Introduzione

Giovanni Presta, celebre medico e studioso Gallipolino del XVIII secolo, è noto per i suoi approfonditi studi sull’olivicoltura nel Salento. Egli infatti decise di dedicarsi allo studio “degli ulivi, interrogandone non men gli Autori che il gran libro della Natura e la infallibil Maestra della verità, la sperienza”. Quest’ultima frase, che si riporta integralmente, è contenuta in una delle quattro lettere che il Presta scrisse nel 1783 al “Veneratissimo Signor Proposto Marco Lastri”, illustre letterato fiorentino. Un decennio dopo, precisamente nel 1794 pubblicherà un trattato, “Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio” che sarà il più completo e documentato testo sull’argomento anticipato in queste lettere. Presta diede un notevole impulso all’olivicoltura salentina di quegli anni; “nel giro di cinque anni”, scrive nel 1794, “almeno cinquantamila ulivi erano stati piantati nel Salento su terre incolte e macchiose”.

Biografia

Presta nacque a Gallipoli il 24 giugno 1720, unico figlio di Lazaro Presta e Caterina Gaggiulla. Fu istruito dai sacerdoti Don Nicola Pirelli e Don Quintino Mastroleo, la cui educazione contribuì allo sviluppo del suo talento. A sedici anni si trasferì a Napoli per studiare medicina, dove si dedicò anche agli studi di matematica e astronomia. Grazie alle sue doti di letterato e poeta iniziò subito a frequentare luoghi colti e raffinati e fu aggregato nell’accademia Rossanese. Nel 1741 si laureò in medicina a Napoli ma il padre lo fece tornare a Gallipoli a svolgere la sua professione. Divenne il più stimato medico della provincia ed esercitò il suo ruolo in tutto il Salento. In seguito si interessò a migliorare i due settori più importanti della produzione agricola salentina di quel tempo: la tabacchicoltura, di cui cercò di migliorare le tecniche di piantagione, e in particolare concentrò i suoi studi sull’olivicoltura. Egli, ogni anno, faceva piantare del tabacco nei suoi terreni per uso personale ed era proprio questo il migliore tabacco che si aveva nella sua provincia. Riguardo i suoi interessi offrì un importante contributo al dibattito sull’olivicoltura che si svolse nel diciottesimo secolo in Terra d’Otranto. I suoi studi sono testimoniati nelle sue tre importanti opere: “Memoria su i saggi diversi di olio e su della ragia di ulivo della penisola salentina messi come in offerta a Sua Maestà Imperiale Caterina II, la Pallade delle Russie” (1786); “Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio presentati alla Maestà di Ferdinando IV, Re delle due Sicilie, ed esame critico dell’antico frantoio trovato a Stabia” (1788); “Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio” (1794). Il 18 agosto 1797 morì a Gallipoli e fu sepolto nella Cattedrale.

Metodologia

Presta intendeva migliorare la produzione agricola nel Salento. I suoi studi non si fermavano, quindi, all’analisi delle condizioni agricole ma cercavano di trovare delle soluzioni e di indagare sulle loro cause storiche. Egli voleva rimuovere il problema alla radice, sfruttando soprattutto l’esperienza. Presta seguiva gli insegnamenti di Antonio Genovesi il quale considerava fondamentale che gli intellettuali s’interessassero a risolvere i problemi concreti della società, che non si fermassero a commentare il degrado nel Meridione, ma che avrebbero dovuto ricercare le cause di tale degrado e rimuoverle. Genovesi affermava che l’intellettuale, proprio per il ruolo che ricopriva, doveva avvertire il peso di una “missione” da compiere. Presta avvertiva proprio il senso di questa responsabilità auspicata dal Genovesi.

