliore difesa dalle minacce dei Longobardi, e tutta la zona portuale fu inclusa nella cerchia delle mura che di fatto non ebbero un ampliamento di grandissimo rilievo.
Ducato autonomo napoletano
Dopo i ducati di Giorgio e Gregorio I, divenne duca Stefano II, in un primo momento molto legato a Bisanzio e poco al Papato ma che, successivamente, nel 763 riconobbe il pontefice Paolo I e si ribellò apertamente all'autorità centrale, assumendo la carica vescovile e divenendo così di fatto il primo a guidare il ducato napoletano autonomo.
Ciò venne incontro al desiderio del popolo napoletano che andò acquistando una sempre più ampia coscienza civica e una fiducia sempre maggiore nella propria autonomia, tanto che da solo e con la lungimiranza dei suo capi e dei suoi vescovi poté resistere ai tentativi di conquista da parte dei Longobardi, dei Franchi e dei Saraceni.
Nel 832 Stefano fu assassinato da una congiura ordita da alcuni nobili napoletani sobillati da emissari di Sicone, principe longobardo e fu eletto duca proprio uno dei suoi assassini, Bono, destituito dopo appena sei mesi dal suo incarico.
Nel 840, con l'avvento di Sergio II sembrò terminare il lungo periodo di lotta del Ducato contro i barbari e in difesa della romanità e fu inaugurata una politica estera più amichevole nei confronti dei Franchi, in funzione di garantire a Napoli una sempre più salda autonomia dalle incursioni saracene e longobarde; ciò tuttavia non impedì ai Saraceni di distruggere, nel 845 la località di Miseno ed attaccare Roma tre anni dopo, respinti questa volta dalla flotta napoletana giunta in soccorso del pontefice nella battaglia navale di Ostia.
Seguì un periodo in cui si tentò una sorta di alleanza con i Saraceni, osteggiata da Papa Giovanni VIII che riuscì a far condurre il duca in catene a Roma e a farlo giustiziare; fu questo un periodo in cui Napoli ed il Papato si ritrovarono ai ferri corti (anche sotto il ducato di Atanasio II).
I Saraceni furono sconfitti nel 915 con la Battaglia del Garigliano in cui l'esercito napoletano, alleatosi con il Ducato di Capua, fu praticamente sotto il comando di Bisanzio, che non perse occasione per riprendere ad esercitare la propria supremazia sul Ducato; di fatto, i duchi che si susseguirono furono nuovamente nella sfera imperiale, almeno sino al 963.
Intanto, un nuovo spauracchio si affacciò sul Ducato, il Sacro Romano Impero che, con Ottone III iniziò a far valere le proprie mire espansionistiche sulle terre del sud Italia e quindi su Napoli, che, pur rimanendo invischiata nei turbolenti anni delle lotte per il possesso di quelle terre, riuscì sostanzialmente a mantenere la sua indipendenza.
Nel 1027 il duca Sergio IV donò la contea di Aversa alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, che lo avevano affiancato nell'ennesima guerra contro il principato di Capua, creando così il primo insediamento normanno nell'Italia meridionale. Dalla base di Aversa, nel volgere di un secolo, i normanni furono in grado di sottomettere tutto il meridione d'Italia, dando vita al Regno di Sicilia. Il ducato di Napoli fu, comunque, l'ultimo territorio a cadere in mano normanna, con la capitolazione del duca Sergio VII nel 1137.
Periodo normanno
Le vicende storiche
Con la discesa in Italia di Lotario III, ebbe inizio una lunga guerra tra l'Impero e i Normanni che vide Re Ruggero I d'Altavilla perdere progressivamente i territori dell'Italia peninsulare. Ripartito Lotario nell'ottobre del 1137, Ruggero riconquistò Salerno, Avellino, Benevento e Capua. Anche Napoli, dopo un anno di assedio, fu costretta a capitolare nel 1137 e proprio in seguito alla ripartenza di Lotario.
Si andava nel frattempo costituendo quel Regno di Sicilia (che unificò appunto Sicilia e Italia meridionale sin dal 1130, anno in cui il nuovo stato unitario fu istituito dall'Antipapa Anacleto II e successivamente legittimato, nel 1139, per mano di Papa Innocenzo II. Tale nuovo Regno fu governato dai Normanni sino al 1195 con capitale non a Napoli ma, per volere di Ruggero II d'Altavilla, a Palermo. Pur tuttavia, la città acquisì grandi funzioni grazie all'importanza del suo porto. Quest'ultimo permise a Napoli di divenire l'unica città del Regno e, più in generale della penisola italiana, in grado di far parte della Lega Anseatica (1164). Le città della Lega mantennero il monopolio dei commerci su gran parte dell'Europa e del mar Baltico.[2]
Ruggero II giunse a Napoli nel 1140, accolto con tutti gli onori (così come narrato, con dovizia di particolari, da un cronista medievale[3]) e, dopo la nomina di un responsabile giuridico ed amministrativo (il compalazzo) accentrò in pratica tutti i poteri nelle sue mani, mettendo definitivamente fine al periodo di autonomia della città. Mentre la nobiltà mantenne per certi versi i propri privilegi, il clero conobbe un periodo di decadenza, anche considerando i dissapori dei re normanni con l'autorità papale.
Nel 1154, salì sul trono di Sicilia, Guglielmo I e tutto il periodo in cui fu sul trono fu caratterizzato da una serie di lotte interne e di difficili rapporti con gli stati esteri; inoltre, a Napoli si accese una contesa tra le classi dei milites e quella dei nobiliores e alcune rivolte portarono anche il popolo a scendere in piazza contro l'istituto monarchico. Guglielmo represse le rivolte nel sangue, fu molto severo nell'amministrazione della giustizia e aumentò l'imposizione di tasse avvalendosi, per portare a compimento il suo programma, del ministro barese Maione, poi assassinato in una congiura ordita dal suocero Matteo Bonello.
Con l'avvento sul trono di Guglielmo II, migliorò il dialogo della monarchia normanna con il popolo e Napoli visse un periodo di relativa tranquillità; fu nominato un governo consolare alla cui composizione contribuirono non solo esponenti delle classi nobiliari ma anche dei mediani e del popolo.
Maggiore autonomia, specie in ambito commerciale (fu ripristinata l'antica promissio riguardante l'esenzione dai dazi), fu conferita alla città da Tancredi di Lecce, nuovo sovrano che regnò dal 1189 al 1194.
Ma l'estremo gesto di Tancredi che fece arrestare l'imperatrice Costanza (detenuta per un periodo anche a Napoli) e la debole reggenza del figlio di questi, Guglielmo III, non riuscirono ad impedire l'invasione del regno da parte degli Svevi che, con Enrico VI posero fine alla dominazione normanna, durata poco più di mezzo secolo.
Il nuovo sistema istituzionale e sociale
Con l'avvento di Ruggero II, vennero implementate a Napoli, nuove istituzioni fondate sulla preminenza del potere regale che andava ad affiancarsi ai vecchi usi feudali e municipali[4].
Il nuovo sovrano stabilì rapporti molto più stretti con la nobiltà mediante la concessione di privilegi feudali (per la prima volta, a Napoli furono istituite le figure dei "cavalieri" feudali), assicurandosi così un costante appoggio alla sua politica.
Il "compalazzo" (da comes palatii), di nomina regia, aveva importanti funzioni nell'ambito della vita cittadina che andavano dall'amministrazione delle rendite demaniali, alla gestione della giustizia sia civile che penale, sino al controllo della rete dei funzionari dell'amministrazione ("conestabili").
Fu anche grazie a questo nuovo sistema istituzionale che i re normanni riuscirono a controllare le rivolte, che pur non mancarono a Napoli e in altre zone campane e pugliesi del regno, che la classe dei "mediani", costituita essenzialmente da milizie professionali, sobillò contro il potere regio; furono proprio i nobili, fedeli al re, che si incaricarono di stroncare queste rivolte.
Negli ultimi anni del governo normanno (specie con Tancredi di Lecce al potere, che governò con un "consiglio di consoli", presieduto dal compalazzo), si arrivò addirittura a ristabilire i diritti dei cittadini su alcune terre precedentemente usurpate proprio dal potere regio nella contea di Aversa. In tale periodo si intensificarono i contatti commerciali, specie con la città di Amalfi e alla cittadinanza napoletana fu concessa la possibilità di battere moneta.