Presta illuminista

Giovanni Presta era fortemente influenzato dal movimento culturale e filosofico del tempo: l’illuminismo. Gli illuministi seguivano una concezione del pensiero scientifico secondo cui la ragione umana attraverso l’osservazione dei fenomeni formulava dei principi. Il lavoro dell’autore si basava, infatti, sullo studio, sull’esperienza e sulla verifica, in seguito vi era la diffusione delle sue scoperte. Presta è un uomo che dedicò anni della sua vita allo studio della pianta di ulivo, dell’olio e alla maniera di ricavarlo. Proprio in questo notiamo il suo forte spirito illuministico: lo studio e la ragione sono alla base del suo lavoro. Presta nelle sue opere rileva che la “perfezione” dell’olio fu persa a causa dell’ignoranza e delle “barbarie”, quindi il carattere illuministico è dimostrato dalla lotta contro l’ignoranza. Gli illuministi, infatti, si caratterizzavano per la ferma convinzione di provenire da un epoca segnata dall’oscurità, dall’ignoranza e dalla superstizione e di iniziare a dirigersi verso un nuovo periodo segnato da una nuova fede quella della ragione e dai progressi della scienza. Secondo l’autore le tecniche utilizzate dagli antichi per estrarre l’olio si persero a causa dell’interesse di produrne solo in gran quantità, ma aggiungeva anche che con l’avvento del periodo illuministico vi fu la riscoperta dell’olio di ottima qualità.

Lettere a Marco Lastri

Presta inviò tra marzo e giugno del 1783 quattro lettere a Marco Lastri, figura importante nella stagione illuministica. Queste lettere, custodite nella biblioteca Moreniana di Firenze, sono rimaste inedite sino al 2001 quando vennero commentate dal Prof. Fabio D’Astore dell’Università di Lecce in una sua pubblicazione,“Dall’oblio alla Storia”. Esse dimostrano la frequentazione del Cenacolo gallipolino che diffondeva soluzioni per il sistema agricolo salentino. Sono la prova dell’attività di ricerca sugli ulivi iniziata da Presta e dimostrano il suo impegno in questo lavoro. Il Presta, scrive il D’Astore chiese all’illustre amico di inviargli i tre tipi di ulivi coltivati in Toscana, “l’infrantoio, il coraggiuolo ed il moraiuolo, con tronco grosso come un manico di vanga, piantati in vasi di terracotta”. Oltre agli alberi di ulivo che sono coltivati in Toscana chiese, anche, “un picciol ma esatto modello in legno sì della macina solcata alla fiorentina che di tutta la macchina o strumento col quale usa costì d’infragner le ulive”. E continuò “Io devo alla vostra savia lezione la prima notizia, che costì si usa la macina solcata e non liscia; terminate dunque anche voi d’istruirmene con un modelluccio in legno”. Da tale richiesta si comprende, prosegue il D’Astore, come sia grande l’impegno del Presta a migliorare la coltivazione dell’ulivo, praticato nelle sue zone in modo alquanto primitivo ed antieconomico. Confrontare le diverse modalità di produzione dell’olio tra la Toscana ed il Salento voleva significare per Giovanni Presta un avanzamento qualitativo e quantitativo. L’autore riteneva importante e decisivo il parere dell’amico per la prosecuzione dell’opera. Tutto questo rappresenta l’inizio della sua attività di osservazione e sperimentazione. Egli decise di creare un progetto sull’ammodernamento e sull’incremento delle colture agricole. Tale progetto è documentato nella sua terza opera: “Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio”. Le lettere scritte a Marco Lastri sono prova fondamentale per ripercorrere le fasi del progetto di Giovanni Presta.

Memoria su i saggi diversi di olio

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Giovanni Presta dedicò la sua prima opera all’imperatrice di Russia Caterina II che “per mezzo del Ministro di Napoli signor duca di Serracapriola ricevè in segno di gradimento duecento Zecchini effettivi di Olanda, ed un medaglione di oro col busto dell’Augusta Imperatrice da una parte, e la statua equestre di Pietro il Grande dall’altra”.

Dedica

La lettera dedicatoria fu stampata in Napoli il 25 aprile 1786. Presta in questa lettera, precisa che la sua opera sarà consegnata all’Imperatrice Caterina II dal duca di Serracapriola, ministro di re Ferdinando IV accompagnata da alcuni campioni di olio. Presta prega, anche, l’imperatrice di diffondere questo suo scritto in modo da riuscire a far riacquistare al suo territorio la notorietà per la produzione dell’olio.

Contenuto

Lo scritto inizia con un’accurata descrizione sull’ulivo: “l’Ulivo è un Albero di statura ordinariamente mezzana, ma che tal ora sa pareggiare anche la Quercia. Fa gran ceppaia, e gran tronco, che di sovente è nodoso e bitorzoluto: Getta assai rami, e fronzuti molto; e conserva ei sempre la sua verdura. Il suo legno è fitto, pesante, odoroso, di gran durata, e di bel marezzo”. Presta, poi, aggiunge una nota polemica precisando che a causa dell’ignoranza e delle barbarie non furono più utilizzate le tecniche di una volta per produrre l’olio perché con il passare degli anni si andò puntando solo sulla quantità e non sulla qualità. Questo interesse dell’autore di migliorare la qualità dell’olio nel Salento ben si identifica con il tema illuministico contro l’ignoranza. L’abbandono delle tecniche usate in passato aveva causato la perdita del successo dell’olio salentino. Presta teneva in considerazione i metodi usati in passato cercando di migliorarli e di aggiungere le conoscenze acquisite con la sua esperienza. Dal passato riprese sicuramente la divisione di quattro tipi diversi di olio derivati dal grado di maturazione dell’oliva:

  • “onphachinon o oleum acerbum” di olive del tutto acerbe;
  • “oleum viride” di olive semiacerbe;
  • “oleum maturum” di olive già nere;
  • “oleum cibarium” di olive ormai rovinate.

La specie di Ulivo, il modo in cui le olive erano raccolte e il periodo scelto erano parametri fondamentali che Presta decise di aggiungere per rendere migliore la produzione dell’olio. Le specie di ulivi locali utilizzati per estrarre l’olio erano:

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  • “la Cellina”, cui si dava il vanto per la bontà di olio;
  • “la Pasola”;
  • “l’oliva di Spagna”, che presentava le olive più grosse in quelle zone;
  • “la Corniola”;
  • “l’uliva dolce”;
  • “le Coccole di oleastro”, che in passato si credeva producessero un olio amaro in quanto le sue olive erano amare, invece, se raccolte mature davano all’olio un sapore gradevole.


Tutti i tipi di olio che egli aveva prodotto grazie all’uso delle sue tecniche e di quelle degli antichi, erano stati inviati da Giovanni Presta all’ imperatrice Caterina II. Alla fine del libro, l’autore analizza anche la “ragia” degli alberi di ulivo ottenuta senza alcun tipo d’incisione o di tecnica in quanto usciva da sola dai rami dell’albero. Presta dice che la “ragia” non apparteneva a tutti gli alberi ma negli ulivi era molto presente. Egli subito dichiara che le notizie sulla “ragia” erano state prese dal marchese Giuseppe Palmieri, economista leccese tra le figure più rappresentative del settecento napoletano ma attivo anche nel Salento. Presta fa, quindi, un’accurata classificazione degli oli confrontando anche le sue esperienze con il passato.

Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio

Presta con la sua prima opera riuscì a raggiungere un gran successo, per questo decise di iniziare un nuovo progetto molto più ampio. Questo suo secondo lavoro lo dedicò a Ferdinando IV, re delle due Sicilie.

Dedica

La lettera dedicatoria fu stampata a Gallipoli il 4 settembre 1788. Insieme a questa lettera inviò al sovrano sessantadue campioni di olio, pregandolo di dare il suo parere e di decidere quali tra questi erano i più gradevoli solo dopo aver letto la sua opera. Presta affermava, anche, che con l’approvazione del re si sarebbe concentrato sulla sua terza opera che avrebbe dedicato, nuovamente, a Ferdinando IV: “Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l’olio”.

Prima parte

Presta iniziò il lavoro con un riferimento al passato “la perfezione dell’Olio fu cosa in vero di non leggiera importanza appo degli Antichi”. Presta affermava che in passato vi era un grande consumo di olio finalizzato all’uso che l’uomo ne faceva sul proprio corpo, quindi era normale che non tutto l’olio fosse di ottima qualità. Dopo la caduta dell’impero romano si andò puntando solo sulla quantità di olio prodotta e fu perso qualsiasi tipo di interesse legato alla sua qualità. In seguito a questa prefazione, nella prima parte dell’opera Presta distingueva i vari tipi di olio secondo il grado di maturazione delle olive. La più comune tra questa era “l’Ogliara” dai latini chiamata “Salentina”. I primi quattro campioni di olio contenevano quello ricavato dalle olive acerbe:

  • primo campione: olive raccolte nella prima metà di settembre;
  • secondo campione: olive raccolte nella seconda metà di settembre;
  • terzo campione: olive raccolte nella prima metà di ottobre;
  • quarto campione: olive raccolte nella seconda metà di ottobre.