Dal punto di vista sociale si andarono costituendo gruppi familiari che si radicavano in particolari aree del territorio cittadino che, sempre più influenti, condividevano interessi economici e patrimoniali (i potentes o consortes). A queste consorterie civili si affiancarono gruppi di ispirazione religiosa come le confraternite o le estaurite.
Altro elemento che contribuì non poco al mutamento sociale del periodo post-ducale fu l'aggregazione dei piccoli monasteri di rito greco in strutture monastiche più grandi, che iniziarono a seguire il rito latino. Queste comunità, spesso urbane e non solo esterne alla città muraria come un tempo, beneficiando dei generosi lasciti patrimoniali delle classi aristocratiche napoletane, costituirono un elemento di garanzia per la stabilità del governo della città.
Periodo svevo
Il trapasso dalla monarchia normanna a quella sveva, sia pure facilitato dai legami dinastici che vedevano la figlia di Ruggero II, Costanza, sposa di Enrico VI di Svevia, non fu indolore e condusse ad un periodo di crisi per la città di Napoli e più in generale per tutta l'Italia meridionale durato almeno un ventennio.
Già nel 1191, con Tancredi ancora in carica, la città si era opposta strenuamente alle truppe imperiali resistendo per tre mesi ad un duro assedio; nel 1194 però Napoli dovette capitolare e fece atto di formale obbedienza all'imperatore. Alla morte di Enrico (1197), grazie anche ad un periodo di anarchia che ne seguì, la città ebbe un periodo di relativa autonomia, acquisendo anche una sua forza militare che mise in atto nella distruzione di Cuma, da dove imperversavano le truppe imperiali, avvenuta nel 1207[5].
Federico II
L'autorità imperiale fu ristabilita, non senza difficoltà, in seguito all'ascesa sul trono degli Hohenstaufen di Federico II. Questi era stato incoronato nel 1198 da Papa Innocenzo III, ancora minorenne e preso in tutela proprio dal Papa, alla morte della madre Costanza avvenuta nel 1198. Nel 1208 fu dichiarato maggiorenne, pur se quattordicenne, ereditando di fatto il regno. L'anno seguente ebbero inizio le rivolte a Napoli, in Sicilia ed in Calabria che il giovane sovrano riuscì brillantemente a reprimere, mostrando anche una sempre maggiore insofferenza verso l'autorità ecclesiastica che lo porterà, anni dopo, alla scomunica papale.
Gli aristocratici napoletani, approfittarono della situazione di semi-anarchia che si era venuta a creare negli ordinamenti civili e ben presto si trovarono in rotta di collisione con Federico che, gravato dai problemi politici e militari esteri, riuscì a ristabilire l'ordine nei rapporti di vassallaggio soltanto a partire dal 1231, con la promulgazione delle Costituzioni di Melfi.
Federico II fu un sovrano molto attento alla cultura, in special modo a quella letteraria e giuridica (tra i suoi collaboratori è possibile citare il poeta Pier delle Vigne e il giureconsulto Taddeo da Sessa). Nel 1224 istituì a Napoli lo Studio generale, la seconda università della penisola, e la prima statale. Nell'atto di fondazione si leggeva[6]:
Ampliò Castel Capuano, diede incremento ai traffici, aggregò poi al compalazzo una Curia composta di cinque giudici e otto notai. Elementi fortemente negativi per l'autonomia cittadina furono invece la rigida politica di imposizione fiscale, l'abolizione delle autonomie comunali e della classe sociale dei notai (curiales) e la generalizzata ingerenza negli affari privati dei cittadini da parte dell'amministrazione fortemente accentrata del re; elementi che contribuirono a scatenare una sostanziale avversione verso lo stupor mundi (come lo svevo era soprannominato), fino a sfociare in aperta insurrezione popolare, alla notizia della sua morte, avvenuta nel 1250, contro il suo successore Corrado IV.
Gli ultimi anni svevi: rivolte e assedi
Nel 1251 Napoli si costituì a Comune libero ponendosi sotto la protezione del papa Innocenzo IV. Nel 1253 la città, in stato di assedio, dovette arrendersi a Corrado, decimata dalla pestilenza e dalla fame, dopo quattro mesi di resistenza. La vendetta di Corrado si attuò col diroccare parte delle mura, trasferìre lo Studio a Salerno e imporre ulteriori onerose gabelle. Dopo la morte di Corrado (1254) la città si pose nuovamente sotto il papa Innocenzo IV, che si stabilì a Napoli, ma vi morì poco tempo dopo (1254). Nel conclave, tenutosi a Napoli, il 12 dicembre 1254 fu eletto papa Alessandro IV, che si ritirò a Roma all'avvicinarsi dell'esercito di Manfredi, fratello di Corrado IV. Sottomessa da Manfredi, dopo la sconfitta di quest'ultimo (Battaglia di Benevento, 1266), Napoli aprì le porte al nuovo re Carlo I d'Angiò.
Aspetti culturali: la nascita della musica napoletana
L'origine della canzone napoletana nata intorno al XIII secolo, quindi ai tempi della fondazione dell'Università partenopea istituita da Federico II (1224), della diffusione della passione per la poesia e delle invocazioni corali dalle massaie rivolte al sole[7], come espressione spontanea del popolo di Napoli manifestante soprattutto la contraddizione tra le bellezze naturali e le difficoltà oggettiva di vita, si sviluppò già nel Quattrocento quando la lingua napoletana divenne la lingua ufficiale del regno e numerosi musicisti, ispirandosi ai cori popolari, iniziarono a comporre farse, frottole, ballate, e ancora maggiormente dalla fine del Cinquecento, quando la "villanella alla napoletana" conquistò l'Europa, sin alla fine del Settecento. Questa espressione artistica popolare era allora carica di contenuti positivi ed ottimistici e raccontava la vita, il lavoro ed i sentimenti popolari.
Gli Angioini
Nel 1266 papa Clemente IV aveva assegnato il Regno di Sicilia a Carlo I d'Angiò. L'ingresso a Napoli del nuovo sovrano (fratello di Luigi IX di Francia), avvenne in modo trionfale il 7 marzo, dopo che il nuovo erede del regno era stato accolto da una delegazione di cavalieri napoletani alle porte di Aversa. Il cronista fiorentino Giovanni Villani descriverà più tardi il nuovo sovrano francese come «savio, di sano consiglio, e prode in armi, e aspro e molto temuto e ridottato da tutti i re del mondo, magnanimo e d'alti intendimenti»[8], a testimonianza del grande prestigio che Carlo aveva assunto sullo scenario europeo.
Prestigio che aumentò ancor più dopo la vittoria nella Battaglia di Tagliacozzo (1268), allorquando le truppe angioine sbaragliarono l'esercito di Corradino di Svevia, ultimo discendente diretto di Federico II e fautore del partito ghibellino mirante alla riconquista del regno. Con un processo formale, il giovane svevo (aveva solo 16 anni), fu condannato ad essere decapitato al Campo Moricino (l'odierna Piazza del Mercato) il 26 ottobre 1268; fu questo il primo episodio di una lunga serie di vendette che furono consumate a Napoli contro tutti coloro che avevano appoggiato il partito svevo di Federico II e di Manfredi.
Nel 1284, in seguito alla rivolta dei Vespri Siciliani (1282), gli Angioini persero la parte insulare a vantaggio degli Aragonesi. I due Regni continuarono a definirsi entrambi "di Sicilia"; in particolare, in quello continentale nacque la formula di Sicilia al di qua del Faro (Napoli) e Sicilia al di là del Faro (per approfondire, vedi Faro di Messina). Le due parti rimasero formalmente separate, nonostante abbiano condiviso quasi sempre lo stesso sovrano, fino al 1816 quando venne costituito il Regno delle Due Sicilie (vedi Regno di Napoli).