Questo olio era chiamato “Onfacino” ed era di coloro verdegiallo e poco fluido ma l’autore trovò il modo per schiarire il suo colore. Dalle olive semiacerbe si ricavava l’olio che in passato era chiamato “strictivum oleum, oleum ad unguenta, oleum viride”:

  • quinto campione: olive raccolte nella prima metà di novembre;
  • sesto campione: olive raccolte nella seconda metà di novembre;

Presta definì questo olio “Semionfacino”. Nei due successivi campioni l’olio può essere considerato “Onfacino”, dato che le olive erano ancora acerbe nonostante furono raccolte a dicembre, questo perché le olive appartenevano ad alberi differenti da quelle dei primi raccolti. Nei mesi a seguire le olive erano ormai mature e l’olio che si produceva era di scarsa qualità e probabilmente era proprio l’olio che in passato era dato agli schiavi, quello delle olive nere detto “Cibarium Oleum”. I fiaschi numero XV, XVI e XVII contenevano l’olio appartenente all’ “Ogliara” raccolta però a differente maturazione:

  • il primo era di olive verdi e verdi biancastre, cioè di “Onfacino”;
  • il secondo era di ulive rossonerastre, meno saporito del precedente;
  • il terzo era di olive nere.

Nel XVIII fiasco abbiamo l’olio vergine, considerato da sempre quello più prezioso.

Seconda parte

Nella seconda parte del libro l’autore analizzava la differenza dei tipi di olio dovuta alle varie specie di olive. Egli aveva riconosciuto quarantotto varietà di olive e precisava che, sicuramente, molte li erano oscure. Per analizzare tutte queste varietà egli si fece mandare alcune specie di olive della Spagna, della Campania, di Genova, di Firenze per controllare almeno la quantità di olio che riuscivano a produrre e non la qualità. Dell’oliva di grandi dimensioni detta “Orchita ed Orchemora” che in Salento era chiamata, semplicemente, “oliva grossa” o “oliva di Spagna” vi erano sette specie ma Presta ne riuscì ad analizzare solo tre:

  • ovale con polpa “soda”;
  • ovale con polpa “soda” ma più dolce della precedente;
  • la terza oliva grossa “fatta a pendente” era dolcissima.

Un altro tipo di oliva era la “Mennella” di polpa tenerissima quasi acquosa ma l’autore ne fece una nuova che chiamò “piccola Mennella” utilizzando l’oliva matura. Poi abbiamo “l’Usciana”, “l’Algiana”, l’oliva che i tarantini chiamavano “uliva dolce”, sempre per i tarantini la “Cerasola” simile alla “Mennella”, nel fiasco numero X “l’uliva Spagnola” di polpa soda e nel successivo la “Barisana” o “Varisana”. La “Pasola” che era nei quattro campioni di seguito, si distingueva in:

  • “Pasola” ovale dolce;
  • “Pasola” ovale amara;
  • “Pasola” rotonda dolce;
  • “Pasola” rotonda amara.

Nei campioni successivi abbiamo l’olio delle olive dette:

  • “Corniola” o “Cornolara”;
  • “Cellina”;
  • “Termetone” chiamata dall’autore “Ulivastrona” che è una pianta che cresce spontaneamente con olive di polpa molto “soda”;
  • “Palmierina”, così chiamata perché era di un albero dell’uliveto di Giuseppe Palmieri;
  • “uliva Cilieggia” dal sapore delicatissimo, la cui forma è simile ad una ciliegia;
  • “uliva a grappolo” di polpa “soda”;
  • un’oliva molto comune che cambia nome in base al posto in cui si trova, viene detta “Cellina” o “Morella” o “uliva di Lecce” o “uliva di Nardò”;
  • “Tardiccia”, la quale appartiene alla specia “contra humorem pugnaces”;
  • “Ulivetta”, proviene da una pianta che nasce spontaneamente.

La specie preferita in passato era “l’Ogliara”, detta anche “Salentina”, che si poteva trovare nel fiasco numero XXIX. Presta di tutte queste specie di olive fece una descrizione accurata, precisando che la qualità dell’olio dipende dal tipo di oliva scelta e dal suo grado di maturazione, non è per niente importante la presenza o meno del nocciolo come spiegherà nella terza parte dell’opera.

Terza parte

In quest’ultima parte Presta iniziò precisando, appunto, che mentre in passato tutti credevano che il nocciolo dell’oliva rovinasse il sapore dell’olio in realtà la sua presenza era indifferente, la qualità dell’olio non cambiava. L’autore continua raffigurando le macchine utilizzate per la spremitura delle olive. Dai Greci era stato inventato il “Frantoio”, ritrovato negli scavi di Stabia. Per farlo funzionare c’era bisogno della spinta di braccia umane, quindi in passato erano gli schiavi a essere usati per macinare le olive. La vasca in cui avveniva questo lavoro con il “frantoio” non era molto ampia e doveva essere svuotata e poi riempita diverse volte, quindi questo lavoro richiedeva molto tempo. Nel periodo illuministico la macchina utilizzata per spremere le olive era la “Macina verticale”, ma sia con il “frantoio” sia con “le macine”, si notò che dal nocciolo non usciva olio, quindi tutto quello che si produceva apparteneva comunque alla polpa dell’oliva. L’errore che era stato fatto in passato era di spremere prima le olive senza il nocciolo e successivamente quelle con il nocciolo, la colpa del sapore differente fu data alla presenza del nocciolo, in realtà la qualità dell’olio dipendeva dal grado di maturazione dell’oliva. In fine, Presta dichiara che l’uso del frantoio antico era stato dismesso in quanto riusciva a ridurre in farina anche il nocciolo e questo “trasmettea l’infezion dell’Olio dei semi all’Olio di polpa”.

Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l'olio

“Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l’olio” è l’opera più importante di Giovanni Presta sia per la ricchezza dei riferimenti letterari, sia per la lingua, sia per la descrizione delle sue esperienze. L’autore pubblicò questo libro nel 1794, anche se finì di scriverlo due anni prima.

Lingua

Presta rispetto ai suoi colleghi usa un linguaggio molto più elaborato, un lessico selezionato e con precisi intendimenti stilistici. L’autore fa uso di espressioni letterarie, di termini dotti, di parole toscane ma riporta anche termini dialettali accompagnati dalla spiegazione e dal loro significato. La complessità della materia richiede massima attenzione anche dal punto di vista linguistico.

Dedica

La lettera dedicatoria fu scritta a Gallipoli nel 1793. Come aveva promesso nella seconda opera dedicò anche questo lavoro a Ferdinando IV,re delle Due Sicilie. Nella lettera dedicatoria Presta affermò di riuscire a produrre dell’olio che sarebbe riuscito a far tornare il prestigio per la sua alta qualità al territorio e scrisse al re che qui avrebbe riportato le tecniche di produzione dell’olio. In quest’opera egli affrontò gli argomenti che aveva presentato nelle famose lettere a Marco Lastri.

Prefazione

Presta all’inizio dell’opera dimostrò subito il suo carattere illuministico, poiché basava ancora una volta il suo lavoro sullo studio e sugli esperimenti. Nella prefazione l’autore parlò un po’ della sua vita, fece un accenno alle accademie di quel tempo che affrontavano discorsi riguardanti la produzione agricola, poi parlò dell’ulivo come l’albero preferito da Minerva divinità della guerra. Tutto ciò per conoscere meglio la pianta che egli stava studiando e per dare dignità alla propria ricerca. Egli, anche in quest’opera, confrontava tutti i suoi studi sulle tecniche del passato e su quelle moderne alla sua esperienza, tutto doveva essere verificato.

 

Il Salento era considerato tra i migliori produttori di olio, tanto che l’olio salentino era conteso con quelli più rinomati come quelli di Provenza e di Lucca. Tale perfezione dell’olio dipendeva anche dall’efficacia del suo frantoio, dato che Presta analizzando i frantoi delle altre zone e notando i loro difetti non era riuscito a trovare un frantoio migliore della “macine verticale” usata nel Salento. Quello fiorentino era difettoso in quanto solcato, mentre quello Genovese e quello Provenzale erano di taglio strettissimo. Grazie ai suoi successi e ai risultati da lui ottenuti il Salento continuava a ottenere prestigio per l’ottima produzione di olio.