Persa la Sicilia, Carlo I d'Angiò fissò la sua residenza a Napoli che divenne in tal modo la capitale del regno; il periodo che seguì fu tumultuoso con Carlo che cercò di riconquistare l'isola perduta e gli Aragonesi, con a capo Pietro III d'Aragona, che risalirono il continente impossessandosi prima della Calabria e giungendo a lambire persino la capitale con il posizionamento di presidi militari a Ischia e Capri e tentando, con l'ammiraglio Ruggero di Lauria, di sbarcare a Nisida (1284). L'ammiraglio aragonese fece prigioniero lo stesso figlio del re; quest'ultimo dovette designare suo erede temporaneo il nipote Carlo Martello.
Alla morte del re, avvenuta nel 1285, vi fu un periodo di interregno durato tre anni durante il quale fu il Papa, nella persona di Onorio IV, a gestire politicamente i territori angioini, con la promulgazione delle cosiddette Costituzioni di Sicilia[9], mentre non cessavano le incursioni aragonesi sulle coste di Sorrento, Castellammare, Positano ed Amalfi.
Il figlio del defunto re, Carlo II d'Angiò, detto lo Zoppo, cessato nel frattempo il periodo in cui era prigioniero degli aragonesi, fu incoronato nuovo re di Napoli nel 1289, riuscendo a garantire al regno alcuni anni di tranquillità anche in seguito alla stipula della Pace di Caltabellotta (1302) (che limitava il regno degli Angioini al meridione continentale d'Italia e stabiliva che Federico III d'Aragona continuasse a regnare in Sicilia (con il titolo di Re di Trinacria e non di Sicilia).
Napoli capitale del Regno
Nel periodo dei primi re angioini la città fu abbellita ed ampliata e in essa sorsero numerose chiese monumentali dovute alle sovvenzioni regie. Ai due castelli pre-esistenti (Capuano e dell'Ovo), Carlo I vi aggiunse il Maschio Angioino (dove fu ospite Papa Celestino V e fu centro di un nuovo rione popolato di palazzi prìncipeschi), e Giovanna d'Angiò, sulla collina che domina la città, un quarto castello, castel Sant'Elmo. La città divenne cosmopolita per la presenza di Genovesi, Fiorentini, Provenzali, i quali risiedettero in quartieri propri, con fondachi e chiese costruiti secondo lo stile delle terre di origine.
L'aumento dei traffici marittimi portò alla costruzione del cosiddetto Porto di mezzo e di nuovi arsenali. Anticamente il porto di Napoli corrispondeva all'attuale Porto Piccolo; in epoca medievale, periodo in cui Napoli era rimasta nei limiti delle mura dell'imperatore romano Valentiniano III, al porto romano se ne aggiunse un secondo (Porto Grande). Successivamente, durante il periodo normanno e svevo, la città non subì ingrandimenti. Lo sviluppo urbano riprese invece alla fine del XIII secolo, con gli Angioini, la città fu ampliata verso occidente e fu allargato il Porto Grande.
Lo sviluppo di Napoli continuò con i successori di Carlo, soprattutto con Roberto d'Angiò. Roberto, salito al trono alla morte di Carlo lo Zoppo (avvenuta nel 1309 nell'ospizio Reale di Casa Nova di Poggioreale), regnò per trentaquattro anni (1309-1343); conosciuto come "il Saggio", fu definito dal Boccaccio come «il re più sapiente del mondo dopo Salomone», godette di grande prestigio, soprattutto nei primi anni del regno; in questo periodo anche l'Università napoletana, divenne una delle più importanti d'Europa. I gravi problemi del regno (il persistere e lo svilupparsi della feudalità e la contesa dinastica per la Sicilia) furono causa della successiva decadenza aggravata da un ulteriore problema che la rese più rapida: le questioni dinastiche fra i vari rami degli Angioini. In questi anni la città di Napoli rafforzò il suo peso politico nella penisola e oltre, grazie alla sua potente monarchia e allo sviluppo della propria vocazione umanistica.
Il decadimento del Regno
Il regno di Roberto il Saggio, caratterizzato sia da alcuni infruttuosi tentativi di riconquista della Sicilia sia, a livello politico più ampio, dalla vocazione del sovrano di mettersi a capo del partito guelfo in Italia per fronteggiare l'imperialismo germanico[10], terminata nel 1343, anno in cui il re morì.
Mediante testamento, Roberto aveva designato alla successione sua nipote Giovanna d'Angiò intendendo così favorire suo marito Andrea d'Ungheria. La figura di questa regina, incoronata in Santa Chiara il 28 agosto 1344, certamente controversa per la sua complessa personalità, fu importante, se non altro, in quanto da considerarsi come la prima espressione di un sovrano interamente napoletano, grazie alla naturalizzazione progressiva che la dinastia angioina aveva compiuto nell'Italia meridionale.
Nel periodo in cui regnò Giovanna, si andarono accentuando i primi segnali di decadimento già emersi negli ultimi anni del regno di Roberto, con un progressivo aumento di lotte tra fazioni e complotti ed anche a causa del fallimento della politica estera angioina che non riusciva a ricostituire l'unità statale normanno-sveva, spezzata dalla mutilazione della Sicilia.
Giovanna fu spalleggiata dalla nobiltà napoletana nell'opporsi alle rivendicazioni dinastiche di suo marito (appartenente al ramo ungherese degli angioini e dunque discendenti di Carlo Martello (fratello di Roberto il Saggio) e la regina fu probabilmente coinvolta anche nel suo assassinio avvenuto il 18 settembre 1345, ad Aversa.
Ma le lotte dinastiche non cessarono con la morte di Andrea; Giovanna sposò in seconde nozze Luigi di Taranto e, poco dopo, il cognato, (fratello del marito assassinato), Luigi d'Ungheria iniziò l'invasione del Regno, costrinse prima la sovrana a fuggire in Provenza e successivamente egli stesso fu costretto a ritirarsi a causa della terribile epidemia di peste nera che andava abbattendosi sulla città (64.000 vittime).
Eventi celebri
Durante il periodo della dominazione angioina a Napoli si verificarono alcuni eventi rimasti famosi ancor oggi: la decapitazione del giovane Corradino di Svevia nel 1268, l'assassinio di Andrea d'Ungheria (marito di Giovanna I d'Angiò, l'entrata a Napoli di suo fratello Luigi, l'assedio della città da parte di Carlo di Durazzo, in seguito Carlo III, la reggenza di Margherita di Durazzo, le epidemie di peste nel 1348, 1362 e 1399, le lotte di Luigi II d'Angiò per ottenere il regno, il duro regime di Ladislao I d'Angiò, gli assedi alla città nelle lotte per la successione di Giovanna II d'Angiò (1414-1435) fra Renato d'Angiò e Alfonso V d'Aragona finché quest'ultimo, dopo essere penetrato nella città attraverso un acquedotto, nel 1442 poté occupare definitivamente Napoli e metter fine alla dinastia angioina durata quasi due secoli (1268-1442).
Traguardi artistici
Le testimonianze sull'arte napoletana pre-angioina sono molto limitate. Le discrete informazioni riguardano per lo più il periodo classico greco-romano (con l'aiuto degli Scavi di Pompei, ad esempio, si è inutito che il rosso pompeiano fosse molto in voga tra le città del golfo), o ancora si sa delle influenze artistiche sannite attraverso il ritrovamento di cocci e via dicendo. Alquanto misere sono le testimonianze dell'arte e dell' architettura bizantina e normanno-sveva. Di sicuro è che la città in epoca bizantina, generalmente parlando, appariva molto diversa, di gusto orientalizzante.
Molto più documentata è stata invece l'arte di Napoli angioina. Alla corte di Napoli fu attivo Giotto che affrescò parte dei locali della Basilica di Santa Chiara (oggi il suo operato è riscontrabile in maniera frammentaria solo nel coro delle monache, a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale), e anche Lello da Orvieto, Roberto d'Oderisio e Pietro Cavallini. Architettonicamente la dominazione angioina coincise con la costruzione di imponenti impianti gotici: la basilica di San Lorenzo Maggiore (con abside percorsa da ambulacro), la chiesa di San Domenico Maggiore, il già menzionato monastero di Santa Chiara e il Duomo (per il quale furono chiamati architetti di estrazione francese).
Gli Aragonesi
Sotto gli Aragonesi l'ingrandimento urbano di Napoli divenne molto maggiore, con la costruzione di una nuova cinta muraria che aveva ventidue torri cilindriche. Si ebbe inoltre un notevole impulso demografico tanto che la città toccò 110 mila abitanti sul finire del XV secolo, per le continue immigrazioni, non esclusa una numerosa colonia di ebrei profughi dalla Spagna e dalla Sicilia.
Il primo dei re aragonesi, Alfonso I, non seppe conquistare l'animo dei Napoletani, soprattutto perché volle abolire il seggio del popolo, per essersi circondato troppo da Catalani e per aver governato col ricorso esclusivo a soldati mercenari. Nelle pretese contrastanti fra Angioini e Aragonesi si innestava il conflitto interno fra la monarchia e i baroni, manifestatasi in episodi drammatici come la Congiura dei baroni sotto il regno del successore di Alfonso. Ciononostante Alfonso I riconobbe a Napoli un'importanza primaria rispetto alle altre città del suo vasto territorio facendo della città partenopea una vera e propria capitale del Mediterraneo, profondendo inoltre somme immense per abbellirla ulteriormente. La città in quel periodo divenne anche una delle principali capitali dell'Italia rinascimentale. Rifece Castel Nuovo, danneggiato dalle continue guerre, aggiungendovi un mirabile arco di trionfo e decorandolo della superba sala del trono (successivamente sala dei baroni). Protesse le arti e le industrie, introducendo nel regno la lavorazione della seta. Vari anni prima dell'avvento al papato di Niccolò V, fu uno dei sovrani più appassionati dell'antichità e favorì lo studio degli antichi autori. Convennero alla sua Corte umanisti celebri come Lorenzo Valla (che proprio a Napoli compose lo scritto sulla falsa Donazione di Costantino) il Panormita (che fondò una famosa accademia umanistica guidata successivamente dall'umbro Giovanni Pontano), Francesco Filelfo, Enea Silvio Piccolomini (l'umanista, in seguito papa Pio II). L'Umanesimo partì proprio dall'Italia (i centri maggiori furono Firenze e Napoli[11]) e si diffuse in tutta l'Europa contemporanea[12]. Per aiutare la salita al trono del figlio Ferdinando, Alfonso cedette le isole di Sicilia, Sardegna e Baleari a suo fratello Giovanni II di Aragona.
Il successore Ferdinando primo (o Ferrante) (1458-1494) continuò l'opera paterna di sviluppo edilizio e di mecenatismo. Completamente italianizzato, si deve a lui l'ampliamento della cinta muraria ricordata poco fa. Fra i principali monumenti edificati sotto il suo regno basti ricordare Porta Capuana, Palazzo Como, costruito fra il 1464 e il 1490), Palazzo Diomede Carafa, costruito attorno al 1470, la facciata del Palazzo dei principi di Salerno, attualmente facciata della Chiesa del Gesù Nuovo (1470 circa).
Il favore popolare degli ultimi Aragonesi, soprattutto di Alfonso II, fu scarso. Dopo gli effimeri regni di Ferrandino e Federico d'Aragona, la breve apparizione di Carlo VIII e la nuova occupazione francese, nel maggio del 1503, Napoli accolse festosamente il viceré Gonzalo Fernández de Córdoba.
Ulteriori aspetti culturali: la nascita del teatro napoletano alla corte di Alfonso il Magnanimo
Le prime tracce di questa tradizione risalgono all'opera poetica di Jacopo Sannazaro e Pietro Antonio Caracciolo tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, ai tempi della corte aragonese. Infatti Jacopo Sannazaro a Castel Capuano, alla presenza di Alfonso d'Aragona, celebrò le vittorie degli spagnoli e la presa di Granada in un'opera dal titolo "Arcadia" che celebrava le gesta eroiche del condottiero spagnolo. Qualche anno dopo, invece il Caracciolo presentò una farsa dal titolo "La farsa de lo cito" e l'opera "Imagico", che ripudiava il linguaggio merlettato ed attingeva dal popolo sia la trama che la dialettica. Comunque i due poeti (anche attori e registi) ebbero il merito di far uscire il teatro dalle mura delle corti e dei palazzi reali, portandolo tra la gente. Nei secoli successivi il teatro napoletano diverrà una tradizione sempre più consolidata ed oggi è riconosciuto come una delle più antiche e conosciute tradizioni artistiche della città di Napoli, e il suo contributo al teatro italiano è fondamentale. [13]
Carlo VIII: la presa di Napoli e il dominio sull'Europa
Pacificati i rapporti con le potenze europee, Carlo VIII, che vantava attraverso la nonna paterna, Maria d'Angiò (1404-1463), un lontano diritto ereditario alla corona del Regno di Napoli, indirizzò le risorse della Francia verso la conquista di quel reame, incoraggiato da Ludovico Sforza, detto Il Moro (che ancora non era duca di Milano) e sollecitato dai suoi consiglieri, Briçonnet e de Vers.
L'esercito del re formato da 30.000 effettivi con un'artiglieria moderna attraversò la penisola minando il delicato equilibrio politico raggiunto in quegli anni.
La rapidità e la facilità con cui Carlo VIII aveva raggiunto Napoli e la posizione di dominio in Europa che gli derivava dall'unione delle corone di Francia e di Napoli suscitarono una Lega antifrancese, composta da Venezia, dall'Austria, dal Papato, dal Ducato di Milano e dalla Spagna. Carlo VIII comprese che era giunto il tempo di ritirarsi in Francia. Il 6 luglio 1495 a Fornovo un esercito formato dagli stati italiani tentò di sbarrargli la strada: pur sconfitto, Carlo VIII riuscì a sfuggire all'accerchiamento al costo della perdita di gran parte delle sue truppe.
Gli Spagnoli
La Napoli spagnola abbraccia un arco di tempo che va dal 1503 al 1707. In questo periodo storico i reali di Spagna esarcitarono grandi pressioni su Napoli e il mezzogiorno: molti vicerè, infatti, attuarono pesanti politiche denigratorie, angherie e furti di opere d'arte, oltre che pesanti gabelle. Anche da un punto di vista culturale la capitale fu sfruttata a favore degli esercizi spagnoli. Oltremodo fu proprio in questa parentesi di storia napoletana che nacque la camorra; essa prese vita a causa della mancata tutela della popolazione civile da parte delle istituzioni, una sorta di società segreta a favore del popolo. Il territorio del Regno di Napoli dovette inoltre vedersela con gli ingenti danni provocati da disastrose calamità, pestilenze e soprattutto guerre. La spedizione africana a Tunisi e quella più celebre a Tripoli (vedi anche battaglia di Lepanto), l'occupazione dei possedimenti pugliesi ad opera dei veneziani, la spedizione contro il pontefice Paolo IV. Napoli dovette anche far fronte a politiche di difesa; nel 1526 ci fu un tentativo francese di conquista, oltre che le costanti minacce turche e arabe. Il vicereame spagnolo fu infine contraddistinto da varie ribellioni interne, la più famosa delle quali è quella che vide protagonista il popolano Masaniello.
La rivoluzione di Masaniello
Gli spagnoli oppressero la popolazione italiana con tasse elevate, suscitando il malcontento della popolazione che in alcuni casi insorse. Una delle rivolte alla dominazione spagnola più note di questo periodo è quella del pescatore Masaniello a Napoli. La rivolta fu scatenata dall'esasperazione delle classi più umili verso le gabelle imposte sugli alimenti di necessario consumo. Il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva il re di Spagna, mora il malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica dell'Ancien régime di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni dei suoi sottoposti. Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le rivendicazioni popolari, a causa di un comportamento sempre più dispotico e stravagante Masaniello fu accusato di pazzia, tradito da una parte degli stessi rivoltosi ed assassinato all'età di ventisette anni.