Prima parte

Il tema scelto nella prima parte dell’opera è l’olivo. Presta aprì il trattato con un’accurata descrizione di questa pianta, dicendo che per quanto riguarda la sua utilità sicuramente tra tutte l’olivo era il migliore: “di quanti mai vi son’alberi finor noti sopra la terra, se si ha riguardo all’utilità, che ciascun arreca, si può dire senza fallo, che l’Ulivo è il migliore tra tutti, l’Ulivo è il primo tra tutti, l’Ulivo è il Re”. In questa prima parte c’era un riferimento ai tempi antichi dove si confermava la sua tesi, infatti i Greci consideravano l’ulivo una pianta “divina”. L’ulivo, diceva Presta, era una delle piante che vivevano più a lungo, sicuramente alcuni secoli e riporta diverse tesi sulla sua propagazione:

  • la “propaggine”, tecnica rifiutata da Teofrasto, antico botanico greco. Approvata da Catone che in uno degli incontri agricoli di Teofrasto affermò che gli ulivi potevano essere sottoposti a questa tecnica. Presta dice di non aver mai utilizzato questo metodo, in quanto vi erano mezzi molto più facili ed economici.
  • la “talea”, metodo molto usato, “facilissimo veramente, e di poca spesa”;
  • i “piantoni”, preferiti dai Romani;
  • i “Curmoni”, voce che deriva dal greco;
  • gli “uovoli”, già accennati da Lucio Giunio Moderato Columella e usati dai caabresi con il nome di “topparelle”;
  • “gli ulivastrelli o nati spontaneamente, o fatti nascer dal seme, e innestati”, considerato da Presta il metodo migliore.

Presta continuava analizzando il comportamento dei contadini e riportando le cause dei danni che l’ulivo poteva subire:

  • “la seccagione pel freddo”, considerato il più grande nemico dell’olivo;
  • “la seccagione pel freddo”, considerato il più grande nemico dell’olivo;
  • “il mal della Brusca”, che colpiva solo gli ulivi “Ogliaroli” tipici del Salento; - - “la Rogna, che suole infestare gli Ulivi”;
  • “i Gozzi, o Gobbe dai Greci appellate Gongri, da noi Testuggini”, che nascono sul tronco dell’albero;
  • “la Ragia”, che esce o da qualche ramo o da qualche forellino;
  • “il Musco”, presente sul tronco e sui rami dell’albero.

Le malattie dell’ulivo possono, anche, essere causate da numerosissimi insetti ma l’autore ne riporta solo alcuni esempi:

  • le “Cantarelle”, che si trovano anche sulle Querce ma prendono soprattutto di mira l’olivo di cui rovina le foglie e i fiori;
  • il “Verme roditore”, che nasce nel midollo dei rami e lo logora;
  • morbo “Araneum o Bombacella” , che impedisce l’apertura dei fiori;
  • il “kermes”, piccolo insetto che nasce sulla parte inferiore della foglia e in seguito si attacca al ramo dell’ulivo, di conseguenza la pianta è molto debole;
  • il “bruco minatore” .

Seconda parte

Nella seconda parte si passa all’illustrazione delle olive per peso lunghezza e colore. L’autore riportò proprio un elenco dei vari tipi di olive scoperti nel Salento:

  • l’oliva grossa ovale detta “uliva grossa” o “uliva di Spagna”, chiamata dai Greci e dai Latini “Orcas, Orchis, Orchitis”. La sua polpa è “soda”e produce un olio molto delicato.
  • “L’uliva grossa di punta tronca” chiamata dai Tarantini “Uliva Cazzarola”, mentre dal resto dei salentini “uliva grossa da cazzare bianco”.
  • L’uliva grossa ovale detta “sanguinesca” che differisce dalla prima in quanto ha la punta più tondeggiante.
  • L’oliva grossa fatta a “pendente”, poco oliosa e chiamata anche “orchite”.
  • L’oliva grossa ovale meno lunga delle altre.
  • La “Angelica Palmieri”, buona anche cruda. Questa oliva grossa ha la pelle macchiata e le macchie sono presenti anche sul nocciolo. Essa è ovale ed è chiamata angelica per il suo squisito sapore.
  • “L’uliva grossa cordiforme” detta “Permezana”, che è la più grossa di tutte,piena di polpa e proviene da Monopoli.
  • “L’uliva in forma di limoncello” detta a Monopoli la “Limoncella”.
  • L’oliva chiamata dai tarantini la “Mennella”e dal resto dei salentini “minna o minnedda”. Essa non produce troppo olio.
  • La “Mennella” presenta una varietà molto più piccola che l’autore chiama “piccolla mennella”, che ha un sapore quasi dolce.
  • “L’uliva dolce”, la cui forma è simile a quella di una pera.
  • L’oliva “Cerasola” di Tricase, la quale matura è di colore rossastro ed ha un forma a pendente. Essa scarseggia di olio.
  • L’oliva dolce di “Barbarano” che ha poca polpa e produce poco olio.
  • L’oliva chiamata da Presta “uliva albicocca” in quanto è composta da due metà formate a cucchiaio come un’albicocca. Questa oliva non è adatta per produrre olio in quanto sarebbe di scarsa qualità.
  • “L’uliva Baresana”, così chiamata perché giunse la prima volta da Bari. E’ molto nera, tenerissima e piena di polpa. Produce molto olio come “l’ogliarola”.
  • La “Pasola”, anticamente “Pausia, Posia, e Posea”. Si divide in tonda dolce, tonda amara, ovale dolce e ovale amara.
  • La “”Cornolara, o Corniola” che si divide in maggiore,minore e piccola “Cornolara”. Scarseggia di olio però il suo olio mantiene un buon sapore per molti anni.
  • “L’uliva tonda di Galatone”, la quale produce poco olio.
  • La “Termetone”, che appartiene ad un ulivo che nasce spontaneamente ed ha una forma tondeggiante, di polpa soda e scarseggia sulla quantità di olio. Presta chiama questa varietà “Ulivastrone”.
  • “L’Ulivastrona dolce”, stessa figura tondeggiante della precedente però un po’ più piccola. Ha un sapore molto dolce.
  • La “Palmierina”, piccola e ovale, di colore prima rosso e poi nero. L’autore la vide la prima volta nell’uliveto di Giuseppe Palmieri.
  • “L’uliva a ciocca”, così chiamata in quanto l’albero allega i frutti a ciocche. Questa oliva verso un olio di sapore molto fine.
  • L’oliva “Manna”, piccola e di sapore molto dolce, molto simile per il colore e la figura all’oliva “Ogliarola”.

Presta riporta anche le tre olive di origine toscana, affermando che “l’infrantoia” è la migliore razza di ulivo, e le tecniche usate a Firenze che Marco Lastri gli aveva detto nella loro corrispondenza epistolare.

Terza parte

La terza parte illustra i metodi utilizzati per ricavare l’olio. La prima maniera per ricavare l’olio era spremere le olive con le mani oppure schiacciarle con i piedi “così sembra, che l’olio fosse stato scoperto”. Utilizzare questa tecnica richiedeva una grande perdita di tempo, infatti i Greci utilizzavano il “Trapetum”, cioè il frantoio che fu ritrovato negli scavi di Stabia nel 1780. Il frantoio si diceva riducesse in polvere anche il nocciolo e questo poteva rovinare il sapore dell’olio, in realtà questo non era vero. Il frantoio usato a Firenze era, però, molto difettoso rispetto agli altri paesi che usavano la più efficace macina verticale non solcata: “Tolta Firenze, gli altri noti olearii Paesi si vagliono di un Frantojo a macine verticle non solcata, ma liscia, o piuttosto col dosso un po’ scabro, acciochè le ulive, e i noccioli non sdrucciolino, e non isfuggano di sotto la macine, ma rimangano bene stacciati”. Quindi per migliorare la produzione dell’olio è fondamentale l’azione dell’uomo, per questo Presta descrive le macchine e gli strumenti utilizzati in maniera molto accurata. La terza parte è sicuramente la più importante, in quanto l’autore ci mostra le tecniche usate e il modo per ricavare un buon olio. Presta, con le sue opere, voleva spronare il lettore ad utilizzare i suoi metodi per dare un contributo allo sviluppo socio-economico del suo territorio.

Bibliografia

  • A. Cavallera, Giovanni Presta Opere. Lecce: Edizioni del Grifo
  • F. D'Astore, Dall'oblio alla storia: manoscritti di salentini tra sette e ottocento.











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