Con la fine di Masaniello la rivolta tuttavia non si spense ed anzi assunse, sotto la guida del nuovo capopopolo Gennaro Annese, un marcato carattere antispagnolo. Gli scontri contro la nobiltà ed i soldati si susseguirono violentissimi nei mesi successivi, fino alla cacciata degli spagnoli dalla città. Il 17 dicembre fu infine proclamata la Real Repubblica Napoletana sotto la guida del duca francese Enrico II di Guisa, che in qualità di discendente di Renato d'Angiò rivendicava diritti dinastici sul trono di Napoli. L'esempio di Masaniello fu poi seguito anche da popolani di altre città: da Giuseppe d'Alesi a Palermo, e da Ippolito di Pastina a Salerno. La parentesi rivoluzionaria si concluse solo il 6 aprile 1648, quando don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Filippo IV, alla guida di una flotta proveniente dalla Spagna riprese il controllo della città.
Nel 1701, più di cinquant'anni dopo la rivolta popolare, ci fu un altro tentativo di insurrezione contro il governo spagnolo, ma stavolta da parte della nobiltà: la congiura di Macchia. La ribellione nobiliare fallì anche a causa di una scarsa partecipazione dei ceti umili, memori dell'ostilità dei nobili durante la rivolta di Masaniello. Fallita anche la congiura di Macchia, il dominio spagnolo su Napoli continuò senza più opposizioni fino al 1707,[14] anno in cui la guerra di successione spagnola pose fine al viceregno iberico sostituendogli quello austriaco.
La notizia della ribellione guidata dal pescivendolo napoletano varcò i confini del regno ed attraversò rapidamente tutta l'Europa. La Francia, all'epoca saldamente guidata dal cardinale Mazzarino, sostenne la rivolta in funzione antispagnola ed appoggiò l'impresa di Enrico II di Guisa allo scopo di far rientrare il Regno di Napoli sotto l'influenza francese.
L'eruzione del 1631 e la grande peste del 1656
Nel 1631 ci fu un'altra terribile eruzione del Vesuvio, di tipo subpliniana, seconda per intensità solo all'eruzione del 79 d. C. . Dopo numerosi eventi premonitori quali rigonfiamento del suolo, piccoli terremoti, all'alba del 16 dicembre il Vesuvio rientrò in attività dopo un periodo di riposo di 130 anni, con l'apertura di una bocca laterale sul versante Sud-Est con una iniziale fase di attività stromboliana. Una prima fase espulse ceneri frammiste all'acqua che scescero a valle a grandi velocità, oltre a colonne di vapore. Successivamente ebbe luogo una violenta attività esplosiva dal cratere centrale con un'alta colonna di ceneri, pomici e gas. Nella seconda parte della giornata del 16 dicembre e nella successiva del 17 vi fu l'emissione delle nubi ardenti (l'elemento più distruttivo di un vulcano grigio) che mieterono le prime vittime a Portici, Torre del Greco e negli altri paesi ai piedi del vulcano e costrinsero gran parte della popolazione a cercar rifugio a Napoli.
Portici, Resina (l'antica Ercolano), Torre del Greco e Torre Annunziata furono semidistrutte, mentre la frazione Pietra Bianca fu ridenominata, da allora, Pietrarsa. Le vittime accertate in quell'area furono tremila; molti di più furono gli animali (soprattutto bovini) uccisi dal torrente di lava. A ricordo della minaccia diretta, a Napoli, ancor oggi, vi è la statua del santo patrono San Gennaro al Ponte della Maddalena, rivolto verso il Vesuvio; a Portici una lapide fatta murare dal Viceré, ammonisce il viandante a fuggire al minimo rumoreggiare del vulcano. Sebbene il Vesuvio minacciò prevalentemente i paesi vesuviani, anzichè Napoli, quest'ultima dovette comunque far fronte a varie problematiche interne, ovvero: un rapido incremento demografico a causa dei fuggitivi, la considerevole pioggia di cenere abbattutasi sulla città e discreti eventi sismici.
Tuttavia, Napoli, nonostante seppe tener testa alle problematiche scaturite dall'eruzione del 1631 e a alle questioni riconducibili alla pesante dominazione spagnola, di lì a poco si sarebbe rivelata del tutto impotente davanti alla grande peste del 1656.
La peste del 1656 fu un'epidemia di peste che colpi' parte dell'Italia, in particolare il Regno di Napoli. A Napoli pare fosse arrivata dalla Sardegna e provoco' 250.000 morti su un totale di 450.000 abitanti e anche nel resto del regno il tasso di mortalità oscillava fra il 50 e il 60% della popolazione. La città, che non possedeva ancora un adeguato sistema fognario, che non poteva contare su riserve sufficienti d'acqua (soprattutto i suoi casali, che non erano raggiunti adeguatamente dagli acquedotti), in più l'elevato numero di animali, la mediocre condizione delle strade, ecc., tutti questi elementi, costituirono le basi per quel contagio portato dalle navi sarde. Tuttavia la città seppe riprendersi presto, come ci è dato sapere da L. De Rosa:
Napoli barocca
Arte e architettura
L'architettura barocca si sviluppò a Roma nei primi anni del Seicento, ma ben presto oltrepassò i confini della città papalina. A Napoli, la nuova arte e architettura rispettò i canoni del barocco romano solo per trent'anni circa, poiché in seguito saranno riconoscibili le sgargianti decorazioni marmoree e di stucchi tipiche del barocco napoletano. Il barocco napoletano fu una forma artistica e architettonica sviluppatasi tra il XVII secolo e la prima metà del XVIII secolo a Napoli. In particolare fiorì verso la metà del Seicento con l'opera di alcuni architetti locali molto qualificati e termina a metà del secolo successivo con l'avvento di architetti di stampo neoclassico, quali Luigi Vanvitelli. All'epoca barocca sono riconducibili la Certosa di San Martino e il Palazzo reale, la Basilica di Santa Maria della Sanità, i Girolamini, la Fontana del Sebeto, del Nettuno e del Gigante, ecc. Nella pittura ricordiamo, a titolo di esempio, la presenza di Josep de Ribera.
Nel Settecento il Barocco raggiunse l'apice con le architetture ricollegabili al Rococò e al Barocco austriaco, dando origine ad una combinazione dalla quale scaturirono edifici di grande valore artistico.
Questo stile, che si sviluppò in Campania e nel sud del Lazio (dove fu costruita l'Abbazia di Montecassino che rappresenta il massimo esempio di architettura barocca napoletana al di fuori di Napoli) fu portato all'attenzione della critica internazionale solo nel XX secolo, grazie al volume Architettura barocca e rococò a Napoli di Anthony Blunt.
Letteratura
Particolare interesse rivestì anche la letteratura napoletana del periodo. Il più celebre poeta napoletano d'età moderna fu Giulio Cesare Cortese. Egli fu molto importante per la letteratura dialettale e barocca, in quanto, con Basile, pose le basi per la dignità letteraria ed artistica della lingua napoletana moderna. Di costui si ricorda la Vaiasseide, un'opera eroicomica in cinque canti, dove il metro lirico e la tematica eroica furono abbassati a quello che costituì il livello effettivo delle protagoniste (un gruppo di vaiasse, donne popolane napoletane, che s'esprimevano in dialetto). Fu scritto comico e trasgressivo, dove molta importanza ebbe la partecipazione corale della plebe ai meccanismi dell'azione.
Il Viceregno austriaco e i Borbone
Nel corso della Guerra di successione spagnola, l'Austria conquistò Napoli e la tenne fino al 1734, quando con Carlo III di Borbone - dopo la guerra di successione polacca - il regno tornò indipendente. Sotto Carlo III Napoli rafforzò maggiormente i suoi status politici, artistici, culturali, architettonici, ecc. fattori che, indubbiamente, sottolinearono il suo ruolo di una tra le principali capitali europee, e l'opera di Carlo (che nel 1759 lasciò Napoli per assumere la corona di Spagna) fu continuata dal figlio Ferdinando IV, finché non venne rovesciato dalle correnti rivoluzionarie e dalle truppe francesi nel 1799.
Le riqualificazioni urbane e la nuova capitale
Nel XVIII secolo, la città di Napoli vide tra i più importanti interventi urbanistici mai registrati nella sua storia. Oltre alle nuove riqualificazioni territoriali della capitale, Carlo III di Borbone attuò rilevanti interventi in tutto il paese.
Con la guerra di successione spagnola, Napoli passò sotto il dominio Asburgico, con l'ausilio di viceré che governeranno per ventisette anni senza risolvere i problemi più importanti della città. La figura centrale della prima metà del secolo fu Francesco Solimena (pittore e architetto), fondamentale anche per la formazione di altri architetti che dominarono la scena fino alla prima metà del secolo: Ferdinando Sanfelice, Giovan Battista Nauclerio e Domenico Antonio Vaccaro. Con la tassazione dei beni ecclesiastici, il re frenò l'espansione di suoli sacri; altro atto fu quello di abbattere una buona parte delle mura per rendere la città meno congestionata. Intanto oltre agli architetti sopracitati si formarono anche altri quali Giuseppe Astarita, Nicola Tagliacozzi Canale e Mario Gioffredo; quest'ultimo aderirà alla corrente del neoclassicismo allora nascente. Con Carlo comparirono i nomi di altri architetti di varie formazioni ed estranei a quella locale come Giovanni Antonio Medrano (siciliano), Antonio Canevari (romano), Ferdinando Fuga (fiorentino) e Luigi Vanvitelli. I quattro architetti progetteranno regge, ville, e complessi sempre in gusto barocco ma con influenze classiciste. Contemporaneamente si popolerà anche la zona del vesuviano come luogo di villeggiatura dei nobili napoletani. Tuttavia, l'intervento più importante del periodo fu senza dubbio la Reggia di Caserta. In linea con le pianificazioni urbane della capitale, Carlo decise di regalare al suo regno una degna rappresentanza di governo. Si diede inizialmente per scontato che sarebbe stata costruita a Napoli, ma Carlo di Borbone, cosciente della considerevole vulnerabilità della capitale ad eventuali attacchi (specie da mare), pensò di costruire la "nuova capitale" verso l'entroterra, nell'area casertana: un luogo più sicuro e tuttavia non troppo distante da Napoli.[15]
Napoli capitale illuministica
In Italia la "nuova filosofia", arrivata dai frequenti contatti con la vicina Francia, venne assorbita ed elaborata da parecchi intellettuali, solo per citarne alcuni: i fratelli Pietro Verri e Alessandro Verri, Cesare Beccaria, Gian Rinaldo Carli. Le città illuministiche per eccellenza furono Napoli e Milano.
L'illuminismo, in Italia, era particolarmente attivo a Napoli. La città partenopea, con la capitale francese, fu quella che meglio espletò il "secolo dei lumi"; infatti, non assorbì semplicemente questa corrente, anzi, la generò in buona parte. Il secolo settecentesco portò soprattutto novità architettoniche; rilevanti furono le costruzioni di imponenti edifici pubblici, fra tutti, il Real Albergo dei Poveri (detto anche Palazzo Fuga dal nome dell'architetto che lo ideò e realizzò nel 1751 su commissione del Re Carlo di Borbone), che è tra le più grandi costruzioni settecentesche, tipicamente illuminista: lunga ben 354 metri ed una superficie utile di 103.000 m2. Politicamente, la presa di posizione anticuriale ed antifeudale del governo napoletano portò alle più svariate "curiosità illuminate", queste, di sua volta, generarono consensi pubblici, divenendo veri e propri modelli d'ispirazione: in particolare, gli studi filosofici che riscossero successo anche all'estero.
È essenziale citare anche la nascita della scuola economica di Antonio Genovesi, che portò di conseguenza una ventata fortemente innovativa nel campo dell'economia nazionale e non solo: la scuola nacque in seguito ai sempre più richiesti "nuovi metodi". Altri nomi di spicco: Ferdinando Galiani e Gaetano Filangeri.
In Europa e in America tra il XVIII ed il XIX secolo, si assistì a un rinnovato interesse per la classicità. Grande influenza nello stile Neoclassico ebbero gli scavi di Pompei, avviati alla meta del '700 da Carlo di Borbone, re di Napoli, che ispirarono lo stile di Luigi Vanvitelli, primo vero sperimentatore neoclassico. Fu variamente caratterizzato ma ben riconoscibile nelle varie arti, nella letteratura, in campo teatrale, musicale e nell’architettura e arti visive.
Il Neoclassicismo si diffuse particolarmente in Francia grazie alla generazione di artisti che si recavano in Italia (a Napoli per esempio venivano spesso esposti gli ultimi reperti archeologici ritrovati nella zona pompeiana, molto apprezzata fu anche Ercolano) per studiare dal vero i reperti antichi, ma soprattutto fu influenzato dagli scritti di Johann Joachim Winckelmann. [16] Da un punto di vista architettonico, nel XIX secolo Napoli verrà abbellita da varie opere neoclassiche, la più celebre delle quali sarà la Basilica di San Francesco di Paola: ritenuta la più importante chiesa italiana del periodo. [17]
La repubblica partenopea
La Repubblica Napoletana sorta nel 1799 sul modello di quella francese ebbe vita breve ma intensa, non incontrando però mai il favore popolare essendo i suoi esponenti intellettuali molto lontani dalla conoscenza delle necessità reali del popolo. La Repubblica inoltre, sebbene non riconosciuta dalla Francia, fu di fatto sottoposta a una "dittatura di guerra" francese che ne limitò di molto l'autonomia e la costrinse a sostenere le ingenti spese causate principalmente dalle richieste dell'esercito francese costantemente in armi sul suo territorio. A questo si aggiunse una fortissima repressione contro gli oppositori del nuovo regime che certo non aiutò a conquistare le simpatie popolari (alcune fonti parlano di oltre 1500 persone condannate a morte e fucilate dopo sommari "processi politici" in tutto il Regno).
La Repubblica fu comunque spazzata via dopo pochi mesi dall'armata "sanfedista" del cardinale laico Fabrizio Ruffo, appoggiato dalla flotta inglese e formata in gran parte dai cosiddetti "lazzari" (i popolani napoletani filo-borbonici). La riconquista di Napoli da parte di Ferdinando fu però segnata dalla repressione nei confronti dei maggiori esponenti della Repubblica Napoletana, seguita da circa un centinaio di esecuzioni.
Età contemporanea
Il Regno francese di Bonaparte e Murat
Dopo pochi anni, comunque, nel 1806, Napoli fu conquistata nuovamente dai francesi (nonostante la vittoria anglo-napoletana di Maida, in Calabria). La guerra continuò fino al 1808 quando tutta la parte continentale del Regno fu conquistata e posta sotto il controllo di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone.
Nel 1811 il re Gioacchino Napoleone Murat, grande urbanista, vi fece istituire la Scuola di applicazione per il corpo degli ingegneri di ponti e strade, costituitasi come Scuola superiore politecnica ai primi del XX secolo per poi essere aggregata all'attuale università Federico II diventando, nel 1935, la prima facoltà di Ingegneria in Italia.
L'impresa più importante di Murat fu la celebre guerra austro-napoletana, che intese liberare gli stati italiani dalla presenza straniera e unificarli sotto un'unica nazione con Napoli capitale. In realtà il re intendeva ampliare i propri domini napoletani, facendo leva sui sentimenti indipendentistici, unitari e costituzionalisti. Perciò, giovandosi della collaborazione del giurista Pellegrino Rossi, lanciò da Rimini il 30 marzo un proclama in tal senso. Sebbene venne sconfitto nella battaglia di Tolentino, il suo intervento anti-austriaco è oggi riconosciuto come l'antesignana del Risorgimento.
Murat sopravvisse di poco a Napoleone e fu spodestato dai Borbone; tentò con un sbarco in Calabria la riconquista armata del regno, finendo fucilato a Pizzo, in rispetto di una legge emessa dallo stesso Gioacchino.
Il ritorno dei Borbone
Nel 1815 la città ritornò in mano a Ferdinando e ai Borbone, con la Restaurazione successiva alla caduta di Napoleone Bonaparte. Il ritorno dei Borbone avvenne grazie al Trattato di Casalanza, firmato il 20 maggio 1815 presso Capua, in casa dei Baroni Lanza. Subito a Napoli si ebbero i primi moti contro il ritorno all'aristocrazia pre-napoleonica, che finirono per identificarsi nel Risorgimento italiano.[senza fonte]
L'unione del Regno di Napoli e Sicilia
L'8 dicembre 1816, Ferdinando IV riunì in un unico stato i regni di Napoli e Sicilia con la denominazione di Regno delle Due Sicilie, abbandonando per sé il nome di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia ed assumendo quello di Ferdinando I delle Due Sicilie. Tale atto ebbe, tra l'altro, la conseguenza di privare di fatto la Sicilia della Costituzione promulgata dallo stesso Ferdinando. Nell'isola ben presto nacquero i primi movimenti anti-borbonici e separatisti: tuttavia il governo provvisorio di Palermo vide anche forti opposizioni interne, soprattutto messinesi e catanesi, che da tempo rivendicavano la loro sovranità sull'isola. In seguito salì al trono il figlio Francesco I delle Due Sicilie e il Regno visse un periodo di relativa calma, i suoi sei anni di Regno furono caratterizzati da progressi in campo economico e tecnologico. Sul piano politico perseguì una politica reazionaria, pur avendo avuto un atteggiamento favorevole nei confronti dei moti rivoluzionari durante il regno del padre.
Con Ferdinando II furono taciuti, seppur solo apparentemente, i disordini interni. Il re applicò una politica bellica nei confronti della Sicilia, bombardando le piazzeforti di Messina: tale episodio gli donò l'appellativo di "re bomba". Tuttavia si verificò la rottura totale tra la classe politica siciliana e quella napoletana.
Francesco II e la fine del Regno
Francesco II, ultimo re duosiciliano, salì al trono nel 1859 assieme alla sua energica consorte, Maria Sofia di Wittelsbach (sorella delle famosa "Sissi", moglie dell'imperatore Francesco Giuseppe). Di carattere mite, il suo regno per quanto breve fu molto intenso, in quanto dovette far fronte prima ad una sommossa scoppiata nel 3° Reggimento Svizzero a Napoli (in conseguenza del fatto che il governo elvetico quell'anno decise che i suoi cittadini non avrebbero più potuto prestare servizio militare in potenze straniere)[18], e poi dovette affrontare la ben più grave invasione garibaldina e sarda. Travolto dagli eventi non riuscì a rompere l'isolamento politico del regno e a impedirne la dissoluzione, anche se alcune fonti storiche ci dicono che fosse sua volontà riconcedere la Costituzione e riprendere il percorso "riformista" interrotto nel 1849[19]. Infatti il Regno sopravvisse fino al 1861, quando dopo la conquista della massima parte del suo territorio ad opera di Giuseppe Garibaldi, con la "Spedizione dei Mille", iniziativa capace da un lato di raccogliere le volontà rivoluzionarie dei democratici del Partito d'Azione, dall'altro di agire con un tacito e parziale, ma reale, appoggio dei Savoia, le ultime fortezze borboniche (Gaeta, Messina e Civitella del Tronto) si arresero agli assedianti piemontesi e il paese entrò a far parte del neonato Regno d'Italia. Da qui i territori dell'ex Regno delle Due Sicilie caddero in una profonda crisi interna che in un secondo momento sarà chiamata questione meridionale.
Seppur il Risorgimento italiano, richiami all'idea di una resurrezione della nazione italiana attraverso la conquista dell'unità nazionale per lungo tempo perduta. Tuttavia, per quanto questa visione idealizzata del periodo sia, da talune interpretazioni moderne, riveduta in un concetto più ampio della situazione italiana ed internazionale e la stessa unificazione venga vista a volte più come un processo di espansione del regno di Sardegna che come un processo collettivo, il termine è ormai accettato ed ha assunto valenza storica per questo periodo della storia d'Italia. [20]
Le rivoluzioni borboniche
Nella Napoli capitale duosiciliana, i borbone investirono prevalentemente sull'industria, nella civilizzazione, nell'agricoltura e nell'impreditoria, oltre che sulla cultura e architettura. Le principali rivoluzioni duosiciliane in questi settori furono: la fabbrica di porcellana di Capodimonte, il primo impianto industriale moderno sito nell'entroterra napoletano, ovvero quello delle seterie di San Leucio (dietro la struttura le prime case operaie della storia d'Italia). Da non trascurare la prima ferrovia d'Italia, la celeberrima Napoli-Portici e le officine di Pietrarsa che diedero vita alle prime locomotive italiane.
Altri primati: la prima nave a vapore nel Mediterraneo (1818) realizzato nel cantiere di Stanislao Filosa al ponte di Vigliena presso Napoli. Il primo ponte sospeso in ferro realizzato nell'Europa continentale (1832), la prima illuminazione a gas in Italia (1839), il primo osservatorio vulcanico del mondo, l'Osservatorio Vesuviano (1841). Il primo ponte sospeso in ferro, il "Real Ferdinando" sul fiume Garigliano venne realizzato nella fabbrica delle Reali Ferriere e Fabbrica d'Armi a Mongiana. [21]
Napoli dopo l'Unità d'Italia
Nel 1861 il Regno delle Due Sicilie, venne conquistato dai Garibaldini e dalle truppe del Regno di Sardegna. Giuseppe Garibaldi entró a Napoli il 7 settembre trionfalmente acclamato dalla popolazione[22]. Un plebiscito sancì l'unione al Regno d'Italia. In molti territori del vecchio Regno l'opposizione al nuovo regime, promossa in parte dal vicino Stato della Chiesa, durò per un decennio, con angherie e devastazioni. Decine di migliaia di meridionali furono rinchiusi e massacrati nel carcere piemontese di Fenestrelle. Parte della guerriglia contro le forze piemontesi si organizzò con il brigantaggio.
Perso il rango di capitale, la città rimase comunque il centro politico, economico e sociale più importante dell'Italia meridionale[23]. Pochi anni dopo la città fu oggetto di un grande risanamento urbano. L'intervento, ipotizzato sin dalla metà dell'Ottocento, fu portato a compimento a seguito di una gravissima epidemia di colera, avvenuta nel 1883. Sotto la spinta del sindaco di allora, Nicola Amore, nel 1885 fu approvata la Legge per il risanamento della città di Napoli e il 15 dicembre 1888 venne fondata la Società pel Risanamento di Napoli (confluita dopo varie vicissitudini nella Risanamento S.p.A.): allo scopo di risolvere il problema del degrado di alcune zone della città che era stato, secondo il sindaco Amore, la principale causa del diffondersi del colera. Si decise l'abbattimento di numerosi edifici per fare posto al corso Umberto I, e alle piazze Nicola Amore (piazza Quattro Palazzi) e Giovanni Bovio (piazza Borsa) e alla Galleria Umberto I. In realtà alle spalle dei grandi palazzi umbertini la situazione rimase immutata: essi infatti servirono a nascondere il degrado e la povertà di quei rioni piuttosto che a risolverne i problemi.
Col passare degli anni, Napoli divenne il porto dal quale partivano le spedizioni per le colonie d'oltremare (Libia, Eritrea, Somalia, il Dodecanneso e successivamente Etiopia) ma soprattutto, diventò uno dei principali porti dal quale milioni di italiani emigrarono in Argentina e negli Stati Uniti.
L'11 marzo 1918 nel corso del primo conflitto mondiale, pur trovandosi molto distante dalla zona di conflitto, la città fu bombardata dal dirigibile tedesco L.58 partito da una base bulgara. Il dirigibile, che aveva come obiettivo le strutture portuali, sganciò 6400 kg di bombe causando 16 vittime tra la popolazione civile.
Colpita duramente anch'essa, come le altre città italiane, durante la crisi economica del primo dopoguerra, Napoli si riprese, in parte, durante il ventennio fascista, anche se perse il ruolo di porto militare, dato che la flotta venne trasferita a Taranto.
L'economia cittadina crollò all'ingresso dell'Italia nella guerra. Semidistrutta dai bombardamenti inglesi tra il 1940 ed il 1941 (che avevano in Malta una formidabile base strategica), da quelli americani tra il 1942 ed il 1943 (alla vigilia dello sbarco di Lampedusa) ed, infine, da quelli tedeschi tra il 1943 ed il 1945.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre da parte del Re che firmò la resa agli anglo-americani, i tedeschi occuparono la città il 12 settembre 1943; ben presto incominciarono le rivolte degli abitanti contro l'occupazione e il colonnello Scholl il 12 settembre 1943 fece affiggere un famoso manifesto con cui proclamava lo stato d'assedio in città, con l'ordine di "passare per le armi" ogni cittadino si fosse reso responsabile di azioni ostili con rappresaglie di cento civili per ogni tedesco ucciso.
Dopo diversi scontri e rappresaglie contro la popolazione, il 24 settembre il Comando tedesco ordinò lo sgombero di tutte le abitazioni entro 300 metri dalla linea di costa e il giorno dopo venne proclamato il "servizio obbligatorio al lavoro nazionale" generalizzato (in pratica la deportazione della popolazione attiva). Questo rappresentò in pratica la scintilla che fece esplodere definitivamente la rivolta generalizzata.
Napoli fu la prima città italiana ad insorgere contro l'occupazione militare nazista: in quattro famose giornate (dal 28 settembre al 1º ottobre 1943), la folla insorse contro i tedeschi permettendo così, pochi giorni dopo agli anglo-americani di poter giungere in città e occuparla già libera, senza perdite, e proseguire verso Roma. Per queste azioni e per le sofferenze patite dalla popolazione Napoli sarà tra le città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare[24].
Dal secondo dopoguerra ad oggi
Alla fine della guerra, quando si trattò di votare il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, Napoli si schierò seppur di misura in favore della prima. Fenomeno, questo, che si verificò in tutto il Sud Italia. Tuttavia, nel capoluogo campano, l'11 giugno 1946 - pochi giorni dopo la proclamazione della vittoria repubblicana - una spontanea protesta popolare in via Medina sfociò in un violento scontro, dalle circostanze mai oggettivamente chiarite, che provocò diversi morti. Pochi giorni dopo, fu Enrico De Nicola, napoletano, ad essere eletto primo presidente della Repubblica.
Nel secondo dopoguerra, Napoli ha avuto, come molte altre città italiane, un certo boom economico: edilizia, sanità, istruzione, lavoro. Tutti fattori che mantennero Napoli ad essere la terza città italiana più importante dopo Roma e Milano, ma davanti a Torino, Genova e Venezia. Il boom però finì presto, anche a causa delle speculazioni favorite da settori dell'amministrazione pubblica centrale (IRI e Cassa del Mezzogiorno).
"Fuori" dai grandi giochi politici del Paese, a Napoli accaddero fatti di rilievo della "strategia della tensione" e del terrorismo. Dalla nascita dei NAP alla Colonna Senzani delle Brigate Rosse, passando attraverso l'arresto e la prigionia di centinaia di militanti. Nel 1973 Napoli si ritrovò in una situazione di arretratezza e miseria che non aveva eguali in nessun'altra parte del mondo occidentale. La speculazione edilizia era inarrestabile e la mortalità infantile sensibilmente più alta di quella delle città del nord e l'aspettativa di vita decisamente inferiore. In questo clima di degrado sociale, ma soprattutto urbano, si verificò un'epidemia di colera che sconvolse il mondo ma soprattutto l'Europa di allora: la città venne definita dai vari cronisti dell'epoca come la "Calcutta d'Europa". Il focolaio si estese successivamente fino a Bari. Morirono 30 persone e il mercato ittico entrò in una gravissima crisi.
Durante il terremoto del 1980, che distrusse quasi l'intera Irpinia, Napoli fu, seppur solo in alcune zone, fortemente danneggiata, ma non ottenne, nonostante le denunce del sindaco di allora Valenzi (indipendente del PCI), grosse somme di denaro per la ricostruzione. In molti casi, i lavori di recupero durarono per un decennio, complicando il già precario assetto dell'urbanistica cittadina. Nel 1982 iniziarono i cantieri del futuro Centro Direzionale di Napoli, il primo cluster di grattacieli d'Italia e dell'Europa meridionale.[25]
Negli anni che seguirono, diversi fatti eclatanti accaddero nel capoluogo partenopeo, come la nascita della NCO di Raffaele Cutolo, organizzazione camorristica, ed il rapimento da parte delle Brigate Rosse dell'Assessore Regionale Ciro Cirillo.
Da una situazione economica e sociale così difficile, fu la camorra a proliferare; questa, attraverso il suo potere economico, finanziario e militare darà inizio ad un impero economico basato su un'economia illegale e contraffatta [26]: tutt'oggi risulta che molte attività illegali napoletane siano, direttamente o indirettamente, controllate dalla camorra. Tra le ripercussioni più gravi della camorra (seppur in concomitanza con le imprese del nord, con la responsabilità dei governi nazionali e locali) vi è la grave Crisi dei rifiuti in Campania, tuttora in atto.
Negli anni '90, la metropolitana di Napoli diventerà un paradigma di riqualificazione territoriale; mentre nel 2000 nascerà un sistema integrato. Il notevole ampliamento della metropolitana di Napoli nasce per decongestionare dal traffico l'area napoletana, che è al livello di quello di Bombay, ma con i decibel come quelli de Il Cairo. La Linea 1, oggi a metà percorso del suo completamento, è la prima metropolitana al mondo costituita anche da vere e proprie stazioni dell'arte.[27] Nel 2010 è stato presentato "Naplest". I progetti sono stati inaugurati da un gruppo di imprenditori privati: gli interventi, che riguarderanno l'intera area orientale della città, saranno paragonabili a quelli dell'Expo di Milano.[28][29] Nel 2012 Napoli ospiterà l'Expo dello Spazio [30] e nel 2013 ospiterà il Forum Universale delle Culture.
Bibliografia
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- Bartolommeo Capasso, Napoli greco-romana, Napoli, 1905
- G. De Petra, Le origini di Napoli, Napoli, 1905
- Alberto Pirro, Le origini di Napoli, Salerno, 1906
- (EN) Roy M. Peterson, The cults of Campania, Roma, 1919
- Emanuele Ciaceri, Storia della Magna Grecia, Milano - Roma, 1924
- Ernesto Pontieri, Il Regno Normanno, Milano, 1932
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Note
- ^ Giochi Isolimpici
- ^ Giuseppe D'Amato, Viaggio nell'Hansa baltica, L'Unione europea e l'allargamento ad Est, Greco&Greco editori, Milano, 2004. ISBN 88-7980355-7
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- ^ Amedeo Feniello, Napoli normanno-sveva, Roma, 1995.
- ^ Michelangelo Schipa, Storia del ducato napolitano, Napoli, 1895.
- ^ Eberhard Horst, Federico II di Svevia, Rizzoli, Milano, 1981.
- ^ Paolo Ruggieri, Canzoni Italiane, Fabbri Editori, 1994, pag.2-12, Dalle origini a Piedrigrotta
- ^ Giovanni Villani, Nova Cronica, 1526.
- ^ Constitutio super ordinatione regni Siciliae in "Bullarium Romanum", Torino, IV, 70-80.
- ^ Va ricordato che, in Castel Nuovo, il 13 maggio 1317 fu firmata la pace tra Guelfi e Ghibellini toscani.
- ^ Corriere del Mezzogiorno: lezioni di storia di Franco Cardini
- ^ Informazioni riguardo l'Umanesimo
- ^ Vittorio Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli, 1992
- ^ La Corona di Spagna cedette ufficialmente il Regno di Napoli con il trattato di Utrecht del 1713.
- ^ La storia della Reggia di Caserta
- ^ # Mario Praz, Gusto neoclassico, Milano, 2003 ISBN 88-17-10058-7
- ^ R. Middleton, D. Watkin, Architettura dell'Ottocento, Martellago (Venezia), Electa, 2001, p. 292.
- ^ R. De Cesare, La fine di un regno, Vol. II
- ^ Raffaele De Cesare, La fine di un regno, Vol. II
- ^ Hercule De Sauclières, Il Risorgimento contro la Chiesa e il Sud. Intrighi, crimini e menzogne dei piemontesi, Controcorrente, Napoli, 2003. ISBN 978-88-89015-03-2
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- ^ LaRepubblica.it
- ^ CorrieredelMezzogiorno. corriete.it
- ^ comune.napoli.it
Voci correlate
- Napoli
- Monumenti di Napoli
- Peste del 1656
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- Elenco dei monarchi di Napoli e Sicilia
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- Elenco dei viceré austriaci di Napoli
- Repubblica Napoletana (1647)
- Repubblica partenopea del 1799
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